Rifugiati
(App. II, ii, p. 711)
Nell'uso comune del termine, si tende ad appiattire le differenze tra coloro che sono stati costretti a lasciare del tutto il proprio paese e coloro che, pur costretti all'esodo, sono però rimasti all'interno del loro paese d'origine. Soprattutto non si riserva alcuna attenzione alle cause dell'esodo stesso, accomunando le persone che fuggono da persecuzioni, da conflitti interetnici, da violenze politiche, da catastrofi ecologiche, dalla guerra o addirittura dalla miseria. Utilizzando la nozione di r. in quest'accezione generica si finisce con l'assimilare categorie diverse di persone che condividono fra loro solo alcune caratteristiche.
L'immigrato, a differenza del r., lascia il proprio paese per motivazioni economiche e/o personali senza alcuna preclusione al ritorno. Una categoria che si colloca tra il concetto di immigrato e il concetto di r. è la categoria degli sfollati: si tratta di persone che sono "costrette ad abbandonare il luogo abituale di residenza e i propri beni a causa di eventi bellici o di disordini", così come è precisato nella direttiva della Presidenza del Consiglio dell'aprile 1994. Un'altra figura che viene spesso confusa con quella del r. è la figura dell'apolide, il cui status giuridico è regolato dalla Convenzione di New York del 28 settembre 1954. Per apolide si intende una persona che nessuno Stato riconosce come proprio cittadino, anche se questo fatto non assume necessariamente una valenza persecutoria. I r., al contrario, pur perdendo la protezione del proprio governo, non perdono la cittadinanza formale del proprio paese d'origine. In alcuni casi, evidentemente, un apolide può essere nello stesso tempo anche un rifugiato.
La nozione propria di rifugiato è connotata dall'elemento persecutorio su base personale e/o collettiva sempre collegata alle idee politiche, alle convinzioni religiose o all'appartenenza a determinati gruppi etnici, politici o sociali. Secondo il diritto internazionale, il concetto di r. ha un significato molto preciso. L'art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, relativa allo status dei r., designa con questo termine "colui che, a causa di un fondato timore di persecuzione, per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un particolare gruppo sociale od opinione politica, si trova fuori dal paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questi timori, avvalersi della protezione di questo paese".
Il problema dei r. va inserito nel più ampio quadro della tutela dei diritti umani (v. diritti, in questa Appendice). I r., in quanto cittadini di uno Stato che non può o non vuole garantire loro la tutela e il benessere, sono obbligati a fare affidamento sulla protezione internazionale anziché nazionale. Essi beneficiano del principio del non refoulement (non respingimento), che fa divieto agli Stati di rimandarli in paesi in cui la loro sicurezza sarebbe in pericolo. Il diritto internazionale garantisce ai r. il godimento di una serie di diritti economici, sociali e politici, come pure della libertà di circolazione. Il preambolo della Convenzione del 1951 garantisce inoltre ai r. "l'esercizio più ampio possibile" di tutti gli altri diritti fondamentali proclamati nella carta dell'ONU e nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948. I r. sono ovviamente tenuti anche a osservare degli obblighi, in particolare le leggi e i regolamenti del paese che ha concesso loro asilo, e a conformarsi a ogni provvedimento teso al mantenimento dell'ordine pubblico. Nel corso del 20° secolo, e in particolare dopo la fine della Seconda guerra mondiale, notevoli sforzi e risorse sono stati dedicati alla protezione internazionale dei rifugiati. Lo scopo era in primo luogo quello di proteggere la vita e la libertà di persone i cui diritti fondamentali erano in pericolo nel loro paese d'origine, in secondo luogo quello della tutela dei propri interessi, facendo sì che i movimenti di popolazione su larga scala fossero gestiti in modo prevedibile e conforme a principi concordati. Gli Stati che hanno ratificato a tutt'oggi la Convenzione del 1951 o il Protocollo aggiuntivo del 1967 sono 134.
