Marcello I, santo
Il Liber pontificalis, unica fonte su di lui, lo dice di origine romana, ma nella sua prima redazione lo dichiara figlio di un Marcello (I, pp. 72-3), nella seconda invece di Benedetto, "de regione Via Lata". Poiché i dati su papa M. sono molto scarsi, e il suo nome è assente in molte fonti, alcuni studiosi hanno pensato che un papa con questo nome non sia mai esistito. M., secondo Th. Mommsen, sarebbe stato un semplice presbitero che avrebbe retto la comunità romana durante la vacanza della sede dopo la morte di papa Marcellino e prima della elezione di Eusebio (cfr. Eusebio, santo), pertanto non sarebbe stato veramente vescovo di Roma, ma avrebbe svolto solo le funzioni di reggente, come era già avvenuto con Novaziano dopo la persecuzione di Decio, quando era difficile eleggere un vescovo. Per questa ragione il suo nome sarebbe stato incluso nel Catalogo Liberiano, poi inserito nel Cronografo del 354. La tesi di Mommsen viene accettata, con toni diversi, da E.H. Röttges e da V. Monachino. Chi comunque nega l'episcopato di M. non nega la sua esistenza bensì solo il suo ruolo di vescovo di Roma. Un presbitero di nome Marcello inoltre, e non papa M., sarebbe il fondatore del cimitero di Novella e sarebbe all'origine del "titulus Marcelli". Le ragioni che militano contro l'esistenza di un papa M. sono diverse.
Eusebio di Cesarea, nel Chronicon, era arrivato fino a papa Marcellino, come ventottesimo vescovo di Roma; Girolamo, nella sua traduzione e continuazione fino al 378 dell'opera eusebiana, omette il nome di M., e considera come ventinovesimo vescovo Eusebio (Chronicon, a cura di R. Helm, Berlin 1956 [Die Griechischen Christlichen Schriftsteller, 47], p. 228). Molte liste posteriori, in quanto dipendono da Girolamo, non hanno il nome di Marcello. Così il Chronicon di Prospero di Aquitania, che a Marcellino, vescovo per otto anni, fa succedere Eusebio, vescovo per sette mesi. Nella lista di Ottato di Milevi si ha il seguente ordine: "Felici [successit] Marcellinus, Marcellino Eusebius, Eusebio Miltiades, Miltiadi Sylvester" (Contra Parmenianum Donatistam 2, 3, a cura di S. Lancel, Paris 1995 [Sources Chrétiennes, 412], p. 246). Perciò anche Ottato omette il nome di Marcello. Invece la lista di Agostino include i due pontefici: "Gaio [successit] Marcellinus, Marcellino Marcellus, Marcello Eusebius, Eusebio Sylvester" (ep. 53, 1, 2). È vero che alcuni manoscritti omettono l'espressione: "Marcellinus, Marcellino"; ma tale espressione probabilmente era caduta per errore di un copista, perché in altri testi agostiniani erano inclusi tutti e due i nomi (per esempio in Contra litteras Petiliani libri III II, 202). Pertanto Agostino usava una lista che includeva ambedue i nomi. In Oriente Teodoreto di Ciro nella sua storia non nomina papa M., mentre apprezza Marcellino che "si era nobilmente distinto durante la persecuzione" (Historia ecclesiastica I, 3, 1, in P.G., LXXXII, col. 885). Invece in altre liste orientali il nome di Marcellino è omesso oppure è confuso con M. come in Teofane (P.G., CIX, col. 66; CXI, col. 1000; cfr. Le Liber pontificalis, I, pp. XII, 34-41).
