Abstract
Mediante il contratto di somministrazione di lavoro una parte (somministratore) si obbliga, verso il corrispettivo di un prezzo, a fornire ad un’altra (utilizzatore) prestazioni di lavoro periodiche o continuative rese da terzi, senza che tra i lavoratori somministrati e l’utilizzatore si instauri un rapporto di lavoro subordinato. L’istituto, introdotto dal d.lgs. n. 276/2003 (artt. 20-28) e destinatario nel tempo di varie modifiche, da ultimo è stato integramente ridisciplinato dal d.lgs. n. 81/2015 (artt. 30-40) che, abrogando la previgente disciplina del 2003, ha apportato una serie di novità con il duplice intento di incentivarne l’uso come strumento di inserimento lavorativo e di promozione dell’occupazione, ma nello stesso tempo di evitare l’uso fraudolento, vincolandolo all’interno di rigidi obblighi (alcuni derogabili attraverso l’intervento della contrattazione collettiva) a carico sia dell’utilizzatore, sia del somministratore per la cui violazione viene apprestato un corposo apparato sanzionatorio.
Dopo la prima disciplina sulla fornitura di lavoro temporaneo (artt. 1-11 l. 24.6.1997, n. 196), unica possibile ratione temporis, con il d.lgs. 10.9.2003, n. 276 (artt. 20- 28) il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento il contratto di somministrazione di lavoro attraverso cui una parte (somministratore o agenzie per l’impiego) si obbliga, dietro il pagamento di un corrispettivo, a fornire, a tempo determinato o indeterminato, ad un’altra parte (utilizzatore) prestazioni di lavoro periodiche o continuative rese da lavoratori alle proprie dipendenze, senza che tra quest’ultimi e l’utilizzatore si instauri un rapporto di lavoro subordinato.
L’istituto di matrice europea risponde alle istanze provenienti dal lato della domanda di lavoro di fronteggiare variabili esigenze produttive ricorrendo a forme contrattuali flessibili e nello stesso tempo favorisce l’accesso dei lavoratori nel mercato del lavoro con ricadute positive in termini di incremento occupazionale.
Tuttavia, la scissione tra la titolarità formale del rapporto di lavoro (in capo al somministratore) e l’utilizzo in concreto della prestazione di lavoro (da parte dell’utilizzatore) che connota la somministrazione, ha spinto il legislatore a prevedere, nel tempo, svariati obblighi in capo ai soggetti coinvolti onde impedire la realizzazione di decentramenti “fittizi” finalizzati non ad una reale e funzionale segmentazione del processo produttivo, ma a scaricare su terzi la titolarità esclusivamente formale dei rapporti di lavoro, di fatto, reperendo manodopera stabile “a buon mercato”. Non di rado, infatti, il datore di lavoro, al fine di evitare i rilevanti oneri e adempimenti connessi all’instaurazione e alla gestione di rapporti di lavoro subordinato, rinuncia all’inserimento di prestatori di lavoro nella propria organizzazione produttiva, preferendo fare ricorso a servizi e prestazioni esterni alla sua impresa, anziché realizzare un’organizzazione interna.
A volte, quindi, il datore di lavoro persegue l’intento di inserire il prestatore di lavoro nella propria organizzazione produttiva in maniera corrispondente a quella che deriverebbe dall’esercizio del proprio potere direttivo, senza procedere all’assunzione diretta, facendo ricorso proprio allo schema negoziale della somministrazione di lavoro, attraverso cui si combinano perfettamente i due aspetti sopra evidenziati: il ricorso a prestazioni esterne all’impresa con l’esercizio di un potere corrispondente a quello derivante dalla stipulazione del contratto di lavoro subordinato.
L’eccessiva rigidità della disciplina ha però limitato l’operatività dell’istituto tanto che negli ultimi cinque anni, parallelamente alle modifiche sul contratto di lavoro a tempo determinato, si è assistito ad interventi del legislatore sull’assetto normativo delineato dalla Riforma Biagi in tema di somministrazione di lavoro (in particolare a tempo determinato), che hanno introdotto, di volta in volta, ipotesi in presenza delle quali il datore è stato svincolato dall’obbligo di indicazione delle ragioni giustificatrici del ricorso a tale strumento, consentendo, al contempo, ampie deroghe da parte della contrattazione collettiva.