Dimensione numerica
Negli ultimi anni il fenomeno mondiale dei r. ha subito una multiforme evoluzione. Nonostante l'impressione corrente che il fenomeno internazionale dei r. sia in aumento, in realtà il numero dei r. in senso stretto è diminuito, e questo benché la dimensione complessiva degli esodi forzati sia indubbiamente aumentata tra gli anni Ottanta e Novanta. Tale andamento è legato a due fattori principali. In primo luogo, la diminuzione del numero dei r. può essere attribuita a una serie di movimenti di rimpatrio di vaste proporzioni che ha avuto luogo dall'inizio degli anni Novanta. Nel complesso, da quel momento oltre 10 milioni di r. hanno fatto ritorno nel proprio paese (Afghānistān, Cambogia, Mozambico, Ruanda ecc.) volontariamente o per mancanza di alternative. In secondo luogo, negli ultimi anni si è assistito a un significativo aumento del numero delle persone sradicate a causa di persecuzioni e violenze, ma che non hanno attraversato i confini del proprio paese. È evidente che l'aumento dell'esodo interno ha inciso negativamente sulla consistenza numerica del più comune esodo esterno.
Il contesto mondiale della protezione dei r. è molto problematico. In particolare, nell'ultimo decennio sembra registrarsi un deterioramento del livello e della qualità della protezione e dell'assistenza anche nei paesi che, tradizionalmente, hanno adottato le politiche più generose nei confronti dei rifugiati. I principi fondamentali della Convenzione di Ginevra del 1951 e di altri strumenti giuridici relativi ai r. sono ampiamente contestati e addirittura disattesi sia dai paesi industrializzati sia da quelli più poveri. A conferma di ciò sono disponibili anche i dati statistici forniti dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR), secondo cui i r. riconosciuti sono passati da 18,2 milioni nel 1993 a 13,2 milioni nel 1997, sebbene il numero di persone protette e assistite dall'ACNUR sia cresciuto globalmente da 12 milioni nel 1987 a 22 milioni nel 1997 (a favore evidentemente dei r. interni). La comunità internazionale ha reagito a questo mutamento di caratteristiche dell'esodo con un crescente impegno all'interno degli stessi paesi d'origine, fornendo assistenza umanitaria (e se possibile protezione) alle popolazioni esuli in loco.
L'importanza recentemente attribuita a un'azione multilaterale nei paesi d'origine è senz'altro potenzialmente positiva, nel senso che potrebbe contemporaneamente risolvere i problemi dei 'rifugiati interni' e scongiurare nuove situazioni di esodo forzato. Esiste però il rischio che tale concezione della protezione delle popolazioni minacciate sia utilizzata come pretesto per ostacolare l'esodo di persone in pericolo di morte, per limitarne il diritto all'asilo e per farle tornare prematuramente in situazioni rischiose.
I paesi industrializzati dell'Europa, dell'America Settentrionale e l'Australia, a partire dagli anni Ottanta, hanno introdotto una serie di misure che sono specificamente destinate a limitare gli arrivi dei richiedenti asilo sul loro territorio.
I flussi di 'richiedenti asilo': andamento e tendenze
Nell'ultimo decennio, oltre 5 milioni di persone hanno richiesto lo status di r., in Europa occidentale, America Settentrionale, Australia e Giappone. Le reazioni, in termini di accoglienza, non sono state globalmente positive e si sono registrati irrigidimenti vari da parte di paesi tradizionalmente considerati terra d'asilo. Esiste un'evidente contrapposizione fra il diritto delle persone a chiedere e ricevere asilo in un altro paese e il diritto degli Stati a disciplinare l'arrivo e l'ammissione sul proprio territorio dei cittadini stranieri.
L'espressione richiedente asilo designa una persona che richiede ufficialmente lo status di r. in un altro Stato. La categoria dei richiedenti asilo è piuttosto vaga e ambigua perché comprende sia quelle persone che dopo l'esame dei motivi dell'esodo verranno riconosciute come r., sia altre la cui richiesta sarà respinta o che otterranno un permesso di soggiorno di qualche genere, anche se formalmente non sarà loro accordato lo status di rifugiato. Fino al momento in cui la loro domanda non sarà esaminata, tutti i richiedenti asilo vanno considerati 'presunti rifugiati' e pertanto protetti dal principio del non refoulement. I richiedenti asilo per i quali la procedura di accertamento di status è stata ultimata con esito negativo sono invece assoggettati alla normativa in materia di immigrazione vigente nello Stato interessato.
