radio
Un mezzo di comunicazione che non invecchia
La radio è un mezzo di comunicazione che permette di trasmettere informazione sonora a distanza sotto forma di onde elettromagnetiche. Inventata tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la trasmissione di onde radio fu utilizzata inizialmente per la telegrafia, finché negli anni Venti nacquero le prime stazioni radiofoniche. Da allora questo mezzo ha conosciuto un grande sviluppo, incontrastato fino a che l’arrivo della televisione, nel secondo dopoguerra, non l’ha fatta passare un po’ di moda. Qualcuno allora ha pensato a una sua prossima scomparsa, che invece non si è verificata, anzi
La radio è un mezzo di comunicazione basato sulla trasmissione di onde elettromagnetiche. Fu inventata alla fine del 19° secolo dopo che James Clerk Maxwell riuscì a spiegare come le onde elettromagnetiche si propagano nello spazio.
È difficile dire chi sia stato il vero inventore della radio, perché furono in molti a contribuire alla sua realizzazione. Il primo in ordine di tempo fu il fisico inglese Oliver Lodge, che nel 1894 costruì il primo rivelatore di onde elettromagnetiche: uno strumento in grado di intercettare onde elettromagnetiche emesse fino a circa 150 m di distanza e di fare da ricevitore in un sistema di trasmissione. Iniziarono allora gli sforzi di diversi inventori per mettere a punto un sistema di trasmissione e ricezione in grado di coprire grandi distanze. Il modello a cui si pensava era ancora quello della cosiddetta telegrafia senza fili, cioè di un’emissione di un semplice segnale composto di linee e punti.
Nel 1895 l’inventore italiano Guglielmo Marconi riuscì già a raggiungere distanze di circa 2 km, e l’anno successivo chiese un brevetto per la radiotelegrafia. Nel 1898 le distanze aumentarono a circa 100 km, e nel 1902 effettuò la prima trasmissione attraverso l’Oceano Atlantico.
Con i sistemi di Marconi era possibile inviare solo semplici messaggi in codice Morse (dove lettere e numeri sono rappresentati da punti e linee), perché i segnali inviati erano troppo deboli per trasmettere voce umana e altri suoni udibili. La situazione cambiò quando lo statunitense Lee De Forest, nel 1907, inventò l’amplificatore a triodo, un dispositivo che consente di amplificare il segnale ricevuto, cioè di aumentarne notevolmente la potenza. In questo modo i segnali radio potevano anche muovere le membrane di altoparlanti e quindi riprodurre suoni veri e propri. Aumentava inoltre la distanza massima raggiungibile dai segnali dal momento che, anche se molto deboli, potevano poi essere amplificati al momento della ricezione. Già nel 1907 era così possibile trasmettere suoni per mezzo di onde radio fino a 300 km di distanza.
Fino a questo punto tuttavia non era ancora chiaro che cosa sarebbe diventata la ricezione radio: molti la vedevano soprattutto come uno straordinario mezzo per comunicare tra singole persone, come si fa con il telefono. In particolare negli Stati Uniti, infatti, fin dai primi anni della radio comparve una schiera di appassionati che utilizzavano questo nuovo mezzo, prima con la radiotelegrafia e poi con la radiotelefonia.
Nacque una vera e propria comunità di appassionati: i radioamatori, che costruivano spesso da sé i propri apparecchi in grado sia di ricevere sia di trasmettere. Agli inizi del Novecento i radioamatori erano i principali utenti delle trasmissioni radiofoniche, mentre le stazioni professionali dedicate alle comunicazioni militari o per affari erano la minoranza. Tutto cambiò però con la Prima guerra mondiale.
Quando gli Stati Uniti entrarono nel conflitto, nel 1917, la comunicazione amatoriale venne proibita perché occupava le frequenze necessarie per le comunicazioni militari.
Dopo la fine della guerra, la comunicazione amatoriale riprese con maggiore vigore, ma accanto a essa comparve un modello completamente nuovo di utilizzo della radio: quello di mezzo di comunicazione di massa, in cui un singolo emittente trasmette a numerosissimi riceventi che non possono però rispondere.
