In caso di mancato pagamento, o di pagamento ritardato della retribuzione, il lavoratore può ricorrere al Tribunale del lavoro. In alternativa all’azione giudiziaria proposta dal dipendente, la riforma delle ispezioni sul lavoro introdotta dal d. lgs. n. 124/2004 ha individuato procedure più celeri, come la conciliazione monocratica e la diffida. Dai crediti retributivi scaturisce l’obbligo, per il datore di lavoro, di corrispondere la rivalutazione monetaria dovuta, ai sensi dell’art. 429, co. 3, c.p.c., in base agli indici ISTAT, e gli interessi calcolati in base al tasso legale. Con l’art. 22, co. 36, della l. n. 724/1994 era stato previsto che, una volta calcolati gli interessi legali sui crediti di natura retributiva, pensionistica e assistenziale, fosse possibile aggiungere la quota di rivalutazione monetaria soltanto se la stessa eccedeva l’importo degli interessi, escludendo il cumulo fra i due istituti. La sent. n. 459/2000 della Corte costituzionale ha però dichiarato illegittimo il suddetto articolo di legge, nella parte in cui non riconosce la cumulabilità fra interessi e rivalutazione monetaria nei rapporti di lavoro privato. Dal 1° gennaio 1995, pertanto, sui crediti retributivi vantati dal lavoratore subordinato nei confronti del datore di lavoro privato possono applicarsi sia gli interessi legali, sia la rivalutazione monetaria. Tali previsioni non esauriscono però la tutela risarcitoria accordata al lavoratore, che, assolto il relativo onere probatorio, può pretendere la rifusione del maggior danno eventualmente derivatogli. I contratti collettivi possono inoltre disporre ulteriori garanzie a favore dei dipendenti, quale la maggiorazione del tasso di interesse dovuto dal datore di lavoro per la mora. La contrattazione collettiva, al contrario, presenta molte volte un onere di reclamo a carico del lavoratore; incombenza, questa, da esperire nei confronti del datore di lavoro entro un breve termine, pena la decadenza del diritto vantato. Tali clausole sono da ritenersi valide qualora si riferiscano a diritti attribuiti dal contratto collettivo medesimo. Costituisce un limite a questa previsione l’impossibilità di apporre termini di decadenza contrattuale che rendano eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto (art. 2965 c.c.).
Contratti collettivi di lavoro