RIFUGIATI.
– Definizione. Dato statistico. Il sistema europeo comune di asilo. Il sistema italiano. L’emergenza nel Mediterraneo. Bibliografia. Sitografia
Definizione
La definizione del termine rifugiato si trova nella Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, di cui l’Italia è uno dei Paesi firmatari. Nell’art. 1 della Convenzione il rifugiato viene definito come una persona che, «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale Paese». Lo status di rifugiato viene quindi riconosciuto alle persone che si trovano nella condizione prevista dalla Convenzione, cioè a chi ha un ragionevole timore di poter essere, in caso di rimpatrio, vittima di persecuzione. Rientrano nel termine persecuzione determinati atti che, per loro natura o frequenza, rappresentano una violazione grave dei diritti umani fondamentali e sono perpetrati per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un gruppo sociale. Un richiedente asilo, invece, è colui che è fuori dal proprio Paese e presenta, in un altro Stato, domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra, o per ottenere altre forme di protezione internazionale. Le due figure si distinguono da quella più generica del migrante, che è colui il quale sceglie di lasciare volontariamente il proprio Paese di origine per cercare un lavoro e migliori condizioni economiche altrove. Contrariamente al rifugiato, il migrante può far ritorno a casa in condizioni di sicurezza (v. migratori, movimenti).
Dato statistico
A partire dai primi anni del 21° sec. si è assistito a un aumento significativo del numero dei rifugiati e più in generale delle persone di cui si occupa l’UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), categoria all’interno della quale, oltre ai rifugiati, sono compresi anche i richiedenti asilo, i rifugiati rimpatriati, gli sfollati interni (internal displaced persons) e gli apolidi (v. tabella). In particolare, dai circa 21 milioni della fine del 2005, il numero dei migranti forzati (comprendente le persone di competenza UNHCR e i rifugiati sotto mandato UNRWA, United Nations Relief and Works Agency for Palestine refugees, Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi) registrato alla fine del 2014 era di quasi 60 milioni di persone. Il numero dei rifugiati, anche se in misura proporzionalmente inferiore, era cresciuto, passando dai quasi 9 milioni del 2005 agli oltre 19,5 milioni del 2014 (cifra nella quale sono inclusi i 5,1 milioni di rifugiati palestinesi sotto mandato UNRWA).
Le ragioni di tale aumento emergono chiaramente dalla lettura della situazione dei Paesi di origine della maggioranza dei rifugiati e richiedenti asilo: Siria, Afghānistān, Somalia, Sudan, Repubblica Democratica del Congo (v. fig. 1). Il sorgere o l’acuirsi di conflitti bellici ha comportato un aumento dei migranti forzati e dei rifugiati in generale, che hanno trovato rifugio nei Paesi confinanti. In tal senso, Asia e Africa si sono confermati come i principali continenti che accolgono rifugiati e richiedenti asilo, e, al loro interno, Turchia, Pakistan, Libano, Irān, Etiopia e Giordania detengono il primato come Paesi di accoglienza (v. fig. 2).
Tale andamento ha avuto ovviamente ripercussioni anche sull’Italia: dalle oltre 10.000 richieste di asilo presentate nel 2005, si è arrivati a circa 65.000 richieste nel 2014.
Il sistema europeo comune di asilo
L’istituzione del CEAS (Common European Asylum System), obiettivo verso cui tendevano gli Stati membri dell’Unione Europea e il Parlamento europeo sin dal Trattato di Amsterdam del 1997 (entrato in vigore nel 1999), concludeva la sua prima fase principalmente con le direttive 2003/9/CE, 2004/83/CE, 2005/85/CE, che disciplinavano, rispettivamente, gli aspetti relativi agli standard minimi di accoglienza e alle qualifiche e procedure per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale.
Se l’obiettivo della prima fase era stata la creazione di norme minime comuni, con il Trattato di Lisbona del 2007, entrato in vigore nel 2009, l’obiettivo della seconda fase è diventato l’implementazione di un sistema europeo comune attraverso il quale gli Stati membri dell’UE possano condividere la responsabilità di accogliere i richiedenti asilo in modo dignitoso, garantendo loro un trattamento equo e assicurando che la loro domanda di protezione sia esaminata secondo norme uniformi, in modo che, indipendentemente dal luogo in cui il richiedente presenta domanda di asilo, l’esito possa essere equivalente.