L’idea di questo tipo di trasmissione, chiamata in inglese broadcasting (che significa più o meno «distribuzione allargata», in origine un termine usato per descrivere una tecnica di semina in agricoltura) era stato inventato nel 1916 da David Sarnoff – uno dei più grandi imprenditori della storia della radio – che in seguito sarebbe diventato presidente dell’emittente RCA (Radio corporation of America). L’idea, invece, non era piaciuta alla società di Marconi, che la rifiutò.
Nel corso della guerra, all’interno dell’esercito molti soldati erano diventati abili tecnici radiofonici e al suo termine cercarono un modo per mettere a frutto questa competenza. Allo stesso modo, anche le industrie che avevano dovuto produrre apparecchi radiofonici per l’esercito volevano trovare a questa tecnologia un’applicazione redditizia anche in tempo di pace.
Prese così piede l’idea di un utilizzo commerciale della radio. La prima stazione radio commerciale della storia fu probabilmente quella messa in piedi a Detroit dal proprietario di un quotidiano locale, che iniziò a realizzare trasmissioni quotidiane a partire dal 31 agosto 1920. Nei due anni seguenti, la compagnia elettrica Westinghouse lanciò tre stazioni a Pittsburgh, Newark e Chicago, e la rca inaugurò una stazione sperimentale. Con la nascita di queste prime stazioni la radio si proponeva sul mercato come un incrocio tra la stampa e il fonografo. Le emittenti trasmettevano soprattutto notizie – in particolare quelle sportive o relative ai grandi eventi politici – e musica. Grazie anche all’esplosione di una nuova musica di enorme successo, il jazz (gli anni Venti sono ricordati negli Stati Uniti come l’età del jazz) ci fu un vero e proprio boom della radio, e nacquero quasi cinquecento stazioni prima della fine del 1922.
La radio non si può comprare programma per programma come si fa con un giornale, un libro o un biglietto del cinema. Come dovevano essere finanziate, dunque, le stazioni radiofoniche? Il problema fu risolto in due modi completamente diversi da una parte e dall’altra dell’Atlantico.
Negli Stati Uniti, come abbiamo visto, nacquero subito molte emittenti in concorrenza tra loro che si finanziavano con la pubblicità trasmessa durante i programmi. In Gran Bretagna, in Italia e nella maggior parte delle nazioni europee la radio veniva invece gestita in regime di monopolio: vi erano solo poche stazioni di proprietà dello Stato e la radio veniva finanziata tramite una tassa – chiamata canone – legata al possesso di un apparecchio ricevente.
Per molti anni il modello del monopolio ha contraddistinto l’Europa ed è stato mantenuto anche all’arrivo della televisione, per essere abbandonato solo negli ultimi decenni del 20° secolo.
Anche in Europa il successo della radio fu notevole, anche se più lento. In Italia le trasmissioni radio iniziarono nel 1924. Nell’agosto di quell’anno nacque la URI (Unione radiofonica italiana), a cui lo Stato affidò la concessione per le trasmissioni radiofoniche, inaugurate il 6 ottobre. I primi programmi comprendevano musica, soprattutto d’opera, bollettini meteorologici e notizie per lo più di borsa. Le trasmissioni provenivano unicamente da Roma, ma in seguito, tra il 1925 e il 1929, si aggiunsero altre stazioni trasmittenti a Milano, Napoli e Torino. Nel 1928 l’azienda radiofonica cambiò nome da URI a EIAR (Ente italiano audizioni radiofoniche).