Il processo di liberalizzazione è stato da ultimo completato dal d.lgs. 15.6.2015, n. 81 che, in attuazione alla delega conferita al Governo con l’art. 1, co. 7, l. 10.12.2014, n. 183, ha ritrascritto la disciplina del contratto di somministrazione di lavoro (artt. 30-40) e ha abrogato gli artt. 20-28 del d.lgs. n. 276/2003 (art. 55, lett. d), ad eccezione delle disposizioni concernenti i soggetti autorizzati per i quali ancora rimane in vigore la previgente normativa.
Il contratto di somministrazione di lavoro è definito dall’art. 30 d.lgs. n. 81/2015 come «Il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 276/2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore».
La fattispecie si realizza attraverso la stipulazione di due contratti: un contratto di somministrazione tra agenzia e utilizzatore ed un contratto di lavoro subordinato, alternativamente a termine o a tempo indeterminato, tra agenzia e lavoratore somministrato; in virtù della peculiarità dei contratti intercorsi e del loro collegamento negoziale, si determina un rapporto giuridico produttivo di diritti e obblighi tra utilizzatore e lavoratore somministrato, essendo quest’ultimo dipendente dall’agenzia, ma inserito nella organizzazione produttiva dell’utilizzatore.
In continuità con la previgente disciplina del 2003, l’art. 31, d.lgs. n. 81/2015 conferma la possibilità di stipulare contratti di somministrazione a tempo indeterminato o determinato, disponendo, per l’utilizzo di entrambi, l’eliminazione dei limiti causali e l’assoggettamento a soli limiti quantitativi.
Partendo dalla somministrazione a tempo indeterminato, con l’abrogazione dell’art. 20 d.lgs. n. 276/2003 viene eliminata la condizione di liceità per la quale la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato era ammessa solo per lo svolgimento di alcune attività e servizi elencati al co. 3, che costituivano espressione dei tradizionali fenomeni di segmentazione dell’impresa, oltre che essere la trasposizione delle ipotesi di appalti di cui agli artt. 3 e 5, l. 23.10.1960, n. 1369, abrogati dalla Riforma Biagi. La tassatività dell’elencazione era attenuata dalla possibilità, normativamente contemplata e di fatto concretizzatasi, che i contratti collettivi di lavoro nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, individuassero non soltanto altre attività suscettibili di costituire oggetto di un lecito contratto di somministrazione a tempo indeterminato, ma anche circostanze particolari a fronte delle quali poteva farsi ricorso al contratto, nell’ambito della categoria interessata (art. 20, co. 3, lett. i, d.lgs. n. 276/2003).
La nuova disciplina, invece, elimina qualsiasi richiamo alle attività per le quali si può fare ricorso al contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, preferendo introdurre, come condizione di liceità, la clausola di contingentamento in forza della quale i lavoratori somministrati non possono eccedere il 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipula del predetto contratto, con un arrotondamento dei decimali.
La percentuale legale, tuttavia, trova applicazione in via sussidiaria nel solo caso in cui i contratti collettivi, sia a livello nazionale che aziendale, non ne prevedano una diversa.
Una delle novità rilevanti introdotte dal legislatore delegato è quella contenuta nell’art. 31, co. 1 (ultimo periodo), ove si prevede che possono essere somministrati a tempo indeterminato esclusivamente i lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato. Con tale previsione si impone all’agenzia di somministrazione di assumere a tempo indeterminato il lavoratore da inviare presso l’utilizzatore in forza di un contratto di somministrazione a tempo indeterminato, evitando che se l’utilizzatore manifesta l’esigenza di ottenere la fornitura di manodopera a tempo indeterminato, vi siano continue reiterazioni o proroghe di contratti a termine stipulati dalle agenzie con i lavoratori; dall’altro canto si promuove il contratto a tempo indeterminato che rimane la forma comune di rapporto di lavoro (art. 1, co. 7, d.lgs. n. 81/2015).
