PLEBISCITO (XXVII, p. 532)
In relazione al referendum istituzionale italiano del 2 giugno 1946, si pone la questione della natura giuridica del referendum e del plebiscito e della esatta differenziazione dei due istituti.
La terminologia usata dai varî diritti positivi ed i criterî di differenziazione adottati dalla più recente dottrina tra plebiscito e referendum non sono univoci. Secondo un'opinione, ad esempio, plebiscito sarebbe l'istituto con cui il popolo è chiamato ad approvare o a disapprovare un fatto o avvenimento che riguarda la stessa struttura dello stato o del suo governo, mentre il referendum consisterebbe nell'approvazione o disapprovazione di un atto normativo, sia esso una carta costituzionale, sia una legge ordinaria o comunque un atto giuridico. Secondo altre opinioni, e da diversi punti di vista, il referendum sarebbe espressione di governo diretto ed il plebiscito attribuzione dell'esercizio della sovranità, per delega ad una data persona; od anche il plebiscito sarebbe un atto complesso ed il referendum un atto semplice, nel senso che nel primo, il popolo delibererebbe su una proposta e nel secondo, sulla decisione di un dato organo dello Stato; o ancora, il primo una manifestazione incondizionata di volontà, mentre il secondo potrebbe essere accompagnato da condizioni o modalità, che ne precisino o limitino la portata in un rapporto di coordinazione o di subordinazione con altre pronuncie.
Qualunque sia il criterio preferito (e almeno alcuni di quelli enunziati potrebbero integrarsi tra loro), sembra che il "referendum" italiano per la scelta dell'istituto monarchico o repubblicano (come è stato qualificato dal decr. legisl. luogot. 16 marzo 1946, n. 98, che lo ha indetto) sia da considerare come un plebiscito piuttosto che come un referendum: questo è istituto largamente regolato nel diritto interno costituzionale ed amministrativo, il plebiscito è adottato di solito volta per volta con apposite disposizioni. Fa un'eccezione la costituzione francese del 1946 (art. 27), la quale prevede in via generale che nessuna cessione, nessuno scambio, nessuna annesione di territorio sono validi senza il consenso delle popolazioni interessate. Queta norma ha trovato applicazione nel plebiscito per Briga e Tenda, svoltosi appunto sulla base del diritto interno francese, sia pure sotto un formalistico controllo internazionale.
In senso molto lato e generico si parla talora di plebiscito quando si ricorre alle elezioni politiche generali per determinare l'indirizzo della politica del paese, da attuare dalle nuove Camere.
Nemmeno in diritto internazionale può dirsi che i plebisciti costituiscano un principio generale di diritto positivo (scritto o consuetudinario). Essi trovano la loro base in singoli trattati.
Gli ultimi trattati di pace non hanno disposto trasferimenti di territorî in virtù di plebisciti, invano richiesti dall'Italia per la Venezia Giulia; è soltanto consentito il diritto d'opzione, variamente regolato (v. ad es. gli articoli 19-20 del trattato di pace tra l'Italia e le potenze alleate ed associate). Gli Stati ai quali sono trasferiti territorî italiani possono esigere che coloro che si avvalgono dell'opzione si trasferiscano in Italia entro un anno (disposizione analoga vale per coloro che, già cittadini italiani su territorio italiano, abbiano la facoltà di acquistare la nazionalità iugoslava). Gli stessi Stati (in particolare considerazione di coloro che, già italiani, acquistano la nuova cittadinanza per non avere esercitato il diritto di opzione) devono assicurare, conformemente alle proprie leggi fondamentali, a tutte le persone che si trovino nei loro territorî, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione, il godimento dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ivi comprese le libertà di espressione, di stampa e di divulgazione, di culto, di opinione politica e di pubblica riunione.
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