Stati Uniti d'America
Potrebbe apparire singolare, per tanti aspetti, il fatto che gli studi danteschi abbiano fin dall'inizio, e in modi diversi, incontrato negli S.U. un fertile terreno di sviluppo.
Nella cultura del periodo coloniale la Commedia, quasi distaccata dal contesto complessivo della letteratura italiana, fu isolata in un'interpretazione fortemente caratterizzata dalla problematica etica propria del puritanesimo e da una sorta di apparente congenialità di sensibilità aperta verso esiti simbolici e allegorici. L'eminente teologo e predicatore John Cotton (1584-1652) aveva intanto collocato D. in un elenco di nomi chiamati da Dio stesso a preparare lo spirito del cristianesimo protestante. Una deformazione in tale direzione sarebbe rimasta a lungo come una delle componenti dell'interesse per D. nella Nuova Inghilterra. L'esaltazione nella Commedia di supreme valenze etico-religiose avrebbe inoltre condotto a un parallelismo e confronto D.-Milton che sarebbe diventato ben presto un ricorrente luogo comune.
Nella seconda metà del sec. XVIII l'eredità religiosa del puritanesimo si accorderà con posizioni d'illuminismo moderato e accensioni preromantiche (la temperie in cui nascerà l'indipendenza americana). William Dunlap è autore (1791) della prima traduzione (in pentametri giambici) che sia stata pubblicata negli S.U. di un brano della Commedia (la prima citazione di un verso dantesco nell'originale era apparsa, quasi un secolo prima, nel New York Almanack for 1967): si tratta dei vv. 46-75 di If XXXIII. La scelta dell'episodio del conte Ugolino è, naturalmente, indicativa di un orientamento condizionato dal gusto ‛ gotico ' per l'orrido e il patetico.
Nella New York dei primi decenni dell'Ottocento operò Lorenzo da Ponte, l'avventuroso letterato veneto, che diffuse, nel complesso, la conoscenza della lingua e della letteratura italiane e scrisse anche una Critique on certain passages in D. (1825). Col diffondersi del Romanticismo l'interesse per D. si alimenta, non diversamente che in Europa, dell'acceso gusto per le grandi sintesi storico-culturali che avessero nella poesia la loro ‛ voce ' ed espressione. Resta però sempre saldo in America l'interesse di carattere etico, che quando non sfocia in mere approssimazioni moralistiche contribuisce tuttavia a tener desta l'attenzione nei riguardi delle strutture del poema e delle correlazioni simbolico-allegoriche. Il dantismo nordamericano si scaverà qui anzi una sua precisa zona di costante ricerca e approfondimento.
La traduzione inglese del Cary (1814 e 1819) fu ristampata a Filadelfia nel 1822. Attraversarono ben presto l'Atlantico anche le idee e le considerazioni del Coleridge. Nel 1819 la North American Review dedicava a D. (a firma di J.C. Gray) un ampio saggio divulgativo. Il dantismo costituiva d'altronde un'importante componente nella formazione degli studiosi e ‛ gentlemen of culture ' della tradizione harvardiana e bostoniana, i quali concepivano il ruolo della cultura americana in funzione di una sintesi composita nella quale fossero accolte ed esaltate le fondamentali voci dell'umanità. In una tale temperie culturale maturerà l'idea del Longfellow di dare nuova veste inglese, ma su suolo americano, al poema dantesco.
Nel 1831 George Ticknor, professore di lingue e letterature moderne all'università di Harvard, dedica a D. uno specifico corso di lezioni. Il poeta Henry W. Longfellow, che succederà al Ticknor sulla medesima cattedra, svilupperà con appassionato fervore l'iniziativa del predecessore: nella sua ammirazione per D., che fu - com'egli stesso ebbe a dichiarare - " senza confini ", vibravano l'idealismo etico della tradizione della Nuova Inghilterra e il trasporto romantico per il poeta-vate, espressione e sintesi di tutta un'epoca. La sua traduzione della Commedia (1865-67) in terzine non rimate fu come la realizzazione di un ampio e insieme piuttosto sfocato disegno culturale. Animato da un atteggiamento di umiltà e nel tempo stesso di compiacimento di fronte al grande modello, il Longfellow si affidò a un esasperato letteralismo, fino a forzare le caratteristiche stesse dell'inglese. Nel 1843 era apparsa un'altra traduzione, limitata ai primi dieci canti dell'Inferno: ne era autore Thomas W. Parsons, che ricorrendo alla quartina con rima alternata (la stanza di Dryden e del Gray) aveva dilatato in chiave di diluizione romantica il narrato dantesco. Versione alla Longfellow o alla Parsons? Si oscillò, per tutto il secolo, fra i due criteri entrambi unilaterali. Nel 1867 il Parsons pubblicò l'intero Inferno e tradurrà tra il 1870 e il 1882 una buona parte del Purgatorio.
James R. Lowell costituisce col Longfellow e con Charles E. Norton la triade, presentata poi quasi come paradigmatica, dei più famosi dantisti americani dell'Ottocento. Il suo saggio su D. (1876) è indicativo, nonostante le genericità romantico-moralistiche, di una più generale ammirazione, di carattere meno accademico, nei riguardi di Dante. Al Norton si devono i primi studi particolari, in chiave più filologica, sulla Vita Nuova, nonché la traduzione del libello (1867 e 1892); il Norton tradusse, in prosa, anche la Commedia e diede inizio a più rigorosi orientamenti e criteri filologici.
