rappresentanza
Scegliere e controllare i governanti
Per rappresentanza politica si intende quel sistema grazie al quale i cittadini, tramite periodiche elezioni, nominano il parlamento, storicamente, il luogo classico della rappresentanza. Il parlamento è un’istituzione di origine medievale che in Età moderna – con le rivoluzioni ispirate al liberalismo (quella inglese del 1688, quella americana del 1776 e quella francese del 1789) – ha acquisito un ruolo di decisiva importanza
L’idea della rappresentanza ha origini medievali e deriva dal principio quod omnes tangit ab omnibus probari debet «ciò che riguarda tutti, da tutti deve essere approvato». È un’idea essenzialmente antidispotica: le decisioni non devono calare dall’alto, dalla volontà di un despota, ma piuttosto salire dal basso, attraverso l’approvazione di un’assemblea dove siedano i rappresentanti di tutti i soggetti interessati.
Nacquero così, nel Medioevo, le prime forme di rappresentanza, cioè i primi parlamenti, ben diversi però dai parlamenti moderni. Composti per lo più da membri di diritto (cioè non eletti), i parlamenti medievali rappresentavano gli stati o ceti in cui si articolava il corpo sociale (clero, nobiltà e borghesia); essi, inoltre, non facevano le leggi, ma conservavano quelle esistenti (diritti consuetudinari e privilegi) e si limitavano, se veniva loro richiesto, a esprimere al re i loro pareri.
Man mano che i sovrani, tra il 16° e il 17° secolo, rafforzarono il loro potere, i parlamenti persero ogni funzione (unica eccezione, l’Inghilterra). Essi rimasero quindi il simbolo di un’epoca nella quale il potere del re non era ancora legibus solutus, cioè «sciolto dalle leggi», privo di ogni limite.
Quando, tra il 17° e il 18° secolo, i primi pensatori e i movimenti liberali (liberalismo) avviarono la battaglia contro l’assolutismo, essi ripresero e aggiornarono l’idea della rappresentanza. Ripresero, cioè, l’idea secondo la quale il potere non deriva dall’alto, ma dal basso, cioè dal corpo sociale, ma concepirono quest’ultimo non più come un organismo articolato in ceti differenziati per diritti e funzioni, bensì come un insieme – la nazione – composto da individui dotati di uguali diritti. Ai rappresentanti della nazione – che erano scelti tramite elezioni e riuniti in un parlamento – spettava il compito esclusivo di fare le leggi, alle quali tutti (re incluso) dovevano essere sottomessi.
Fin dall’inizio, la rappresentanza moderna si qualificò come rappresentanza politica: nei parlamenti moderni non erano rappresentate le categorie sociali (operai, commercianti, imprenditori e così via) e i loro interessi particolari, ma i cittadini e i loro interessi generali. Da ciò discendeva il rifiuto del mandato imperativo: i rappresentanti non erano semplici portavoce degli interessi dei loro elettori – e quindi revocabili da questi ultimi in qualsiasi momento – ma deputati che rappresentavano gli interessi generali della nazione e quindi liberi da vincoli di mandato.
Il divieto del mandato imperativo sottraeva così le decisioni politiche alle pressioni della ‘piazza’ e delle minoranze che la guidano, facendo del parlamento il centro del sistema politico.
Tale impostazione incontrò, sin dal Settecento, alcuni oppositori, che contestarono l’idea della rappresentanza nel nome della sovranità popolare. Convinto che un uomo sia libero soltanto quando ubbidisce a sé stesso, Rousseau sostenne che non si può mai delegare la propria volontà ad altri: se lo si fa, non si è più liberi. E così il popolo inglese, scriveva Rousseau, «crede di essere libero, ma si sbaglia di grosso; lo è soltanto durante l’elezione dei membri del parlamento, ma appena questi vengono eletti esso torna schiavo».
La sovranità del popolo richiede che tutti partecipino alla formazione delle leggi: la vera democrazia non è rappresentativa, ma diretta. E ogni qualvolta sia necessario scegliere rappresentanti, questi devono essere commissari del popolo, ossia semplici portavoce ai quali il popolo può revocare il mandato in qualsiasi momento.
Tali idee torneranno, nel 19° e nel 20° secolo, nella tradizione comunista: Marx esaltò la Comune di Parigi (1870) perché era composta da consiglieri «revocabili in qualunque momento» dal popolo. Quanto a Lenin, egli teorizzò una democrazia dei consigli (soviet), ossia un sistema politico basato su assemblee composte da rappresentanti responsabili di fronte al popolo e da esso revocabili in qualsiasi momento.