Il Catalogo Liberiano, già citato, distingue i due personaggi, Marcellino e Marcello. Di contro il cosiddetto Index (cfr. Le Liber pontificalis, III, pp. 6-7), un altro antico catalogo di vescovi romani, da cui dipendono le liste papali occidentali dei secoli dal V al VII, riporta solo Marcello. Perciò tutti questi cataloghi, eccetto quello di Laon, hanno solo M. ed omettono Marcellino (cfr. ibid., I, pp. 14-33). Talvolta gli studiosi operano una scelta tra questi due documenti di base; Mommsen, pur preferendo l'Index, accetta il papato del solo Marcellino, della cui esistenza non si può dubitare, ipotizzando che per corruzione del testo venga riportato sotto il nome di Marcello. Altri, come G.B. de Rossi e L. Duchesne, seguono la distinzione del Catalogo Liberiano e sostengono che i nomi dei due personaggi dovevano essere anche nell'Index, dove quello di Marcellino sarebbe caduto per l'errore di qualche copista. Un'altra importante difficoltà proviene dalla Depositio episcoporum del 336 circa, inserita nel Cronografo del 354, la quale colloca al 15 gennaio la commemorazione di Marcellino ("Marcellini, in Priscillae", in Chronica minora [saec. IV, V, VI, VII], in M.G.H., Auctores antiquissimi, IX, 1, a cura di Th. Mommsen, 1892, p. 70), ma non include nella lista Marcello. Invece il Martyrologium Hieronymianum, in tutta la sua tradizione manoscritta, colloca al 16 gennaio la deposizione di papa M. a Priscilla. Anche altre fonti, come i sacramentari e il Liber pontificalis (I, p. 164), hanno la data del 16 gennaio per la depositio di papa Marcello. Anzi quest'ultimo, sulla base di leggende posteriori e della tradizione romana, precisa che la matrona Lucina avrebbe raccolto il suo corpo e lo avrebbe seppellito il 16 gennaio ("XVII kalendae februarii") nel cimitero di Priscilla. Convinti da queste testimonianze, Duchesne (cfr. La nouvelle édition, pp. 389-92), J.-P. Kirsch e H. Delehaye pensano che nella Depositio episcoporum si sia introdotto un errore di trascrizione, e che quindi si debba posticipare di un giorno, dal 15 gennaio al 16, e correggere "Marcellini" in "Marcelli" in quanto il testo indicherebbe la stessa persona e la stessa commemorazione nel medesimo luogo. E.B. Schaefer analizza le fonti di questa confusione, per cui si dovrebbe concludere che sia la Depositio che il Martyrologium Hieronymianum indichino lo stesso personaggio. V. Saxer invece suggerisce che il Martyrologium Hieronymianum abbia confuso Marcello di Die, morto il 17 gennaio, con M. papa, collocandolo al 16 gennaio, ma questa opinione non è verificabile. Un'ultima obiezione all'esistenza di papa M.: i due papi sono stati sepolti nello stesso cimitero di Priscilla, sulla Salaria; anzi non si potrebbe provare l'esistenza di due tombe distinte (cfr. E.C., VIII, col. 17). Ma questa ultima tesi è smentita dalle fonti antiche, che collocano i due sepolcri in luoghi distinti e ben precisi: Marcellino sottoterra vicino al martire Crescenzione, nel "cubiculum clarum" (così alcuni manoscritti), e M. invece nella basilica superiore di S. Silvestro, secondo la Notitia ecclesiarum, della metà del sec. VII (Codice topografico, p. 77). Questo documento dice che "in spelunca" c'era Crescenzione, ma non nomina Marcellino. Allo stesso periodo risale anche il De locis sanctis martyrum; questo testo, molto conciso e spesso confuso, colloca nella stessa località, con gli altri martiri e santi, M. e Marcellino (Codice topografico, pp. 116 s.). Poiché M. stava nella basilica aperta a tutti e più visibile ebbe maggior culto. Anzi la presenza del corpo nella basilica le dava lustro ed essa veniva designata "ad sanctum Marcellum".
