PIEMONTE (XXVII, p. 171; App. II, 11, p. 456; III, 11, p. 420)
Secondo la legge del 22 maggio 1971, n. 338, il P. costituisce una regione autonoma a statuto ordinario con capoluogo Torino, comprendente le sei province in cui è tradizionalmente divisa. L'intensa espansione economica degli ultimi due decenni, che solo negli ultimi anni ha subìto un rallentamento per la ben nota situazione di crisi in cui si è venuta a trovare l'industria dell'automobile, ha provocato un forte flusso immigratorio dapprima dal Veneto e in un secondo momento dal Meridione. Nell'ultimo decennio intercensuale la popolazione è salita dai 3.914.250 ab. del 1961 ai 4.434.802 del 1971 (ma nel dicembre 1976 ne sono stati rilevati già 4.542.667 pari a 178 ab./km2) e la densità ha raggiunto i 174 ab./km2; la variazione positiva intercensuale, pari a ben 520.552 unità, è stata dovuta sia al saldo del movimento naturale (+116.045 unità), cioè al rapporto tra i nati vivi e i morti, che al movimento immigratorio, che ha fatto registrare all'attivo ben 404.507 unità. Tutte le province piemontesi hanno segnato valori positivi nell'andamento demografico intercensuale, con un massimo di quella di Torino (+468.773 unità) e un minimo in quella di Cuneo (+2810 unità), seguita a poca distanza da quelle di Alessandria, Asti e Vercelli, mentre quella di Novara ha avuto un incremento considerevole (+36.162 unità). Il saldo del movimento naturale è stato negativo nelle province di Alessandria, Vercelli e Asti, ma ampiamente compensato dall'afflusso degl'immigrati dal Meridione, positivo in quelle di Cuneo, Novara e specialmente in quella di Torino (+119.853 unità), dovuto alla maggior fertilità delle giovani famiglie immigrate dal Sud rispetto ai piemontesi residenti nella provincia da più lungo tempo. Il movimento migratorio, negativo solo per la provincia di Cuneo (−239 unità) ma compensato dal positivo saldo naturale, è stato positivo in tutte le altre province, dove ha registrato valori compresi tra le +8621 unità di Asti e le +25.864 di Novara; nettamente staccata è come sempre la provincia di Torino, dove la differenza tra immigrati ed emigrati ha raggiunto il valore elevatissimo di +342.909 unità, di cui +78.726 nel solo comune di Torino, dove il saldo del movimento naturale è stato pure considerevole (+73.391 unità). Se si analizza la situazione dei 1209 comuni, in cui risulta tuttora articolata la regione, si può constatare che solo 358 hanno avuto nel periodo intercensuale qualche incremento demografico, mentre ben 851 hanno fatto registrare qualche flessione, il che conferma ancora una volta come l'espansione economica recente abbia interessato solo una parte non estesa della regione, richiamando manodopera dai comuni economicamente meno sviluppati, specialmente dalle aree agricole e montane, caratterizzate da attività silvopastorali e agricole di sola sussistenza.
Nel quadro amministrativo regionale, mentre è rimasto invariato il numero dei comuni e delle province, sono state costituite recentemente alcune unità amministrative, raggruppanti ciascuna numerosi comuni, che godono di una certa autonomia nell'ambito delle rispettive province: si tratta dei circondari di Biella (Vercelli; costituito il 7 gennaio 1972), Pinerolo (Torino; 10 maggio 1973), Ivrea (Torino; 10 maggio 1973), Alba-Bra con capoluogo Alba (Cuneo; 10 maggio 1973), Mondovi (Cuneo; 10 maggio 1973) e Casale Monferrato (Alessandria; 30 luglio 1973).