A tal fine sono state approvate nuove norme a livello dell’UE volte a definire standard comuni elevati e potenziare la cooperazione tra gli Stati membri. Si tratta:
1) della direttiva (rifusione) 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (applicabile dal 21 luglio 2015), che contiene elementi di novità nel definire le specifiche esigenze di accoglienza delle persone vulnerabili e dedica un’attenzione particolare ai minori non accompagnati e alle vittime di tortura;
2) della direttiva (rifusione) 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i r. o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (applicabile dal 22 dicembre 2013); in particolare la direttiva armonizza in larga misura i diritti concessi a tutti i beneficiari di protezione internazionale (r. riconosciuti e beneficiari della protezione sussidiaria) in materia di accesso all’occupazione e all’assistenza sanitaria ed estende altresì la durata della validità dei permessi di soggiorno per i beneficiari di protezione sussidiaria;
3) della direttiva (rifusione) 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (applicabile dal 21 luglio 2015), che fissa regole più chiare per la presentazione della domanda di asilo e assicura maggiore celerità ed efficienza nella procedura di esame.
Il sistema comune è poi completato dal testo di rifusione del regolamento n. 604/2013, detto Dublino III (entrato in vigore il 1° gennaio 2014, in sostituzione del regolamento n. 343/2003, detto Dublino II ), il cui obiettivo è determinare lo Stato responsabile dell’esame di una domanda di protezione internazionale, e dal testo di rifusione del regolamento n. 603/2013 (applicabile dal 20 luglio 2015, in sostituzione dei regolamenti n. 2725/2000 e n. 407/2002), che istituisce l’Eurodac, la banca dati dell’UE per le impronte digitali dei richiedenti asilo.
Il sistema italiano
La procedura esistente in Italia nel 2015 ha tratto origine dal d. legisl. 19 nov. 2007 nr. 251 e dal d. legisl. 28 genn. 2008 nr. 25, entrambi di recepimento delle due direttive comunitarie sopra citate: rispettivamente, la direttiva 2004/83/CE (e, nel suo testo di rifusione, direttiva 2011/95/CE, recepita con d. legisl. 21 febbr. 2014 nr. 18) cd. Direttiva qualifiche, e la direttiva 2005/85/CE (e nel suo testo di rifusione, non ancora recepito in Italia, direttiva 2013/32/CE), cd. Direttiva procedure.
Il sistema, a carattere decentrato, si articola su tre forme di protezione: 1) lo status di r., ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951; 2) la protezione sussidiaria ex art. 14 d. legisl. 19 nov. 2007 nr. 251, e 3) la protezione umanitaria, una forma di protezione a carattere nazionale, disciplinata agli artt. 19 e 5 co. 6 del d. legisl. 25 luglio 1998 nr. 286.
La legge prevede una procedura unica per tutte le forme di protezione.
Le autorità competenti in merito alla decisione di accogliere una domanda di protezione internazionale sono le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, dislocate sull’intero territorio nazionale, il cui numero è stato portato a 20 dal d. l. 22 ag. 2014 nr. 119, che prevede inoltre la possibilità di istituire fino a 30 sezioni, al verificarsi di un eccezionale incremento delle domande di asilo connesso all’andamento dei flussi migratori.
Le Commissioni territoriali sono composte da un funzionario della carriera prefettizia, con funzioni di presidente, da un funzionario della Polizia di Stato, da un rappresentante di un ente territoriale, designato dalla Conferenza Stato-città e autonomie locali, e da un rappresentante designato dall’UNHCR. La procedura prevede una fase amministrativa, che consiste nella presentazione della richiesta di protezione dinanzi la Questura competente per dimora e nell’esame della domanda stessa, comprendente la parte istruttoria, dinanzi la Commissione territoriale competente, nonché una fase eventuale, giurisdizionale, dinanzi la magistratura ordinaria, che non consiste semplicemente in un riesame della domanda stessa, quanto piuttosto in una nuova valutazione della richiesta presentata.
Il sistema viene completato dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, che ha competenza in materia di revoca e cessazione degli status di protezione internazionale, oltre che compiti di indirizzo e di coordinamento delle Commissioni territoriali, di formazione e aggiornamento dei componenti delle medesime, di costituzione e aggiornamento di una banca dati informatica contenente le informazioni utili al monitoraggio delle richieste di asilo, di costituzione e aggiornamento di un centro di documentazione sulla situazione sociale politica ed economica dei Paesi di origine dei richiedenti, di monitoraggio dei flussi di richiedenti asilo.