La tradizione sepolcrale, e soprattutto il Catalogo Liberiano, composto solo qualche decennio dopo la morte di M., e papa Damaso, che dedica a M. un epitaffio (del quale si parla più avanti) collocato accanto alla sua tomba nella chiesa di S. Silvestro nel cimitero di Priscilla, non possono essersi inventati un vescovo di Roma in tempi così vicini agli avvenimenti narrati. Anzi Damaso afferma esplicitamente di essersi documentato. Per altro A. Amore, che pur difende l'esistenza dell'episcopato di M., pensa che l'epitaffio non si riferisca al vescovo romano, ma a qualche altro vescovo di altra sede non nominata. Altri, per non accettare la testimonianza damasiana, hanno pensato che l'epitaffio potesse riferirsi a papa Marcellino. Questa opinione non è sostenibile, perché il suo contenuto non si può applicare minimamente a Marcellino, deceduto nel 304, in quanto le lotte sorte per la reintegrazione di quanti avevano ceduto nella persecuzione (lapsi), potevano essersi avute solo dopo la fine della persecuzione e il ritorno della pace esterna, avvenuta dal 306 in poi con l'imperatore Massenzio. La consegna delle Scritture e di oggetti sacri (traditio) era in Occidente considerata normalmente come un'apostasia; il traditor non poteva essere ammesso agli ordini (concilio di Arles del 314, canone 13). Del resto i donatisti, per svalutare la sentenza emessa contro di loro a Roma nel 313, prima avevano accusato papa Milziade, e in un secondo tempo la lista di quelli che a Roma avevano bruciato incenso (turificatio) e consegnato le Scritture (traditio) era diventata ancora più ampia. I donatisti accusavano infatti non solo Marcellino, ma anche i suoi presbiteri M., Milziade e Silvestro, futuri papi (Agostino, De unico baptismo contra Petilianum liber 16, 27 [opera probabilmente scritta nel 410]: qui si nomina esplicitamente anche M.). Nella conferenza di Cartagine del 411 i donatisti dissero che Milziade era "tertium episcopum" dopo colui che era stato vescovo a Roma durante la persecuzione, cioè Marcellino; quindi nella lista era incluso anche M. (cfr. Agostino, Breviculus collationis cum Donatistis III, 18, 34). Pertanto non solo Agostino conosceva l'esistenza dei due papi come personaggi distinti, ma anche i donatisti, e proprio questi nella conferenza di Cartagine del 411 produssero verbali i quali mostravano che alcuni chierici romani erano stati traditores (ibid. III, 18, 34-5). Il Liber pontificalis raccoglie l'accusa di apostasia nei confronti di Marcellino, ma non per M., che non solo aveva provveduto alla sepoltura di quello, ma aveva scongiurato Marcellino, secondo il testo di alcuni codici, di non eseguire i comandi dell'imperatore Diocleziano (I, p. CCIX). Questo evidentemente al fine di confutare qualche influsso della posizione donatista.
Perché tanto ritardo nella elezione del successore di papa Marcellino? Si faccia un passo indietro: il Liber pontificalis afferma che, dopo la morte di quest'ultimo, la Sede romana era restata vacante sette anni, tre mesi e venticinque giorni (I, p. 162), a causa della persecuzione dioclezianea. Pertanto secondo tale cronologia il suo successore, papa M., sarebbe stato eletto nel 311. Questo contraddice però quanto lo stesso Liber scrive invece proprio a proposito di papa M.: "fuit autem temporibus Maxenti, a consulatu Maxentio III et Maximo usque post consulatum" (I, p. 164). Questa datazione nella sua prima parte è esatta, ma nella seconda, senza costrutto, è una errata trascrizione del Catalogo Liberiano e pertanto inservibile.
