Stati Uniti d’America
Spazi enormi e immense risorse
Paese gigantesco, gli Stati Uniti hanno tratto dalle dimensioni enormi, incomparabili con quelle dei piccoli Stati europei, la loro straordinaria potenza economica e politica. Queste dimensioni hanno posto anche sfide, problemi da superare, obiettivi da raggiungere, progressi da realizzare: a cominciare dalla grande sfida di rendere omogenea una popolazione immigrata dai quattro angoli della Terra. Misurarsi con questi problemi ha consentito di mettere in pratica molti degli ideali di libertà che furono alla base della nascita stessa degli Stati Uniti e di diffondere comportamenti che oggi costituiscono un modello per quasi tutta l’umanità
Il territorio degli Stati Uniti abbraccia uno spazio enorme ed estremamente vario. Solo per grandissime linee, dunque, si possono distinguere due aree dalle forme abbastanza distinte, corrispondenti ai versanti – pacifico e atlantico – verso cui scendono le acque.
A occidente, una regione montuosa e aspra, estesa su circa un terzo del paese, dalla costa del Pacifico si innalza verso le Montagne Rocciose, includendo depressioni e altipiani aridi e numerose catene minori, parallele alla riva dell’oceano, ma anche – verso nord ed est – le foreste più estese del paese. Sulle Montagne Rocciose corre lo spartiacque continentale.
A oriente, l’altitudine scende gradatamente verso le Grandi Pianure, vasta fascia di altipiani che sfumano nella grande valle del sistema Mississippi-Missouri e nelle piane costiere lungo il Golfo del Messico e lungo l’Oceano Atlantico; alle spalle della costa atlantica, le lunghe e basse catene degli Appalachi (2.037 m) separano l’East coast dei primi insediamenti coloniali dal Midwest occupato nell’Ottocento; più a nord è il complesso dei Grandi Laghi, condiviso con il Canada e drenato dal San Lorenzo.
Anche il clima è molto più vario di quanto si possa dire. La grande area pianeggiante centrale ha un clima continentale relativamente poco umido, in cui prevale l’effetto della latitudine: temperature basse a nord e moderate al centro; verso la costa del Golfo del Messico il clima si fa subtropicale: semi-arido nel Texas interno e umido nella pianura costiera. L’effetto della latitudine è sensibile anche sulle coste: quella pacifica ha clima temperato umido a nord, mediterraneo o arido procedendo verso sud; quella atlantica un clima temperato umido a nord (con inverni freddi), subtropicale umido a sud di Capo Hatteras, tropicale umido in Florida. Continentale e molto arido il clima della regione montuosa occidentale, salvo che sulle Montagne Rocciose, dove è maggiore l’umidità.
Del tutto separati, e del tutto differenti, sono due Stati: l’Alaska, all’estremità nordoccidentale del continente, dal clima subartico e prevalentemente montuosa (i 6.194 m del McKinley sono la massima elevazione dell’America Settentrionale); e le isole Hawaii, nel mezzo dell’Oceano Pacifico, di formazione vulcanica e dal clima subtropicale. Ma le differenze sono forti anche fra i 49 Stati continentali.
Nel suo insieme, il territorio statunitense può essere definito ricchissimo dal punto di vista delle produzioni naturali: ha foreste produttive tra le più estese (soprattutto conifere, negli Stati settentrionali); terreni agricoli che, secondo le aree, producono praticamente qualsiasi cosa (a cominciare dal granturco e dal grano); minerali di ogni genere; risorse energetiche enormi (petrolio, energia idroelettrica). Ovviamente, ha anche aree del tutto improduttive, regioni prive di acqua, aree troppo fredde o troppo calde per poter essere popolate: il fatto è che, nell’immensità dello spazio statunitense, queste aree risultano vastissime; che le distanze da coprire per portare l’acqua, per esempio, da un luogo a un altro possono essere proibitive; che una congiuntura climatica sfavorevole può colpire in una volta sola spazi amplissimi.