Se per la somministrazione a tempo indeterminato il legislatore delegato ha mutuato i limiti di contingentamento previsti per il contratto a termine (art. 23 d.lgs. n. 81/2015), così non ha fatto per la somministrazione di lavoro a tempo determinato, ove si prevede sempre un limite quantitativo, ma la cui definizione è interamente rimessa ai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore. Quindi manca una disciplina legale che sopperisca alla carenza di previsioni collettive, con la conseguenza che ove la contrattazione collettiva non preveda alcuna percentuale di contingentamento, non vi sarà alcun limite quantitativo alla somministrazione di lavoratori a tempo determinato.
Entrambe le norme in tema di contingentamento, inoltre, vanno lette in combinato disposto con l’art. 51 d.lgs n. 81/2015, in cui si è chiarito che «salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria». Si tratta di una scelta in profonda discontinuità con il passato, atteso che, per quanto riguarda la somministrazione a termine, la delega per l’individuazione di limiti di contingentamento era conferita, dall’abrogato art. 20, co. 4, d.lgs. n. 276/2003, esclusivamente ai contratti collettivi nazionali. Ne consegue che oggi è possibile disegnare la disciplina della somministrazione, tanto a termine quanto a tempo indeterminato, interamente nell’ambito del contratto collettivo aziendale, adattandola esattamente alle specifiche esigenze dell’utilizzatore, salva la possibilità che la contrattazione collettiva nazionale trattenga in via esclusiva la competenza in materia; in quest’ultima ipotesi la contrattazione di 2° livello potrà agire in deroga solo ex art. 8, l. 14.9.2011, n. 148.
Rimane, invece, ferma la posizione del legislatore delegato di non prevedere un limite di legge alla successione di contratti di somministrazione a tempo determinato, consentendone addirittura la reiterazione, anche senza soluzione di continuità. Conseguentemente, il periodo massimo dei trentasei mesi costituisce solo un limite alla stipulazione di contratti a tempo determinato e non, invece, al ricorso alla somministrazione di lavoro. Ne deriva che il datore di lavoro, una volta esaurito il periodo massimo per la stipulazione di contratti a termine, può impiegare il medesimo lavoratore ricorrendo alla somministrazione di lavoro a tempo determinato. Non vale invece il contrario in quanto, nel calcolo del limite dei trentasei mesi per la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato, si deve tenere conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, anche nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato (art. 19, co. 2, secondo periodo, d.lgs. n. 81/2015).
È in ogni caso esente da limiti quantitativi la somministrazione di lavoro a tempo determinato di alcune categorie di soggetti elencate all’art. 31, d.lgs. n. 81/2015, in ragione della loro difficoltà ad inserirsi o reinserirsi nel mercato del lavoro. Si tratta: a) dei lavoratori di cui all’art. 8, co. 2, l. 23.7.1993 n. 223 (ormai non più esistenti essendo stata detta norma abrogata); b) di soggetti disoccupati che godono, da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali; c) di lavoratori «svantaggiati» o «molto svantaggiati» così come definiti dal Reg. (UE) n. 651/2014, come individuati con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (d.m. 20.3.2013 recentemente sostituito dal d.m. 17.10.2017).
Tale deroga al limite quantitativo non trova applicazione per la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato.
Invariata rispetto alla previgente disciplina del 2003 è anche la disposizione che pone a carico dell’utilizzatore l’obbligo di informazione nei confronti dei lavoratori somministrati (sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato) dei posti vacanti, anche mediante un avviso generale affisso all’interno dei locali dell’utilizzatore (art. 31, co. 3, d.lgs. n. 81/2015).
È fatto divieto di stipulare un contratto di somministrazione di lavoro nei casi tassativamente elencati dall’art. 32 d.lgs. n. 81/2015: a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; b) presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli artt. 4 e 24, l. n. 223/1991, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione di lavoro, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi; c) presso unità produttive nella quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione di lavoro; d) da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Ai tali divieti può essere affiancata la disposizione dell’art. 31, co. 4, d.lgs. n. 81/2015 che esclude l’applicazione della disciplina della somministrazione a tempo indeterminato nei confronti delle pubbliche amministrazioni le quali, perciò, ai sensi dell’art. 36, co. 2, d.lgs. 30.3.2001, n. 165, possono fare ricorso unicamente alla somministrazione a tempo determinato nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti.
Tra i divieti si annovera altresì la disposizione dell’art. 47, co. 7, d.lgs. n. 81/2015 che esclude la possibilità di utilizzare apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato.