Le variazioni nella composizione della popolazione attiva in condizione professionale mostrano ancora una volta il graduale ma rapido spostamento degl'interessi della popolazione verso forme di economia urbana e il conseguente distacco dal lavoro dei campi: la popolazione attiva nel settore agricolo è diminuita tra il 1961 e il 1971 da 387.865 a 212.121 unità, mentre quella attiva nell'industria è salita da 889.903 a 971.380 unità e quella impiegata nelle attività terziarie e quaternarie è passata da 469.623 a 560.874 unità. Lo scarso reddito prodotto dall'agricoltura, che va contraendosi ancora sensibilmente rispetto al reddito complessivo della regione, contribuisce a spiegare la fuga dai campi e l'afflusso di manodopera verso le aree più intensamente industrializzate delle province di Torino, Vercelli e Novara. L'economia delle province di Cuneo, Asti, Alessandria - dove non mancano focolai di sviluppo industriale - e di larghe aree montane e collinari delle province di Torino, Vercelli e Novara resta tuttora fondata prevalentemente sull'agricoltura; le aree agricole piú produttive sono la regione collinare centro-meridionale e la pianura padana, caratterizzata dalla rotazione delle colture, da un'estesa meccanizzazione e da una fitta rete di canali d'irrigazione. Va aumentando la superficie coltivata a cereali e a foraggere, mentre è in diminuzione quella con coltivazioni legnose agrarie. Rilevante continua a essere la produzione di riso, per il quale il P. è sempre al primo posto fra le regioni italiane; cospicua è anche la produzione di granturco, frumento e canapa, per i quali prodotti la regione si è posta nel 1973 rispettivamente al terzo, all'ottavo e al secondo posto. Altre colture importanti sono la patata, la barbabietola da zucchero, gli ortofrutticoli e specialmente la vite, che dà forti quantità di vino (al sesto posto in Italia) e qualità apprezzatissime. Recente inoltre è la diffusione delle piantagioni di pioppi, spesso a spese delle risaie, causata sia dalla carenza di manodopera stagionale e dalla crisi del mercato risicolo, che dalla richiesta di carta e cellulosa. In aumento sono sia l'impiego di fertilizzanti che l'uso di macchine agricole di ogni tipo: nel 1973 le trattrici erano 101.318 (contro le 54.199 del 1963) e le altre operatrici semoventi 104.479. Se si eccettuano i suini, che dal 1963 al 1973 sono aumentati da 205.000 a 469.400 unità, la consistenza del bestiame è diminuita in misura sensibile: così i bovini, da 1.244.000 a 1.210.000 unità (di cui 422.600 sono vacche da latte), gli ovini, da 96.000 a 86.000, come pure gli equini, da 44.000 a 21.600. Un grave ostacolo allo sviluppo del settore agricolo, oltre al forte potere d'attrazione per la manodopera più giovane e intraprendente esercitato dall'industria e dalla vita nelle città, è costituito dall'eccessivo frazionamento della proprietà fondiaria, che impedisce uno sfruttamento razionale del suolo. Le aziende agricole tra il 1961 e il 1970 sono diminuite numericamente da 375.809 a 288.496 (su una superficie agraria complessiva di 2.056.762 ettari), ma il loro numero permane eccessivo, anche se gran parte di esse (274.893 su 1.421.435 ha) sono coltivate direttamente dal proprietario. Oltre la metà inoltre (153.515) hanno una superficie territoriale inferiore ai 3 ha, mentre ben 67.388 sono inferiori a 1 ettaro.
Alla deficienza di risorse minerarie e alla carenza di combustibili suppliscono le ingenti risorse idroelettriche delle Alpi piemontesi, cui si sono aggiunte numerose centrali termoelettriche alimentate con combustibili d'importazione. La potenza installata degl'impianti idroelettrici era nel 1972 di 1.928.195 kW (al terzo posto tra le regioni italiane), degl'impianti termoelettrici di 1.124.332 kW, notevolmente superiore a quella del 1962, che ammontava rispettivamente a 1.740.179 e a 626.507 kW. Nel 1972, inoltre, la produzione di energia elettrica, di origine sia idrica che termica, ha raggiunto gli 11.980.144.000 kWh, ponendo il P. al quarto posto tra le regioni italiane. Negli ultimi anni l'apparato produttivo industriale del P. si è ulteriormente potenziato per l'apporto di numerose medie e piccole industrie, che si sono affiancate ai grossi colossi industriali operanti nei tradizionali settori meccanico, chimico e tessile, prevalentemente nell'area Torino-Pinerolo-Ivrea-Biella. L'affollamento in aree relativamente ristrette degl'impianti industriali ha determinato la necessità di provvedere al loro decentramento in centri periferici, dando così origine all'ingente espansione demografica verificatasi recentemente in alcuni comuni della cintura industriale torinese.