La categoria dei richiedenti asilo risulta inoltre ambigua per la casistica diversa che presenta. Mentre persone che si trasferiscono in un paese confinante accedono in genere automaticamente allo status di r., chi si dirige più lontano spesso viene classificato 'richiedente asilo' e sottoposto alla procedura di accertamento di status. In questa chiave deve essere valutata l'esperienza dei 750.000 Liberiani che, attraversato il confine della Costa d'Avorio e della Guinea, hanno ottenuto automaticamente lo status di r., mentre dei 20.347 Liberiani che hanno inoltrato domanda di asilo fra il 1991 e il 1995 in 15 paesi dell'Europa occidentale solo 214 hanno ottenuto tale status.
Tra il 1985 e il 1995 sono stati registrati nei paesi industrializzati oltre 5 milioni di domande d'asilo. A partire dal 1992 però il numero complessivo di tali domande è notevolmente diminuito.
Per cogliere meglio l'andamento globale delle domande d'asilo, è necessario esaminare le recenti cifre a livello regionale. Per quanto riguarda l'Europa occidentale il loro numero è passato da circa 170.000 nel 1985 a oltre 690.000 nel 1992. A partire dal 1993 l'andamento si è invertito e le cifre sono diminuite, con regolarità, arrivando a circa 250.000 nel 1996. In particolare in Germania si è avuta una punta massima nel 1992 con 438.000 domande presentate, per poi scendere progressivamente negli anni successivi. Il paese continua comunque a ricevere circa la metà delle domande totali in Europa. Per quanto riguarda l'America Settentrionale, il numero delle domande di asilo è in significativa ascesa: da 28.000 nel 1985 a 173.000 nel 1995. Gli Stati Uniti rappresentano l'aliquota maggiore con un aumento da 20.000 nel 1985 a circa 148.000 nel 1995. Fra i maggiori paesi industrializzati, è il Giappone quello che riceve il minor numero di domande d'asilo (per es., circa 150 nel 1996).
Con l'espressione tasso di riconoscimento viene indicata la proporzione dei richiedenti asilo cui viene effettivamente concesso lo status di rifugiato. Nel quinquennio 1991-95, in Europa sono stati presentati circa 2,4 milioni di domande d'asilo, di cui circa 212.000 sono state accolte (11%). Inoltre, il soggiorno per motivi umanitari è stato accordato a una percentuale di persone numericamente analoga, che porta al 20% la percentuale totale dei richiedenti asilo che nello stesso quinquennio ha ottenuto qualche forma di protezione in Europa. In America Settentrionale il tasso di riconoscimento è stato decisamente superiore alla media europea: addirittura il 70% in Canada nel periodo 1994-95 e poco più del 20% negli USA nel corso del 1995.
Naturalmente, quanto sopra indicato riguarda i paesi più industrializzati, ma il fenomeno dei richiedenti asilo e dei r. riguarda quasi tutto il mondo: Angolani in Brasile, Afghani in India, Iraniani in Thailandia e Iracheni in Giordania, solo per riportare alcuni esempi. Con la caduta del regime dell'apartheid anche il Sudafrica è diventato, tra i paesi a basso e medio reddito pro capite, una delle mete più importanti dell'esodo: all'inizio del 1997, presentavano mensilmente domanda d'asilo tra 750 e 1000 persone, provenienti soprattutto dall'Argentina, dall'India, dal Pakistan, dalla Nigeria, dalla Somalia e dal Senegal. Fino al maggio 1997, il Sudafrica aveva un arretrato di circa 13.000 richieste in attesa di istruttoria.
Le misure restrittive in materia di asilo
Dall'inizio degli anni Ottanta, i paesi industrializzati hanno introdotto una vasta gamma di prassi restrittive riguardanti l'arrivo, l'ammissione e i diritti socio-economici delle persone che intendono richiedere lo status di rifugiato. Nel tentativo di incidere direttamente all'origine sul numero di richiedenti asilo, i governi dei paesi industrializzati hanno esteso l'obbligo del visto a tutti i cittadini di quei paesi che producono un numero considerevole di richiedenti asilo e migranti irregolari. Sono state inoltre introdotte sanzioni, sotto forma di ammenda, alle compagnie aeree e di navigazione, responsabili dell'arrivo di passeggeri non in regola con i documenti previsti. Alcuni Stati hanno creato, negli aeroporti internazionali, dei centri d'internamento, sostenendo che le persone bloccate in queste strutture non sono di fatto mai state ammesse sul loro territorio. Più comunemente, alcuni governi hanno introdotto procedure di asilo accelerate e spesso sommarie, con possibilità di ricorso molto ridotte, destinate nella prassi a facilitare l'espulsione dei presunti presentatori di domande d'asilo 'palesemente infondate'.
