STATI UNITI (XXXII, p. 523 e App. I, p. 1019)
UNITI Condizioni demografiche (XXXII, p. 535). - Il censimento generale della popolazione effettuato il 1° aprile 1940, rilevò, nel complesso dell'Unione, 131.669,275 ab., vale a dire 8.894.229 ab. in più del 1930. L'aumento percentuale che ne risulta (7,2%) è il più basso sinora registrato nella storia demografica degli S. U. A., inferiore di oltre la metà a quello del decennio 1920-30 (16,1%) e perfino a quello del decennio 1910-20, che era stato anche meno elevato (14,9%). Le variazioni verificatesi nella popolazione statunitense fra i due ultimi censimenti presentano, com'era da attendere, aspetti alquanto diversi da zona a zona. I massimi aumenti, in cifre assolute, interessarono gli stati sudatlantici e quelli sul Pacifico, riuniti da una fascia di territorio senza soluzione di continuità (Alabama, Mississippi, Louisiana, Texas, New Mexico, Arizona), in cui gli aumenti stessi furono sempre superiori alla media dell'Unione; le cifre più basse, invece, non trovano talora riscontro in quelle relative, com'è il caso degli stati montani e di quelli centro-meridionali, i cui valori percentuali soverchiarono del pari la media complessiva. Così, ad es., il New Mexico e il Nevada figurano tra gli stati che ebbero un indice più elevato di accrescimento, ma questo accrescimento incise sopra una popolazione assoluta assai modesta.
Nel decennio 1920-30 l'aumento della popolazione, oltre che assai più vistoso, in senso assoluto e relativo, non soffrì, si può dire, eccezione. Nel decennio 1930-40, invece, gli indici negativi toccarono sei stati, quattro dei quali (South e North Dakota, Nebraska, Kansas) formano una larga zona continua, dal confine canadese al Texas, coincidente con quella regione cerealicola degli S. U. A. in cui clima e suolo rendono più aleatorie le colture. La sensibile diminuzione (241.000 ab.), oltre che con la crisi generale, va posta in rapporto con uno squilibrio fra la potenzialità economica della zona e il suo carico demografico che ha cause profonde (in primo luogo la soil erosion, ed il conseguente depauperamento dei terreni coltivabili per effetto della rapida denudazione superficiale). Al periodo della più intensa immigrazione (nel decennio 1900-10 l'aumento della popolazione fu nel North Dakota dell'80,8% e del 45,4% nel South Dakota) seguì prima un rallentarsi del ritmo di questa e infine un parziale spopolamento, ch'è andato continuando. La crisi non ha naturalmente risparmiato quelle plaghe degli stati finitimi, le cui condizioni naturali sono simili a quelle della precedente regione. Così si spiega il debole tasso di accrescimento dello Iowa, del Missouri, dell'Arkansas e dell'Illinois, nonché la diminuzione segnata dall'Oklahoma, dove, fra l'altro, l'industria estrattiva (petrolio) aveva richiamato una notevole corrente immigratoria (aumento del 109,7% nel periodo 1900-10).
Stasi demografica, o almeno contingente saturazione, denunciarono alcuni degli stati più floridi dell'Unione, quali quelli della Nuova Inghilterra; una zona, questa, che raccoglieva, da sola, più di un quarto dell'intera popolazione degli S. U. A. sopra 1/33 appena del loro territorio.
In misura meno accentuata il fenomeno si ripeté negli stati centrali di NO., altro settore, anche questo, di forte concentrazione demografica, urbana ed industriale. Sopra un dodicesimo, all'incirca, della superficie dell'Unione, viveva qui più di un quinto del totale degli abitanti. In tutto il resto degli S. U. A. il tasso d'accrescimento oltrepassò, nel 1930-40, la media complessiva fatta eccezione per il Montana, che è però assai poco popolato (1,4 abit. a kmq., come per l'intero Canada). Sarebbe tuttavia erroneo mettere in rapporto questo bilancio attivo con l'aumento naturale della popolazione. Gli indici d'aumento si mantennero elevati, soprattutto in confronto con quelli del precedente decennio, solo in quattro stati: Florida, California, New Mexico e Nevada dei quali i due ultimi hanno un popolamento ancora assai rado (1,6 e 0,4 ab. a kmq. rispettivamente), ed i primi due, pur rivelandosi senza dubbio le più cospicue eccezioni alla generale stasi demografica, videro contratto sensibilmente il loro indice di accrescimento rispetto ai decennî 1910-20 e 1920-30.
I rimanenti stati del mezzogiorno (così sull'Atlantico, come sul Golfo del Messico) e quelli montani registrarono guadagni molto meno cospicui. L'indice di accrescimento superò il 10% nel Texas, nel North Carolina, nel Tennessee ed in Louisiana, ma, anche in tali casi, anziché ad un aumento naturale, si deve pensare alle conseguenze di più o meno intense correnti immigratorie.
Le correnti migratorie vennero ad assumere, in tempi a noi vicini, caratteri assai diversi da quelli proprî del grande flusso che ha reso possibile il rapido sviluppo dell'Unione. Al contrarsi del movimento immigratorio che ha portato sul territorio di questa fra il 1820 ed il 1946 ben 38,6 milioni di nuovi cittadini, fa riscontro, massime dopo la grave crisi economica del 1930-34, un non meno imponente spostamento di masse nell'interno della vasta Confederazione. Fra il 1940 ed il 1947 oltre la metà (56,4%) degli Statunitensi cambiò residenza, passando per il 10,1% (cioè 12,4 milioni di individui) da uno stato ad un altro; per il 10,6% (13,1 milioni) da una contea ad un'altra dello stesso stato; e per il 36,2% (44,4 milioni) da una località ad un'altra della stessa contea. Un così vistoso fenomeno non è soltanto espressione di una tendenza al livellamento fra territorî ad alta ed a bassa densità demografica, ma consegue ad un complesso di cause diverse, per lo più economiche: il sovrappopolamento dei grandi, centri urbani, la meccanizzazione dell'agricoltura, e il dilagare della disoccupazione, che ne è l'immediata espressione. La zona di più intensa emigrazione è quella mediana che dai corsi dell'Ohio e del Mississippi va fino alle Montagne Rocciose; quella di più intensa immigrazione il Far West, dalla California al confine canadese. I tre stati lungo il Pacifico sono meta di due correnti, la prima originantesi negli stati medio-atlantici (Pennsylvania e New York soprattutto) ed ingrossata da quelli del Centro NO. (Illinois e Iowa), la seconda che muove dagli Allegani meridionali e riceve elementi dagli stati cotonieri del Sud: delle due la più cospicua mette capo alla California che fra i tre stati litoranei ha accusato il maggior guadagno demografico. Notevoli spostamenti di popolazione hanno luogo inoltre fra N. e S. dagli stati atlantici, dall'Ohio, dal Kentucky e dal Tennessee verso la Florida.
Occorre infine distinguere le migrazioni interne dei Bianchi (orientate sostanzialmente nella direzione, che potremmo dire tradizionale, E.-O). da quelle delle popolazioni di colore, le quali ultime, movendo da mezzodì verso settentrione, alimentano tre principali correnti: una dalla Louisiana e dal Mississippi al Montana ed all'Illinois, una seconda dalla Georgia, l'Alabama, il Tennessee ed il Kentucky all'Ohio, il Michigan, l'Indiana e l'lllinois (Chicago), ed un'ultima dalla Virginia ai grandi centri urbani degli stati medio- e nord-atlantici.
Ben diverse, e non meno interessanti, sono le variazioni demografiche avvenute dopo il 1940, in rapporto col contraccolpo determinato in tutta la Confederazione dalle vicende della seconda Guerra mondiale. Quanto ai rapporti demografici fra i diversi stati, basterà notare il nuovo balzo in avanti compiuto da quelli sudatlantici e soprattutto dai tre sul Pacifico, che pone, ad es., la California al terzo ed il Texas al quarto posto per numero di abitanti; e, per contro, l'accentuato spopolamento di tutti gli stati che nel decennio 1930-40 segnarono diminuzione di abitanti (eccetto il Kansas), stati cui si sono aggiunti, dopo la guerra, la Virginia, il Kentucky, l'Alabama, il Mississippi, l'Arkansas, l'Idaho ed il Montana, quest'ultimo con un indice elevato di diminuzione. Un calcolo anagrafico, eseguito alla metà del 1947, ha rilevato una popolazione di 143.387.000 ab. Dunque la popolazione degli S. U. è cresciuta fra il 1940 ed il 1947 di oltre 12,3 milioni di ab., ossia ancora di più che nell'intero decennio 1930-40.
Quanto al movimento naturale della popolazione, le ciire statistiche riunite nella seguerite tabella indicano, durante e dopo il periodo bellico, una notevole ripresa demografica, che dà ragione dell'eccezionale aumento di popolazione verificatosi nel periodo 1940-47.
La popolazione rurale, che formava nel 1920 il 48,8% della totale, ne costituiva il 43,8% nel 1930 ed il 43,5% nel 1940; a quest'ultima data la popolazione urbana ammontava, nel territorio metropolitano, a 57.245.573 anime, distribuite come segue: 12,1 milioni in 5 metropoli con più di 1 milione di ab; 4,9 milioni in 9 centri da 500.000 a 1 milione di ab.; 5,9 milioni in 23 centri da 250 a 500 mila ab.; 5,9 milioni in 55 città da 100 a 250 mila ab.; 5,6 milioni in 107 città da 50 a 100 mila abitanti; il resto in 3265 centri tra 2500 e 50.000 abitanti.
Fra le città con più di 100.000 ab., Evansville (Ind.), E. Paso (Tex.) e Lynn (Mass.), che rientravano fra quelle nel 1930, contavano meno di 100.000 ab. nel 1940, ed hanno ceduto il posto a Sacramento (Calif.: 105.958 ab. nel 1940) e ad Utica (N. Y: 100.518). Delle 93 grandi città del 1930 ben 33 (35,4%) hanno veduto diminuire la loro popolazione nel decennio 1930-40: così Philadelphia, per numero di abitanti la terza città dell'Unione (perdita dell'1,0%; 1.391.337 ab. nel 1940): Cleveland, Ohio (873.336), che pur continua ad occupare l'ottavo posto fra le città nordamericane; St. Louis. Mo. (816.048); Boston, Mass. (770.816); Newark, N. J. (429.760); Kansas City, Mo. (399.178), Rochester, N. Y. (324.975); Jersey City, N. J. (301.173); Toledo, Ohio (282.349), ecc. In genere i centri urbani maggiori non presentano, nel decennio 1930-40, grandi aumenti di popolazione (se si toglie Washington, v.). Notevoli guadagni hanno invece realizzato, ad es., Miami, Fla. (55,4%, 172.172 ab. nel 1940), San Diego, Cal. (37,3%, 203.341); Jaksonville, Fla. (33,5%, 173.065); Houston, Tex. (31,6%, 384.514); Atlanta, Ga. (12,0%, 302.288), e diversi altri centri degli stati meridionali e occidentali.
Le conseguenze delle migrazioni interne di cui s'è detto si rivelano anche nelle modificazioni apportate ai nuclei urbani. Se il numero delle grandi città - considerate come unità amministrative - è stazionario, è cresciuto sensibilmente quello degli agglomerati urbani, cioè delle aree che costituiscono delle unità poleogeografiche (metropolitan districts del censimento) in cui alle città vere e proprie vengono uniti i centri viciniori e satelliti (di regola entro un raggio di 6-7 km. all'incirca) che su di esse gravitano. Il più popoloso di questi agglomerati risultava nel 1940 naturalmente quello di New York (v. in questa App.). Poiché l'importanza numerica di tali agglomerati non sempre corrisponde a quella del principale centro cittadino attorno al quale si sono formati, diamo qui di seguito l'elenco dei metropolitan districts che nel 1940 contavano più di mezzo milione di ab. ciascuno.