L’emergenza nel Mediterraneo
A seguito di due terribili naufragi avvenuti il 3 e l’11 ottobre 2013, nei quali hanno perso la vita oltre 600 persone, l’Italia ha intrapreso un’operazione militare e umanitaria nel Mar Mediterraneo meridionale, denominata Mare nostrum, per fronteggiare lo stato di emergenza in corso nel Canale di Sicilia, dovuto all’eccezionale afflusso di migranti (v. fig. 3). L’operazione ha avuto una duplice missione: garantire la salvaguardia della vita in mare e assicurare alla giustizia tutti coloro che lucravano sul traffico illegale di migranti. Mare nostrum ha avuto termine il 31 ottobre 2014, in concomitanza con l’inizio della nuova operazione, denominata Triton, finanziata e coordinata dall’Agenzia europea Frontex (Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea) per il pattugliamento del Mediterraneo centrale.
Nella notte tra il 18 e il 19 aprile 2015 è avvenuta la «più grave sciagura del mare dal dopoguerra» (Ansa, 19 aprile 2015), un naufragio nel quale hanno perso la vita oltre 800 persone; l’incidente, avvenuto intorno alla mezzanotte in acque libiche, a circa 180 chilometri a sud di Lampedusa, è stato determinato dal capovolgimento dell’imbarcazione sulla quale viaggiavano circa 950 persone. Alla luce di un avvenimento così drammatico, il 13 maggio 2015 la Commissione europea ha presentato una nuova Agenda europea sulla migrazione, nella quale sono state delineate le misure previste nell’immediato per rispondere alla situazione di crisi nel Mediterraneo e le iniziative da varare negli anni a venire per gestire meglio la migrazione in ogni suo aspetto, tra cui: il potenziamento delle operazioni congiunte di Frontex, Triton (v. sopra) e Poseidon (operazione internazionale finalizzata a prevenire e intercettare i flussi di migrazione illegale verso l’Unione Europea nella zona sud-orientale del Mediterraneo); l’attivazione del sistema di emergenza, previsto all’art. 78 par. 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, per aiutare gli Stati membri interessati da un afflusso improvviso di migranti; l’adozione di un programma di reinsediamento UE, per offrire ai rifugiati con evidente bisogno di protezione internazionale in Europa 20.000 posti distribuiti su tutti gli Stati membri; l’implementazione di un’operazione di Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) nel Mediterraneo, volta a smantellare le reti di trafficanti e contrastare il traffico di migranti, nel rispetto del diritto internazionale.
In particolare, gli avvenimenti verificatisi nel 2015 nel Mediterraneo, ma anche nel resto d’Europa, evidenziavano alcuni aspetti che, seppur in parte già riscontrati in passato, facevano emergere la necessità di una risposta differente (v. Unione Europea). Appariva chiaramente che l’Europa stava affrontando il più grande flusso di rifugiati dalla fine della Seconda guerra mondiale, posto che nei primi otto mesi del 2015 oltre 500.000 persone erano arrivate in Europa, delle quali oltre 300.000 attraverso il Mar Mediterraneo e oltre 180.000 attraverso la cd. rotta balcanica, passando dalla Macedonia e dalla Serbia verso l’Ungheria. Il secondo dato era che tale pressione investiva in modo particolare solo alcuni dei Paesi membri dell’Unione Europea, tra cui la Grecia (213.000 arrivi), l’Ungheria (145.000) e l’Italia (115.000). L’ulteriore elemento era che le persone giunte sulle coste e ai confini dell’Europa, non si fermavano nel primo Paese europeo di approdo, ma continuavano il loro viaggio, in modo illegale e spesso pericoloso, per raggiungere in particolare la Germania e i Paesi del Nord Europa. Infine, emergeva chiaramente che tale fenomeno era soprattutto una crisi di rifugiati, e non semplicemente un fenomeno migratorio, posto che la grande maggioranza di coloro che arrivavano in Europa provenivano da zone di conflitto come la Siria, l’Irāq o l’Afghānistān ed erano in fuga per salvare la propria vita.
