Riforma
Ritorno al Vangelo
Il vasto movimento di rinnovamento della fede e della pietà nella Chiesa cristiana d’Occidente, sorto intorno agli anni Venti del 16° secolo e poi chiamato dagli storici Riforma protestante, nacque in Germania per opera del monaco agostiniano Martin Lutero. Si diffuse poi in tutta Europa anche grazie all’opera di altri riformatori, come lo svizzero Zwingli e il francese Calvino. La Riforma è stata qualcosa di più e di diverso da una semplice ‘riforma’, ed è diventata un modo nuovo (e al tempo stesso antico) di essere cristiani
La Riforma ebbe inizio dall’affare delle indulgenze. Predicatori senza scrupoli, incaricati dall’autorità ecclesiastica, inducevano la gente a credere di poter ottenere il perdono divino e liberare le anime dei loro cari dalle pene del purgatorio comprando un’indulgenza. I prezzi erano differenziati: andavano da 25 fiorini d’oro per i re, i principi e gli alti prelati a un quarto di fiorino per i contadini. È per protestare contro questo indegno commercio – e per esporre le sue dottrine sul peccato e sulla grazia – che Lutero pubblicò le 95 tesi contro le indulgenze, affiggendole nel 1517 alla porta della chiesa del castello di Wittenberg, annessa all’Università dove egli insegnava le Sacre Scritture.
Le idee di Lutero si diffusero rapidamente in tutti i paesi d’Europa e in tutti i ceti sociali, anche popolari, suscitando consensi e dissensi: il dibattito fu appassionato come mai era accaduto prima. Vi furono anche incontri ufficiali (per esempio a Ratisbona, nel 1541) per cercare di comporre il dissidio di fede creatosi tra cattolici e protestanti (così vennero chiamati i seguaci della Riforma, a partire dal 1530), ma tutti i tentativi fallirono: le differenze dottrinali erano troppo grandi. Dopo una fase di guerre religiose, si giunse, nel 1555, alla Pace di Augusta, che sancì la divisione tra cattolici e protestanti in base al principio cuius regio, eius religio, che imponeva ai sudditi di seguire la religione del loro principe, cattolico o luterano che fosse.
Una metà circa dei cristiani dell’Occidente europeo accettò la Riforma, dando vita a diverse chiese nazionali, dette protestanti o evangeliche. Quanto ai cattolici, che costituivano l’altra metà, risposero convocando il Concilio di Trento (1545-63), che fu insieme una reazione alla Riforma protestante (e in questo senso si parla di Controriforma) e un tentativo di rinnovare dall’interno la Chiesa cattolica (e da questo punto di vista si parla di Riforma cattolica).
Motivi morali e cause economiche. Le cause o ragioni di un fenomeno complesso come la Riforma sono molteplici. Era presente senza dubbio una ragione morale: la vita del clero, comprese le alte gerarchie ecclesiastiche, era in alcuni casi tutt’altro che cristiana, e da tempo si invocava da più parti un’energica riforma dei costumi. Ci furono ragioni economiche: una fu il desiderio legittimo di liberarsi di un regime fiscale particolarmente esoso che convogliava verso la Chiesa e in particolare verso Roma grandi quantità di denaro; l’altra fu che la Riforma accompagnò – e, nella sua versione calvinista, favorì – la transizione dall’economia feudale a quella precapitalistica. Vi furono ragioni sociali: le classi subalterne (i contadini) e quelle emergenti (artigiani, commercianti e piccoli imprenditori) vissero la Riforma anche come incentivo alla loro emancipazione o alle loro libere iniziative di tipo economico.
Aspetti politici e culturali. Vi furono anche ragioni politiche: la Riforma entrò variamente in gioco, all’interno dell’impero (Sacro Romano Impero), nel processo di crescita delle autonomie territoriali rispetto al potere centrale; inoltre le autorità politiche svolsero un ruolo determinante nell’adozione della Riforma in un certo numero di territori, al fine di liberarsi dal condizionamento della Chiesa di Roma e di incamerarne i beni. Ci furono infine ragioni culturali: la Riforma si sviluppò di pari passo con l’Umanesimo, che la favorì con la sua passione per le fonti classiche e, in campo cristiano, per quelle bibliche: la Bibbia cominciò a essere letta e studiata sui testi originali, ebraici per l’Antico Testamento e greci per il Nuovo. In questo quadro non va sottovalutata l’importanza dell’invenzione della stampa, che consentì la diffusione a livello europeo degli scritti dei riformatori, soprattutto di Lutero e Calvino.