Ai fini della validità del contratto di somministrazione l’art. 33 d.lgs. n. 81/2015 conferma la regola della forma scritta ad substantiam, mentre riduce i requisiti di contenuto previsti dall’abrogato art. 21 d.lgs. n. 276/2003.
Il contratto di somministrazione deve ora contenere: a) gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore; b) il numero dei lavoratori da somministrare; c) la presenza di eventuali rischi per la salute del lavoratore; d) la data di inizio e la durata prevista dal contratto di somministrazione; e) le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e il loro inquadramento; f) il luogo, l’orario e il trattamento economico e normativo dei lavoratori.
Scompaiono invece l’indicazione dei «casi» e delle «ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo», non più necessaria, come visto, per la stipulazione di un contratto di somministrazione a tempo determinato nonché l’obbligo delle parti di recepire il contenuto dei contratti collettivi. Non è più neanche necessario indicare nel contratto e comunicare per iscritto al lavoratore che l’utilizzatore si è impegnato al pagamento diretto delle retribuzioni (e dei contributi qualora a ciò non provvedesse il somministratore, a fronte della mancata riproposizione nel nuovo articolato delle lett. h) e k) dell’art. 21, co. 1, d.lgs. n. 276/2003.
Diversamente le lett. i) e j) dell’art. 21 d.lgs. n. 276/2003 che prevedevano rispettivamente l’assunzione dell’obbligo dell’utilizzatore di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questi effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro nonché di comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili sono ora trasposte nell’art. 33, co. 2, d.lgs. n. 81/2015.
Invariata rispetto al passato è la disposizione che impone al somministratore di comunicare ai lavoratori, o al momento della stipula del contratto o all’atto di invio in missione presso l’utilizzatore, gli elementi essenziali del contratto di somministrazione di cui al co. 1 nonché la data di inizio e la durata prevedibile della missione (art. 33, co. 3, d.lgs. n. 81/2015).
Individuate le regole e le condizioni di liceità per la stipula del contratto (commerciale) di somministrazione (artt. 30-33), il legislatore delegato detta all’art. 34 d.lgs. n. 81/2015 la disciplina del rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore, distinguendo anche in questo caso le assunzioni a tempo indeterminato da quelle a tempo determinato.
Le prime sono assoggettate alla disciplina del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la specificazione che nel contratto di lavoro deve essere indicata la misura dell’indennità mensile di disponibilità (esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo), corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali egli rimane in attesa di essere inviato in missione, nella misura prevista dal contratto collettivo applicabile dal somministratore e comunque non inferiore all’importo fissato con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
In caso di contratto di lavoro a tempo determinato, invece, trova applicazione, per quanto compatibile, la disciplina di cui al Capo III del d.lgs. n. 81/2015 in tema di contratto di lavoro a termine, con espressa esclusione delle disposizioni sulla durata massima di trentasei mesi (art. 19, co. 1-3); sulle proroghe e rinnovi (art. 21); sul numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulabili (art. 23); sui diritti di precedenza (art. 24).
Specificatamente viene stabilito che il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore (art. 34, co.2).
I lavoratori somministrati, inoltre, non sono computati nell’organico dell’utilizzatore ai fini dell’applicazione di normative di legge o di contratto, fatta eccezione per quelle concernenti la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro (art. 34, co. 3).
Importante novità è la previsione di computare nella quota di riserva di cui all’art. 3, l. 12.3.1999, n. 68 i lavoratori disabili somministrati per missioni non inferiori a dodici mesi.
Infine, l’art. 34, co. 4, d.lgs. n. 81/2015 stabilisce che gli artt. 4 e 24, l. n. 223/1991 non trovano applicazione nel caso di cessazione della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, cui si applica, invece, l’art. 3, l. 15.7.1966, n. 604, non dissimilmente da quanto previsto in caso di cambio di appalto.
Alla disciplina della gestione del rapporto di lavoro all’interno del contratto di somministrazione nonché ai diritti riconosciuti ai lavoratori assunti dall’agenzia di somministrazione ed inviati in missione presso l’utilizzatore è dedicato l’art. 35 d.lgs. n. 81/2015.