Il diritto internazionale sui rifugiati
La comunità internazionale ha cominciato ad affrontare il problema dei r. dopo la Prima guerra mondiale. Fu infatti nel 1921 che la Società delle Nazioni istituì l'Ufficio dell'alto commissario per i rifugiati e successivamente l'Ufficio internazionale Nansen per i rifugiati e l'Alto commissario per i rifugiati della Germania. Vennero stipulati anche accordi ad hoc, come quello sui r. russi e armeni (12 maggio 1926 e 30 giugno 1928), sui r. spagnoli (28 ottobre 1933), sui r. tedeschi (10 febbraio 1938), sui r. austriaci (14 settembre 1939). La Società delle Nazioni definiva i r. come "determinati gruppi di persone che potrebbero essere in pericolo in caso di ritorno nel paese d'origine". In quegli anni evidentemente l'approccio al problema dei r. era quello di affrontare le emergenze specifiche di un determinato gruppo nazionale.
Le cose cambiarono alla fine della Seconda guerra mondiale, quando il problema dei r. si evidenziò in tutta la sua complessità e portata universale. In quel periodo oltre 10 milioni di persone erano in fuga. Nel 1944 fu creata l'UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration). Nel 1946 nacque l'IRO (International Refugee Organization) nel cui statuto per la prima volta lo status di r. viene collegato al principio del rispetto dei diritti umani. Infine, nel 1949 fu istituita l'UNRWA (United Nations Relief and Works Agency).
Tuttavia le organizzazioni internazionali non potevano fronteggiare in modo globale il problema dei r., occupandosi per lo più di questioni particolari. A tal fine nel 1950, all'indomani della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, venne istituito dall'Assemblea generale dell'ONU l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR), o United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), con il mandato universale sia della protezione dei r., sia della ricerca di soluzioni definitive ai loro problemi.
Nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che fu adottata con la Risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite nr. 217A (iii) del 10 dic. 1948, sono contenuti diversi riferimenti al trattamento riservato agli stranieri e ai r., in particolare negli articoli 9, 13 e 14; quest'ultimo cita testualmente: "Ogni individuo ha diritto di cercare e ottenere asilo dalle persecuzioni".
La Convenzione di Ginevra. Una trattazione organica e specifica delle problematiche relative ai diritti dei r. si raggiunse soltanto con la Convenzione di Ginevra, il cui testo definitivo fu adottato il 28 luglio 1951 nell'ambito della Conferenza di Ginevra dei plenipotenziari delle Nazioni Unite, cui parteciparono i rappresentanti di 28 paesi. La Convenzione di Ginevra rappresenta una vera e propria Magna Charta del diritto dei r., stabilendo anche, per la prima volta, una definizione universale di rifugiato (v. sopra).
Le disposizioni contenute nella Convenzione appartengono a tre differenti tipologie: disposizioni che forniscono una definizione generale dei soggetti che hanno diritto allo status di r. (clausole di inclusione), dei soggetti che hanno perso il diritto allo status a causa di cambiamenti obiettivi sopravvenuti nel paese d'origine o comportamenti contrastanti lo spirito della Convenzione (clausole di cessazione) e, infine, di quei soggetti che pur rientrando nella definizione di r. non meritano la protezione internazionale (clausole di esclusione); disposizioni che riguardano i diritti e i doveri e più specificamente lo status giuridico dei r.; disposizioni che riguardano l'applicazione degli strumenti dal punto di vista amministrativo e diplomatico.