L'interesse per D. era vivacemente avvertito anche da altre angolazioni visuali. La Commedia (e la Vita Nuova) esercitavano acute suggestioni sugli scrittori, che nella loro ricerca di un linguaggio più originalmente americano (non di rado in polemica con le impostazioni conservative dei gruppi harvardiani e bostoniani) si sforzavano di dare espressione a un atteggiamento nel quale s'incrociassero realismo vitalistico e simbolismo. Sono al riguardo significative le oscillazioni di Ralph W. Emerson tra un rifiuto di D. (" quale spietata minuzia di orribili dettagli ! ") e un suo recupero in chiave di sensibilità, appunto, realistico-simbolista (" energia e simmetria "; " la forma di fantasia più vicina a mani e piedi che il mondo abbia mai veduto "). Emerson tradusse anche, senza pubblicarla, la Vita Nuova. Whitman è colpito, in D., dalla " forza di concisione ". In Melville e in Hawthorne vi sono incisive risonanze di una lettura non limitata solo all'Inferno. Si può dire che si costituiscano due direttrici: l'una (quella della tradizione di Harvard) condurrà alla fondazione della " Dante Society " e si svilupperà poi via via su di un piano di maturazione filologica e critica; l'altra condurrà invece a ricatturare in D. elementi di validità anche in senso attuale, su di un piano di letteratura militante e creativa, e quindi al dantismo di Ezra Pound e di Thomas S. Eliot, con ribaltamenti anche di tipo specificamente critico, soprattutto per quanto concerne l'analisi di rapporti fra idee, simboli, forme stilistiche e poesia. Le due direttrici sono andate sempre più intersecandosi: il dantismo più consapevole presuppone oggi in America entrambe le posizioni.
La fondazione della " Dante Society " a Cambridge, Mass., se fu da un lato il naturale sbocco del fervore di tutto il precedente periodo (Longfellow fu il primo presidente della Società), segnò anche una nuova svolta, l'inizio di un'attività caratterizzata da un più preciso rigore di studi. La Società cominciò a pubblicare un " Report " annuale, che sarebbe ben presto divenuto, con i suoi saggi, le sue note e le sue accurate bibliografie, uno dei più utili strumenti di consultazione. Un contributo di primissimo piano è costituito dalla serie delle concordanze (di E.A. Fay [1888], di E.S. Sheldon e A.C. White [1905], di E.K. Rand, E.H. Wilkins e A.C. White [1912], fino alla più recente Concordance to the Divine Comedy, di Ernest H. Wilkins e Thomas G. Bergin [1965]). Il dantismo nordamericano è ormai pervenuto a una sua pienezza d'indagine che, pur risentendo indubbiamente degli apporti europei, ha dato originali e notevolissimi contributi agli studi danteschi. Ai nomi indicati vanno subito aggiunti quelli di C.A. Dinsmore, di Charles H. Grandgent, al quale si devono importanti saggi e la prima edizione americana (annotata) del testo della Commedia (1907-13 e 1932); di Kenneth McKenzie, che ha curato la prima edizione (commentata) della Vita Nuova (1922); di Herbert D. Austin, autore di un fitto corpus di studi e interventi; di George Santayana, autore di un interessante saggio su D. " poeta filosofico " (1910); di James E. Shaw, che ha studiato le questioni concernenti la Vita Nuova; di Dino Bigongiari, che ha avanzato proposte spesso illuminanti, soprattutto ai fini della determinazione del testo critico della Monarchia. Le università Harvard e Cornell posseggono le più ricche collezioni di letteratura dantesca fuori d'Italia.
Le notazioni di Ezra Pound e il celebre saggio di T.S. Eliot su D. (1929) hanno proposto una lettura rigorosamente unitaria della Commedia, al di là sia di un'esegesi di ordine storico-biografico (di tradizione romantico-positivistica), sia di ogni frammentazione di lettura lirica quale suggerita dal Croce. Lungo una tale direzione, ma approfondita attraverso un minuto scavo del quadro di cultura medievale e le influenze di studiosi europei quali lo Spitzer e l'Auerbach, Charles S. Singleton è pervenuto a una lettura di sottilissima intelligenza, alla luce di un'acuta distinzione fra allegoria ‛ teologica ' e allegoria ‛ poetica ' benché forzata, non di rado, nelle conclusioni. Un tenace sforzo di approfondimento del quadro delle componenti tardo-medievali e d'individuazione delle qualità e delle associazioni della mente e dell'immaginazione di D. (il Curtius ha perfino parlato di una sorta di nostalgia per un passato assente per gli Americani) contraddistingue una notevole parte delle ricerche (Jefferson A. Fletcher, Helen F. Dunbar, Allen Tate, F. Fergusson, J.A. Mazzeo), mentre altri invitano a non perdere tuttavia di vista in D. la forza delle " emotions ", della " intuitional vitality " (Bergin).
L'ampio approfondimento degli studi ha fatto altresì avvertire l'esigenza di nuove traduzioni. Melville A. Anderson pubblicò una traduzione in terza rima (1921); il Fletcher una traduzione in terza rima, mutila (1931); il Bergin ha tradotto in blank verse la Commedia con alcuni passaggi in prosa (1948-55); Louis How (1940) e John Ciardi hanno scelto un linguaggio più moderno e colloquiale; limpida e fluente, ma anche sostenuta letterariamente, è la traduzione di Ch. S. Singleton, di cui sono usciti i soli volumi, testo e commento, delle prime due cantiche (1970-73). In nessuna lingua D. è stato tradotto quanto in inglese. Delle più di ottanta versioni della Commedia (di una o più cantiche) apparse dal 1782 a oggi, ventidue sono opera di Americani; delle dodici versioni in inglese apparse dal 1945, nove sono americane. Le pubblicazioni e le manifestazioni che si sono avute in occasione del settimo centenario della nascita di D. hanno riconfermato, spesso ad alto livello, la vitalità degli studi danteschi negli Stati Uniti.
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