Dei 131,7 milioni di ab. del 1940, i bianchi erano 118,2 milioni (89,7%) pei quali 106,8 censiti come nati da genitori indigeni (81,1%) e 11,4 da genitori stranieri (8,6%). Fra questi ultimi gli Italiani tengono il primo posto con 1.623.589 unità (v. appresso); seguono i Tedeschi (1.237.772); i Russi (1.040.884), i Polacchi (993.479), gli Inglesi (621.975), gli Irlandesi (572.031), ecc. I Negri erano saliti nel 1940 a 12.865.518 anime, ma la loro proporzione sul totale della popolazione statunitense è scesa dal 9,7% del 1930 al 9,0% del 1940 (v. appresso il § sui Negri d'America). Quanto agli Indiani, nel 1940 contavano 333.969 unità; la loro percentuale sul totale della popolazione è calata da 0,27 nel 1930 a 0,25 nel 1940.
Italiani. - Degli 1,6 milioni di Italiani che il cens. 1940 rileva tra i foreign born, poco meno della metà vivono nello stato di New York (584.075 anime); 197.281 in Pennsylvania, 169.063 nel New Jersey, 114.362 nel Massachusetts, 100.911 in California; 98.244 nell'Illinois, 81.873 nel Connecticut, ecc. Secondo fonti più recenti, nel solo stato di New York vivono intorno a 1.638.000 Italiani (1.200.000 nel solo nucleo urbano); 797.000 negli stati nord-orientali e 583.000 nel resto della Confederazione; in totale 3.018.000.
Attività economica (XXXII, p. 544). - Nel 1940 la popolazione era così ripartita per professioni (%): 29,3 industria, 20,6 commercio; 17,6 agricoltura, allevamento, pesca; 8,5 servizî domestici; 7,7 professioni liberali; 6,6 marina mercantile; 3,0 pubblica amministrazione; 2,1 industrie estrattive; 0,6 servizî militari e 4,0 diverse.
Agricoltura. - Statistiche recenti (1945) dànno:
Le eccezionali esigenze del periodo bellico imposero all'economia degli S. U. una rapida trasformazione, studiata ed attuata dallo stato, da un lato per accrescere quanto più possibile la produzione, in vista della sempre crescente richiesta (entro e fuori i confini dell'Unione), dall'altro per regolarla secondo le necessità più impellenti, che suggerivano di non lasciarla senz'altro al giuoco disordinato della speculazione individuale o collettiva. Il primo scopo fu raggiunto fidando più sull'opportuna scelta e distribuzione delle colture, che non sulla loro maggiore estensione; il secondo, tenendo d'occhio la possibilità di trattare industrialmente la produzione per assicurame una migliore utilizzazione.
Sforzi non meno notevoli furono dedicati alle colture industriali; ad es. a quella delle arachidi (passata da 5 a 12 milioni di q. fra il 1939 ed il 1943) od a quella della soja (da 24 a 56 milioni di q. nello stesso periodo), anche mediante l'impiego di varietà refrattarie alle epidemie o capaci di più elevato rendimento unitario. In complesso, anche in questa categoria di prodottî agricoli, più che l'aumento, pur cospicuo, dei raccolti, sorprende il generale progresso tecnico realizzato in tutte le colture, e perciò i più alti indici della produzione per ha.
Allevamento. - La consistenza del patrimonio zootecnico subì, dopo il 1930, alternative varie, in rapporto, più che con la cresciuta domanda di prodotti animali, con la tendenza a sviluppare gli allevamenti industrialmente e commercialmente meglio redditizî. Alla fine del quindicennio 1930-45 il resultato più ragguardevole è l'aumento dei bovini e dei suini, e la diminuzione del bestiame povero e degli equini, dovuta, quest'ultima, alla sempre maggior diffusione dei mezzi meccanici.
Queste tendenze appaiono chiare dalla cresciuta produzione dei generi alimentari d'origine animale, come emerge dal seguente specchietto:
Anche i prodotti della pesca sono andati, fra il 1930 ed il 1945, aumentando del 40% circa (19.848 t. nel 1945), mentre il numero degli addetti è rimasto lo stesso, ed è invece diminuito quello dei natanti impiegati (71.528).
Foreste. - Attuale condizione delle aree boschive degli S. U.:
Miniere. - Anche nell'industria estrattiva, superata la crisi del 1930-36, quantità e valore della produzione riprendevano la loro marcia ascensionale, che la guerra ha stimolato e accelerato, ma che non è finita con questa, come si rileva dalla tabella seguente con i dati del valore globale della produzione mineraria:
La perdita dei mercati dell'Estremo Oriente e la crisi del naviglio marittimo ha reso dapprima difficile l'approvvigionamento di talune materie prime di largo consumo (stagno, bauxite, cromo, ecc.), ma, mentre si richiedono nuovi mezzi alla tecnica, e si dà opera ad una più esatta ricognizione delle risorse del paese (specialmente nelle zone desertiche meno esplorate), si sono rimessi in attività i giacimenti meno ricchi, anche dove la coltivazione appare scarsamente redditizia, e si cercano tutte le possibili sostituzioni dei minerali che scarseggiano sul mercato interno. Più che nel settore dei combustibili e dei metalli impiegati dalle industrie domestiche e tradizionali, l'aumento della produzione, nel quinquennio 1941-45, segna le sue punte dove fu interessata dall'economia bellica.
I minerali di ferro (v. la tab. qui sotto) nel 1942 raggiunsero quote massime che rappresentano all'incirca il doppio della media prebellica (1936-40) e superano largamente la produzione, pur eccezionale, del 1929. Lo stesso si può ripetere dell'acciaio, la ghisa e le leghe, i cui quantitativi sono relativamente di poco diminuiti nei due anni che han tenuto dietro alla fine delle ostilità. La produzione ha attinto, come per il passato e press'a poco nelle stesse proporzioni (80-85% del totale), alle generose riserve del Minnesota e del Wisconsin. Ma si è anche intensificata la corrente di importazione di minerali di ferro (Chile, Venezuela, Svezia), che nel 1946 ha superato ormai la media prebellica.
Analogo sviluppo mostra, in complesso, la produzione dei combustibili. Tutti i bacini carboniferi segnano, dopo il 1940, aumenti più o meno forti, ma i quantitativi oscillano, in sostanza, intorno alla media del 1916-20, toccando il loro massimo nel 1944 con 620 milioni di tonn. Il primato della produzione è ormai passato dalla Pennsylvania alla Virginia occidentale: i due stati totalizzano all'incirca una metà dell'intero quantitativo.
Ancora più grandioso è stato lo sforzo realizzato nell'estrazione del petrolio, quasi quintuplicata dopo il 1940 rispetto al periodo bellico I 916-20: l'aumento è continuato con ritmo costante fino al massimo assoluto del 1947 (250.000.000 di t. metriche oltre il 60% della prod. totale mondiale), che rappresenta un quantitativo decuplo della media del 1906-10. In tal modo l'Unione ha non solo mantenuto, ma rafforzato la sua posizione nell'industria petrolifera mondiale: i risultati dei nuovi sondaggi hanno, almeno per il momento, allontanto il ricorrente timore di una più o meno prossima crisi per esaurimento delle riserve nazionali. I pozzi della regione appalachiana, quasi abbandonati nel 1935, sono stati rimessi in efficienza, e la produzione di talune zone - ad es. della Louisiana - è cresciuta in proporzioni insperate. Tanto per il petrolio (44% della prod. totale) quanto per il gas naturale (saliti da 5,5 a 120,1 bilioni di mc. fra il 1930 ed il 1947) il Texas è oggi il primo produttore. vedi anche petrolio, in questa seconda App., II, specialmente p. 532 segg.
Anche la rete degli oleodotti si è infittita: fra il 1940 ed il 1946 la loro lunghezza è salita da 161.180 km. a 187.555. I nuovi impianti consentono il congiungimento della Louisiana con la Carolina del nord, e del Tennessee con la Florida. Dal Texas due oleodotti di vaste proporzioni conducono al New Jersey ed all'Illinois. Nuove, grandiose raffinerie sono state erette, fra l'altro, a Philadelphia, a Beaumont e Port Arthur, Tex. (dove si è sviluppato un agglomerato urbano di oltre 150.000 ab.). La produzione rimane, tuttavia, impari alla richiesta: le importazioni (12,4 milioni di t. di petrolio grezzo e 7,9 di raffinato nel 1946) superano le esportazioni (6,0 e 12,6 rispettivamente, nello stesso anno). Di conseguenza ha avuto un notevole sviluppo la produzione dei succedanei.
Industrie. - Il censimento industriale del 1939 dimostrò un'evidente sosta, se non una certa contrazione, nell'attività industriale, come risulta da questi dati complessivi, se messi a confronto con i corrispondenti dati del 1929 (dati in migliaia): numero degli stabilimenti 184,2, numero degli operai 7886,2.
La crisi interessò, in misura sostanzialmente analoga, tutte le regioni degli S. U., sì che la distribuzione geografica delle industrie non subì variazioni notevoli.
Col 1940 la crisi cominciò a risolversi e la guerra impresse un ritmo accelerato alla ripresa, sì che gli indici relativi a tutti, senza eccezione, i rami d'industria superarono più o meno largamente la media del 1935-39, e si riportarono presto al livello del periodo compreso fra le due guerre mondiali, oltrepassandolo in più casi. Notevole il fatto che, nonostante l'evidente riflesso prodotto dalla smobilitazione delle soprastrutture belliche, il processo di sviluppo non si arresta. (Per gl'indici della prod. industriale v. appresso).
Le esigenze della guerra hanno determinato anche nell'industria nordamericana la ricerca e la preparazione di succedanei (nel campo dei tessili e della gomma) alcuni dei quali han dato origine a nuovi grandiosi impianti. Una vera rivoluzione hanno poi instaurato nell'industria statunitense le materie plastiche, per le quali sono messe a profitto le materie prime più disparate.
Comunicazioni (p. 553). - Le perdite subite dal naviglio mercantile durante la guerra e le necessità imposte dalle operazioni belliche svolte contemporaneamente sopra più settori resero necessario un grandioso piano di costruzioni navali. Al 1° aprile 1947 la marina mercantile statunitense numerava 5580 navi (delle quali 994 motonavi), oltre a 321 velieri, per una stazza complessiva di 32,9 milioni di t. Questa cifra rappresenta circa il 40% del totale mondiale. Le conseguenze sul commercio estero appaiono dalla seguente tabella:
Fra il 1931-36 (media) ed il 1945 la flotta mercantile statunitense ha raddoppiato la percentuale della propria partecipazione al commercio estero nazionale. D'altro canto il cresciuto volume dei traffici per via d'acqua non ha diminuito, ma ha anzi sollecitato ancor più la navigazione interna.
Il chilometraggio complessivo delle ferrovie (trazione a vapore) ha continuato la sua progressiva contrazione, diminuendo da 395.410 a 364.408 km. fra il 1933 ed il 1946, con una corrispondente riduzione del materiale rotabile (45.511 locomotive; 38.697 carrozze-passeggeri e 1.758.400 carri merci al 31 dicembre 1946). In compenso le strade statali, che misuravano 515.000 km. nel 1930, erano cresciute alla fine del 1946 ad oltre 930.000 km., di cui più di 200.000 di autostrade. Anche l'aviazione civile ha avuto negli ultimi anni un grandioso sviluppo. I servizî regolari interni interessavano nel 1947 una rete di circa 100.000 km., con un traffico di 8,1 milioni di passeggeri e voli per un totale di 334.000.000 di km. Al 1° dicembre 1947 si contavano, nel territorio dell'Unione, 5431 aeroporti, dei quali 2633 commerciali e 1732 municipali.
Commercio estero. - La tabella seguente permette di cogliere senza difficoltà le perturbazioni indotte in conseguenza della seconda Guerra mondiale - rispetto all'andamento del periodo prebellico - nella composizione qualitativa e quantitativa del commercio estero statunitense. L'eccezionale bilancio del quinquennio 1941-45 tende a far posto ad un più equilibrato ritmo di scambî, come sembrano già indicare le cifre dei due ultimi anni. Alla stessa conclusione conduce l'esame della distribuzione del commercio estero per paesi, sintetizzata nella tabella seguente. Il fatto che più dà nell'occhio è la contrazione (in cifre relative) degli scambî con l'Europa, così nelle esportazioni dagli S. U. A., quanto, e più, nelle importazioni.
