preistoria
La storia umana prima della scrittura
Da resti di ossa, tracce di accampamenti, pitture, ornamenti e oggetti di uso quotidiano lo studioso della preistoria cerca di ricostruire la vita e le attività degli uomini in un tempo che va dalle origini dell’uomo, circa due milioni di anni fa, fino a circa 4000 anni prima di Cristo. Il periodo più antico della preistoria (da circa 2 milioni di anni a 100 mila anni fa) è stato chiamato Paleolitico, che significa «antica età della pietra». Quello più recente, le cui tracce sono più numerose e meglio conservate, è stato chiamato Neolitico, cioè «nuova età della pietra». È durante questi ultimi 10 mila anni che si sono verificati due importanti avvenimenti nella storia dell’umanità: la nascita dell’agricoltura e quella dell’allevamento
Gli uomini e le donne che oggi popolano la Terra, a ogni latitudine, appartengono a una stessa specie, Homo sapiens, che è il risultato della lenta evoluzione degli Ominidi. I paleoantropologi, che studiano l’evoluzione della nostra specie, hanno trovato in Africa tracce di Ominidi che risalgono a più di 2 milioni di anni fa (i più antichi sono stati attribuiti a un periodo tra 5 e 7 milioni di anni fa). Le prime popolazioni della specie sapiens arrivarono in Asia centrale e in Europa circa 40 mila anni fa, cioè verso la fine del Paleolitico.
In quel periodo, queste stesse regioni erano abitate dai discendenti di un lontano antenato del sapiens, arrivati dal continente africano circa un milione di anni prima. Erano individui per certi aspetti simili al sapiens, ma per altri versi molto differenti, tanto che i paleoantropologi li hanno considerati appartenenti a una specie distinta dalla nostra: quella dell’uomo di Neandertal (Homo neanderthalensis, dal nome della valle tedesca in cui sono stati scoperti i primi resti).
Questi individui avevano un cranio leggermente più piccolo rispetto a quello del sapiens e la fronte bassa e sfuggente; il corpo era robusto, le braccia e le gambe erano corte e tozze, tanto che un maschio adulto era alto in media 1,60 m.
Gli studi sui resti delle ossa e delle armi ritrovate negli accampamenti mostrano che il Neandertal era cacciatore: per uccidere le sue prede (mammuth, cavalli, cervi e persino orsi) si serviva di lance con punte di pietra, oppure di trappole naturali (per esempio paludi o crepacci) nelle quali spingeva gli animali per poi ucciderli. Nei periodi più freddi viveva in grotte o sotto ripari rocciosi, mentre nei periodi più caldi costruiva accampamenti all’aperto, in tende fatte con ossa di mammuth ricoperte di pelli.
Pur essendo robusto e valido cacciatore, il Neandertal era probabilmente meno abile di Homo sapiens nel costruire oggetti e armi, e meno capace di sfruttare le caratteristiche dell’ambiente in cui viveva. Per questi motivi, e per altri che ancora non sono del tutto chiari, la specie dei Neandertal si estinse nel senso che venne lentamente sostituita dalle nuove popolazioni di sapiens. In poche migliaia di anni queste ultime si diffusero in tutti i continenti, giungendo anche in Australia e nelle Americhe.
Homo sapiens aveva il cranio alto, la fronte diritta, il mento prominente, la statura più alta e una diversa proporzione tra gli arti. Ma a renderlo diverso dalle altre specie umane che lo avevano preceduto erano le facoltà cerebrali molto più avanzate. Per esempio, il sapiens era molto bravo a rompere le pietre in modo da ricavarne schegge appuntite e taglienti, da usare come coltelli o punte di lancia. Ma soprattutto fu il sapiens – grazie alla forma della cavità orale e della gola, e al maggior volume del cervello (che era grande quanto quello di un uomo moderno) – a sviluppare il linguaggio articolato. Questo permise un cambiamento grandissimo: la possibilità di trasmettere le conoscenze, le capacità tecniche, i modi di vita da una generazione all’altra, dando così luogo all’evoluzione culturale.