Tali avvenimenti conducevano a risposte differenti all’interno dei singoli Paesi membri: se da una parte il presidente ungherese Viktor Orbán disponeva la costruzione di un muro lungo il confine con la Serbia per impedire l’arrivo e il transito dei rifugiati, la cancelliera tedesca Angela Merkel annunciava che la Germania era disposta ad accogliere i rifugiati provenienti dagli altri Paesi europei, nel rispetto dell’acquis comunitario, prevedendo di poter ospitare oltre 800.000 persone (considerati i rifugiati già presenti in Germania) entro la fine del 2015.
Tali considerazioni, e in particolare la circostanza che il flusso di rifugiati stava investendo in particolare solo alcuni Paesi dell’Unione, condusse a un’importante decisione del Consiglio europeo che, nella riunione del 25-26 giugno, 2015 raggiungeva per la prima volta un accordo per la ricollocazione temporanea ed eccezionale, su un periodo di due anni, di 40.000 persone, in evidente bisogno di protezione internazionale, dall’Italia e dalla Grecia in altri Stati membri (Decisione del Consiglio dell’Unione Europea del 3 settembre 2015, 11161/15). Il 9 settembre 2015, nel suo primo discorso sullo Stato dell’Unione al Parlamento europeo, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker proponeva un secondo pacchetto di misure (dopo quelle già esposte nel mese di maggio) per affrontare la crisi dei rifugiati e le profonde ragioni che spingono a cercare rifugio in Europa, tra cui: la ricollocazione negli Stati membri di altri 120.000 migranti da Italia, Grecia e Ungheria, in aggiunta alla quota di 40.000 già prevista; un meccanismo permanente di ricollocazione per tutti gli Stati membri, ovvero un meccanismo di solidarietà strutturato da attivarsi in qualsiasi momento per aiutare gli Stati membri dell’UE che si trovassero ad affrontare una situazione di crisi e il cui regime di asilo fosse sotto estrema pressione a causa di un afflusso massiccio e sproporzionato di cittadini di Paesi terzi; un elenco europeo comune dei Paesi di origine sicuri che avrebbe lo scopo di consentire di trattare più rapidamente le singole domande di asilo dei candidati provenienti da Paesi che tutta l’UE considera sicuri e di accelerarne il rimpatrio se la valutazione individuale della domanda confermasse che non sussistono le condizioni del diritto all’asilo; una maggiore efficacia della politica di rimpatrio per i migranti che non hanno diritto di restare nell’Unione Europea, in applicazione della cd. Direttiva rimpatri (2008/115/CE); un rinnovato impegno di sostegno alle iniziative diplomatiche che cercano soluzioni politiche ai conflitti in Siria, Irāq e Libia; un maggiore impegno nella lotta contro la criminalità organizzata dedita al traffico di migranti con l’operazione in mare EUNAVFOR MED (European Union NAVal FORce MEDiterranean), già resa operativa con la decisione del Consiglio del 18 maggio 2015; l’istituzione di un fondo fiduciario per l’Africa per migliorare la stabilità e affrontare le cause profonde dei flussi di migrazione irregolare nelle regioni del Sahel, del Lago Ciad, del Corno d’Africa e dell’Africa settentrionale. Nella successiva riunione del Consiglio dell’Unione Europea sugli Affari interni del 14 settembre 2015, con la decisione UE 2015/1523, recependo solo in parte la proposta della Commissione, si istituiva, quindi, un meccanismo di ricollocazione temporanea ed eccezionale dall’Italia e dalla Grecia verso altri Stati membri. Tale meccanismo prevedeva il trasferimento di 40.000 persone in evidente bisogno di protezione internazionale (24.000 dall’Italia e 16.000 dalla Grecia) e costituiva una linea d’azione volta ad affrontare la crisi migratoria.
Bibliografia
M. Benvenuti, La protezione internazionale degli stranieri in Italia, Napoli 2011; G. Morgese, La riforma del sistema europeo comune di asilo e i suoi principali riflessi nell’ordinamento italiano, «Diritto, immigrazione cittadinanza», 2013, 4, pp.15-35; N. Petrovic, Rifugiati, profughi, sfollati. Breve storia del diritto d’asilo in Italia, Milano 2013.
Sitografia
http://www.unhcr.it/risorse/statistiche; http://www.unhcr.org/pages/49c3646c4d6.html; http://www.unhcr.org/2014trends/; http://www.interno.gov.it/it/sala-stampa/dati-e-statistiche/i-numeri-dellasilo. Tutte le pagine web si intendono visitate per l’ultima volta il 9 settembre 2015.