A un potenziamento tanto imponente dell'industria non fa riscontro uno sviluppo adeguato del settore distributivo; il P. gravita ancora, per quanto riguarda le attività commerciali e finanziarie, su Milano, che continua a essere la capitale del "triangolo industriale" dell'Italia del Nord. Il reddito netto medio è aumentato sensibilmente negli ultimi anni, ponendo il P. al quarto posto tra le regioni italiane, con 1.723.636 lire pro capite nel 1974. Ne è una conferma evidente il miglioramento del tenore di vita, documentato dai dati sulla disponibilità di articoli non di primissima necessità, come i televisori (1.116.068 abbonamenti nel 1973 contro i 431.163 del 1963), sulla frequenza scolastica negl'istituti superiori e sulla situazione sanitaria. In netto miglioramento è anche la ricettività alberghiera (77.183 posti-letto nel 1973 contro i 67.424 del 1963). Un incremento considerevole hanno avuto inoltre lo sviluppo della rete stradale e autostradale (29.299 km di strade, di cui 453 di autostrade, alla fine del 1972, contro i 21.912 km del 1962) e il numero degli autoveicoli circolanti, passato da 441.635 (di cui 378.806 autovetture) nel 1962 a 1.602.495 (di cui 1.484.884 autovetture) alla fine del 1973; per numero di abitanti per autoveicolo (2,80) il P. è al secondo posto in Italia dopo la Valle d'Aosta.
Bibl.: G. C. De Carlo, La pianificazione territoriale urbanistica nell'area torinese, Padova 1964; P. Gabert, Turin, ville industrielle, Parigi 1964; V. Floridi, La XIX escursione geografica interuniversitaria, in Bollettino della Società Geografica Italiana, Roma 1968; F. Gribaudi, Memoria illustrativa della Carta dell'utilizzazione del suolo del Piemonte-Valle d'Aosta, ivi 1971; E. Turri, L'Italia, Novara 1974; ISTAT, Compendio statistico italiano 1974, Roma 1974; IGDA, Calendario Atlante De Agostini 1975, Novara 1974; TCI, Guida d'Italia. Torino e Valle d'Aosta, Milano 1975; Guida commerciale e amministrativa di Torino, Torino, annuale.
Archeologia. - Del Paleolitico, di cui fino a pochi anni fa non si conoscevano testimonianze in P., si va delineando, in seguito a ricerche recenti, un quadro assai interessante con varie scoperte soprattutto nella parte nord-orientale della regione, più aperta e comunicante attraverso la zona dei laghi col resto della pianura padana, dalla quale sembrerebbero provenire le prime genti paleolitiche che hanno occupato il Piemonte. Un'altra possibile area d'infiltrazione dalla Liguria, molto frequentata in età paleolitica, non è per ora attestata da ritrovamenti di manufatti. La barriera alpina e l'estensione dei ghiacciai avranno reso difficile questa via di accesso.
Motivi climatici e il relativo isolamento della regione causato su tre lati dallo sbarramento delle montagne potevano spiegare la relativamente scarsa presenza di tracce dei cacciatori paleolitici, ma una ricerca sistematica potrebbe cambiare notevolmente il quadro finora accettato. Per ora esse sono state accertate soprattutto nella zona della Valsesia, nelle grotte del Monfenera, di tipo carsico, che provvedevano caverne e ripari sotto roccia, relativamente meglio individuabili e meglio conservati di eventuali stazioni all'aperto.
Al Paleolitico inferiore è attribuita una stazione all'aperto segnalata recentemente a Trino (Vercelli), che è la più antica attestazione dell'uomo nel Piemonte. Più abbondante la documentazione riferibile al Paleolitico medio, in particolare alla cultura Musteriana le cui industrie litiche sono presenti in più strati al Monfenera, insieme con grandi quantità di ossa fossili di orso delle caverne e di altri grossi mammiferi, e a Masserano (Vercelli). Il Paleolitico superiore è attestato con industria litica e su osso al Monfenera (grotta Ciotarun e riparo del Belvedere) e forse a Castel Ceriolo.
A un periodo di crisi climatica e di calo di popolazione alla fine del Paleolitico segue l'affermarsi in buona parte del P. delle genti del Neolitico, probabilmente di stirpe ligure, che sembrano presenti ovunque entro le valli alpine e nella pianura.