Che ambiente trovavano le popolazioni di Homo sapiens arrivate in Europa centrale e in Italia? Nella lunga storia del nostro pianeta, il clima ha subìto molte variazioni, con periodi assai freddi in cui i ghiacci ricoprivano buona parte dell’emisfero Nord (le cosiddette glaciazioni) e periodi più caldi, con temperature tropicali che provocavano lo scioglimento dei ghiacci. Durante le glaciazioni, il livello del mare era più basso di quello attuale, e molte delle terre che oggi sono coperte dalle acque erano emerse, formando passaggi sulla terraferma che permettevano la diffusione delle specie animali (compreso l’uomo) attraverso i continenti.
L’ultimo periodo glaciale è durato da 75 mila a 10 mila anni fa. A quei tempi l’Europa del nord era ricoperta dai ghiacci, mentre nell’Europa centrale e nel nord dell’Italia vi erano tundre e steppe fredde nelle quali pascolavano mandrie di erbivori di grossa taglia. Nelle regioni più meridionali, invece, si trovavano foreste di Conifere abitate da Mammiferi come il mammuth, il bisonte e la lepre. Quando le masse glaciali, grazie a un graduale aumento delle temperature, cominciarono a ritirarsi dall’Europa settentrionale, la vegetazione, gli animali e le popolazioni umane presero gradualmente possesso dei territori lasciati liberi dai ghiacci, sfruttando le risorse offerte da un clima più mite.
Come per il Neandertal, anche per le popolazioni di sapiens buona parte dell’alimentazione si basava sulla carne degli animali uccisi durante le battute di caccia. I gruppi che abitavano le regioni più fredde si nutrivano soprattutto di renne e bisonti, mentre nelle regioni mediterranee la fauna era più varia e differenziata a seconda degli ambienti e del clima, e alcune comunità praticavano anche la pesca oppure raccoglievano Molluschi sulla spiaggia.
Le armi più usate erano le lance, cioè bastoni lunghi, leggeri e resistenti alla cui estremità era fissata una punta di osso o di avorio o coltelli con punta di selce, come quello rinvenuto accanto alla mummia dell’Uomo di Similaun, vissuto circa 5.000 anni fa. A volte, per migliorare la velocità e la potenza dell’arma, si usava un propulsore. Altre volte, alla lancia era legata una corda in modo da recuperare lo strumento infilzato nell’animale.
Tuttavia, soprattutto quando la comunità era numerosa, la caccia da sola non costituiva una fonte di cibo sicura e consistente. Per assicurare la sopravvivenza al gruppo, allora, le donne partivano dall’accampamento per raccogliere erbe commestibili, radici e frutti. Avevano così imparato a conoscere i cicli di riproduzione delle piante e i luoghi dove crescevano più abbondanti. Erano in grado di distinguere le specie vegetali e ne conoscevano le proprietà, sapevano utilizzare le diverse parti delle piante e non le danneggiavano durante la raccolta.
Durante i periodi più freddi, le popolazioni di cacciatori e raccoglitori trovavano rifugio nelle grotte o nei ripari sotto le rocce. Quando il clima lo consentiva era possibile vivere in accampamenti all’aperto. I primi ripari erano formati da semplici tende o capanne a pianta circolare, ma sono state trovate anche strutture complesse, in genere delimitate da blocchi di pietra, formate da più capanne vicine. Fuori dell’accampamento potevano trovarsi aree dedicate alle diverse attività, per esempio alla lavorazione della selce.
Le popolazioni che abitavano in questi accampamenti non erano stanziali ma si spostavano nel corso delle stagioni in cerca di nuovo cibo, seguendo le mandrie da cacciare. I gruppi potevano percorrere anche centinaia di chilometri. Una sorta di controllo demografico, praticato probabilmente con l’astinenza sessuale, faceva sì che le donne non dovessero portare con sé, nelle migrazioni, figli troppo piccoli.
Nel corso dei loro spostamenti, le diverse comunità esercitavano anche qualche forma di commercio con i gruppi che incontravano lungo il cammino: infatti, negli accampamenti i paleoantropologi hanno ritrovato oggetti e ornamenti costruiti con materiali provenienti da luoghi molto lontani, probabilmente frutto di scambi e baratti con comunità di quelle regioni.