Secondo il Catalogo Liberiano, invece, il successore venne eletto quattro anni dopo: "Marcellus annum unum m. VI d. XX fuit temporibus Maxenti, a cons. [Diocleziano] X et Maximiano [Galerio Massimiano, anno 308] usque post consulatum X et septimum [309]" (Chronica minora, p. 76; cfr. R.S. Bagnall, p. 150). Le date consolari del documento sono una precisazione dell'autore del Catalogo e sono espresse secondo la forma costantiniana e non secondo quella in vigore a Roma nel 308 al tempo di Massenzio. Galerio, per contrastare la crisi di autorità dei tetrarchi, aveva infatti attribuito il consolato nel 308 a Diocleziano, ormai in ritiro, e a se stesso; perciò a Roma, dove regnava Massenzio, l'anno 308 non venne indicato, come altrove nell'Impero romano, con i due nomi dei consoli, ma inizialmente senza alcun nome e dal 20 aprile con quelli di Massenzio e di suo figlio Valerio Romolo: i due nomi vennero ripetuti l'anno successivo (cfr. R.S. Bagnall, p. 150). L'autore del Catalogo, scrivendo a Roma nel 336 circa, normalizza il sistema di datazione o lo rende comprensibile per altri lettori. Nonostante questa datazione precisa, tuttavia l'anno della elezione di M. è molto controverso. Per lo più viene considerato il 307 oppure il 308; H. von Schoenebeck (p. 5) e T.D. Barnes (p. 38) collocano l'elezione al 306, tra novembre e dicembre. Inoltre T.D. Barnes (pp. 38 e 304) pensa che M. sia morto nel 308, tuttavia non esclude la data del 309 o del 310, seguendo E. Schwartz e L. Duchesne. Il 306, come data di elezione di M., è molto probabile (anche il 307), se si ammette, tra le varie ipotesi, che Eusebio, successore di M., sia stato eletto il 18 aprile del 308, come indicato dal Catalogo Liberiano. Poiché le ordinazioni avvenivano di domenica, l'anno adatto per l'elezione di Eusebio è solo il 308, mentre il 18 aprile del 309 fu un lunedì dopo Pasqua, e quello del 310 un martedì. Questo ragionamento è valido se si accetta, come indica il Catalogo Liberiano, come data di ordinazione il 18 aprile ("XIII kalendas Maii"), data per altro non totalmente sicura. Se invece si tiene presente il riferimento ai consoli del 308 e del 309, M. fu vescovo di Roma in questi due anni e morì il 16 gennaio del 309, o meno probabilmente nel 310. Ogni datazione deve comunque supporre che ci sia qualche errore nelle fonti. Quella consolare apparirebbe la più circostanziata, pur con elementi contrastanti, e può costituire il riferimento più affidabile su cui stabilire le altre date.
Vi fu dunque una lunga vacanza episcopale: come sosteneva Mommsen, ma negandogli l'episcopato, M. avrebbe potuto guidare la comunità durante la vacanza della sede. Non sappiamo altro, se non quanto dice Damaso, che dedica a papa M. un epitaffio: "Come guida vera, aveva ammonito i lapsi di piangere i loro crimini; divenne un nemico amarus per i miseri [peccatori]. Per questo sorgono furore, odio, discordia, contestazione, ribellione, uccisione; si distrugge la pace. Per il crimine di uno che aveva rinnegato Cristo in tempo di pace, egli venne esiliato dalla sua patria dalla crudeltà del tiranno. Questi fatti, avendoli verificati, Damaso ha voluto riferire brevemente, perché il popolo possa riconoscere i meriti di Marcello" (Epigrammata Damasiana, a cura di A. Ferrua, In Civitate Vaticana 1942, nr. 40; Inscriptiones latinae christianae veteres, a cura di E. Diehl, I, Berolini 1961², nr. 962, pp. 176-77). Nel penultimo verso Damaso scrive esplicitamente che aveva fatto ricerche ("comperta referre") in proposito; e Damaso sapeva molto della persecuzione romana. In un altro caso riferisce che, da ragazzo, aveva conosciuto e ascoltato chi aveva ucciso il presbitero Marcellino e l'esorcista Pietro (Epigrammata Damasiana, nr. 28), ai quali dedica un epitaffio. L'epitaffio per papa M. è connesso con quello dedicato al suo successore Eusebio, perché l'esilio del papa non aveva risolto la cruenta divisione, che era continuata nell'anno seguente ed oltre. La comunità cristiana di Roma, come anche dell'Africa, viveva ormai in un clima di pace esterna con Massenzio, essendo concluso il periodo della persecuzione. Dopo anni senza un presule la comunità aveva potuto finalmente eleggerne uno, forse il M. presbitero, che aveva raccolto di notte e sepolto il papa Marcellino (Le Liber pontificalis, I, p. 72): questa notizia viene ampliata nella seconda edizione con l'aggiunta che l'azione pietosa fu compiuta insieme con i presbiteri e i diaconi (ibid., p. 162). Ma nasceva la contestazione interna alla comunità, per altro diversa da quella, molto più grave, che si scatenava nella Chiesa africana, dove si poneva il problema della dignità e della innocenza del ministro.