I ritrovamenti di utensili in pietra levigata e di ceramica di tipo neolitico sono numerosi e sparsi, dall'Appennino ligure-piemontese, all'Astigiano (tracce di stazione presso San Damiano d'Asti), al Cuneese (Aisone) e nelle province orientali. Nel Cuneese è stato scavato ad Alba in più riprese uno degli abitati capannicoli più interessanti di tale periodo, assai ricco di utensili litici; materiali sporadici provengono dalle Langhe. Resti di altri abitati neolitici sono stati identificati presso Alessandria (Borgo Il Cristo), presso Acqui (località Fontanelle) e nella collina torinese a Sciolze e al Bric della Maddalena. In val di Susa è da ricordare il riparo sotto roccia di Vayes; altri trovamenti sono avvenuti in Valsesia e in particolare al Monfenera. Il periodo è assai ben attestato in Val d'Aosta, sia nei vecchi scavi dei sepolcreti di Montjovet e di Villanova Baltea, con deposizioni in ciste di pietra di inumati in posizione flessa, senza corredo, che in scavi recenti a Quart, dove sono state trovate numerose tombe di questo tipo e qualche oggetto di corredo, e nell'imponente complesso megalitico di St. Martin de Corléans che va dal Neolitico al Bronzo Antico.
Nel corso del 3° millennio s'inseriscono i primi utensili di rame puro usati ancora insieme con quelli di pietra, ma tale periodo (Eneolitico) è per ora povero di ritrovamenti. Ai Liguri inumatori sembrano essere succedute altre genti che adottavano il rito funebre della cremazione. A queste si riferirebbero gli abitati palafitticoli dell'età del Bronzo, nelle paludi poi trasformate in torbiere e sulle rive dei laghi. Particolarmente importanti gli abitati palafitticoli di Mercurago, dove sono presenti le successive fasi dell'età del Bronzo e ritrovamenti come resti di ruote di carro, di San Giovanni dei Boschi e di Trana. In quest'ultimo il rinvenimento di alcune forme di fusione conferma la lavorazione locale del bronzo. Forme di fusione sono state trovate anche a Piverone, presso il lago di Viverone, dove sono in corso ricerche di altri insediamenti palafitticoli. A quest'epoca sembrano risalire anche alcune canoe lignee, di varie provenienze. Inoltre tracce di villaggi di questo periodo, con fondi di capanne, sono state trovate nel Novarese (Lumellogno) e stazioni lungo le sponde del lago Maggiore. Resti del Bronzo Finale sono attestati in varie zone, a Belmonte, nel Canavese, a Chiusa Pesio, nel Cuneese, e in vari castellieri in Valle d'Aosta.
Dal Neolitico attraverso tutta l'età dei metalli e forse fino a epoche più recenti era comune l'uso d'incidere figurazioni sulle rocce, che si richiamano al complesso famoso di Monte Bego, o anche serie di cuppelle a volte collegate. Tali massi sono molto diffusi lungo le strade di maggiore frequentazione, ma anche in luoghi isolati, nelle vallate alpine, come la val di Susa, le valli di Lanzo, la Valsesia, laValle d'Ossola, fin nelle pianure circostanti. In alcuni dei casi, attribuiti all'avanzata età del Ferro, delle incisioni cuppelliformi sono state collegate a culti druidici diffusi in area celtica.
Agl'inizi del 1° millennio a. C. la prima età del Ferro è caratterizzata dalla civiltà di Golasecca rappresentata nei vasti sepolcreti a cremazione del Novarese (Castelletto Ticino, Ameno, San Bernardino di Briona), lungo il Ticino e le sponde del lago Maggiore (Arona). Caratteristici gli ossuari in urne di terracotta decorate a stralucido accanto ai quali è deposto il resto della suppellettile funeraria. Sono documentati anche contatti commerciali con l'Italia centrale, soprattutto con l'Etruria. A queste genti si sovrappongono nella seconda età del Ferro (civiltà di La Tène) delle tribù celtiche, dapprima pare per un processo di lenta infiltrazione, poi con presenze più massicce attestate da insediamenti di tipo gallico, come quello sul colle della Burcina, presso Biella (dove si sono rinvenuti armi e ornamenti in ferro e una tipica Schnabelkanne di bronzo), dalle tombe più antiche della necropoli di Gravellona Toce e da ritrovamenti sparsi in Valsesia.