La motivazione religiosa. Tutte le ragioni ora elencate devono essere tenute presenti per spiegare e capire la Riforma. Ma la ragione decisiva rimane quella religiosa: la Riforma nacque dalla riscoperta del Vangelo come annuncio della libera grazia di Dio, donata al peccatore senza riguardo ai meriti e senza condizioni. Questo annuncio è il cuore della Bibbia, che venne tradotta nelle lingue volgari (famosa fu la traduzione di Lutero) e largamente diffusa tra il popolo. La Riforma fu per molti aspetti un grande movimento di alfabetizzazione biblica popolare della cristianità occidentale. La «libertà del cristiano» tematizzata da Lutero non è altro che il prodotto della libera circolazione della Parola di Dio nella Chiesa.
La Riforma fu, al tempo stesso, unitaria nei contenuti di fede e plurale nelle forme organizzative. L’iniziativa presa da Lutero in Germania e quella parallela di Ulrich Zwingli (15°-16° secolo) nella Svizzera tedesca, continuata poi da Giovanni Calvino (16° secolo) a Ginevra, hanno dato vita, direttamente o indirettamente, a quattro diversi tipi di Riforma.
La prima è quella luterana, affermatasi soprattutto in Germania, in Alsazia e nei paesi scandinavi e baltici. La seconda è quella zwingliana-calviniana (detta riformata), affermatasi in diversi cantoni svizzeri e in Scozia e largamente diffusasi in Ungheria, Polonia, Boemia, Francia, Paesi Bassi e nella stessa Inghilterra. In quest’ultimo paese prevalse peraltro un terzo tipo di riforma, quella anglicana, che conservò l’episcopato (sul modello della Chiesa cattolica) e forme di culto e di devozione tradizionali, pur facendo propria la teologia riformata. Il quarto tipo di riforma è quella anabattista (detta radicale), che contestava come pura finzione la ‘società cristiana’ e ne rifiutava il segno più caratteristico: il battesimo dei bambini. Il battesimo – sostenevano gli anabattisti – non può essere imposto, dev’essere una libera scelta di chi ha creduto.
La diffusione del pensiero della Riforma in Italia fu notevole, in quasi tutte le regioni, ma la nascente comunità protestante italiana nel 16° secolo fu annientata dalla repressione (carcere o esilio). Sopravvissero solo, in alcune Valli del Piemonte, i Valdesi, che nel 1532 avevano aderito alla Riforma di Calvino.
Per i riformatori la Parola biblica, accompagnata e suggellata dai due sacramenti del Battesimo e della Cena (o Eucaristia), rappresenta l’elemento centrale della fede, nonché il fondamento della Chiesa. L’ascolto ubbidiente della Parola di Dio libera la coscienza da ogni dipendenza che non sia quella di Dio: ciò non significa che le autorità ecclesiastiche e laiche vengono esautorate, ma anch’esse subordinate alla Parola di Dio. Il principio d’autorità viene sostituito dal libero esame e quindi dal principio di responsabilità. I protestanti sopprimono inoltre la differenza tra clero e laicato nella Chiesa e affermano il sacerdozio universale dei credenti, che stabiliscono un rapporto diretto con Dio, senza altri intermediari oltre a Gesù Cristo stesso. La continuità con la Chiesa apostolica è assicurata dalla fedeltà al messaggio di Gesù e degli apostoli. Quanto al rapporto tra potere civile e potere ecclesiastico, essi vengono accuratamente distinti e resi reciprocamente autonomi. Prende così avvio il processo di laicizzazione (secolarizzazione) della società, che è uno dei tratti salienti della modernità occidentale.
L’etica della Riforma punta sulla responsabilità personale del credente davanti a Dio e al prossimo, più che su una morale basata su obblighi e precetti. I dieci comandamenti, riassunti da Gesù nel doppio comandamento dell’amore, conservano intatti il loro valore e la loro attualità per orientare e valorizzare l’esistenza umana. Nella Chiesa l’autorità viene socializzata: essa risiede nell’assemblea dei credenti e non discende dall’alto; la struttura della Chiesa, quindi, non è più gerarchica (con l’eccezione della Chiesa anglicana) e l’esercizio del governo non è personale ma collegiale.