Il 28 ottobre del 306 a Roma Massenzio si proclamò imperatore, mentre l'augusto per l'Occidente era Severo, e Costantino venne riconosciuto da Galerio, il senior Augustus, solo come cesare. Massenzio non seguì la politica religiosa dell'imperatore Severo e soprattutto di Galerio, e sospese la persecuzione (Ottato, Contra Parmenianum Donatistam 1, 18, p. 210; Eusebio, Historia ecclesiastica VIII, 14, 1, a cura di E. Schwartz, Leipzig 1908 [Die Griechischen Christlichen Schriftsteller. Eusebius Werke, II, 2], p. 778; De martyribus Palestinae 13, 12 s., a cura di E. Schwartz, ivi 1908 [Die Griechischen Christlichen Schriftsteller. Eusebius Werke, II, 2], p. 943). In parte era stato preceduto dall'atteggiamento di Costanzo Cloro, padre di Costantino, il quale si era comportato in modo più blando nella persecuzione cruenta attuata dagli altri membri della tetrarchia (cfr. Ottato, Contra Parmenianum Donatistam 1, 22, p. 222). Eusebio arriva a dire che: "Suo figlio [di Massimiano] Massenzio, il quale a Roma si era impossessato del potere, da principio simulò di professare la nostra fede per compiacere e lusingare il popolo romano; e ordinò pertanto ai suoi dipendenti di desistere dal perseguitare i cristiani. Con quella maschera di pietà voleva sembrare benigno e umano rispetto ai suoi predecessori" (Historia ecclesiastica VIII, 14, 1, p. 778). Eusebio di Cesarea, ammiratore di Costantino, si mostra severo nei giudizi verso Massenzio; ma non poteva negare l'opinione diffusa di un suo filocristianesimo, anche se giudicato sospetto e interessato. L'atteggiamento di Massenzio favorevole ai cristiani viene confermato, se l'interpretazione è esatta, dalla emissione al suo tempo di monete che portano l'immagine della croce greca (cfr. D. De Decker, pp. 516 ss.). Tuttavia non si conosce il momento preciso della sospensione della persecuzione da parte di Massenzio, forse il 306.
In ogni caso la comunità romana non aveva ancora il successore di Marcellino, morto il 25 ottobre del 304. Il ritardo di qualche anno nel rimpiazzare il vescovo deceduto non sembra pertanto che si possa addebitare alla situazione politica contraria ai cristiani, che godevano di libertà religiosa e potevano organizzarsi al suo interno. La conseguenza della "grande persecuzione" fu il rilevante numero dei lapsi, che avevano compiuto atti di culto pagano sia per sfuggire alle pene e alla morte sia perché generalmente i magistrati romani cercavano in ogni modo di non farne dei martiri quanto piuttosto di ottenere, con modi blandi, l'apostasia. Una volta finita la persecuzione a Roma e nei territori dipendenti da Massenzio, sorse impellente il problema dei lapsi, che volevano essere reintegrati. Il problema non era solo romano, ma di tutte le comunità, anche se si conoscono meglio le situazioni di Cartagine (lo scisma donatista), di Roma e di Alessandria (lo scisma meliziano).
