(gr. Πέλοψ) Mitico figlio di Tantalo, re di Lidia; capostipite della famiglia dei Pelopidi, a cui appartennero Agamennone e Menelao. P. fu ucciso, ancora fanciullo, dal padre che, per mettere alla prova l’onniscienza degli dei da lui convitati, servì le sue membra nel banchetto; ma gli dei, scoperto il delitto, richiamarono in vita P. sostituendogli in avorio una spalla già mangiata da Demetra e maledissero Tantalo e i suoi discendenti.
In Elide, P. gareggiò nella corsa sul carro con il re Enomao, per sposarne la figlia Ippodamia, e conquistò la vittoria solo con il tradimento, avendo corrotto l’auriga del re, Mirtilo, che danneggiò il carro di Enomao causandone la morte. Secondo un’altra versione P. vinse la gara grazie agli invincibili destrieri alati ricevuti in dono da Posidone; su di essi poi volò su un tratto del Mare Egeo dove fece precipitare Mirtilo (che aveva cercato di far violenza a Ippodamia), che diede così il suo nome al Mar Mirtoo.
Il mito di P. fu raccontato da Pindaro e dai tragici. A P. si attribuiva la fondazione dei giochi olimpici, poi caduti in desuetudine e rinnovati da Eracle; a lui si fece risalire il nome del Peloponneso (➔) che egli avrebbe conquistato.
L’arte greca lo ha immortalato su vasi dipinti attici e specialmente italioti, e come giovane eroe armato nella celebre scultura sul frontone est di Olimpia; su alcune urne etrusche P. è raffigurato con le sue vittime Enomao e Mirtilo; su sarcofagi romani appare in costume orientale.