prospettiva
Percezione e rappresentazione dello spazio
La prospettiva tratta della rappresentazione visiva razionale dello spazio sia per mezzo di linee, sia di chiaroscuro e colore. La parola latina perspectiva era in origine la traduzione di quella greca optikè («ottica»). Gli artisti italiani del Quattrocento usarono il termine perspectiva con il significato latino letterale di «vedere attraverso». L’attenzione per la prospettiva passò dai pittori agli architetti e poi ai matematici, i quali di un’arte fecero una scienza
Il nostro sistema occhi-cervello riconosce, in una superficie bidimensionale, la rappresentazione della terza dimensione per mezzo di elementi della composizione che, riproducendo una parte dell’esperienza visiva dello spazio, funzionano come ‘indicatori di profondità’.
Gli indicatori di profondità più intuitivi sono: la riduzione progressiva delle dimensioni apparenti degli oggetti in funzione della distanza dall’osservatore (per esempio, le figure si riproducono grandi se sono vicine, piccole se sono lontane); la differenza di luminosità delle superfici a causa della loro diversa disposizione nello spazio rispetto alla sorgente luminosa (per esempio, le montagne che in lontananza sembrano azzurre).
Questi due tipi d’indizi percettivi della profondità danno origine a due tipi di prospettiva: la prospettiva lineare e la prospettiva aerea.
La prospettiva lineare consiste nella schematizzazione geometrica degli oggetti mediante le sole linee di contorno; la prospettiva aerea nella rappresentazione del variare del colore e della grana delle superfici al variare della distanza.
Ciascuno di noi ha notato che i binari della ferrovia o gli alberi di un lungo viale, che sono sicuramente paralleli, sembrano convergere in un punto. Tale esperienza contrasta con il principio della geometria euclidea (Euclide) che stabilisce che le linee parallele non s’incontrano mai. In realtà, i binari non si incontrano, la loro convergenza è solo apparente.
La rappresentazione grafica di tale effetto ottico va sotto il nome di prospettiva lineare. Alcuni studiosi ritengono che essa riproduca con esattezza matematica l’esperienza visiva. Secondo loro, la ‘verità’ della prospettiva lineare si basa sulla sua natura matematica ed è per questo valida per tutte le epoche e le culture.
Diversamente da quanto si pensa, invece, il valore matematico della prospettiva lineare non si basa sull’apparente convergenza delle parallele, ma risiede nella diminuzione delle grandezze apparenti secondo una proporzione dipendente dalla distanza d’osservazione. Per questo una rappresentazione prospettica è matematicamente corretta quando proporziona la diminuzione delle grandezze apparenti dei corpi rappresentati. La prospettiva si articola in una parte intuitiva (la convergenza delle parallele) e in una parte razionale (la diminuzione delle grandezze apparenti) e non è una legge universale, ma un codice espressivo. Come tutti i codici, è sottoposta alle leggi della storia: ogni epoca e cultura ha il suo modo di intendere e rappresentare lo spazio su una superficie piana. Culture diverse dalla nostra hanno raggiunto esiti estetici altissimi nella rappresentazione della figura o dello spazio senza fare uso della prospettiva lineare; si pensi, per esempio, all’arte bizantina o a quella giapponese.
Nel Quattrocento gli artisti furono i primi a utilizzare elementi di prospettiva lineare e aerea per rappresentare lo spazio nelle loro opere. Nello stesso secolo, Leon Battista Alberti, Piero della Francesca e Leonardo da Vinci hanno scritto trattati prospettici fondamentali per lo sviluppo della teoria prospettica.
Nel Cinquecento furono gli architetti Sebastiano Serlio e Iacopo Barozzi detto il Vignola a promuovere lo sviluppo teorico della prospettiva lineare e della pratica del disegno prospettico. Sul finire del secolo, Egnazio Danti e Daniele Barbaro, uomini di ampia cultura artistica e matematica, s’interessarono della prospettiva lineare aprendo la strada a matematici come Federico Commandino e Guidubaldo Dal Monte, che, nel Seicento, presero l’iniziativa nella ricerca teorica e trasformarono la prospettiva dei pittori e degli architetti in quella branca della geometria che oggi è nota come geometria descrittiva, facendo di un’arte una scienza.
Nel Settecento e nell’Ottocento, compiuto il suo sviluppo teorico, la prospettiva raggiunse effetti straordinari nelle opere degli artisti anche per mezzo di strumentazioni, come prospettografi e camere oscure. Ai primi del Novecento, con l’inizio dell’arte contemporanea, gli artisti abbandonarono gli effetti di realtà consentiti dalla prospettiva, per seguire altre finalità espressive (e proprio allora la prospettiva cominciò a essere studiata da un punto di vista storico). La prospettiva ha un ruolo nella fotografia e oggi è importante nella computer grafica.
Nel Novecento è sorto un mito dell’origine della prospettiva, secondo il quale essa sarebbe stata inventata così com’è, in un giorno preciso, da un eroe solitario: Filippo Brunelleschi, che, attorno al 1420, inventò la costruzione legittima, in altre parole il metodo prospettico matematicamente esatto. Alberti lo avrebbe poi divulgato e semplificato per i pittori. Il concetto di costruzione legittima non risale al Quattrocento e non è certo stato inventato da Brunelleschi. Il termine fu coniato nel 1882 dallo storico dell’arte Heinrich Ludwig, nel suo commento al Trattato della pittura di Leonardo. La costruzione legittima, con il libro La prospettiva come forma simbolica (1927) di Erwin Panofsky, si è poi trasformata in una verità indiscussa, ed è entrata nel senso comune per indicare la prospettiva rinascimentale.
La prospettiva non è l’invenzione di un giorno, ma il risultato di un processo durato oltre due secoli, al quale hanno contribuito filosofi, artisti e scienziati.
Alberti nel De pictura illustrò il suo innovativo concetto di prospettiva paragonando il quadro da dipingere a «una finestra aperta per donde io miri quello che quivi sarà dipinto». Sulla superficie del quadro/finestra le forme delle cose vedute si devono rappresentare come se fossero di vetro.
Il vetro e il ‘quadro/finestra’ corrispondono alle due principali tipologie di prospettografo. Nel primo si disegna la cosa veduta direttamente su un supporto trasparente. Nel secondo si osserva un oggetto attraverso un reticolo di quadrati regolari e lo si disegna su un foglio quadrettato alla stessa maniera. Alberti ha rivendicato a sé l’invenzione di quest’ultimo strumento, molto usato nelle accademie d’arte fino al 19° secolo.
Leonardo, Albrecht Dürer, Iacopo Barozzi e Ludovico Cardi detto il Cigoli hanno inventato prospettografi sempre più precisi. Daniele Barbaro ne ha descritto uno che fa uso della prospettiva aerea: una camera oscura con lente.
Se in un ambiente buio si lascia entrare la luce da uno spiraglio raccogliendone il fascio luminoso su un foglio bianco, si vedranno proiettate immagini a rovescio delle cose poste davanti allo spiraglio. Con una lente biconvessa si può raddrizzare l’immagine e correggere la messa a fuoco.
Le vedute di Venezia del Canaletto sono forse l’esempio più noto e affascinante di pittura realizzata con l’ausilio della camera oscura.
La macchina fotografica discende dalla camera oscura. Solo il modo di registrare l’immagine cambia: un modo automatico nel primo caso, manuale nel secondo.