Tra le clausole di inclusione nella Convenzione è previsto "il fondato timore di persecuzioni". Il r., in sede di domanda di riconoscimento dello status di r., deve dimostrare motivi validi che giustifichino il suo timore; la persecuzione dev'essere comunque motivata da opinioni politiche, religiose, di razza, nazionalità o appartenenza a un determinato gruppo etnico o sociale. È prevista la possibilità di richiesta di asilo anche nel caso in cui le ragioni a suo sostegno si siano verificate o si verifichino in un momento successivo all'espatrio. In questo caso si parla di r. sur place. Tra le clausole di cessazione c'è principalmente quella riguardante la persona che abbia usufruito nuovamente e volontariamente della protezione del paese di cui è cittadina, o abbia acquistato una nuova cittadinanza o sia tornata volontariamente nel paese che aveva lasciato a causa delle persecuzioni. Rientrano nelle clausole di esclusione le persone che abbiano commesso un crimine di guerra o contro l'umanità o che si siano rese responsabili di atti contrari ai fini e ai principi delle Nazioni Unite. L'art. 2 della Convenzione si richiama ai doveri che il r. ha nei confronti delle leggi e dei regolamenti del paese ospitante; l'art. 3 impone agli Stati contraenti la non discriminazione in base alla religione, alla razza o al paese d'origine; l'art. 4 garantisce, per quanto riguarda la religione, l'equiparazione nel trattamento ai cittadini del paese ospitante. Di grande importanza sono anche gli artt. 17 e 18 che disciplinano le attività lavorative dei r., stabilendo per l'impiego dei r. il trattamento più favorevole riservato al cittadino di un paese straniero. L'art. 21 sancisce il principio della non punibilità delle irregolarità di ingresso e soggiorno per i r. provenienti direttamente dal paese di persecuzione, purché si presentino immediatamente alle autorità esponendo i motivi del loro ingresso e permanenza irregolari. L'art. 32 prevede che gli Stati contraenti non possano espellere i r. residenti sul loro territorio se non per ragioni di sicurezza nazionale e di ordine pubblico. L'art. 33 proibisce categoricamente l'espulsione o il respingimento di un r. alle frontiere di paesi dove egli rischia la persecuzione. Sono contemplate eccezioni a tale proibizione solo nel caso in cui il r. costituisca un pericolo per la sicurezza del paese ospite o sia stato condannato per reati così gravi da essere considerato una minaccia per la comunità. Il principio di non refoulement è uno dei punti fondamentali all'interno del sistema di protezione internazionale del r. ed è stato più volte affermato dall'Assemblea generale dell'ONU.
L'ACNUR è l'organismo preposto al controllo della corretta applicazione della Convenzione, in accordo e cooperazione con gli Stati contraenti. La Convenzione di Ginevra era originariamente soggetta a una limitazione temporale che è stata eliminata nel Protocollo di New York del 31 gennaio 1967; non aveva più senso, infatti, circoscrivere il fenomeno dei r. unicamente alla situazione originata dalla Seconda guerra mondiale. Tutti gli Stati firmatari della Convenzione del 1951, a eccezione di quattro, hanno successivamente aderito al Protocollo aggiuntivo. Inizialmente, gli Stati contraenti avevano la facoltà di limitare l'applicazione della Convenzione ai soli r. di provenienza europea; nella maggior parte dei casi, anche questa limitazione geografica è stata successivamente ritirata. Esiste poi una serie di strumenti legislativi in materia di r., che hanno un carattere regionale.
La Convenzione sui r. dell'Organizzazione dell'unità africana (OUA) elaborata nel 1969, in risposta alle crescenti dimensioni del problema dei r. in Africa durante il periodo della decolonizzazione e della liberazione nazionale, ha formalizzato una concezione estensiva della definizione di rifugiato. Il termine rifugiato secondo la Convenzione dell'OUA "si applica a ogni persona che, a causa di un'aggressione esterna, un'occupazione, una dominazione straniera o di avvenimenti gravemente perturbatori dell'ordine pubblico, in una parte o in tutto il paese d'origine o di cittadinanza, è costretta ad abbandonare il proprio domicilio abituale, al fine di cercare rifugio in un'altra località, al di fuori del paese d'origine o di cittadinanza".
In America centromeridionale altri strumenti regionali sono in linea con questa impostazione, ponendo l'accento soprattutto sulle condizioni obiettive di violenza e caos esistenti nel paese d'origine. La Dichiarazione di Cartagena sui r. (Colombia 1984) riconosce formalmente per la prima volta che la violazione massiccia dei diritti dell'uomo costituisce un valido criterio giuridico per l'ottenimento dello status di r., e inoltre prevede la possibilità di concedere l'asilo temporaneo in concomitanza con esodi di massa.