Dipendenze (XXXII, p. 560). - Le Isole Filippine (v. in questa App.) si sono costituite il 4 luglio 1946 in una repubblica indipendente, unite agli S. U. da un accordo di reciproca protezione, che riconosce agli S. U. il diritto di disporre delle basi navali per una periodo di 99 anni.
Le 625 isole del Pacifico occidentale, che costituirono fra le due grandi guerre un mandato giapponese, vennero affidate dal Consiglio di sicurezza delle N. U. il 2 aprile 1947 agli S. U. in amministrazione fiduciaria col diritto di fortificarle, se necessario, per la loro sicurezza. Le isole comprendono i gruppi delle Marianne (esclusa Guam, che è dipendenza coloniale statunitense), delle Caroline, delle Marshall, e delle Palau (compresa Yap). In totale si tratta di una superficie di 2149 kmq. sulla quale vivevano, prima dell'ultino conflitto, 131.000 ab., ridotti a circa 80.000 attualmente, dopo l'esodo dei Giapponesi.
In conseguenza dell'ultima guerra, gli S. U. si assicurarono dalla Gran Bretagna, col trattato dell'8 settembre 1940, il diritto di tener basi navali ed aeree per 99 anni in un certo numero di località delle due Americhe: in Terranova (penisola di Avalon), nelle Bermude (I. Tucker, Morgan, Long Bird e St. David), nelle Bahama (Abraham Bay), in Giamaica (Baia di Portland, con l'I. Goat, Maypen e Pt. Royal), nell'I. Antigua, in quella di S. Lucia (Great Islet Bay), in Trinidad (costa occid.) e nella Guyana britannica (presso Demerara).
Economia e finanze (XXXII, p. 566; App. I, p. 1021).
Il crescere della tensione politica in Europa nel corso del 1938 e lo scoppio delle ostilità nel settembre 1939 contribuirono, più di ogni altro provvedimento interno, a sollevare l'economia degli S. U. da quella fase di depressione che, iniziatasi nell'ultimo quadrimestre del 1937, aveva raggiunto il massimo di gravità nel maggio 1938, con un indice della produzione industriale ridotto al 78% della media del quinquennio 1935-39 e un totale di circa 10 milioni di disoccupati.
In conseguenza dei timori per l'approssimarsi del conflitto si ebbe, a partire dal settembre 1938, un crescente afflusso di oro, dovuto in parte a trasferimento di capitali in cerca di rifugio e in parte alle maggiori esportazioni di merci verso i paesi europei che si preparavano alla guerra. Dopo il settembre 1939 l'afflusso di oro per movimento di capitali si ridusse considerevolmente, per le limitazioni imposte nei paesi belligeranti ai trasferimenti privati; per contro andarono sempre più aumentando le importazioni di oro a fronte delle esportazioni di merci verso i paesi in lotta, parte delle quali venne peraltro pagata con la liquidazione di attività negli S. U. A. seguito di queste operazioni, le riserve auree ufficiali del paese, che alla fine del 1937 non raggiungevano i 13 miliardi di dollari, passarono a 17,8 miliardi alla fine del 1939, a poco più di 21 miliardi alla fine del 1940 e a 22,7 miliardi all'epoca dell'entrata in guerra degli S. U.
Nel settembre 1939 fu istituito il War Resources Board, per studiare il fabbisogno e le fonti di approvvigionamento dei materiali occorrenti alla difesa; a questo fece seguito, nel maggio 1940, l'Office for Emergency Management per l'elaborazione dell'intero programa di difesa; furono poi man mano bloccati gli averi negli S. U. dei cittadini dei varî paesi occupati o comunque entrati nell'orbita dell'Asse; nel marzo 1941, infine, con la legge affitti e prestiti (Lend-lease act) fu autorizzato l'invio di materiali d'ogni sorta ai paesi in lotta contro l'Asse. Contemporaneamente si provvide ad assicurare il finanziamento del programma di difesa e si presero provvedimenti per ridurre al minimo le ripercussioni inflazionistiche dell'aumento della produzione per scopi bellici. Le spese per la difesa, che nel luglio 1940 non raggiungevano ancora i 200 milioni mensili, superarono i 500 milioni nel gennaio successivo, toccarono i 900 milioni nel luglio 1941, e giunsero ad 1,7 miliardi mensili alla vigilia di Pearl Harbor. Una parte di queste spese fu fronteggiata con un aumento della tassazione (nel 1940 furono ridotti i minimi di esenzione dell'imposta sul reddito; le società, oltre a sottostare ad un aumento di circa un terzo della imposta ordinaria, furono colpite da una nuova imposta sui sovraprofitti; furono in media aumentate del 10% le aliquote delle altre imposte; nel marzo 1941 tutte le nuove emissioni statali furono assoggettate all'imposta federale sul reddito; infine, col Revenue act del settembre 1941 venne modificato l'intero sistema dell'imposta sul reddito; tutte queste variazioni assicurarono all'erario un maggior gettito di circa 5 miliardi); una parte maggiore attraverso l'emissione di titoli del debito pubblico, prevalentemente a lunga scadenza, che si cercò di collocare di preferenza tra i privati (tra il giugno 1938 e il giugno 1941 il debito pubblico aumentò di quasi 12 miliardi); un'altra parte infine attraverso il finanziamento bancario delle commesse statali, consentito e disciplinato da una legge dell'ottobre 1940.
La politica del sistema della Riserva federale (FRS) mirò a raggiungere due obiettivi principali: mantenere stabili sul mercato i titoli statali - in modo da agevolare il collocamento delle nuove emissioni - e ridurre il medio circolante al minimo compatibile con le esigenze della difesa. Gli interventi per il raggiungimento del primo obiettivo furono assai limitati; maggiore sviluppo ebbe invece la legislazione diretta a contenere l'espansione del credito. Importanti soprattutto la Regulation W del F. R. Board (21 agosto 1941) che stabilì restrizioni per le vendite a rate, e l'aumento, decretato pure dal Board, a partire dal 1° novembre 1941, delle riserve obbligatorie delle banche membri fino al massimo consentito dalla legge (26% dei depositi a vista per le banche di New York e Chicago; 20% per quelle situate in città sedi di banche della R. F.; 14,4% per le altre; 6% dei depositi a termine per tutti i tipi di banche). Parallela all'azione del FRS si svolse quella del governo, intesa a combattere l'inflazione attraverso il controllo dei prezzi e il razionamento, attuati per mezzo dell'OPA (Office of Price Administration and Civilian Supply, istituito nell'aprile 1941), che nel primo periodo della sua attività cercò di stabilizzare i prezzi attraverso accordi con gli industriali e la fissazione di prezzi massimi per le più importanti categorie di prodotti.
Grazie ai provvedimenti passati in rassegna, gli S. U. si trovarono nel dicembre 1941 nelle migliori condizioni per iniziare la guerra. La situazione economico-finanziaria del paese a quell'epoca può essere schematizzata nelle seguenti cifre: indice della produzione industriale (base 1935-39) = 167; disoccupazione circa 4 milioni (dicembre 1938 circa 9 milioni); indice dei prezzi all'ingrosso (base 1938) = 111; indice del costo della vita (base 1938) = 104; circolazione = 9,6 miliardi (dic. 1938 = 5,8 miliardi); depositi a vista = 39 miliardi (dic. 1938 = 26 miliardi); debito pubblico = 49 miliardi (dic. 1938 = 37,2 miliardi), con un onere di interessi di 1,3 miliardi (1938 = 1,1 miliardi); reddito nazionale per l'anno 1941 = 97 miliardi (1938 = 64 miliardi).
Con la partecipazione degli S. U. al conflitto, tutto il meccanismo predisposto per convogliare le risorse disponibili verso gli scopi di guerra prese a lavorare a pieno regime.
Il controllo sulla produzione bellica venne affidato ad un nuovo organismo, istituito nel gennaio 1942 con amplissimi poteri, il War Production Board; il controllo sui prezzi divenne più rigoroso con l'emanazione, nello stesso mese di gennaio, dell'Emergency price control act e con la pubblicazione, nell'aprile successivo, di un regolamento che vincolò i prezzi della maggior parte dei beni destinati al consumo civile, dei servizî e delle locazioni al livello del marzo 1942. Con disposizione del marzo 1942 fu concessa la garanzia dello stato ai prestiti fatti per finanziare la produzione di guerra; attraverso varî uffici furono indirizzati verso la produzione di guerra e convenientemente istruiti parecchi milioni di lavoratori. La spesa pubblica raggiunse nei quattro esercizî compresi tra il luglio 1941 e il giugno 1945 la cifra complessiva di 305 miliardi, oltre il 90% dei quali imputabile direttamente o indirettamente alla guerra. Grazie agli inasprimenti fiscali decretati dal Congresso nel 1942, ai perfezionamenti nei sistemi di accertamento e di riscossione apportati nel 1943 e al maggior gettito derivante dall'aumento del reddito nazionale, lo stato poté riscuotere per imposte nei quattro anni l'importo di 125 miliardi, pari al 41% circa della spesa complessiva. Di fronte all'imperioso fabbisogno di danaro per la copertura della parte rimanente, la Tesoreria offrì in sottoscrizione titoli aventi caratteristiche atte a soddisfare le esigenze delle varie categorie di investitori, e il FRS perseguì una complessa politica intesa a mantenere basso il saggio dell'interesse. In dipendenza dei varî provvedimenti adottati, tra il giugno 1941 e il dicembre 1945 il sistema bancario assorbì 93 miliardi di titoli statali (22 dei quali acquistati dal FRS), vale a dire oltre il 40% delle emissioni del periodo, che ammontarono a 229 miliardi di dollari.
Subordinatamente alle esigenze del finanziamento della guerra il FRS non mancò tuttavia di prendere provvedimenti per frenare il più possibile la corsa all'inflazione. Meritano speciale menzione a tale riguardo le ulteriori restrizioni apportate nel primo semestre del 1942 al credito per la vendita a rate; gli sforzi fatti, in collaborazione con la Tesoreria, per collocare tra i privati il maggior quantitativo possibile dei titoli dello stato offerti in sottoscrizione; l'opera di persuasione svolta presso le banche per indurle a limitare il credito nei settori non interessanti direttamente la produzione bellica; infine l'aumento dei margini di copertura per le operazioni in titoli, che vennero portati nel febbraio 1945 al 50% del valore di mercato dei titoli e ulteriormente aumentati al 75% dal 5 luglio 1945.
Le forti spese sostenute dal governo per acquisti di merci e servizî all'estero e le spese all'estero delle truppe determinarono nel corso della guerra un esodo di oro dagli S. U. e un aumento delle disponibilità in dollari di molti paesi esteri, in ispecie dell'America Latina. Le riserve auree ufficiali degli S. U. scesero alla fine del 1943 a 21,9 miliardi e si ridussero a 20,1 miliardi alla fine del 1945. Gran parte dell'oro, tuttavia, non abbandonò materialmente il paese, ma vi rimase accreditato, earmarked, presso le Banche della Riserva a favore dei governi o delle banche centrali dei paesi esteri (2,2 miliardi alla fine del 1941 e 4,2 miliardi alla fine del 1945). Le disponibilità estere in dollari aumentarono di circa 3 miliardi nel corso della guerra, raggiungendo a fine dicembre 1945 l'importo di 6,4 miliardi.
Sullo sfavorevole andamento della bilancia dei pagamenti degli S. U. per il periodo in esame, oltre alle cause già accennate, influì in larga misura il fatto che durante tutta la guerra la maggior parte delle esportazioni statunitensi avvenne in base alla legge affitti e prestiti e quindi a titolo prevalentemente gratuito. (Per l'entità delle forniture v. affitti e prestiti; prestiti esteri in questa Appendice).