Nel corso degli anni Trenta e Quaranta la radio divenne anche un importante strumento di propaganda politica. In Germania e in Italia i regimi totalitari dell’epoca colsero al volo le opportunità offerte da questo nuovo mezzo di comunicazione di massa, che consentiva per esempio di trasmettere i discorsi di Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia a Roma, dando a ogni cittadino l’impressione di essere presente. Ma anche nei paesi democratici, specialmente durante la Seconda guerra mondiale, la radio fu importante per sostenere lo spirito dei cittadini. Famoso resta il caso del presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, che pronunciava alla radio i «discorsi del caminetto», così chiamati perché il presidente trasmetteva da una stanza della Casa bianca in cui si trovava appunto un caminetto visibile nelle fotografie dell’epoca. Si tratta forse del primo esempio di uso della comunicazione di massa da parte di un leader politico per parlare direttamente e regolarmente con i cittadini.
La fine della Seconda guerra mondiale portò anche l’ultimo cambio nel nome dell’azienda radiofonica italiana. Dopo la liberazione dal fascismo di parte della penisola, nel 1944, l’EIAR si suddivise in due società, una nel centro-nord ancora controllato dai nazifascisti e una nell’Italia liberata. Questa seconda prese il nome di RAI (Radio audizioni italiane), l’azienda che esiste tuttora e che da lì a poco avrebbe iniziato a occuparsi anche dell’emittenza televisiva.
A partire dagli anni Quaranta negli Stati Uniti e dagli anni Cinquanta in Europa la televisione prese rapidamente piede e rubò la scena alla radio perché questo nuovo mezzo di comunicazione di massa poteva trasmettere anche immagini, grazie a un’evoluzione della tecnica utilizzata per le trasmissioni radio.
Molti pensarono che i giorni della radio fossero finiti: la televisione prese rapidamente il posto della sua antenata come centro di intrattenimento domestico, e le famiglie che prima si radunavano attorno all’apparecchio radiofonico per ascoltare sceneggiati, notiziari e programmi musicali iniziarono presto a radunarsi attorno all’apparecchio televisivo, che proponeva uno spettacolo più coinvolgente.
Due fattori, tuttavia, permisero alla radio di sopravvivere. Prima di tutto il diffondersi delle radio a transistor, piccole, leggere ed economiche, che mutarono completamente il modo di utilizzare questo mezzo. Ai suoi esordi – dagli anni Trenta fino alla Seconda guerra mondiale – la radio veniva ascoltata in casa, spesso di sera, da tutta la famiglia riunita. Con la radio a transistor, comparsa dopo la guerra, le generazioni più giovani – che in particolare negli Stati Uniti avevano molta più serenità economica e indipendenza di quanto non fosse accaduto ai loro padri – trovarono in essa uno strumento perfetto e portatile per ascoltare un nuovo tipo di musica, il rock, che nasceva in quegli anni.
La radio sopravvisse, inoltre, perché a partire dagli anni Sessanta, nell’epoca delle contestazioni politiche negli Stati Uniti e in Europa, divenne il mezzo di comunicazione preferito dai gruppi politici giovanili, perché diretto e immediato, per far sentire la propria voce. Allestire un’emittente radio costava – e costa – molto meno di un’emittente televisiva. Nacque così il fenomeno delle cosiddette radio libere.
In Italia lo sviluppo di queste emittenti, nate a livello locale, ricevette un importante riconoscimento nel 1974, quando una sentenza della Corte costituzionale riconobbe che non violavano il monopolio dello Stato, perché per le modalità di trasmissione raggiungevano solo aree limitate geograficamente. Fu la prima volta che il monopolio della RAI venne intaccato.
Il suono trasmesso dalla radio, che si tratti di un brano musicale o della voce umana, viene trasformato per mezzo di microfoni in un’onda elettromagnetica di frequenza e ampiezza variabili. Tuttavia quest’onda ha una frequenza troppo bassa, e quindi un’energia troppo piccola, per essere trasmessa a grandi distanze. Viene quindi usata per modulare, cioè modificare opportunamente, un’onda di frequenza molto più alta, detta onda portante proprio perché ‘porta’ letteralmente su di sé l’onda che si vuole trasmettere. I due tipi di modulazione più usati si distinguono in base a quale grandezza dell’onda portante viene modificata nel tempo e sono la modulazione di ampiezza (AM, dall’inglese Amplitude modulation) e la modulazione di frequenza (FM, dall’inglese Frequency modulation).