Al riguardo spiccano le previsioni legate al principio di parità di trattamento, in attuazione della dir. 2008/104/CE (art. 2). A tale principio possono essere ricondotti i co. 1 e 3 dell’art. 35. Il primo prevede che i lavoratori del somministratore, per tutta la durata della missione presso l’utilizzatore, hanno diritto, a parità di mansioni svolte, a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore. Il secondo conferisce ai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore il compito di stabilire modalità e criteri per la determinazione e corresponsione delle erogazioni economiche correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi concordati tra le parti o collegati all’andamento economico dell’impresa. Inoltre, i lavoratori somministrati hanno diritto di fruire dei servizi sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti dell’utilizzatore addetti alla stessa unità produttiva con esclusione di quelli per i quali è necessaria un’iscrizione ad associazioni o società cooperative o il conseguimento di una determinata anzianità di servizio.
Con riferimento agli obblighi in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro l’art. 35, co. 4, li ripartisce tra somministratore e utilizzatore stabilendo che il somministratore è tenuto ad informare i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi con le attività produttive, nonché a formare ed addestrare i medesimi all’uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa per la quale sono stati assunti, in conformità delle disposizioni di cui al d.lgs. 9.4.2008, n. 81, salvo la possibilità, di poter porre tali obblighi a carico dell’utilizzatore. Mentre l’utilizzatore osserva nei confronti dei lavoratori somministrati gli obblighi di prevenzione e protezione cui è tenuto, per legge e contratto collettivo, nei confronti dei propri lavoratori, anche nel rispetto del principio di parità di trattamento; in quest’ultimo caso, non è più previsto che ne venga fatta specifica indicazione nel contratto di lavoro. Non viene riproposto l’obbligo per l’utilizzatore di informare il lavoratore qualora le mansioni a cui viene adibito richiedano una sorveglianza medica speciale o comportino rischi specifici.
I co. 5 e 6 dell’art. 35 disciplinano, invece, rispettivamente lo ius variandi e il potere disciplinare nell’ambito del contratto di somministrazione confermando la scissione, tipica della somministrazione, tra titolarità del contratto (spettante all’agenzia) ed esercizio dei poteri di direzione e controllo (che spetta all’utilizzatore).
Il co. 5, infatti, prevede che qualora il lavoratore venga adibito a mansioni di livello superiore o inferiore a quelle dedotte nel contratto, l’utilizzatore deve darne immediata comunicazione scritta al somministratore consegnandone copia al lavoratore medesimo. Ove non adempia a tale obbligo informativo, l’utilizzatore risponde in via esclusiva per le differenze retributive spettanti al lavoratore occupato in mansioni superiori e per l’eventuale risarcimento del danno derivante dall’assegnazione a mansioni inferiori.
Il potere disciplinare nei confronti dei lavoratori somministrati resta attribuito all’agenzia di somministrazione ponendosi a carico dell’utilizzatore, però, l’obbligo di comunicare gli elementi che formeranno oggetto della contestazione (art. 35, co. 6).
Menzione a parte merita l’art. 35, co. 2, d.lgs. n. 81/2015 che introduce un nuovo regime di solidarietà, piena e paritaria, tra somministratore e utilizzatore nei confronti dei lavoratori e degli enti previdenziali. Nell’abrogato sistema, obbligato principale alla corresponsione dei trattamenti retributivi e al versamento dei relativi contributi previdenziali era il somministratore e l’obbligazione solidale dell’utilizzatore scattava esclusivamente in caso di inadempimento del primo. Diversamente la disposizione di cui all’art. 35, co. 2, d.lgs. n. 81/2015 sancisce una responsabilità solidale in capo all’utilizzatore, indipendentemente dall’inadempimento del somministratore. In ragione della nuova disposizione il lavoratore o gli enti previdenziali potranno rivolgersi indifferentemente al somministratore oppure all’utilizzatore, senza alcun beneficio di preventiva escussione a favore del secondo.
Rimane invece in capo esclusivamente all’utilizzatore la responsabilità civile per i danni arrecati a terzi dal lavoratore somministrato nell’esercizio delle sue mansioni (art. 35, co. 7).
Infine, l’art. 35, ult. co., ripropone la previsione della nullità della clausola che limita, anche indirettamente, la facoltà dell’utilizzatore di assumere il lavoratore al termine della sua missione, con la significativa deroga costituita dalla corresponsione di un’adeguata indennità al lavoratore, secondo quanto stabilito dal contratto collettivo applicabile al somministratore.