La legislazione europea. Le convenzioni di Schengen e di Dublino, e il trattato di Maastricht. In Europa non esiste una normativa organica come quella scaturita dalla Convenzione dell'OUA. I ripetuti tentativi del Consiglio d'Europa e del Parlamento europeo in direzione di un accordo europeo sull'estensione del concetto di r. non hanno avuto risultati positivi, anche se quasi tutti gli Stati europei hanno introdotto, a livello nazionale, provvedimenti più o meno eccezionali per la protezione dei r. 'di fatto'.
Nell'ultimo decennio l'Europa si è impegnata nell'armonizzazione delle varie politiche d'asilo degli Stati membri, al fine di realizzare le condizioni per la libera circolazione di persone nel territorio comunitario. Sia la Convenzione di Schengen, del 19 giugno 1990, sia la Convenzione di Dublino, del 15 giugno 1990, trattano di protezione dei r., limitatamente però a quei r. contemplati dalla definizione della Convenzione del 1951. In queste recenti Convenzioni si tenta essenzialmente di definire e regolamentare le reciproche competenze e responsabilità in ordine all'ammissione alla procedura d'asilo dei diversi richiedenti. La Convenzione di Dublino, firmata da 15 Stati membri, è entrata in vigore in 12 Stati dal 1° settembre 1997. La Convenzione di Schengen invece è stata firmata da 9 Stati membri. In Italia la Convenzione è applicata dal 28 ottobre 1997, nonostante la legge di ratifica risalga al 30 settembre 1993 (nr. 388).
Nel Trattato sull'Unione Europea del 1992, la materia dell'asilo è collocata nell'ambito della cooperazione tra gli Stati membri, relativamente agli affari interni e di giustizia, in un'area dove non si configurano competenze legislative degli organi della Comunità. Il processo di armonizzazione viene pertanto perseguito attraverso la cooperazione intergovernativa, in forma di azioni comuni oppure di risoluzioni del Consiglio d'Europa. Negli ultimi anni sono state emesse numerose risoluzioni riguardanti il diritto di asilo e l'ammissione dei r. e dei richiedenti asilo nel territorio dell'Unione. Particolarmente significative sono quelle miranti a limitare progressivamente il diritto di asilo ai soli richiedenti che arrivano direttamente dal loro paese di origine, e a stabilire quali paesi possano essere considerati 'sicuri' nel senso che vi si possano escludere circostanze tali da giustificare una richiesta di asilo.
Di pari passo con il processo di armonizzazione, i vari Stati membri dell'Unione Europea si sono trovati ad affrontare una serie di emergenze che li hanno spinti ad adottare riforme legislative in genere restrittive per quanto riguarda l'accesso alla procedura d'asilo. Si sono inoltre creati nuovi orientamenti per l'accoglienza e la protezione di alcune categorie di persone il cui esodo massiccio era legato di volta in volta a diverse emergenze, quali, per es., i conflitti bellici nelle repubbliche della ex Iugoslavia. Si è pertanto adottato sempre più spesso il concetto di protezione temporanea, raccomandato ai governi dallo stesso ACNUR, che affronta la situazione dei r. di guerra al di fuori dell'ambito della Convenzione di Ginevra (attraverso procedimenti semplificati che prevedono un livello di diritti generalmente più basso di quello previsto dalla Convenzione) e si basa sulla supposizione di un conflitto di durata relativamente breve e sulla connessa prospettiva di rimpatrio dei r. in tempi ravvicinati.
Il trattamento giuridico dei r. di guerra, definiti anche sfollati, si collega alla più vasta questione dei r. 'di fatto'. Sempre più dibattuto si presenta il problema dello status legale di quelle persone che non possono tornare nel paese d'origine perché persistono le condizioni che hanno determinato la fuga: conflitti bellici, guerre civili, occupazioni straniere, situazioni di violenza generalizzata, grave violazione dei diritti umani. Queste persone non rientrano nella definizione di r. prevista dalla Convenzione del 1951, in quanto non perseguitate su base individuale. D'altra parte, motivi umanitari, ma soprattutto precisi obblighi dei governi nell'ambito dei diritti umani, vietano comunque l'espulsione di questi r. 'di fatto'. In molti paesi, i r. 'di fatto' godono almeno di uno status B che assicura comunque una protezione contro l'allontanamento forzato. Il livello dei diritti collegati a questo status (permesso di lavoro, assistenza sanitaria, ricongiungimento familiare) varia molto nei diversi paesi.