Al termine della guerra la situazione economico-finanziaria degli S. U. aveva subìto le seguenti variazioni: l'indice della produzione industriale, dopo il massimo di 239 (1935-39 = 100) raggiunto nel 1943, era sceso a 203; la disoccupazione, dopo essere scesa a cifre insignificanti nell'autunno 1944, contava circa un milione di unità; l'indice dei prezzi all'ingrosso aveva raggiunto il livello di 134, l'indice del costo della vita era passato a 128, la circolazione a 26,5 miliardi (dicembre 1945); i depositi a vista a 75,9 miliardi (dic. 1945); il debito pubblico a 278,1 miliardi (dic. 1945), con un onere di interessi di 3,6 miliardi (esercizio 1944-45); il reddito nazionale (anno 1945) a 161 miliardi.
Con la fine delle ostilità si presentarono quasi contemporaneamente nuovi, complessi problemi da risolvere: riconversione della economia dalla organizzazione di guerra a quella di pace; limitazione dell'aumento dei prezzi, che tendevano a crescere fortemente per lo squilibrio esistente tra una larga domanda, potenziata dalle disponibilità liquide accumulatesi nelle mani del pubblico durante gli anni di guerra e una offerta limitata dalla scarsa disponibilità iniziale di merci e servizî; problemi varî di ordine finanziario, interno ed esterno.
La riconversione, iniziatasi in molti casi prima che la guerra avesse termine e favorita con varî provvedimenti (agevolazioni fiscali e rimborso di imposte pagate durante la guerra, sospensione del razionamento e dei controlli in alcuni settori, cessione a privati di aziende statali, ecc.) avvenne in genere senza eccessive difficoltà e in un periodo di tempo inferiore al previsto. L'indice della produzione industriale, ridottosi tra il febbraio 1945 e il febbraio 1946 da 235 a 152, aumentò sotto la spinta della forte domanda dilazionata a 182 (fine del 1946) e a 200 (fine del 1947).
Risultati meno soddisfacenti, anche per l'influenza degli opposti interessi, si ebbero invece nella lotta contro l'inflazione. Nel periodo compreso fra il settembre 1945 e il giugno 1946, grazie al permanere dei controlli governativi, l'indice ufficiale dei prezzi all'ingrosso aumentò soltanto da 134 a 144; in seguito però all'abolizione pressoché completa dei controlli sui prezzi e dei sussidî, tra il luglio e il novembre 1946, e all'abolizione, dal 1° novembre 1947, dei controlli sul credito per le vendite a rate - entrambe volute dal Congresso, nonostante il contrario avviso delle autorità monetarie e le ripetute richieste di maggiori poteri per combattere l'inflazione fatte dal presidente Truman - l'indice passò a 179 alla fine del 1946 e a 208 alla fine del 1947, mettendo in evidenza una svalutazione di oltre il 50% del potere d'acquisto del dollaro in termini di merci all'ingrosso. Ciò avvenne nonostante gli interventi del governo e del FRS per frenare l'inflazione attraverso l'uso dei limitati mezzi di cui disponevano. Diminuite fortemente le spese statali con la cessazione delle ostilità, la Tesoreria utilizzò, nel corso del 1946, gran parte delle sue ampie disponibilità di cassa per il rimborso del debito pubblico a breve termine (prevalentemente in possesso delle banche), che diminuì di 20 miliardi, contribuendo a limitare l'espansione del credito bancario; venuta meno la necessità di incoraggiare le emissioni statali, il F.R. Board abolì, nella primavera del 1946, il tasso di favore di 1/2%, introdotto durante la guerra per le anticipazioni sui titoli di stato; nel luglio 1947, accentuatisi i segni dell'inflazione ed aumentata quindi la necessità di più energiche misure, fu pure abolita la disposizione che faceva obbligo al FRS di acquistare dalle banche cambiali del Tesoro al tasso di 3/8%. Contemporaneamente si diede inizio ad unapolitica di aumento del costo del danaro, le cui tappe principali furono: l'aumento graduale del tasso d'interesse sui titoli a breve termine della Tesoreria fino ad 1,16% per le emissioni a tre mesi e ad 1,25% per quelle a un anno; l'aumento graduale del saggio ufficiale di sconto fino ad 1½% a decorrere dal 13 agosto 1948; l'abbassamento del livello di sostegno dei prezzi dei titoli statali a lungo termine. Il FRS si servì pure degli altri mezzi di controllo del mercato a sua disposizione, elevando nel gennaio 1946 al 100% i margini di copertura per le operazioni in titoli (i quali furono però riportati nel febbraio 1947 al 75%) e aumentando nel primo semestre 1948 le riserve obbligatorie delle banche membri situate nella città di New York e Chicago dal 20 al 24%. Rivelatesi insufficienti queste misure, il FRS, ottenuti i necessarî poteri dal Congresso, ripristinò nel settembre 1948 la Regulation W con alcuni temperamenti ed aumentò le riserve obbligatorie al 26,22 e 16% dei depositi a vista rispettivamente per le tre categorie di banche membri e al 7½% dei depositi a termine per tutte le banche membri.
Nel campo della finanza pubblica, addirittura stupefacente fu la rapidità con la quale venne ripristinato il pareggio del bilancio statale, come può rilevarsi dalle cifre che seguono:
Il bilancio 1947-48 si chiuse infatti con un avanzo di 8,4 miliardi, grazie soprattutto al permanere di un alto livello di tassazione e nonostante che le spese direttamente connesse con la guerra ammontassero ancora a 22,3 miliardi. I disavanzi previsti per gli esercizî 1948 e 1949 sono da attribuire prevalentemente agli sgravî fiscali approvati dal Congresso nell'aprile 1948; tra le principali voci di spesa figurano quelle per la difesa (29 e 34% rispettivamente per i due anni), per gli aiuti all'estero (18 e 16%), per l'assistenza ai reduci (17 e 13%) e per gli interessi sul debito pubblico (13%).
Con la fine della guerra la bilancia dei pagamenti degli S. U. subì una radicale trasformazione. Terminate le assegnazioni gratuite in conto affitti e prestiti e diminuite fortemente le spese all'estero, la crescente domanda di merci americane da parte dei paesi esteri fece sorgere il problema del finanziamento delle eccedenze di esportazione, che ammontarono a 22,5 miliardi circa nel triennio 1946-48. Una parte di queste continuò ad essere finanziata con assegnazioni a titolo gratuito ai varî enti istituiti in seno alle N. U. per l'assistenza ai paesi danneggiati dalla guerra (primo tra questi l'UNRRA, che ricevette contribuzioni dagli S. U. per 2,7 miliardi) o attraverso gli aiuti diretti, quali i soccorsi alle popolazioni civili dei territorî occupati dalle truppe americane (2,5 miliardi fino al 30 settembre 1948), le spedizioni gratuite di privati americani, le forniture non soggette a rimborso effettuate sugli stanziamenti affitti e prestiti (735 milioni), gli aiuti post-UNRRA ad alcuni paesi europei e alla Cina (350 milioni), gli aiuti militari alla Grecia e alla Turchia (300 milioni), gli aiuti "tampone" all'Austria, alla Francia e all'Italia (522 milioni), infine gli aiuti per la ricostruzione economica dell'Europa in base all'Economic cooperation act del 3 aprile 1948, attualmente in corso di erogazione in favore dei paesi partecipanti all'OECE, secondo un piano quadriennale che prevede, per il primo anno, assegnazioni gratuite per circa 4 miliardi e prestiti a lunga scadenza per circa un miliardo (v. piano economico: piano Marshall). Un'altra parte delle esportazioni fu finanziata con l'utilizzo di disponibilità in dollari e con trasferimenti di oro. Nel corso del triennio 1946-48 le disponibilità nette dell'estero presso il sistema bancario diminuirono di 2 miliardi, riducendosi a 4,5 miliardi circa; nello stesso periodo di tempo le riserve auree ufficiali, nonostante un versamento di 687,5 milioni all'Interfund, aumentarono di 4,1 miliardi, passando a 24,2 miliardi; parte dell'oro fu prelevata da quello depositato per conto dell'estero, che si ridusse alla fine del 1947 a 3,8 miliardi. Terza fonte di finanziamento delle esportazioni fu costituita dai prestiti. Di fronte alla necessità di venire incontro ai paesi danneggiati dalla guerra anche con questa forma di aiuto, con legge del 31 luglio 1945 la capacità di prestito della Export-Import Bank fu aumentata da 700 a 3500 milioni. Al 30 giugno 1948 la Banca aveva in essere prestiti per circa 2,9 miliardi, di cui 2,2 effettivamente erogati. I principali mutuatarî erano la Francia (1,2 miliardi), il Canada (300 milioni, di cui 160 ancora da erogare) e l'Olanda (192 milioni). L'Italia aveva in essere prestiti per 109 milioni, di cui quasi 33 erogati. Recentemente la Banca è stata anche incaricata di amministrare i prestiti del programma ERP. Altri prestiti furono concessi per il completamento delle forniture affitti e prestiti (pipeline credits) per un importo di circa 1,2 miliardi, per la vendita nei paesi esteri dei residuati di guerra (1,3 miliardi), per fronteggiare speciali necessità di alcuni paesi. Tra i prestiti di quest'ultima categoria merita speciale menzione quello di 3750 milioni di dollari concesso alla Gran Bretagna nel dicembre 1945, per aiutarla a superare il periodo di transizione.
Sempre nel campo dell'attività finanziaria internazionale va infine ricordata l'opera svolta dagli S. U. per la creazione degli istituti di Bretton Woods (v.) e per assicurare il loro funzionamento. Gli S. U. partecipano al Fondo con una quota di 2750 milioni di dollari, pari al 34% circa dell'importo complessivo finora sottoscritto, e alla Banca con una quota di 3175 milioni, pari al 38% del totale delle attuali sottoscrizioni, ed esercitano quindi una influenza preponderante in entrambi gli organismi. Allo scopo di coordinare l'attività finanziaria internazionale con quella interna venne costituito, con legge 31 luglio 1945 (quella stessa che autorizzò la partecipazione degli S. U. agli istituti di Bretton Woods), il National Advisory Council on international monetary and financial problems, il quale passò subito a svolgere una funzione di primo piano nella direzione della politica finanziaria degli S. U.
Al 31 dicembre 1948 la situazione economico-finanziaria degli S. U. risultava così modificata rispetto a quella di fine guerra: l'indice della produzione industriale era sceso a 189; il numero dei disoccupati era aumentato a circa 1,9 milioni di unità; l'indice dei prezzi all'ingrosso era ulteriormente salito a 206; l'indice del costo della vita era passato a 170; la circolazione era discesa a 25,7 miliardi; i depositi a vista erano passati 85,8 miliardi e quelli a termine a 57,3 miliardi; il debito pubblico era ulteriormente diminuito a 252,8 miliardi e risultava composto per 45,9 miliardi da titoli di Tesoreria a breve termine, per 111,4 miliardi da certificati del Tesoro a medio e lungo termine, per 55,4 miliardi da certificati di risparmio (titoli di capitalizzazione simili ai buoni postali fruttiferi italiani) e per il rimanente da emissioni speciali, certificati d'imposte e debito infruttifero; il reddito nazionale, sulla base dei dati dei primi tre trimestri del 1948, era valutato per tutto l'anno 1948 in 221,5 miliardi.
Bibl.: S. Ratner, American taxation, New York 1942; S. E. Harris, Price and related controls in the United States, ivi 1945; Federal Reserve System, Postwar economic studies, specialmente il n. 4; Prices, wages and employment, Washigton, maggio 1946, e il n. 8: Federal Reserve policy, ivi, novembre 1947; B. Mitchell, The economic history of the United States, vol. IX: Depression decade. From New Era through New Deal, 1929-41, New York 1947; B. Mitchell e L. Pearson Mitchell, American economic history, Cambridge (Mass.) 1947; S. Kuznets, National income and its composition, N. B. E. R., New York 1947; R. G. Thomas, Our modern banking and monetary system, ivi 1947; A. H. Hansen, Economic policy and full employment, ivi 1947; J. F. Dewhurst e altri, America's needs and resources, ivi 1947; H. F. Williamson, The growth of the American economy, ivi 1947; N. Garrone, Circolazione e credito negli Stati Uniti d'America, Roma 1948; The Economic reports of the President, New York 1948.