Gli artt. 36 e 37 d.lgs. n. 81/2015 si occupano rispettivamente dei diritti sindacali e della disciplina previdenziale.
In relazione al primo profilo si riconosce ai lavoratori somministrati l’esercizio dei diritti sindacali previsti dalla l. 20.5.1970, n. 300; infatti i lavoratori hanno diritto di esercitare presso l’utilizzatore, per tutta la durata della missione, i diritti di libertà e attività sindacale, nonché a partecipare alle assemblee del personale dipendente dalle imprese utilizzatrici, nell’ottica anche di salvaguardare il principio di parità di trattamento.
Per consentire da parte dei sindacati un monitoraggio sull’uso dello strumento, si pone l’obbligo, a carico dell’utilizzatore, di comunicare, ogni dodici mesi, anche per il tramite delle associazioni dei datori di lavoro alla quale aderisce o conferisce mandato, nei confronti della RSA o RSU o in mancanza, degli organismi territoriali di categoria delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, il numero dei contratti di somministrazione conclusi, la durata degli stessi, il numero e la qualifica dei lavoratori (art. 36, co. 3).
In materia previdenziale l’art. 37 stabilisce che tutti gli oneri contributivi, previdenziali, assicurativi ed assistenziali, previsti dalla previgente normativa, sono a carico dell’agenzia, inquadrata nel settore del terziario. Solo per il settore agricolo e per la somministrazione di lavoro domestico trovano applicazione le erogazioni e gli oneri previdenziali e assistenziali previsti dai rispettivi settori.
Viene altresì specificato che l’indennità di disponibilità è assoggetta a contribuzione previdenziale per il suo effettivo ammontare, in deroga alla normativa in materia di minimale contributivo. Invece, il somministratore non è tenuto al versamento del contributo integrativo dovuto per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria prevista dall’art. 25, co. 4, l. 21.12.1978, n. 845, essendo già obbligato al versamento di quello ai fondi bilaterali di cui all’art. 12 d.lgs. n. 276/2003
Con riferimento, infine, agli obblighi in tema di infortuni e malattie professionali, essi sono determinati in relazione al tipo e al rischio delle lavorazioni svolte.
La disciplina della somministrazione di lavoro è corredata da un corposo apparato sanzionatorio a cui è dedicato l’art. 38 d.lgs. n. 81/2015 che ripropone in gran parte il contenuto della previgente disciplina.
Innanzitutto, scompare la somministrazione fraudolenta prevista dall’art. 28, d.lgs. n. 276/2003 e conseguentemente, viene meno l’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione comminata al somministratore ed all’utilizzatore nel caso in cui la somministrazione di lavoro sia posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo. Permangono, invece, due tipologie di sanzioni: quelle di natura civilistica (art. 38) e quelle amministrative (art. 40). A queste si affiancano, in quanto non espressamente abrogate dalla nuova disciplina, le sanzioni previste per la somministrazione abusiva e l’utilizzazione illecita (art. 18, co. 1 e 2, d.lgs. n. 276/2003) che, però, sono state depenalizzate dal d.lgs. 15.1.2016, n. 8 (art. 1, co.1), ad eccezione delle ipotesi aggravate di sfruttamento dei minori.
Le violazioni che danno origine alla «somministrazione irregolare» possono riguardare o requisiti formali o quelli di carattere sostanziale.
Qualora vi sia il difetto della forma scritta, ai sensi dell’art. 38, co. 1, d.lgs. n. 81/2015, il contratto di somministrazione è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore. La relativa azione può essere fatta valere da chiunque abbia interesse, tra cui anche gli enti previdenziali che potranno agire nei confronti dell’effettivo utilizzatore per il recupero dei contributi.
Invece, quando la somministrazione avviene «al di fuori dei limiti e delle condizioni» di cui agli artt. 31, co. 1 e 2, 32 e 33, co. 1, lett. a), b), c) e d), il lavoratore ha facoltà di richiedere anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione (ex tunc). Si tratta dei casi in cui la somministrazione di lavoro avviene: senza il rispetto dei limiti numerici (art. 31, co. 1 e 2); in una delle ipotesi espressamente vietate dalla legge (art. 32); in violazione della disposizione che prevede la necessità che il contratto di somministrazione indichi gli estremi dell’autorizzazione dell’agenzia, il numero dei lavoratori da somministrare, i rischi e le misure di prevenzione, nonché la data di inizio e la durata della somministrazione (art. 33, co. 1, lett. a), b), c) e d).