L'opposizione a M. doveva essere particolarmente consistente, perché in grado di scatenare una feroce ribellione e una guerra fratricida con lotte sanguinose; la comunità romana era divisa in fazioni ("scinditur in partes populus gliscente furore" [Epigrammata Damasiana, nr. 18, v. 3]), come viene detto per la elezione di Eusebio, successore di M.; ma è la stessa divisione, nata qualche tempo prima, che continua per diversi anni. Di frequente una elezione vescovile, anche in tempi normali, dava luogo a contestazioni e a lotte tra i membri di una comunità; non sempre era facile trovare un candidato su cui tutti concordavano. Ora, dopo le sofferenze della persecuzione, gli animi erano più esasperati ed eccitati, quanto avveniva in Africa in quegli stessi anni può fare intuire anche la complessa e delicata situazione romana. "Scinditur in partes populus": da un lato quanti vogliono l'osservanza della disciplina tradizionale e dall'altro quelli che invece aspirano a una pronta reintegrazione nella vita della comunità. Qualcuno, che aveva rinnegato la fede addirittura in tempo di pace, non nominato da Damaso, è l'accusatore di M., probabilmente di fronte alle autorità pubbliche per i disordini. Damaso invece fa il nome di un certo Eraclio, che si opporrà ad Eusebio, successore di Marcello. I "miseri" (ibid., nr. 40, v. 2) non vogliono fare penitenza. Il ricordo era ancora forte al tempo di Damaso, se egli ne parla ben due volte; la sua famiglia era stata testimone della situazione, se non addirittura coinvolta direttamente. Interviene il "tyrannus" Massenzio che per ragioni di ordine pubblico (oppure solo per la pace all'interno della Chiesa?) manda in esilio il vescovo M.; se il suo intervento è per ragioni ecclesiali, esso può considerarsi una intromissione del braccio secolare negli affari disciplinari della Chiesa. Damaso, in questo caso, chiama "tyrannus" Massenzio (ibid., nrr. 18, 40), uso che risale a Costantino, che compie la rescissio actorum del tyrannus, ma non annulla i suoi rescritti (cfr. Codex Theodosianus 15, 14, 3). In ogni caso l'intervento di Massenzio non è un gesto di persecuzione nei riguardi dei cristiani, ma vuole essere un atto di pacificazione pubblica ed ecclesiale. Il Liber pontificalis, che ormai dipende da leggende posteriori, insinua invece il motivo della persecuzione. Costantino farà tanti di questi interventi ecclesiali, e non viene accusato di essere un persecutore. Comunque l'esilio di M. e la sua conseguente morte non riportano la pace nella comunità romana, che continua ad essere divisa anche sotto il suo successore.
Il Liber pontificalis attribuisce a papa M. la costruzione del cimitero di Novella - nome di una matrona romana - sulla Salaria, localizzato di fronte a quello di Priscilla, e nominato anche nei Gesta Liberii (P.L., VIII, col. 1389). Il cimitero di Novella è da identificare forse con il secondo piano della catacomba di Priscilla, accessibile direttamente dal sopratterra; con tale ipotesi si accordano sia la cronologia delle gallerie cimiteriali sia l'impianto ben programmato. Il de Rossi non vi ha trovato nessuna tomba che possa essere anteriore a papa M. (cfr. Le Liber pontificalis, I, p. 165; Dictionnaire d'archéologie chrétienne et de liturgie, XII, Paris 1936, s.v., coll. 1760-61), e quindi deve risalire agli inizi del IV secolo. Inoltre il Liber pontificalis attribuisce a papa M. l'organizzazione della Chiesa romana per rispondere meglio alle esigenze penitenziali e alle conversioni dal paganesimo: suddivide la città in venticinque tituli (circoscrizioni ecclesiali); i loro titolari dovevano avere cura anche dei cimiteri, e pertanto della sepoltura dei defunti. In queste chiese ("quasi diocesis") avvenivano la riconciliazione dei penitenti e l'istruzione prebattesimale di coloro che si convertivano dal paganesimo ("qui convertebantur ex paganis"). Il riferimento alla penitenza è importante, in quanto essa era, come si è visto, il problema scottante del momento.