Storia (XXXII, p. 571; App. I, p. 1019).
Il vasto movimento di riforme interne, che si era svolto con tanto successo nel primo quadriennio della presidenza di Roosevelt (1932-36), si rallentò negli anni successivi.
Nella mancanza di saldi vincoli di partito che abbracciassero l'intera nazione, il Partito democratico - teoricamente, quello che era al potere - si era scisso in diverse fazioni. L'ala conservatrice continuò a manifestare aperta opposizione contro varî aspetti della politica del New Deal. È vero che la commissione parlamentare che aveva bloccato per due anni il progetto di legge sul lavoro finì col cedere: il Wages and Hours Act (legge sui salarî e gli orarî), adottato il 25 giugno 1938, stabiliva un salario minimo secondo principî accolti da lungo tempo nella legislazione delle principali nazioni d'Europa, provvedeva alla riduzione graduale del numero delle ore lavorative e vietava l'impiego di minorenni per i lavori più gravosi. Ma nonostante questa vittoria parziale delle correnti riformatrici, altre misure nel campo dei sussidî governativi e dell'intervento del National Labor Relations Board (NLRB) a tutela dei nuovi diritti delle unioni sindacali in tema di contrattazioni collettive, sollevarono crescente opposizione. La reazione contro la politica dei primi anni di Roosevelt venne anche inasprita da scioperi ripetuti, che si svolsero mentre i sindacati erano impegnati in una vigorosa campagna per organizzare i lavoratori. Nel 1941 l'American Federation of Labor aveva portato il numero dei suoi iscritti a 4.569.000 e la confederazione rivale, Congress of Industria Organizations, coi suoi sindacati estesi a industrie intere, aveva cinque milioni d'iscritti: le cifre più alte che si fossero raggiunte fino allora negli Stati Uniti, ma pur sempre inferiori percentualmente a quelle della maggior parte dei paesi industriali d'Europa.
I democratici d'opposizione non erano ostili ai sussidî per l'agricoltura come ai sussidî per il lavoro. Nel 1938 fu approvato l'Agricultural Adjustment Act (AAA), inteso a prevenire tanto la superproduzione quanto le deficienze nei raccolti e a sostenere per mezzo di sussidî governativi i prezzi dei generi agricoli particolarmente sovrabbondanti. Fu approvata anche una legge che favoriva la trasformazione dei contadini affittuarî in piccoli proprietarî, e che si modellava su precedenti misure adottate col medesimo intento in varî paesi d'Europa. Le riforme amministrative per riorganizzare e semplificare gli uffici federali, dopo lo scacco del 1937, fecero qualche progresso al Congresso nel 1939; comunque, il problema aveva perduto molta della sua importanza dacché la crisi internazionale richiedeva altre modificazioni nell'ordinamento burocratico.
Le elezioni al Congresso del 1938 permisero al Partito repubblicano di guadagnar terreno, rafforzando il gruppo isolazionista (che comprendeva anche un gran numero di democratici) e ostacolando gli sforzi del governo per fronteggiare il continuo aggravarsi della situazione. Agricoltori degli stati interni e industriali di ogni regione s'illudevano di poter continuare a fare affari come al solito coi paesi caduti in mano ai dittatori. La convinzione diffusa nel popolo che l'entrata in guerra degli S. U. nel 1917 fosse stata architettata da mercanti di cannoni (come una recente, clamorosa inchiesta parlamentare aveva cercato di dimostrare) e che l'Europa intera fosse un manicomio incurabile, incapace di praticare la "politica del buon vicinato" come le nazioni americane, attutiva la pur violenta reazione provocata da ogni nuova conquista del nazismo, del fascismo e dell'imperialismo nipponico. Il senatore A. Vandenberg, repubblicano, artefice priucipale delle leggi per la neutralità, si batteva per mantenere il paese al di fuori della lotta in Europa e in Asia. Tuttavia gli internazionalisti americani, nel Congresso e fuori, strinsero le file quando Roosevelt domandò che gli aggressori venissero posti in "quarantena".
Ma fino al principio della nuova Guerra mondiale il presidente non riuscì a indurre il Congresso a modificare neppur parzialmente le leggi di neutralità, che vietavano agli S. U. di aiutare le vittime delle aggressioni. Ogni nuovo stanziamento per l'esercito e la marina si dové strappare attraverso a lotte accanite contro i parlamentari d'opposizione e i giornali "isolazionisti"; un progetto anteriore di fortificazione dell'isola di Guam era già naufragato. Tuttavia il crollo della Francia gettò l'allarme nell'opinione pubblica, e la resistenza dell'Inghilterra nell'estremo pericolo indusse molti a prender partito per un intervento attivo. Sebbene l'opposizione deplorasse ancora, nell'agosto 1940, l'accordo in virtù del quale il governo cedeva 50 vecchi cacciatorpediniere all'Inghilterra (ottenendo in compenso la concessione in affitto di basi militari nei territorî britannici dell'emisfero occidentale, ritenute indispensabili per la difesa del Canale di Panamá) il Congresso, per la prima volta nella storia degli S. U., approvò nel settembre la coscrizione militare in tempo di pace. Nelle elezioni presidenziali del novembre 1940 le questioni internazionali fecero passare in seconda linea i problemi interni. Portabandiere delle opposte tendenze erano da un lato il comitato nazionalista e isolazionista America First, gruppi fascisteggianti come quello capeggiato da Gerald Smith, i seguaci del "radioprete" padre Coughlin e la lega tedesco-americana (German Bund); dall'altro il comitato White per "Difendere l'America aiutando gli Alleati", il comitato del "Combattere per la libertà" (Fight for Freedom) e così via. In genere gli interventisti erano più numerosi nel sud e nell'est che nel Middle West e nel Far West, benché nel Far West l'ostilità contro il Giappone fosse più pronunciata che altrove. L'ala progressista del Partito repubblicano, combattiva seppur non numerosa, e sostenuta da alcuni direttori di periodici e da parecchi finanzieri di Wall Street, riuscì di sorpresa a far nominare candidato alla presidenza Wendell Willkie, un avvocato e uomo d'affari che dopo un periodo d'appartenenza al Partito democratico si era imposto all'attenzione pubblica come critico del New Deal. Willkie era molto più vicino a Roosevelt in politica estera della maggior parte dei suoi competitori, e a molti elettori non legati a un partito dava la speranza che il vecchio Partito repubblicano potesse ringiovanire sotto la sua direzione. Roosevelt, tuttavia, fu rieletto con un ampio margine, sormontando la tradizione - legata, nella convinzione di molti, all'esempio di George Washington - che nessun presidente fosse rieletto più di una volta. La vittoria permise a Roosevelt di promuovere immediatamente i suoi piani per trasformare gli Stati Uniti nell'"arsenale della democrazia". Il Congresso, nel quale i democratici avevano considerevolmente aumentato il loro margine sui repubblicani, approvò il programma rooseveltiano di Lend-Lease (prestito e affitto) nel marzo 1941, permettendo così che le restrizioni imposte dalle leggi di neutralità venissero aggirate senza che occorresse abrogarle. Accordi di prestito e affitto vennero conclusi in un convegno tra Churchill e Roosevelt, a bordo di una nave da guerra britannica, nell'agosto del 1941. Prima di separarsi i due uomini di stato affermarono i loro ideali comuni nella Carta Atlantica (v.), che risvegliò pronta ed entusiastica solidarietà nell'opinione pubblica americana.
L'attacco senza preavviso dei Giapponesi a Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941, e le dichiarazioni di guerra tedesca e italiana, che seguirono immediatamente, fecero sì che l'entrata in guerra degli Stati Uniti si effettuasse in uno spirito di assoluta concordia nazionale sebbene non mancassero recriminazioni contro la politica che, secondo gl'isolazionisti, aveva reso la guerra inevitabile. Il desiderio di unione migliorò le condizioni delle minoranze: Ebrei, Negri (per questi v. appresso), Messicani.
Al principio della guerra il sospetto contro i metodi nemici d'infiltrazione condusse a un trattamento meno equo degli stranieri di nazionalità nemica. Verso gl'Italiani non ci fu mai vero odio, e anche le restrizioni di sicurezza nei loro riguardi vennero abolite il 12 ottobre 1942, anniversario della scoperta dell'America. Anche i Tedeschi riebbero libertà quasi completa dopo che furono dissipati i timori di una quinta colonna. I Giapponesi, bersaglio di antichi e profondi pregiudizî "nativisti" negli stati del Pacifico e spesso coinvolti nell'indignazione contro il "tradimento" di Pearl Harbor, furono invece obbligati a liquidare le loro proprietà nel Far West e trasferiti in campi speciali nell'interno. Tuttavia il governo cercò di render loro meno difficile l'acclimatamento nei nuovi centri e la ripresa delle loro attività abituali. Il fatto che provvedimenti analoghi venissero adottati nei confronti degli Americani di origine giapponese, fu un caso di persecuzione irragionevole. D'altra parte i rifugiati politici e altri stranieri di nazionalità nemica, al pari dei cittadini di nazioni alleate, in molti casi furono ammessi nei servizî civili di guerra e nelle forze armate americane (sebbene i tentativi di Randolfo Pacciardi e di altri per costituire "legioni" separate, simili alle Forze libere francesi, non venissero incoraggiati), e si riconobbe pienamente il valore del loro contributo. Artisti come Thomas Mann e Arturo Toscanini, scienziati come Alberto Einstein e Enrico Fermi ebbero tutta la stima e l'affetto del popolo americano in guerra.
Dalla guerra di Secessione in poi non era mai scoppiato un conflitto che impegnasse come questo le forze dell'intera nazione. Mentre non vi furono bombardamenti né devastazioni del suolo patrio (soltanto le minuscole e quasi deserte isole Kiska e Attu occupate dai Giapponesi nelle lontane Aleutine facevano parte del territorio metropolitano), il numero dei morti nelle forze armate americane si elevò a 310.979, più del numero complessivo dei caduti nelle forze armate italiane e francesi. Si dovette alla penicillina, al plasma sanguigno e ad altri ritrovati della scienza medica se il totale dei morti non fu più elevato: il numero complessivo dei morti e feriti nelle forze armate si avvicinò al milione, ma 672.483 feriti sopravvissero. Gli Stati Uniti ipotecarono l'avvenire anche in altre forme, esaurendo in gran parte le loro riserve petrolifere e intaccando quelle di ferro e altre risorse naturali. Restrizioni molteplici, sebbene tutt'altro che gravi, furono accolte senza proteste nella consapevolezza che per la prima volta dopo le guerre d'indipendenza la vittoria non era sicura. Diversi generi alimentari e altri prodotti scarseggiarono, ma il tesseramento diminuì le ineguaglianze nella distribuzione. Tutti gli industriali vennero assoggettati a quote di materie prime, e la massima parte delle forze e dei mezzi di produzione venne messa al servizio della guerra. Il personale al lavoro sali a più di 50 milioni, impiegati in turni giornalieri, serali e notturni e in ore lavorative straordinarie per compensare la scarsità della mano d'opera, aggravata dal fatto che più di tredici milioni d'uomini in uniforme e altri milioni di civili negli uffici e nei servizî ausiliarî erano sottratti al fronte della produzione. Perché un maggiore numero di uomini potesse rispondere alla mobilitazione militare e civile, si organizzarono varie unità ausiliarie femminili (v. donna, in questa App.). Molti milioni di donne si affiancarono agli uomini o li sostituirono nelle fabbriche e nei servizî pubblici (per i provvedimenti finanziarî vedi sopra: Finanze). Tanto la CIO quando l'AFI s'impegnarono a non indire scioperi, e generalmente mantennero la promessa, nonostante le contrarie affermazioni di molti giornali. Tuttavia John L. Lewis e la sua Unione dei minatori, resasi indipendente, si mostrarono intransigenti, e un loro sciopero nel 1943 indusse temporaneamente il governo a prendere possesso delle miniere di carbone e il Congresso ad adottare la legge Smith-Connolly contro le sospensioni di lavoro. Questo sforzo non fu senza compensi immediati, e col tempo produsse risultati decisivi. La battaglia per la produzione indusse il governo a conciliarsi il mondo degli affari con l'attribuzione di importanti incarichi governativi a dirigenti industriali e finanziarî. In pochi anni alcuni fabbricanti, come il grande costruttore navale Henry Kaiser, accumularono immensi patrimonî. La domanda di prodotti agricoli trasformò il problema della superproduzione in un problema di deficienze, nonostante raccolti record, e la classe agricola conobbe una prosperità quale non si era avuta da almeno vent'anni. Regioni del West e del Sud, fino allora trascurate, si trasformarono in centri industriali di prim'ordine. I colossali investimenti del governo in nuovi impianti per le fabbricazioni di guerra - per un valore di quasi venti miliardi di dollari - prendendo il posto delle spese deficitarie per il riarmo, dei sussidî alle industrie e dei lavori pubblici dell'anteguerra, eliminarono la disoccupazione e la crisi industriale. Lo straordinario aumento delle ore lavorative permise agli operai di risparmiare parte dei salarî e di sottoscrivere ai prestiti federali di guerra. Sotto l'impulso di questa vertiginosa attività, la produzione bellica attinse cifre favolose.
