pedagogia
L’arte di educare
La pedagogia è l’insieme delle teorie riguardanti i problemi dell’educazione e della formazione dell’uomo. Non è una scienza, ma si può avvalere dei risultati e dei metodi di altre scienze – le scienze dell’educazione. Fino al 19° secolo, in quanto articolazione del pensiero filosofico, la pedagogia si limitava a individuare i fini dell’educazione, quasi sempre prescindendo dalla pratica educativa, mentre oggi è riconosciuta come disciplina autonoma
Con il termine pedagogia intendiamo le teorie relative all’educazione, cioè la riflessione sui problemi della formazione. È facile rendersi conto come di fatto non possa esistere una netta divisione fra teoria e pratica: anche nelle operazioni più semplici, per esempio attraversare la strada, non possiamo prescindere da una teoria fatta di buone regole per l’attraversamento. Viceversa, una teoria dell’attraversamento cui non corrisponda una pratica finirebbe per essere del tutto astratta e quindi sostanzialmente inutile. Per questo, la pedagogia muove dalla pratica educativa, cercando costantemente di migliorarla. Al tempo stesso la pratica educativa rappresenta il banco di prova della bontà o meno delle teorie dei pedagogisti.
Questa distinzione in campo educativo fra teoria e pratica, che oggi ha per lo più un carattere funzionale (serve di fatto a distinguere chi si occupa di più della pratica educativa, per esempio un genitore o un insegnante, da chi vede l’educazione come oggetto di studio, il pedagogista), è stata fino a tempi relativamente recenti rigida e netta. La pedagogia, infatti, altro non era che un’articolazione del pensiero filosofico: si occupava sostanzialmente di indicare i fini dell’educazione e poco aveva a che vedere con l’effettiva pratica educativa, risultando spesso un’esercitazione astratta. Per questo, nel passato gli studi pedagogici hanno avuto un carattere discontinuo e, tranne rare eccezioni, scarse ricadute sulla pratica educativa.
Nelle società occidentali per lungo tempo l’istruzione fu scarsamente diffusa. Essa riguardava soprattutto i ceti nobiliari (sotto forma di educazione morale, oppure di insegnamento delle ‘buone maniere’) e, più tardi, l’emergente borghesia, dedita al commercio e alle arti. Un discorso a sé meriterebbe la nascita, tra il 12° e il 13° secolo, delle università, che coinvolgevano però una quota ancor più limitata di popolazione.
Solo con la Riforma protestante si pone per la prima volta l’esigenza di istruire l’intera popolazione, per metterla in grado di leggere direttamente le Sacre Scritture. Questo evento comportò un necessario intensificarsi della riflessione sull’educazione e pose i fondamenti di quella che possiamo chiamare pedagogia moderna. Non è certo un caso che proprio nel clima di forti rivolgimenti politici e culturali indotto dalla Riforma si sviluppò il pensiero di Comenio, che ebbe il merito di raccordare le sue teorie filosofiche (pansofia) con i metodi della pratica educativa, cioè con la didattica.
Questo processo di sviluppo e di progressiva organizzazione della pedagogia ebbe poi un forte impulso a seguito di due grandi eventi: la Rivoluzione francese e la rivoluzione industriale. La Rivoluzione francese segnò un punto di crisi irreversibile della società e dell’economia feudali, e aprì una nuova stagione dei diritti individuali e sociali; la rivoluzione industriale ebbe un ruolo ancora più decisivo per le straordinarie conseguenze economiche, sociali e culturali che comportava: la concentrazione nelle città di masse di popolazione sempre più grandi, il venir meno delle tradizionali professioni artigiane, le misere condizioni di vita, il nascere di una classe operaia e le sue prime forme di organizzazione, imponevano di affrontare i problemi generati dal modo nuovo in cui si andava configurando la convivenza sociale con strumenti adeguati, tra cui anche l’istruzione. La scolarizzazione, che con l’introduzione dell’obbligo scolastico arriva a interessare l’intera popolazione, fa nascere l’esigenza di unire la dimensione morale dell’istruzione da un lato con quelle culturali, economiche e politiche, dall’altro con la didattica. La pedagogia diventa così un ambito teorico-pratico con caratteristiche proprie.
Un altro elemento che diede un forte impulso alla pedagogia fu, nel corso del 19° secolo, la progressiva autonomia delle discipline umanistiche e sociali (come la psicologia e la sociologia) rispetto alla comune matrice filosofica. Queste discipline tesero sempre più, soprattutto attraverso l’adozione di metodi sperimentali di ricerca, ad assumere una veste autonoma e scientifica. Questo percorso fu tentato anche dalla pedagogia, sulla cui autonomia e scientificità si sono avuti e permangono sempre forti dubbi.
Uno dei punti più alti della riflessione sulla pedagogia come scienza si ebbe tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento con John Dewey: egli riteneva che la pedagogia e la pratica educativa potevano acquisire elementi di scientificità utilizzando, per la soluzione dei problemi educativi, risultati e metodi propri di altre scienze, in primo luogo la psicologia e la sociologia.
Il rapporto della pedagogia con altre scienze portò in più occasioni a negarle un valore specifico, fino a sostituire lo stesso termine con l’espressione scienze dell’educazione, intendendo con ciò l’ampio arco di scienze – dalla psicologia alla sociologia, dall’antropologia alla biologia, dalla statistica all’economia – che a vario titolo potevano fornire un contributo alla riflessione e alla pratica educative.
Agli inizi del Novecento, soprattutto a opera del filosofo italiano Giovanni Gentile, che fu ministro dell’Istruzione negli anni Venti, fu effettuato un nuovo tentativo di ridurre la pedagogia a filosofia e di separarla dalla didattica. A questa visione si ispirò la riforma della scuola italiana (1923) nota come Riforma Gentile, i cui effetti sull’ordinamento degli studi si fanno sentire ancora ai giorni nostri.
A una visione moderna della pedagogia hanno contribuito molti pensatori, di diversa ispirazione: Rousseau, Johann Heinrich Pestalozzi, Friedrich Wilhelm Fröbel e, più di recente, Dewey, solo per ricordare alcuni nomi. Rousseau affermò l’importanza del bambino in quanto tale, che non va considerato un «essere incompiuto», un «non ancora adulto». Egli rivendicava l’importanza dell’infanzia e dell’adolescenza come fasi specifiche della vita umana. Nonostante l’impraticabilità delle soluzioni da lui proposte, questo approccio aveva notevoli implicazioni teoriche e pratiche, in quanto significava riconoscere che l’infanzia va vissuta nella sua pienezza e l’educazione non è solo una preparazione alla vita futura, quanto un momento della vita a tutti gli effetti. Queste considerazioni avrebbero aperto la strada a teorie e pratiche che sempre più vedevano nel bambino non un essere passivo da educare, ma un soggetto attivo.
Pestalozzi e Fröbel tradussero in campo educativo gli ideali del romanticismo. Il primo vide nell’educazione un processo che accompagna l’individuo attraverso le fasi della vita e i momenti di passaggio: la scoperta di sé e del mondo, l’inserimento nella società e il lavoro, il matrimonio, la maternità/paternità. Pestalozzi sviluppò questa visione attraverso libri che narrano le vicende di due personaggi ideali, Leonardo e Geltrude. Fröbel – fondatore dei giardini d’infanzia – sottolineò l’importanza del gioco nel processo di conoscenza e propose la creazione di ambienti idonei a stimolare la spontanea curiosità del fanciullo, incentivato ad apprendere mediante doni e gratificazioni.