Nome d'arte del pittore Gino Bonichi (Macerata 1904 - Arco 1933). Fu protagonista della cosiddetta scuola romana (o scuola di via Cavour) con M. Mafai, che conobbe nel 1924 e al quale fu unito da profonda amicizia, nutrita dal comune studio dell'arte del passato e delle esperienze contemporanee, estranee al clima ufficiale italiano. Sostanzialmente autodidatta (frequentò per breve tempo la Scuola libera del nudo dell'Accademia), fu vicino a poeti e scrittori, come G. Ungaretti, L. Sinisgalli, E. Falqui che lo invitò, dal 1929, a collaborare con disegni a L'Italia letteraria e che pubblicò postumi i suoi scritti (Le civette gridano, 1938; Carte segrete, 1943; nuova ed. 1982). Collaborò (1931) anche con disegni alla rivista dell'amico M. Mazzacurati, Fronte. Tra il 1928 e il 1931 espose le sue opere alla Casa d'arte Bragaglia, in rassegne ufficiali romane, alla Biennale di Venezia (1930) e nella importante personale (insieme a Mafai), organizzata da P. M. Bardi alla Galleria di Roma (1930): nature morte, visioni della Roma barocca, composizioni fantastiche, immagini tormentate di ritratti, elaborate in un linguaggio di acceso cromatismo, espressione di una sensibilità inquieta che drammaticamente trasfigura la realtà (Il risveglio della bionda sirena, 1929, coll. Mattioli; Meticcia, 1929, Milano, Civico museo d'arte contemporanea; Meretrice romana, 1930, coll. Mattioli; Il cardinale decano, 1930, Roma, Galleria comunale d'arte moderna; Piazza Navona, 1930, e Ritratto di Ungaretti, 1930-31, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna). La prestanza fisica, che lo aveva portato da giovanissimo a promettenti risultati nell'atletica, fu minata nel 1920 da una polmonite, degenerata poi nella tubercolosi che stroncò prematuramente la sua vita, trascorsa (a parte i periodi di ricovero in sanatorio) sempre a Roma, dove si era trasferito con la famiglia nel 1909.