Con queste risorse e questi problemi, gli Stati Uniti si sono misurati fin dall’indipendenza, facendo della capacità di mettere a frutto così tante risorse e di fare fronte a così grandi problemi un ingrediente essenziale dell’essere americani. Il ‘gigantismo’ del paese ha sollecitato un corrispondente gigantismo nelle iniziative e nelle realizzazioni, di cui i cittadini degli Stati Uniti sono comprensibilmente molto fieri.
Un aspetto – non il minore – di questa enormità delle proporzioni è la storia del popolamento degli Stati Uniti. Al momento dell’indipendenza erano popolati solo i territori a est degli Appalachi – le tredici colonie – dove vivevano circa 4 milioni di persone, compresi almeno 700.000 schiavi importati dall’Africa. Poche centinaia di migliaia di Pellirosse vivevano in tutti i territori a ovest. Nel 1820 gli abitanti erano circa 10 milioni e le terre fino al Mississippi – da cui i Pellirosse erano stati eliminati o deportati – erano in via di occupazione. Nel 1860 gli abitanti erano 31 milioni, compresi circa 4 di schiavi; in quegli anni cessò del tutto l’importazione di schiavi (i cui discendenti oggi sono oltre 30 milioni). Nel 1890 l’occupazione dell’Ovest era completata, i Pellirosse sterminati, aperte le grandi ferrovie che univano le due coste e la popolazione era di 63 milioni di persone: gli Stati Uniti erano ormai il più ampio mercato sviluppato che esistesse sulla faccia della Terra, l’industrializzazione era decollata da tempo, l’innovazione tecnologica – necessaria anche per far fronte alla costante mancanza di manodopera – era continua, le risorse naturali sfruttate a pieno regime, nasceva una politica imperialista. Nel 1910 la popolazione raggiungeva i 92 milioni di persone, gli Stati Uniti stavano per entrare nella Prima guerra mondiale e diventare una potenza planetaria.
La massima parte degli aumenti di popolazione era dovuta, ovviamente, a un’intensa immigrazione, da principio proveniente dalla Gran Bretagna e dall’Europa centrosettentrionale, poi dall’Irlanda, dall’Europa meridionale (compresi milioni di Italiani) e dall’Asia orientale. Negli ultimi decenni le provenienze sono cambiate: l’immigrazione prosegue dall’Asia e dall’America Latina.
La grande varietà di origini etniche, linguistiche, religiose degli abitanti richiese di ‘fondere’ insieme questi apporti e renderli tutti Americani.
Il processo di formazione di una popolazione omogenea continua ancora oggi, ma certo il genere di vita, le aspettative, il livello culturale, le condizioni economiche di gran parte della popolazione oggi rispondono a un modello (l’american way of life «il modo di vivere americano») largamente diffuso. Tuttavia, gli immigrati più recenti, una parte della popolazione nera e anche alcuni settori della popolazione bianca – sia nelle grandi città sia nelle campagne remote – vivono in condizioni al di sotto della media: poveri, disoccupati e marginali sono numerosi.
Il sistema produttivo degli Stati Uniti, però, è di gran lunga il più possente della Terra, e da solo genera quasi un quarto della ricchezza totale del Pianeta. Le forze armate americane, impegnate in tutti i continenti, sono le più potenti. Il sistema bancario, finanziario e commerciale controllato dalle imprese statunitensi equivale quasi a quello del resto del mondo. La ricerca scientifica, l’elaborazione culturale, l’innovazione tecnologica hanno a disposizione risorse impressionanti e ottengono risultati in proporzione. Le scelte politiche degli Stati Uniti influenzano quelle di tutti gli altri Stati e delle grandi organizzazioni internazionali. I modelli di comportamento, i consumi, l’ideologia degli Statunitensi sono diventati i punti di riferimento per una grandissima parte dell’umanità.