Rispetto al caso in cui manchi la forma scritta, l’effetto di imputazione del rapporto di lavoro subordinato all’utilizzatore è condizionato da una pronuncia giudiziale di carattere costitutivo, conseguibile soltanto dalla parte direttamente interessata, e cioè il lavoratore e quindi, in difetto di un’apposita pronuncia giudiziale di accertamento e costituzione di un rapporto lavorativo in capo all’utilizzatore, non può ritenersi che venga automaticamente meno il rapporto di lavoro con il somministratore e pertanto, anteriormente all’emanazione delle sentenza costitutiva, ogni responsabilità patrimoniale rimarrà in capo all’unico datore di lavoro in quel momento formalmente riconosciuto tale; mentre solo successivamente, seppur con effetti ex tunc, essa si sposterà in capo all’effettivo utilizzatore.
In tutti i casi delineati dall’art. 38, co. 2, tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione, dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata e tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione.
Quanto previsto dall’art. 38, co. 2, non trova applicazione per le pubbliche amministrazione in quanto il legislatore non solo ha vietato che quest’ultime possano stipulare un contratto di somministrazione a tempo indeterminato (art. 31, ult. co.), ma ha anche inteso evitare che potesse essere richiesta dal lavoratore nei confronti di esse la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, stante il divieto ex art. 36 d.lgs. n. 165/2001.
Collegata unicamente all’art. 38, co. 2, e non anche al caso di nullità per carenza di forma scritta, è la previsione contenuta nell’art. 39 in tema di decadenze e tutele, nel caso in cui il lavoratore chieda la costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore. Con questa norma il legislatore delegato riprende il contenuto dell’art. 32, co. 4, lett. d), l. 4.11.2010, n. 183 che ha modificato l’art. 6 della l. n. 604/1966 prevedendo un doppio termine di decadenza in caso di impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore che è stato esteso anche nel caso di somministrazione di lavoro, qualora il lavoratore chieda la costituzione del rapporto in capo all’utilizzatore.
In aggiunta alla sanzione civile, il legislatore ha previsto anche una sanzione amministrativa-pecuniaria da euro 250 ad 1.250 (art. 40, co. 1, d.lgs. n. 81/2015).
La sanzione amministrativa-pecuniaria si applica al solo utilizzatore quando: a) non si rispetti il limite quantitativo per la somministrazione a tempo indeterminato o a tempo determinato; b) venga violata la previsione per la quale «possono essere somministrati a tempo indeterminato esclusivamente i lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato»; c) nel caso in cui l’utilizzatore non informi i lavoratori somministrati dei posti vacanti presso quest’ultimo; d) quando una pubblica amministrazione stipuli un contratto di somministrazione a tempo indeterminato; e) quando si ricorra alla somministrazione nelle ipotesi vietate dall’art. 32; f) quando non si rispetti il diritto dei lavoratori a godere dei servizi sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti (art. 35, co. 3, secondo periodo); g) quando non si osservi l’obbligo di informazione alle RSA o RSU previsto dall’art. 36, co. 3.
Invece, viene sanzionato solo il somministratore nel caso di violazione dell’obbligo di comunicazione scritta al lavoratore delle informazioni di cui all’art. 33, co. 1, nonché della data di inizio e della durata prevedibile delle missioni (art. 33, co. 3)
Infine, vengono sanzionati entrambi per omessa indicazione nel contratto di somministrazione degli elementi essenziali elencati all’art. 33, co. 1 nonché in caso di violazione del principio di parità di trattamento tra lavoratori somministrati e i dipendenti dell’utilizzatore sancito dall’art. 35, co. 1.
Fonti normative
Artt. 1-11 l. 24.6.1997,n. 196; artt. 4-7, 12 e 20-28 d.lgs. 10.9.2003, n. 276; artt. 30-40 d.lgs. 15.6.2015, n. 81.
Bibliografia essenziale
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