La posizione del rifugiato in Italia
Il diritto di asilo nella Costituzione. - Nel capitolo sui Diritti fondamentali, l'Assemblea costituente ha inserito uno specifico riferimento al diritto soggettivo di asilo. L'art. 10, 3° comma, della Costituzione italiana riconosce allo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche, garantite dalla Costituzione stessa, il diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Il dettato costituzionale rimanda pertanto a una normativa specifica. Un testo unificato per i disegni di legge nr. 2425, 203 e 554 in materia di protezione umanitaria e di diritto d'asilo, approvato dal Senato il 5 novembre 1998, è ancora all'esame della Camera dei deputati. In attesa del varo di una legge ordinaria si deve attribuire valore precettivo e non solo programmatico alla norma costituzionale. Di fatto negli anni sono state emesse varie sentenze che hanno confermato l'immediata precettività dell'art. 10, 3° comma.
Tra il 1945 e il 1952, oltre 120.000 r., aiutati prima dall'UNRRA e poi dall'IRO, sono stati temporaneamente accolti in Italia, in attesa di emigrare in paesi di definitiva sistemazione. Dal 1952 al 1982, gli stranieri che richiedevano asilo in Italia sono stati circa 122.300. Fino al 1982, l'Italia continuava a essere considerata un paese di primo asilo per persone provenienti prevalentemente dall'Europa dell'Est e che intendevano raggiungere definitivamente gli Stati Uniti o il Canada. A quegli anni risale l'allestimento dei centri di accoglienza di Trieste, Latina e Capua, ormai definitivamente smantellati. L'ordinamento italiano ha recepito la Convenzione di Ginevra del 1951, con l. 24 luglio 1954 nr. 772. L'Italia ha però allora applicato la Convenzione adottando la limitazione geografica, che è stata conservata anche dopo la successiva ratifica del Protocollo di New York del 1967 (l. 14 febbr. 1970 nr. 95). La diversa origine geografica dei richiedenti asilo dava pertanto adito in Italia a due differenti trattamenti giuridici: i richiedenti asilo di origine extraeuropea non potevano accedere alla procedura d'asilo e al riconoscimento dello status di r. da parte del governo italiano; essi dovevano pertanto far riferimento alla delegazione dell'ACNUR, per ottenere la protezione sotto il mandato di quest'organismo internazionale. Tale mandato non dava diritto al permesso di lavoro né all'assistenza sociosanitaria. I richiedenti asilo di provenienza europea potevano, invece, essere riconosciuti ai sensi della Convenzione di Ginevra e ottenere pertanto i diritti in essa previsti. La loro domanda d'asilo veniva esaminata dalla Commissione paritetica di eleggibilità (CPE) formata congiuntamente da rappresentanti del governo e dell'ACNUR. In alcuni casi il governo italiano ha eccezionalmente fatto decadere il criterio della limitazione geografica, accogliendo come r. gruppi provenienti da paesi extraeuropei, e in particolare dal Chile e dall'Indocina, in riferimento alla Raccomandazione E dell'Atto finale della Conferenza dei plenipotenziari del 1951.