M., secondo la testimonianza dell'epitaffio di Damaso, muore in esilio, ma non martirizzato; il suo corpo viene riportato a Roma e seppellito nel cimitero di Priscilla, sulla via Salaria, come dice il Martyrologium Hieronymianum: "Romae, via Salaria, in cimiterio Prescillae depos. sci Marcelli papae et conf." (Martyrologium Hieronymianum [...], a cura di G.B. de Rossi-L. Duchesne, in Acta Sanctorum Novembris [...], II, 1, Bruxellis 1894, [9]). Poiché secondo la legge romana non era permessa la traslazione di resti dei defunti, senza permesso dell'autorità (cfr. Plinio, Epistulae 10, 68-69, a cura di L. Lenaz, Milano 1994, pp. 1090-94), se essa è avvenuta prima della vittoria di Costantino a Ponte Milvio, allora è stata autorizzata da Massenzio; non è però da escludere che sia avvenuta al tempo di Silvestro, papa dal 314. Infatti Silvestro fece costruire una basilica sopra la catacomba di Priscilla, e nella basilica furono collocate le ossa di papa M. e più tardi l'epitaffio di Damaso; se fossero state traslate prima sarebbero state collocate sottoterra. Per questo nel VI secolo la catacomba di Priscilla era chiamata "coemeterium Priscillae ad Sanctum Silvestrum". La Notitia ecclesiarum urbis Romae (o Itinerarium di Salisburgo), scritta nella prima della metà del sec. VII, dice che nella chiesa di S. Silvestro, alla destra della tomba di s. Silvestro c'era papa M. accanto alla tomba di papa Celestino (Codice topografico, p. 77); posta vicina alla tomba c'era l'iscrizione di Damaso (cfr. Le Liber pontificalis, I, p. 166). Forse nel corso del sec. IX il suo corpo fu trasferito nella chiesa di S. Marcello in via Lata (via del Corso; per le vicende del suo corpo, cfr. Acta Sanctorum [...], Ianuarii, II, Venetiis 1734, pp. 4 s.). Invece il "titulus Marcelli" risale al IV secolo; infatti "in ecclesia Marcelli" venne ordinato vescovo il presbitero Bonifacio I domenica 29 dicembre 418, secondo la relazione del prefetto di Roma, Simmaco, inviata all'imperatore Onorio (Collectio Avellana, ep. 14, 6, Pragae-Vindobonae-Lipsiae 1885 [Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 35], p. 60; cfr. Le Liber pontificalis, I, p. 228 n. 1). Nel sinodo del 499 sono presenti tre presbiteri del "titulus Marcelli" (M.G.H., Auctores antiquissimi, XII, a cura di Th. Mommsen, 1894, pp. 413 s.). Successivamente, nel corso del VI secolo il Marcello del titulus è stato confuso col papa omonimo, per cui tre presbiteri presenti al sinodo romano del 595 sono del "titulus sancti Marcelli" (M.G.H., Epistolae, I, a cura di P. Ewald-L.M. Hartmann, 1887-91, p. 367). Anche il Sacramentarium Gelasianum, nella versione più antica, parla di una stazione "in natali Sancti Marcelli confessoris", nel giorno 16 gennaio. Questo stesso giorno viene indicato anche dal Martyrologium Hieronymianum e dal Martyrologium Romanum, come pure da altre fonti (Sacramentarium Gregorianum).