Tra il 1941 e il 1943 gli Stati Uniti produssero 153.000 aeroplani, 1.568.000 autocarri militari e quasi 2000 navi mercantili per una portata totale di 20.450.000 tonnellate. Come esempio degli sforzi compiuti per eliminare i punti deboli basta ricordare la produzione della gomma sintetica, che prima della guerra era quasi inesistente, ma che salì da 25.000 tonnellate nel 1942 a 930.000 tonnellate nel 1945. Fu così possibile non soltanto rifornire adeguatamente le forze armate americane, ma anche inviare in "prestito e affitto" quantità immense di materiali agli Alleati (vedi affitti e prestiti, in questa App.).
Durante la guerra il continuo progresso delle correnti internazionaliste nell'opinione pubblica americana dimostrò profondamente sentiti gli ideali di libertà politica e di solidarietà mondiale (v. roosevelt, in questa App.) sottolineati nella "guerra psicologica" condotta attraverso le radiotrasmissioni dell'Office of War Information (OWI; Voce dell'America) e in altre forme di propaganda. In questo campo le nuove tendenze si fecero strada fin nei villaggi più remoti del Middle West, antica roccaforte dell'isolazionismo. In contrasto con questa visione più larga, la politica di expediency (convenienza) del Dipartimento di stato nei confronti della Francia di Vichy, della Spagna di Franco e dell'Italia di Badoglio fu difesa da molti, ma sollevò anche critiche vivaci e diffuse. Comunque il segretario di stato Cordell Hull, conservatore ma avverso al nazionalismo economico, diede opera all'organizzazione permanente delle Nazioni Unite. La politica del "buon vicinato" con gli altri popoli dell'emisfero occidentale fu sottolineata dal viaggio del vicepresidente Henry Wallace nell'America Latina. Wendell Willkie accettò di compiere il giro dei paesi alleati come inviato del presidente e del popolo americano. Le sue impressioni e riflessioni, raccolte in One World (1943) - il libro più letto di quanti furono pubblicati in quell'anno - diffusero in ambienti fino allora refrattarî l'idea di una solidarietà umana al di là dei confini nazionali ed esercitarono grande influenza sugli elementi più avanzati del Partito repubblicano. Questo partito, tuttavia, rimaneva profondamente discorde in politica estera, mentre il partito democratico, più concorde nell'appoggiare il programma internazionalista di Roosevelt, era altrettanto diviso in politica interna. Nella campagna elettorale del 1944 i progetti di Bretton Woods per una banca internazionale e i piani di Dumbarton Oaks per la costituzione delle Nazioni Unite come organo internazionale permanente furono al centro delle discussioni. Willkie morì improvvisamente nel 1944, poco dopo il congresso del suo partito, nel quale le eminenze grigie (bosses) repubblicane, nonostante le sue indubbie qualità, l'avevano messo da parte. Furono invece designati alla candidatura presidenziale il governatore di New York, Thomas E. Dewey, già isolazionista, e per la vicepresidenza il governatore dell'Ohio, J. Bricker, isolazionista a oltranza. Dewey non differiva molto da Roosevelt su varî punti del suo programma, Bricker era diametralmente all'opposto. Il congresso del partito democratico scelse Roosevelt per la quarta volta, ma il vicepresidente uscente, Wallace, ardente sostenitore del New Deal e caloroso difensore dell'"uomo comune", fu scartato in un compromesso destinato a conciliare gl'irritati democratici del Sud. Al suo posto venne nominato Harry S. Truman, un uomo di tendenze moderatamente progressiste. I risultati delle elezioni segnarono la condanna dell'isolazionismo degli ultimi ventiquattro anni. Molti senatori isolazionisti di primo piano perdettero i loro seggi. Roosevelt e i democratici vinsero, sebbene con un margine più ristretto che nel 1940 e 1942. Wallace restò a lato del presidente come segretario al Commercio, un dicastero relativamente secondario. Molti videro altri sintomi di un lento ma costante spostamento della politica governativa verso la destra nelle dimissioni del sottosegretario di stato Sumner Welles, imposte da Cordell Hull prima delle elezioni, e più tardi nella nomina di E. R. Stettinius jr. e di altri alle diverse cariche del Dipartimento di stato.
La morte improvvisa di Roosevelt nell'aprile 1945 lasciò Truman al comando della nazione durante la crisi risolutiva della guerra. La parte presa dalle forze americane nelle offensive sui fronti occidentale e meridionale, che s'era andata ogni giorno accrescendo fino alla capitolazione della Germania, conferì prestigio al nuovo presidente quando vennero tracciate le direttive della politica alleata nei paesi vinti, alla conferenza di Potsdam. In questa, che fu l'ultima riunione dei Tre Grandi, venne anche redatto un ultimatum al Giappone. La resistenza nipponica, già scossa dall'offensiva aerea e dalle avanzate "anfibie" degli Americani e dei loro alleati, fu infranta dalla bomba atomica - creata da un gruppo internazionale di scienziati nei laboratorî e nelle fabbriche americane - cui segui la dichiarazione di guerra dei Russi. Questioni morali, come i processi ai criminali di guerra, che stabilivano giusti principî di legge ma a base retroattiva, e il mantenimento di Hirohito sul trono come prezzo della capitolazione giapponese, turbarono molte coscienze. La pace, tuttavia, fu salutata con orgoglioso sollievo. Ormai gli Americani si rendevano conto, forse più chiaramente che durante la guerra, che gli Stati Uniti erano divenuti la più grande potenza del mondo, alla pari con l'URSS o, forse, con un leggero margine di superiorità dovuto alla bomba atomica. Molti, tuttavia, furono più preoccupati che compiaciuti della nuova posizione assunta dal loro paese: il primato importava gravi responsabilità cui non si sentivano del tutto preparati. Era dunque impossibile ritirarsi nuovamente nel quieto angolo della politica di casa, come nel 1920, e gli impegni assunti da Roosevelt verso le N. U. erano divenuti obblighi tassativi. La Carta di San Francisco fu ratificata dal Congresso con l'appoggio di entrambi i partiti; il senatore Vandenberg s'era messo alla testa dei repubblicani convertiti di fresco all'internazionalismo.
La responsabilità più urgente degli Stati Uniti consisteva nell'assistenza economica per la ricostruzione dei paesi devastati dalla guerra. È vero che il presidente Truman ritenne suo dovere di annunciare l'immediata cessazione degli accordi di prestito e affitto, ma i sentimenti di solidarietà verso l'Inghilterra rimanevano abbastanza forti per assicurarle un prestito considerevolissimo a condizioni più che vantaggiose. I paesi liberati d'Europa, tra i quali fu compresa l'Italia, ricevettero l'assistenza delle Nazioni Unite per mezzo dell'UNRRA, allora presieduta dall'ex-sindaco di New York, Fiorello La Guardia, e i cui fondi venivano in gran parte dagli Stati Uniti. Il Congresso, tuttavia, era ostile all'invio di ulteriori aiuti alla Russia e desiderava per quanto possibile limitare i soccorsi alle quantità e al tempo strettamente indispensabile per consentire ai paesi più duramente colpiti la ripresa di una vita economica normale e degli scambî commerciali con l'America.
Se in politica estera non si potevano più liquidare i doveri e gli oneri imposti dalla guerra vittoriosa, sul fronte interno non si perse tempo nell'abrogare le restrizioni di guerra e nel riconvertire le industrie per i bisogni di pace. Il governo, ritenendo che il dopoguerra avrebbe portato con sé un nuovo periodo di disoccupazione come nel 1919-21, cercò di mantenere le misure più importanti di controllo federale straordinario, ma al Congresso i campioni dell'individualismo tradizionale e del vecchio liberismo economico eliminarono in poco tempo tutti i controlli sui prezzi, i salarî, le quote delle materie prime e così via. Il governo riuscì a far approvare una legge per un generoso sussidio agli ex-combattenti disoccupati, ma fu battuto quando cercò di rimediare alla lunga interruzione delle attività edilizie con una legge intesa a dare impulso alle nuove costruzioni, e non riuscì neppure a far adottare una legge per l'assicurazione sociale contro le malattie. D'altra parte l'indirizzo verso destra, che si manifestava decisamente al Congresso, fu condiviso dal governo per quanto riguardava la reazione contro il New Deal: i superstiti esponenti di questa politica economica vennero gradualmente allontanati dalle alte cariche governative. Il "ritorno alla normalità" e la riduzione dell'ingerenza federale, richiesti con impazienza da tutti i repubblicani e da molti democratici del Sud, fecero progressi tanto più rapidi in quanto non si produsse affatto l'attesa depressione. Poiché il potere d'acquîsto della massa fu mantenuto al più alto livello dalla possibilità di lavoro per tutti (il numero dei lavoratori occupati superò i 60 milioni sperati da Wallace e mai raggiunti durante la guerra), l'inevitabile risultato dell'abolizione prematura del controllo dei prezzi fu l'inflazione. Questa, e l'abolizione del controllo dei salarî, portarono a una serie di scioperi intesi a mantenere per i lavoratori salarî reali prossimi, seppur non del tutto eguali a quelli del tempo di guerra. I capi dei sindacati sostenevano che gli alti profitti avrebbero permesso agl'industriali di rialzare i salarî senza aumentare i prezzi. La loro insistenza perché si esaminassero i bilanci a riprova di questa affermazione indignò i difensori dell'individualismo economico intransigente (rugged individualism) e non fu sostenuta dal governo. Gli scioperi, e la riluttanza degli industriali a investir capitali per l'espansione delle loro fabbriche finché perdurassero gli alti oneri fiscali, rallentarono il processo di riconversione e di produzione massima come rimedio all'inflazione.
Questi attriti contribuirono alla vittoria dei repubblicani nelle elezioni per il Congresso del 1946. Sparita la figura potente di Roosevelt come capo del partito democratico, gli elettori si volsero all'opposizione, che prometteva di eliminare l'inflazione e gli altri perturbamenti economici del dopoguerra restituendo all'individuo il terreno perso di fronte al crescente intervento del governo federale. La nuova maggioranza repubblicana al Congresso ebbe il pieno appoggio dei democratici di destra per accelerare il movimento verso la "normalità" del vecchio liberismo e per combattere gli scioperi. Un progetto di legge per limitare gli scioperi, proposto dal governo prima delle elezioni, non aveva incontrato il favore del Congresso perché aumentava i poteri federali in questo campo. Il nuovo Congresso adottò una legge (Taft-Hartley Bill) che restringeva i poteri delle Unioni, proteggeva i lavoratori non appartenenti ad esse, e cercava di eliminare i comunisti dalle cariche sindacali. Una riduzione delle tasse, che favoriva i più abbienti, fu sottoposta due volte al veto presidenziale perché contraria agl'impegni finanziarî derivanti dalla nuova politica estera, ma finì col venire approvata dal Congresso nel marzo 1948.