La legge nr. 39 del 1990. - La limitazione geografica è stata definitivamente abolita con l'entrata in vigore del d.l. 30 dic. 1989 nr. 416, convertito nella l. 28 febbr. 1990 nr. 39 (nota come legge Martelli), che poi è stata abrogata con l'entrata in vigore della l. 6 marzo 1998 nr. 40, successivamente confluita nel t. u. 25 luglio 1998 nr. 286. La legge 39/90 trattava in generale la materia dell'immigrazione (v. migrazioni, in questa Appendice), e solo marginalmente parlava d'asilo, rimandando esplicitamente la trattazione di questa materia alla successiva creazione di una normativa specifica che, a dieci anni di distanza, ancora deve vedere la luce. La legge 39/90 non faceva alcun riferimento né all'art.10, 3° comma, della Costituzione, né al termine asilo. Introduceva però dei cambiamenti stabilendo che l'organo preposto a valutare l'istanza fosse la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di r., in sostituzione della Commissione paritetica di eleggibilità, che cessò quindi la sua attività nel marzo 1991. La nuova Commissione era composta da funzionari dei ministeri dell'Interno, degli Affari esteri e della Presidenza del Consiglio, mentre all'ACNUR veniva riservata una funzione consultiva. Attualmente rimane in vigore solo l'art. 1 della legge Martelli, che specifica anche alcune condizioni ostative (4° comma) il cui accertamento compete alle autorità di polizia. Tali condizioni ostative riguardano: un precedente riconoscimento come r. in un altro paese, una precedente condanna in Italia, la presenza di condizioni di applicabilità delle clausole di esclusione previste dall'art. 1 della Convenzione di Ginevra, la permanenza sufficientemente prolungata in un altro Stato, diverso da quello di origine e firmatario della Convenzione di Ginevra. Dopo la presentazione dell'istanza di accesso alla procedura, la Questura rilascia al richiedente asilo un permesso di soggiorno provvisorio e invia l'istanza alla Commissione centrale, che ha il compito di giudicare, dopo un'audizione personale con il richiedente, se esistono le condizioni per il riconoscimento dello status. In caso di diniego da parte della Commissione centrale è ammesso il ricorso al Tribunale amministrativo regionale (TAR) e in seconda istanza al Consiglio di Stato. Il richiedente asilo ha diritto a un contributo di prima assistenza per un periodo massimo di 45 giorni (d.p.r. 24 luglio 1990 nr. 237) ma non ha alcun diritto in termini di lavoro o studio. Solo al conferimento dello status di r. viene rilasciato un permesso di soggiorno regolare della durata di 2 anni, rinnovabile, che prevede il permesso di lavoro e studio. Il r. beneficia di tutti i diritti e le garanzie previsti dalla Convenzione del 1951, in materia sia di assistenza sociosanitaria sia di accesso agli studi superiori. Su richiesta, il r. può ottenere il rilascio, ai sensi dell'art. 28 della Convenzione di Ginevra, di un documento di viaggio che sostituisce il passaporto nazionale, consegnato in Questura all'atto della domanda di asilo. Il numero dei r. e dei richiedenti asilo in Italia è sempre stato piuttosto basso e molto al di sotto degli altri paesi europei (v. anche migrazioni, in questa Appendice). È stato calcolato che negli ultimi 15 anni il numero dei richiedenti asilo si è aggirato su una media di circa 2000 casi l'anno, mentre il numero di riconoscimenti non supera i 300 annui.
I rifugiati 'di fatto' in Italia. - Le emergenze più significative in termini di improvviso e massiccio arrivo di r. si sono verificate negli ultimi dieci anni e sono state fronteggiate con strumenti legislativi ad hoc, al di fuori delle leggi 39/90 e 40/98. In particolare l'afflusso di r. in Italia si è verificato in coincidenza delle due crisi in Albania (1991 e 1997), di quella somala e di quelle nell'area balcanica. Si calcola che oltre 20.000 Albanesi, 8000 Somali e 97.000 ex Iugoslavi (di cui 34.000 Kosovari) abbiano usufruito negli ultimi dieci anni di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Per i cittadini somali il decreto del Ministero degli Affari esteri del 9 sett. 1992 ha stabilito la possibilità del rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo, valido anche per lavoro e studio, della durata di un anno, rinnovabile finché perdurano le condizioni di impedimento al rimpatrio. Per quanto riguarda i cittadini della ex Iugoslavia, la l. 24 sett. 1992 nr. 390 ("Interventi straordinari di carattere umanitario a favore degli sfollati delle Repubbliche sorte nei territori della ex Iugoslavia") prevede interventi diretti di accoglienza e di assistenza, senza alcuna discriminazione su base etnica o religiosa. Infine, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha emesso un'ordinanza (11 maggio 1999 nr. 2981) che prevede disposizioni urgenti per assicurare l'assistenza alle popolazioni coinvolte nella crisi in atto nell'area balcanica. In realtà non esiste ancora una legislazione nazionale che affronti la situazione dei r. di fatto in modo globale e che dia un'indicazione valida per future emergenze del genere; tuttavia, un punto importante era già stato stabilito dall'art. 7 10° co. della l. 39/90, dove è garantita la protezione contro l'espulsione a tutti quegli stranieri che si trovino in circostanze tali da poter essere assimilati ai r. di fatto, ed è stato poi ribadito ed esteso nell'art. 19 del d. legisl. nr. 286 del 1998. In tal modo veniva garantito anche a questa categoria di r. il principio del non refoulement.
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