Le donne che raccoglievano erbe e frutti nei boschi avevano imparato a macinare i semi delle piante selvatiche, per impastare con l’acqua la farina così prodotta. Una parte delle piante raccolte veniva anche immagazzinata per poi essere lavorata e mangiata. Ma a cambiare per sempre la storia dell’umanità fu la scoperta che le piante utili si potevano coltivare nei pressi dell’accampamento, in modo che la comunità potesse avere a disposizione cibo senza andare troppo lontano. Circa 9.000 anni fa (per alcuni studiosi addirittura più di 20.000 anni fa), in una vasta regione del Medio Oriente, alcune popolazioni impararono a piantare vicino ai villaggi quei semi che prima raccoglievano andando in giro per valli e pianure. Si trattava soprattutto di cereali, come orzo e frumento.
Quale fu la prima popolazione a capire i vantaggi della coltivazione dei semi? Gli studiosi pensano che la capacità di far crescere le piante utili si sia sviluppata in diverse regioni del Pianeta, e in tempi differenti. Alcune popolazioni cominciarono per conto proprio, altre invece impararono attraverso lo scambio di conoscenze con altri gruppi. Certamente, però, l’inizio e lo sviluppo dell’agricoltura avvennero in luoghi dal clima favorevole alla crescita di piante commestibili, come i territori del Vicino Oriente.
Così come la raccolta di frutti e radici si era trasformata in coltivazione delle piante, anche la caccia subì un lento cambiamento. Alcuni degli animali più utili per la loro carne o le loro pelli cominciarono a essere catturati vivi per poi essere rinchiusi nei recinti vicino ai villaggi. Qui gli animali si riproducevano, e potevano essere uccisi quando ce n’era bisogno. In questo modo, le famiglie potevano avere carne o latte quando necessario (domesticazione).
Non tutti gli animali potevano essere addomesticati, perché non erano adatti alla vita nei recinti. Alcuni studi hanno dimostrato che nel mondo esistono 148 specie selvatiche potenzialmente addomesticabili. Ma questo è avvenuto solo in 14 casi. Perché? Perché soltanto queste 14 specie avevano caratteristiche utili alla specie umana: erano poco aggressive, molto adattabili al cibo, potevano nutrirsi anche di rifiuti dell’alimentazione umana, sapevano vivere in gruppo e inoltre si riproducevano in cattività.
Il primo animale a condividere la vita (e forse le battute di caccia) con gli esseri umani fu il cane, 12 mila anni fa, e solo molto tempo dopo, 8.000 anni fa, si cominciarono ad allevare altre specie. La regione in cui viveva il maggior numero di specie selvatiche facilmente addomesticabili era l’Asia occidentale: e fu qui, probabilmente, che l’uomo imparò ad allevare la pecora, la capra, il cinghiale e l’uro, dal quale discendono i bovini. Nel corso dei millenni, gli animali allevati furono selezionati per le loro particolari caratteristiche. Per esempio, facendo riprodurre ogni volta il cinghiale più piccolo, con il pelo meno ispido, la carne più saporita e le zanne meno lunghe e pericolose, gli allevatori hanno nel tempo selezionato una nuova specie: il maiale.
Coltivando le piante e allevando gli animali vicino ai villaggi, non c’era più bisogno di andare a cercare il cibo lontano da casa. Così molti gruppi umani da nomadi divennero stanziali. L’agricoltura e l’allevamento, infatti, hanno tempi lunghi: bisogna aspettare che i semi germoglino, poi che le piante diano i frutti, che gli animali piccoli crescano e possano essere uccisi per avere tanta carne. Dunque era importante sistemare gli accampamenti in zone dal clima favorevole e utilizzarli per diverse stagioni, per poi abbandonarli quando il terreno era stato del tutto sfruttato dalle coltivazioni. Così si cominciarono a costruire abitazioni più robuste, non più fatte con pelli di animali, ma con blocchi di pietra o argilla. Le tracce più antiche di villaggi agricoli sono state trovate in Medio Oriente e risalgono a circa 10 mila anni fa. Questo periodo della preistoria, caratterizzato da grandi cambiamenti nella vita delle popolazioni, viene chiamato Neolitico, cioè «nuova età della pietra».
Con l’agricoltura e l’allevamento le comunità potevano anche accumulare scorte di cibo per i periodi di carestia. Inoltre, non era più necessario che tutti gli uomini sapessero cacciare.