L'evoluzione verso la destra nella politica interna inasprì il contrasto con l'URSS e ne fu insieme inasprita. Tanto le divergenze nell'interpretazione di clausole specifiche degli accordi di Jalta e Potsdam, nei metodi e nei problemi dell'occupazione e nella preparazione dei trattati di pace, quanto il contrasto profondo tra il concetto marxista e il concetto occidentale della democrazia, portarono gli Stati Uniti e l'URSS a innumerevoli conflitti d'indole pratica sia in Europa sia nell'Estremo Oriente. Nelle assemblee delle Nazioni Unite i due stati si trovarono invariabilmente a capo di due fazioni opposte, il "blocco occidentale", più numeroso, e il "blocco orientale" della minoranza. Questa situazione da un lato addolorava molti sinceri internazionalisti americani, che pur criticando il proprio paese ritenevano l'URSS responsabile di atti ben più gravi contro l'armonia dei popoli liberi nel mondo intero, e dall'altro irritava i nazionalisti, che desideravano giovarsi delle Nazioni Unite per promuovere gl'interessi materiali del proprio paese e per favorire negli altri paesi regimi liberali moderati analoghi a quello americano. Per impedire che le crepe dell'edificio internazionale si approfondissero ancora, il nuovo segretario di stato J. F. Byrnes annunciò una nuova politica: parlare francamente alla Russia, senza ostilità ma senza mezzi termini dovunque un compromesso sembrasse dannoso. Il suo successore, già capo di stato maggiore, gen. G. C. Marshall, andò più oltre. Sotto la sua ispirazione il Congresso approvò che s'inviassero aiuti alla Grecia e alla Turchia, con l'aperta intenzione di arginare l'avanzata del comunismo (Truman Doctrine). Allo stesso tempo, e con insistenza sempre maggiore, il governo domandò l'adozione del servizio militare obbligatorio e altre misure preventive contro qualsiasi minaccia esterna. Il Congresso si mostrò tiepido, temendo che le misure richieste portassero al militarismo e alla guerra. Questa diffidenza aveva già fatto sì che le ricerche e i segreti atomici venissero posti sotto la direzione di una commissione civile anziché sotto quella dell'autorità militare. D'altra parte, gli sforzi per rendere la nazione più agguerrita condussero alla riunione di tutti i dicasteri militari sotto un solo capo.
Divisi in questo campo, gli Americani erano concordi nell'approvare gli stanziamenti per assistenza economica in Europa e in Cina, che dovevano continuare le operazioni benefiche dell'UNRRA come un'opera particolare degli Stati Uniti. Tale assistenza soddisfaceva non soltanto i nemici del comunismo ma anche i sentimenti umanitarî radicati nel popolo intero. Il Friendship Train (Treno dell'Amicizia), colmo di doni privati dell'uomo comune americano all'uomo comune europeo, fu la manifestazione più singolare di una lunga tradizione di buona volontà verso il prossimo. Quanto al Piano Marshall il Congresso sollevò dubbî e difficoltà sull'ammontare degli aiuti e sulle condizioni d'invio ai diversi paesi, ma lo approvò. Coloro che desideravano la concordia internazionale trovarono nell'accresciuta cordialità tra gli Stati Uniti e le nazioni dell'Europa Occidentale, compresa l'Italia già nemica, un parziale compenso all'oscurarsi dell'ideale di solidarietà mondiale. Tuttavia la marcia del comunismo nell'Europa Orientale destò crescente dolore e condusse all'inasprimento delle misure contro quinte colonne, vere o sospette, nell'America stessa. Tanto questi procedimenti quanto gli ondeggiamenti della politica riguardo alla spartizione della Palestina incontrarono vivaci critiche nel paese, e l'incerto orientamento dell'opinione pubblica ebbe a riflettersi sul clima in cui si prepararono e si svolsero le elezioni presidenziali del 2 novembre 1948.
Il crescere della tensione con l'Unione Sovietica in conseguenza del colpo di stato comunista in Cecoslovacchia, per la questione di Berlino e il problema generale della Germania, come, in genere, per il consolidamento dei primi risultati del Piano Marshall, aveva contribuito a far sì che fra i due maggiori partiti, quello democratico e quello repubblicano, non vi fosse alcuna divergenza in ordine alla politica estera, che veniva infatti svolta con l'appoggio di entrambi, sia al Senato sia alla Camera.
I candidati definitivi alle elezioni - dopo il rifiuto di Eisenhower - erano: Truman (con il sen. Barkley del Kentucky per la vicepresidenza) per il partito democratico; il governatore di New York, Dewey, con Warren per la vicepresidenza, per il partito repubblicano; Wallace per il nuovo partito progressista, che impostò la sua lotta sulla critica alla politica estera governativa e infine J. S. Thurmond per il partito dei diritti degli stati" o jeffersoniano, composto dai sudisti dissidenti da quello democratico per la questione della concessione dei diritti ai Negri. A parte questi due ultimi partiti, che praticamente furono inesistenti nell'agone elettorale e la cui presenza contribuì solo a staccare dal partito democratico le due ali estreme, la contesa elettorale si svolse tutta fra Truman e Dewey. Questi, la cui nomina a candidato da parte della convenzione repubblicana aveva significato la sconfitta dell'ala destra isolazionista del partito, impostò la sua campagna senza tinte forti, in tono moderato e da uomo certo della vittoria, assicurando di voler attuare riforme interne e, nella politica estera, di voler ricercare l'appoggio anche del partito avversario. Truman al contrario, non sorretto da mezzi finanziarî, da organizzazione adeguata e dai vantaggi derivanti dal professionalismo politico, si gettò invece nella mischia con particolare violenza attaccando i "reazionarî di Wall Street" che tenevano le redini del partito di Dewey e in particolare il precedente Congresso a maggioranza repubblicana che, invece di approvare le sue proposte di riforme, aveva adottato la politica di diminuire le tasse al ricco (Rich man's tax cut); soprattutto, insistette sul fatto che una vittoria repubblicana avrebbe significato la liquidazione del New Deal, con conseguente asservimento dell'ovest, dei contadini, del mondo del lavoro in genere all'alta banca e all'alta finanza. Le elezioni, per le quali era ormai dato per vittorioso, anche dai sondaggi Gallupp, il candidato repubblicano, confermarono invece alla suprema carica della confederazione Harry Truman, che ottenne 24.105.695 voti contro i 21.969.170 attribuiti a Dewey. Di più il partito democratico ha ottenuto la maggioranza in entrambe le Camere: l'81° Congresso annovera infatti per la Camera, 262 democratici, 171 repubblicani e 2 rappresentanti dell'American Labor Party; per il Senato, 54 democratici e 42 repubblicani. Anche per i governatori degli stati, di cui 33 furono eletti il 2 novembre, si sono avuti sensibili spostamenti e vi sono ora 30 governatori democratici e 18 repubblicani.
La rielezione di Truman, se ha confermato un orientamento della opinione pubblica americana che si può definire di centro sinistra, è stata determinata dalla permanenza di consensi intorno al New Deal, dalla determinazione dei sindacati di battere con esso gli artefici del Taft-Hartley Bill e, non ultimo fattore, dalla persuasione degli agricoltori che i prezzi agricoli sarebbero stati meglio difesi da una amministrazione democratica. Chi n'è uscito durevolmente sconfitto è stato soprattutto l'isolazionismo e Truman, forte del peso morale di una elezione regolare e non dovendo ora la carica al puro "caso" della morte di Roosevelt, ha continuato nella sua politica estera sin qui svolta, sempre "bipartitica" e impostata sulla "dottrina Truman" e sul Piano Marshall. Nessun mutamento si ebbe quindi quando il 7 gennaio 1949 il segretario di stato G. C. Marshall, da qualche tempo malato, ma che aveva avuto qualche dissenso con Truman, diede le dimissioni insieme al sottosegretario R. A. Lovett, uomo di Wall Street, e fu sostituito da Dean Acheson, con James E. Webb come sottosegretario. Un corollario della dottrina Truman e del Piano Marshall fu il particolare impegno con cui gli S. U. hanno condotto le trattative per il Patto Atlantico (firmato a Washington il 4 aprile 1949) e non è senza significato che, in presenza della immutata tensione internazionale, il gen. D. Eisenhower l'11 febbraio 1949 sia stato richiamato in servizio come presidente "temporaneo" dello stato maggiore unificato.
Bibl.: F. L. Allen, Since Yesterday, New York 1940; R. Jackson, The Struggle for Judicial Supremacy, ivi 1941; E. E. Schattschneider, Party Government, ivi 1942; R. R. R. Brooks, Unions of their own choosing, ivi 939; H. Harris, American Labor, ivi 1939; D. Lilienthal, T. V. A.: Democracy on the March, ivi 1944; State Department, Peace and War: U. S. Foreign Policy 1931-41, Washington 1943; W. Johnson, The Battle against Isolation, New York 1944; E. R. Stettinius, Lend-Lease, ivi 1944; D. Nelson, Arsenal of Democracy, ivi 1946; M. L. Cooke e P. Murray, Organized Labor and Production, ivi 1946; G. C. Marshall, The Winning of the War, ivi 1945; W. Wilkie, One World, New York 1943; H. A. Wallace, The Century of the Common Man, ivi 1943; J. Byrnes, Speaking frankly, ivi 1947 (trad. ital., Carte in tavola, Milano 1948); S. Welles, Where are we heading?, ivi 1946 (trad. ital., Milano 1947); Billington, Loewenberg e Brockunier, The United States, ivi 1948; C. Hull, Memoirs, ivi 1948; C. A. Beard, American Foreign Policy in the making, ivi 1947 (trad. ital., Milano 1948); id., Roosevelt and the coming of the war 1941, ivi 1948; Documents on American Foreign Relations, 1939-45, Boston 1940-48; L. Vitetti, Gli S. U. e l'Europa, in Nuova Antologia, marzo 1947.
Arti figurative (XXXII, p. 593).
La storia della nascita dell'arte moderna degli ultimi quaranta anni si confonde con la storia della Photo Secession Gallery di New York, situata al n. 291 della V Strada e perciò chiamata più brevemente "291". Fondata dal fotografo Alfred Stieglitz (1864-1946) nel 1905, per esporre i lavori dei fotografi antitradizionalisti, cominciò presto a esporre anche dipinti e sculture d'avanguardia e con tale carattere durò sino al 1917 facendo conoscere al pubblico americano gli sforzi più audaci degli artisti europei e di quelli tra gli americani che sapevano comprenderli, svilupparli e arrivare, così, a una visione personale. Al "291" il pubblico americano poté conoscere, tra gli europei, Matisse, Toulouse-Lautrec, H. Rousseau, Cézanne, Picasso, Brancusi, Severini, ecc. e, tra gli americani, artisti come A. Maurer, M. Weber, M. Hartley, A. Dove e, in primo luogo, John Marin. È solo dopo l'inizio di quest'opera infaticabile, intelligente e appassionata, condotta dallo Stieglitz e dal suo collaboratore E. Steichen, e dopo la grande esposizione della Armory Show (1913) organizzata dal pittore A. Davies (1862-1928) assieme al collega Walt Kuhn e altri, che cominciò a svilupparsi l'interessamento del pubblico e a nascere un certo numero di gallerie d'avanguardia, tra cui va ricordata la Société Anonyme (1920) sorta per opera di Katharine Dreier e Marcel Duchamp. Nel 1929, con la nascita del Museum of Modern Art (archit. Philip L. Goodwin), gli Stati Uniti venivano dotati di una istituzione formidabile che, con una serie di pubblicazioni e di monumentali mostre periodiche, per lo più a carattere retrospettivo e corredate di un materiale storico didattico d'eccezione, avrebbe permesso a New York di diventare in breve tempo, dopo Parigi, il più ricco e aggiornato centro dell'arte mondiale contemporanea.