La cronologia della discesa dei Celti è ancora molto incerta e discussi i passi alpini che valicarono. Polibio (II, 17) e Livio (V, 34), che dànno i nomi di alcune tribù, ricordano, oltre all'itinerario marittimo lungo la Liguria, la valle di Susa, dove testimonianze epigrafiche attestano il culto delle Matrone, e quella di Aosta (sacello del dio Penino sul Gran San Bernardo, ritrovamenti di armille a St. Vincent e di monete auree dei Salassi d'imitazione massaliota), ma reperti archeologici che hanno corrispondenza con quelli dei versanti francese e svizzero potrebbero indicare l'esistenza anche di altre vie di penetrazione. Più documentato, anche dalle fonti, è l'ultimo periodo, dalla fine del 3° secolo a. C. in poi, in cui le tribù galliche vennero in contatto coi Romani e furono alla fine sottomesse. A questa età appartengono la maggior parte delle tombe di Gravellona Toce, la grande necropoli di Ornavasso e trovamenti sparsi a Mergozzo, nella val d'Ossola e presso il lago Maggiore.
Nelle regioni più occidentali del P. sono segnalati gruppi di tombe e tracce di abitati dell'età del Ferro, con ceramica di tipo Golasecca. Un insediamento risalente forse all'8° secolo a. C. è stato scavato a Gremiasco nell'Alessandrino, sul quale si è sovrapposto un abitato celtico, e un'estesa necropoli con influssi gallici a Casal Cermelli. Vari centri liguri o celto-liguri sono all'origine di città poi riplasmate dai Romani (Acqui, Alba); alcune di queste tribù liguri tentarono di ostacolare le prime invasioni romane verso le rive del Po, altre, come i Taurini, erano alleate di Roma all'epoca della discesa di Annibale. Dopo la sottomissione dei Liguri, i Romani penetrarono prima nelle regioni a S del Po, insediando guarnigioni e fondando colonie, come Dertona (Tortona), poi si estesero a N del Po fondando altre colonie, come Eporedia (Ivrea), e sotto Augusto completarono la sottomissione delle ultime tribù ribelli fondando Augusta Praetoria (Aosta) e trasformando la sede di guarnigione installata da Cesare nella colonia di Augusta Taurinorum (Torino). In età imperiale la regione ebbe notevole prosperità sia agricola che commerciale per la costruzione di nuove strade che favorirono il commercio con la Gallia. Particolare sviluppo sembra aver avuto la produzione del vetro, oltre alla ceramica di uso comune, e quella delle statuette in bronzo che spesso risentono l'influenza dei bronzetti gallo-romani. Anche nella scultura in pietra, soprattutto nelle stele, si distinguono caratteri indigeni. Fra i monumenti architettonici più importanti ricordiamo a Torino un teatro e tratti delle mura di cinta, con due grandi porte fra cui la famosa Porta Palatina, a Susa l'anfiteatro, l'arco di Augusto e parte delle mura della città, ad Aosta il Foro, il teatro, l'arco di Augusto, le mura con porte e torri e vari ponti, anche nella vallata, a Ivrea l'anfiteatro, tratti delle mura e resti di isolati di abitazione conservati sotto costruzioni recenti, a Novara tratti delle mura. Necropoli di età romana si vanno identificando a Vercelli. Impianti urbanistici con insulae, teatro, anfiteatro sono conservati nell'antica città di Libarna, a Industria (Monteu da Po), dove recentemente è stato riconosciuto un importante santuario di Iside e da cui provengono molti pregevoli bronzi, a Benevagienna dove è stata messa in luce anche una basilica presso il teatro. Sempre nel Cuneese, ad Alba, restano tratti delle mura ed è stata scavata parte della necropoli, a Pollenzo i resti dell'anfiteatro sono caratteristicamente inglobati nell'attuale abitato. Ancora nell'Alessandrino, oltre ai resti delle mura di Tortona e ad alcune tombe della sua necropoli, è da segnalare l'imponente acquedotto di Acqui. Di più modesti insediamenti rurali ("ville rustiche", centri minori) si possono cogliere le trasformazioni anche in età tardoromana, mentre per il periodo barbarico è da ricordare la necropoli di Testona, presso Torino. Vedi tav. f.t.