Questo permise di creare una divisione del lavoro, con alcuni individui del gruppo particolarmente bravi a fabbricare strumenti di pietra, con artisti che sapevano dipingere le pareti delle grotte con figure di uomini e di animali e con altri individui che erano addetti alle pratiche religiose e magiche, e che godevano di una posizione privilegiata all’interno della comunità.
Già ai tempi dell’uomo di Neandertal, tra i 135 mila e i 35 mila anni fa, gli individui che morivano durante la caccia, in battaglia o per malattia venivano seppelliti. Questo è un fatto molto importante, perché dimostra che anche le popolazioni più antiche avevano rispetto per i defunti (culto dei morti), e avevano sviluppato il concetto di morte. Le prime tombe ritrovate hanno più di 100 mila anni: sono fosse scavate nella terra o loculi ricavati nelle pareti di roccia, nei quali venivano deposti i corpi distesi o leggermente rannicchiati. Insieme ai defunti, a volte il Neandertal lasciava ossa di animali come offerta funeraria.
Il sapiens invece seppelliva con i morti gli oggetti che avevano usato nel corso della loro vita: strumenti di pietra, di osso o di corno, lance e arpioni, oppure ornamenti fatti di conchiglie forate, denti di animali, vertebre di piccoli Mammiferi e di Pesci. I cadaveri venivano messi in fosse più o meno profonde, il cui fondo a volte veniva cosparso di ocra, una terra di colore giallo-rossiccio. In altri casi sono stati ritrovati blocchi di pietra messi vicino alla testa o ad altre parti del corpo. Inizialmente i morti erano seppelliti in luoghi isolati e lontano dagli accampamenti. Ma con il passare del tempo si diffuse la pratica di concentrare le sepolture in un’area riservata, cimiteriale: la necropoli.
Ancora prima che si sviluppassero l’agricoltura e l’allevamento e le popolazioni si sistemassero in insediamenti stanziali, i cacciatori e raccoglitori che abitavano l’Europa cominciarono a produrre oggetti che non rispondevano ad alcun uso quotidiano e che possiamo considerare vere opere d’arte. Erano oggetti usati come ornamenti, incisi, scolpiti o dipinti, ricavati da piccole pietre, oppure dalle corna o dalle ossa di animali, o dall’avorio dei denti dei mammuth. Gli archeologi hanno trovato molte rappresentazioni di animali, figure interpretate come simboli sessuali, e piccole figure femminili in argilla, dette veneri (dal nome della dea della bellezza), che risalgono a 20 mila anni fa. Queste statuette avevano il seno, il sedere e i fianchi sviluppati in modo esagerato, forse per simbolizzare la fertilità della donna.
In quello stesso periodo, altri artisti della preistoria disegnavano le pareti delle grotte o i ripari di roccia, con diverse tecniche. In alcuni casi la superficie argillosa e morbida delle pareti veniva scolpita o raschiata. Nelle pitture più complesse, le polveri colorate venivano applicate con le dita o con spatole. Per il giallo, il rosso e il violetto si usavano l’ocra e altri minerali del ferro, per il nero minerali del manganese o il carbone. In genere si disegnavano cacce rituali: in questi disegni si riconoscono animali come mammuth, cavalli, bisonti, cervi, cinghiali, leoni, lupi e orsi, ma anche pesci e serpenti. A volte si trovano anche animali immaginari, come il liocorno. Più raramente si raffiguravano esseri umani, maschi e femmine, oppure parti del loro corpo, come i genitali o le mani. Questi disegni avevano probabilmente un valore magico o religioso, ma non è facile interpretarne il significato.
Come si arrivò alla scrittura? Diversi sistemi si sono sviluppati indipendentemente gli uni dagli altri. In tempi molto diversi e in varie parti del mondo (in Cina, in Messico, in Medio Oriente). Le prime tracce scoperte dagli archeologi risalgono ai Sumeri della Mesopotamia (dove oggi è l’Iraq), un popolo molto avanzato dal punto di vista sociale, con una gestione centralizzata dei raccolti che richiedeva un sistema per tenere la contabilità dei prodotti della terra, per ricordare commerci e compravendite di terreni. Già alla fine del 4° millennio a.C. i Sumeri avevano ideato un sistema di circa 1.500 segni che comprendevano numerali, figure stilizzate di animali (pittogrammi) e figure astratte (ideogrammi). I segni venivano incisi con pezzetti appuntiti di legno, osso o avorio su tavolette di argilla.