Nella modulazione di ampiezza, la frequenza dell’onda portante rimane costante, mentre l’ampiezza cambia di momento in momento in modo proporzionale all’onda modulante che rappresenta il suono originale.
Nella modulazione di frequenza le cose si invertono: è la frequenza dell’onda portante che viene continuamente modifica in modo proporzionale all’onda modulante. In entrambi i casi l’apparecchio ricevente deve essere dotato di un sistema di demodulazione che ‘estrae’ dall’onda portante l’onda modulante e la trasforma in suono per mezzo di un altoparlante.
La modulazione di frequenza ha prestazioni migliori di quella di ampiezza: è meno sensibile ai disturbi e può trasmettere un segnale di qualità migliore, tuttavia ha bisogno di un canale più ampio, ovvero l’intervallo di frequenze che deve essere utilizzato da ogni emittente è più ampio. Per questo il primo sistema utilizzato storicamente è stato quello della modulazione di ampiezza, mentre oggi la maggior parte delle emittenti utilizzano la modulazione di frequenza. Quasi tutti i ricevitori radio sono in grado di riprodurre entrambi i tipi di segnale e un apposito pulsante permette in genere di scegliere tra i segnali modulati in ampiezza e quelli modulati in frequenza.
Oggi la radio è un mezzo di comunicazione quanto mai vitale e importante per milioni di persone. Prima di tutto continua a essere il canale più importante per la diffusione della musica, vista anche la contemporanea crisi del mercato del disco e grazie alla presenza di un nuovo genere di professionisti, i disc jockey. Inoltre è tornata a essere un fondamentale mezzo di informazione, perché molte persone, nelle grandi città, trascorrono anche una o due ore in automobile ogni giorno per spostarsi da casa al luogo di lavoro. Questo ha garantito il successo anche di emittenti destinate a pubblici diversi, in cui si parla e si discute oltre a trasmettere musica. In aggiunta, oggi molte radio, anche piccole, si possono ascoltare tramite Internet e così molte persone, fra le tante che trascorrono la giornata davanti al computer, ascoltano la radio mentre lavorano. Insomma, nel corso di oltre un secolo la radio non solo ha resistito all’attacco di molti rivali – dal disco alla televisione fino a Internet – ma ha finito per vincere alla lunga la sfida con essi. Secondo le più recenti indagini statistiche del Censis, in Italia la radio è non solo il medium preferito degli adolescenti, ma è ascoltata da quasi il 70 per cento della popolazione fra i 30 e i 45 anni, e il dato è in crescita. Tanto che i maggiori gruppi editoriali, dopo averla snobbata per anni, sono tornati ad acquistare emittenti radiofoniche (si pensi a Radio24 de Il Sole 24Ore, o a PlayRadio del Corriere della Sera).
La sera del 30 ottobre 1938 l’allora giovane attore e regista statunitense, Orson Welles, si mise ai microfoni della CBS Radio per mandare in onda un radiodramma basato sul romanzo di Herbert George Wells, La guerra dei mondi. Lo spettacolo, costruito come la radiocronaca dell’invasione degli Stati Uniti da parte degli alieni, venne ascoltato da oltre sei milioni di americani, e nonostante ripetuti annunci – prima e dopo la trasmissione – che avvisavano che si trattava di una finzione, almeno un milione di persone credette che gli extraterrestri fossero arrivati davvero.
Il panico si sparse per il paese (ci furono diversi suicidi), la polizia e la Guardia nazionale vennero mobilitate, alcuni quotidiani prepararono addirittura edizioni speciali sull’invasione degli alieni. Gli alieni non c’erano, ma fu la prova che gli Stati Uniti, e tutto il mondo, avevano davvero subito l’‘invasione’ di un nuovo e potentissimo mezzo di comunicazione in grado di mobilitare la folla come mai prima d’allora.