Bibl.: C. Carducci, Il substrato ligure nelle sculture romane del Piemonte e della Liguria, in Rivista Ingauna e Intemelia, VII, 1941, p. 67 segg.; L. Bernabò Brea, La stazione neolitica di Alba nel quadro della preistoria dell'Italia settentrionale, in Rivista di studi liguri, 1947, p. 120 segg.; C. Carducci, Sculture preromane e romane del Piemonte, in Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti, Nuova serie, III, 1949, p. 3 segg.; C. Carducci, La necropoli romana di Biella, ibid. IV, 1950, p. 23 segg.; Autori vari, Novara e il suo territorio, Novara 1952; F. Rittatore, Nuovi sepolcreti preistorici nel Novarese, in Sibrium, 1953-54, p. 155 segg.; G. F. Lo Porto, Le necropoli romane della provincia di Cuneo, in Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici e artistici per la provincia di Cuneo, 1955, p. 110 segg.; C. Carducci, L'architettura in Piemonte nell'antichità, in Atti del X congresso di storia dell'architettura, Torino 1957, p. 151 segg.; S. Finocchi, Problemi di topografia e urbanistica romana in Piemonte, ibid., p. 113 segg.; L. Manino, Di taluni problemi relativi alle fortificazioni romane del Piemonte, ibid., p. 198 segg.; N. Lamboglia, Liguria romana, Bordighera 1958; B. Andreae, Archaeologische Funde und Grabungen im Bereich der Soprintendenzen von Nord und Mittelitalien, 1949-1950, in Archaelogischer Anzeiger, 1959, p. 109 segg.; C. Carducci, Il museo di antichità di Torino, Roma 1959; id., Vestigia di età gallica in Piemonte, in Atti e memorie del congresso di Varallo Sesia, Torino 1960, p. 213 segg.; id., Guida di Susa, Milano 1961; L. Cassani, Repertorio di antichità preromane e romane, Novara 1962; C. Carducci, Problemi urbanistici e artistici dell'antica Segusium, in Atti del I congresso internazionale di archeologia dell'Italia settentrionale, Torino 1963, p. 129 segg.; S. Finocchi, Impianti urbanistici di derivazione castrense, ibid., p. 93 segg.; C. Carducci, Insediamenti celtogallici e galloromani in Piemonte, in Bollettino della Società piemontese di archeologia e belle arti, XX, 1966, p. 39 segg.; V. Viale, M. Viale Ferrero, Aosta romana e medievale, Torino 1966; C. Carducci, Arte romana in Piemonte, ivi 1968; G. Corradi, Le strade romane dell'Italia occidentale, ivi 1968; F. Scafile, Due umboni di scudo longobardi, in Ad Quintum I, 1970, p. 20; O. von Hessen, Die Langobardischen Funde aus dem Graberfeld von Testona, in Memorie dell'Accademia delle scienze, serie IV, n. 23, 1971; L. Pauli, Studien zur Golasecca Kultur, Heidelberg 1971; V. Viale, Vercelli e il vercellese nell'antichità, Vercelli 1971; P. Piana Agostinetti, Documenti per la protostoria della Valdossola, Milano 1972; F. Scafile, Di alcuni oggetti in ferro rinvenuti a Belmonte, in Ad Quintum II, 1971, p. 41 segg. e III, 1972, p. 28 segg.; J. Graue, Die Graberfelder von Ornavasso, Amburgo 1974; O. von Hessen, Schede di archeologia medioevale in Italia, in Studi medioevali, XV, I, 1974, p. 387 segg.; id., Nuovi ritrovamenti longobardi in Italia, in Atti del convegno La civiltà dei Longobardi in Europa, 1974, p. 497 segg.; A. M. Radmilli, Guida della preistoria italiana, Firenze 1975; A.T. Sartori, Pollentia ed Augusta Bagiennorum, Torino 1975; C. Carducci, Un insediamento barbarico presso il Santuario di Belmonte, in Atti del Centro Studi e documentazione sull'Italia romana, VII, 1975-76, p. 89 segg.; F. Fedele, Stadi di popolamento nelle Alpi Occidentali dal neolitico all'età del ferro, ibid., p. 227 segg.; S. Finocchi, Città fortificate su vie di comunicazione transalpine, ibid., p. 303 segg.; L. Manino, Alcune considerazioni sulle Alpi Occidentali nell'antichità tra leggende erudite e realtà archeologica, ibid., p. 439 segg.; G. Molli Boffa, G. Rebaudo Greco, G. Wataghin Cantino, La villa romana di Casalette, Torino 1977.