Secondo la ricostruzione di Duchesne, nella prima edizione del Liber pontificalis le notizie erano molto scarne e abbastanza precise: contenevano la durata del suo pontificato, le ordinazioni fatte e la sepoltura (cfr. pp. 1, XCIX). Esse furono ampliate nella seconda edizione del VI secolo, e pertanto dipendono da un testo precedente. Questo documento è una Passio di Ciriaco e compagni (Bibliotheca Hagiographica Latina [...], II, Bruxellis 1900-01, nrr. 5234-39; ibid., Novum Supplementum, a cura di H. Fros, ivi 1986, nr. 5234bis; Acta Sanctorum [...], Ianuarii, II, pp. 10 ss.), risalente alla seconda metà del V secolo, la quale, tra l'altro, narra le vicende di papa M., perseguitato dall'imperatore Massimiano, identificato con il fondatore del titolo omonimo. Lucina, una ricca matrona romana e vedova di Marco, fa donazioni alla Chiesa romana; inoltre essa prega il vescovo M. di consacrare la sua casa, che si trovava in via Lata, come chiesa; qui egli celebrava messa. La chiesa viene trasformata dall'imperatore in una stalla per gli animali (catabulum) del cursus publicus pesante e M. viene condannato da Massimiano come schiavo alla cura degli animali della posta imperiale ("ad animalia catabuli publici": Acta Sanctorum [...], Ianuarii, II, p. 9). L'edificio, collocato dalla Passio nel tratto urbano della via Flaminia, corrisponde alla basilica di S. Marcello al Corso. L'identificazione tra il Marcello fondatore del titulus e il pontefice è senz'altro forzata, anche se l'"ecclesia Marcelli" è già menzionata nel 418, quando in essa venne ordinato vescovo il presbitero Bonifacio I. In un'altra redazione della Passio Massimiano condanna M. per avere difeso i cristiani, ma egli viene liberato dai chierici, per cui Massenzio condanna di nuovo M. al catabulum (ibid., p. 11: "cum publica custodia"); il catabulum si trovava precisamente nelle vicinanze della chiesa in questione. Mentre per la Passio la chiesa viene trasformata in stalla, per il Liber pontificalis il catabulum è un edificio diverso dalla chiesa. Inoltre il Liber pontificalis colloca tutta la vicenda di M. negli anni 308-309, e quindi sotto Massenzio, che lo mette al servizio degli animali. Quando muore, la matrona Lucina provvede alla sepoltura (nella Passio insieme con il presbitero Giovanni) nel cimitero di Priscilla in "Via Salaria veteri" il 16 gennaio. Secondo tutte queste tradizioni M. resta sempre a Roma, senza essere inviato in esilio, come dice invece l'epitaffio damasiano. Le notizie sono riassunte nel Martyrologium Romanum con queste parole: "Romae via Salaria natalis sancti Marcelli papae et martyris, qui ob catholicae fidei confessionem iubente Maxentio tyranno, primo fustibus caesus, deinde ad servitium animalium cum custodia publica deputatus, ibidem serviendo amictu indutus cilicino defunctus est" (Martyrologium Romanum [...], p. 23). Il personaggio di Lucina è conosciuto anche da altre fonti martirologiche romane; nel 366 Damaso venne eletto nel "titulus in Lucinae", titolo menzionato anche da un testo contemporaneo, il Libellus precum di Faustino e Marcellino. La tradizione apocrifa attribuisce a M. anche due lettere (Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé-G. Watten-bach-S. Loewenfeld-F. Kaltenbrunner-P. Ewald, I, Lipsiae 1885, nrr. 160-62; P.L., VI, coll. 1091-100); la prima, diretta ai vescovi antiocheni, ribadisce, come molti altri testi successivi, che i "negotia ecclesiastica maiora" devono essere trattati dalla Sede apostolica. La seconda è diretta all'imperatore Massenzio per ammonirlo a non perseguitare i cristiani: in questo testo è stato interpolato un brano che riguarda il sinodo dei vescovi. Va notato che le due lettere sono datate con precisa indicazione consolare al 309 e sembrano pertanto tener conto della datazione del Catalogo Liberiano.
La memoria liturgica di M. viene celebrata il 16 gennaio, anche se dal 1971 non è più indicata nel Calendarium Romanum.
fonti e bibliografia
Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. XII, XCIX-C, CCIX, 1, 14-33, 34-41, 72-3, 162, 164-66, 228; III, a cura di C. Vogel, ivi 1957, pp. 6-7, 76.
Liber pontificalis, pars prior, in M.G.H., Gesta Pontificum Romanorum, I, a cura di Th. Mommsen, 1898, pp. LIII-LV.
Teodoreto, Historia ecclesiastica, I, a cura di L. Parmentier, Leipzig 1911 (Die Griechischen Christlichen Schriftsteller, 19).
H. Delehaye, Commentarius perpetuus in Martyrologium Hieronymianum [...], in Acta Sanctorum Novembris [...], II, pars posterior, Bruxellis 1931, pp. 42-3.
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