Tra i primi che seguirono le esperienze pittoriche d'oltre Atlantico, e particolarmente di Matisse, fu Alfred Maurer (1868-1932). Una corrente di tipo più accentuatamente espressionista costituiscono Abraham Wallkowitz (nato nel 1889), Max Weber (nato nel 1881) e Marsden Hartley (1877-1943). Un sentimento di grandiosità epica esprime invece John Marin (nato nel 1870), che è considerato oggi il più grande artista americano vivente.
Nel 1912 si sviluppò a New York un movimento a carattere futurista-dadaista per l'arrivo di Marcel Duchamp e di Picabia e un movimento astrattista, il sincromismo (1913), per opera di Morgan Russel e specialmente di Mc Donald-Wright, che utilizzò nei suoi dipinti le esperienze kandinskiane. Quest'ultimo movimento non ebbe però risultati notevoli, mentre la prima tendenza si sviluppò con il futurista Joseph Stella (è famoso Il ponte di Brooklyn, di cui dipinse parecchie versioni) e soprattutto con Arthur Dove (1880-1946), rimasto a lungo misconosciuto, che utilizzò gli esperimenti di Picabia componendo quadri in cui cercava di rendere l'impressione poetica di una determinata realtà naturale attraverso la presenza fisica di frammenti simbolici di essa incorporati nel quadro: per es., nel famoso Nigger goes A-fishin' (Il negro va a pescare).
In reazione a questi movimenti considerati esterofili, sorse però una corrente detta dell'American Scene Cult, patrocinatrice di una pittura nazionale che cantasse i campi del Iowa e le piantagioni del Sud (Grant Wood, John Stewart Curry, Reginald Marsh, Thomas Benton, ecc.). Un'altra corrente, a carattere sociale, si sviluppò d'altro canto, sotto l'influenza del messicano Diego Rivera (Nicolai Cikovskij; William Gropper, nato nel 1897). Ambedue le correnti, pur avendo trovato innumerevoli seguaci più o meno diretti, non hanno però prodotto fino ad oggi, in pittura, risultati degni di rilievo.
Nella caricatura e nell'illustrazione la tendenza a sfondo satirico-sociale ha invece avuto momenti felici con artisti come Art Young, William Gropper e Marius De Zayas, valido coadiutore di Stieglitz, e ha trovato nella rivista The Print Collector's Quarterly (fondata nel 1911) uno stimolo efficace. Tra i litografi, il maggiore è considerato George Bellows (nato nel 1882).
Recente è la scoperta dei pittori popolari (Modern Primitives), dai più lontani come Edward Hicks (1780-1849) o Joseph Pickett (1848-1918), ai più recenti come John Kane (1860-1934) o viventi come Arenst Hoyer (nato nel 1872). Tra essi è annoverato anche Vincent Canadé (nato nel 1879). Il loro realismo pittoresco e infantile ha molta influenza sulla produzione americana media.
Tra gli scultori emersi nell'ultimo quarantennio i più importanti sono i primitivisti William Zorach (nato nel 1887) e John Flannagan (nato nel 1898), l'astrattista e costruttivista Alexander Calder (nato nel 1898) e il surrealista Isamu Noguchi (nato nel 1904).
Con l'avvento del nazismo e lo scoppio della seconda Guerra mondiale sono entrati praticamente a far parte dell'arte americana artisti come Grosz, Feininger, Dali, Ernst e Tanguy e, fino al 1947, Chagall. Oggi, nonostante la sopravvivenza di espressionisti come Abraham Rattner (nato nel 1893) e K. Knaths (nato nel 1892), le ultime generazioni appaiono letteralmente invase da forme surrealiste e astrattiste (Wilfred Lam, Enrico Donati, Julio De Diego, David Hare, Stuart Davis, Hedda Sterne).
Bibl.: H. Cahill e coll. Masters of Popular Painting, New York 1938; The Mus. of Modern Art, Art in Our Time, New York 1939; J. Mellquist, The Emergence of an Amer. Art, New York 1942; A. D. Gruskin, Painting in U. S. A., New York 1946; L. Venturi, Pittura contemporanea, Milano 1947.
Letteratura (XXXII, p. 588).
Nella sua origine spirituale, la letteratura americana dell'ultimo decennio è la risultante di due fatti: da un lato, il turbamento determinato nelle coscienze dalle vicende sociali degli anni 1930-40; dall'altro, la sazietà della critica sociale a base naturalistica iniziata al principio del secolo XX da Th. Dreiser; munita - complice la psicanalisi - di armi più insidiose da Sh. Anderson; spinta da U. Sinclair a un libellismo truculento in cui le sforzature della tesi tradiscono la stessa impostazione naturalistica condotta alla inverosimiglianza delle situazioni e portata infine da S. Lewis a un realismo trito, in cui sembra che l'elemento romantico, di cui lo spirito americano è tuttora avido, sopravviva solo nel frequente strafare dei suoi romanzi. La sazietà di codesta critica sociale e la saturazione prodotta dalla produzione sovrabbondante, hanno reso tale orientamento letterario inetto a esprimere il turbamento delle coscienze. Sotto questo stimolo, gli scrittori sono stati indotti a porsi la domanda: "Che cosa è l'Americano?"; e a porsela non più alla lontana, quasi nello spirito d'una rivendicazione nazionale di autonomia rispetto alla tradizione europea, ma in modo diretto, sotto l'assillo della coscienza individuale che esigeva di rendersi conto di quanto si vedeva intorno. Questa ricerca si è giovata largamente anche del cosiddetto regionalismo, di cui si possono considerare partecipi scrittori diversissimi per indole e tendenza: dal realismo cortese (genteel tradition) di E. Glasgow al neo-naturalismo di W. Faulkner. Se le circostanze storiche determinarono in passato condizioni molto differenti nelle varie parti del vasto territorio e condussero la cultura a svilupparsi per linee regionali, una progressiva fusione - ancora lontana dall'essere compiuta ma certo in atto - va attenuando le differenze sotto la pressione delle molteplici forze livellatrici. E poiché tali forze sono maggiormente attive nei centri urbani, il regionalismo tende a concentrarsi sul paesaggio e sulle popolazioni rurali. Una diversità accentuata permane tuttora tra il gruppo degli stati settentrionali, più ricchi e ad economia prevalentemente industriale e il gruppo degli stati meridionali, meno ricchi, ad economia prevalentemente agricola, con più numeroso elemento negro e contraddizioni culturali diverse (basti pensare, come esempio, al dominio spagnolo e francese nella Louisiana).
Negli scrittori tendenti a un facile compromesso tra sentimentalismo e risultato commerciale, queste differenze possono scadere a una forma di esotismo e di evasione romantica nel folklore e nel colore locale; tale è il caso di M. K. Rawlings (South moon under; Golden apples; The yearling; When the wheppoorwills, ecc.). Nei casi migliori, le medesime differenze sono assunte in funzione di quell'accennata ricerca, per creare una sorta di mito dell'Americano, della sua vita e delle sue vicende. Di qui la grande voga dei romanzi storici, che dal racconto di puro diletto romantico (M. Mitchell, Gone with the wind; H. Allen, Anthony Adverse, ecc.), vanno fino alla formazione di un nuovo folklore nella cornice del passato (segnatamente l'epoca della Guerra civile); passato che, sull'esempio di S. Crane, gli scrittori hanno imparato a trattare senza enfasi eroicizzante. Questo mito e questo folklore creati nel presente invece che nel passato, hanno dato origine ad alcuni dei libri migliori di J. Steinbeck, in cui tale orientamento si combina con elementi regionali e con la tendenza verso una nuova forma di epica picaresca. Del genere picaresco, in cui si esprime lo spirito avventuroso ma anche la rilassatezza del costume, sono rappresentanti maggiori e più torbidi E. Dahlberg (Bottom dogs; From Flushing to Calvary, ecc.), N. Algren (Somebody in boots) e E. Anderson (Hungry men.). Il realismo calcato e il compiacimento per i lati deteriori della vita tolgono molto valore ad opere di questo genere, in cui tali caratteri non trovano almeno una parvenza di giustificazione in moventi interiori, come per Faulkner, o sociali, come per E. Caldwell. Non lontano da questi toni violenti si trova un gruppo di romanzieri che fanno della violenza e dello alcoolismo i loro argomenti preferiti. Molti di questi scrittori non sono che imitatori di E. Hemingway; altri hanno rappresentato gli eccessi della vita americana specie durante gli anni del proibizionismo.
È significativo che gli scrittori più dotati provengono oggi quasi tutti dal Sud. Tra le donne sono da citare K. A. Porter (Flowering judas; The leaning tower; Pale horse pale rider), E. Welty (A curtain of green), C. McCullers (The heart is a lonely hunter; Reflections in a golden eye); tra gli uomini, A. Tate (The fathers), R. Penn Warren (All the King's men) e R. Wright, scrittore negro (Native Son). In complesso, gli scrittori del Sud mostrano un senso morale più profondo, una formazione religiosa e intellettuale generalmente più solida, minore accessibilità alla faciloneria e al commercialismo. Li unisce la comune tendenza ad appoggiarsi ai valori del passato non per un motivo di rimpianto, ma per reagire contro il livellamento della vita moderna; e pur accettando le credenze tradizionali, vi uniscono un intraprendente spirito d'iniziativa nel campo delle esperienze estetiche nuove. Gli scrittori or ora citati formano gruppo anche per le loro esigenze stilistiche di più alto livello. Sono infine da segnalare un nuovo romanzo di J. Dos Passos (Number one) e la notevole produzione data in questi anni da J. T. Farrell (Father and son; Ellen Rogers; My days of anger). Come un isolato è da menzionare il narratore e saggista H. Miller.
Se, in un rapido sguardo d'insieme, si può dire che la narrativa americana rispecchia, con la sua stessa varietà, la ricerca di una soluzione interiore e non più soltanto sociale, lo stato d'animo disancorato implicito in questa posizione si nota anche nella poesia. Del gruppo di poeti che si affermò tra il 1913 e il 1917, i superstiti, quali Vachel Lindsay, Robert Frost, Carl Sandburg, ormai tacciono; il solo Robinson Jeffers ha dato una nuova opera (Be angry at the sun), confermando che da lui, come da Marianne Moore e altri della medesima generazione, non sono più da attendere novità. Maggiormente legato con movimenti estetici inglesi si mostra E. E. Cummings (Fifty poems, 1940 e One Times one, 1944); e un poeta rivelatosi durante la seconda Guerra mondiale è Karl Shapiro (Person, place and thing) di valore, finora, disuguale e non immune da stranezze programmatiche.
Nel teatro continuano a tenere il campo con successo autori già affermati: da E. O' Neill, ormai in fase decrescente, e da T. Wilder, fino a M. Anderson, C. Odets, R. E. Sherwood.
Un accenno speciale merita la critica. Dopo la scomparsa di I. Babbitt e di P. E. More e dopo che L. H. Mencken si è dedicato a studî filologici sull'inglese degli Stati Uniti, una nuova scuola critica si è venuta affermando. Tra il neo-umanesimo del More e questa nuova scuola, sono anelli di passaggio C. van Doren che ha riveduto e ampliato il suo The American novel 1789-1939 e Van Wyck Brooks. Esponenti principali della nuova critica, che mostra di non avere tagliato i ponti con la tradizione europea e dà prova di una complessa coscienza letteraria, sono E. Wilson, che in Axel's Castle istituisce sottili raffronti tra la letteratura del suo paese e l'europea (pur se il suo recente Europe with out a Baedeker lasci perplessi per l'incomprensione dello spirito e della società del vecchio Continente); F. O. Matthiessen, che in American Renaissance ha scritto un'opera fondamentale per valore di giudizî, anche se discutibile nel metodo, e si è confermato buon critico in The achievement of T. S. Eliot e in Henry James. The major phase; e A. Kazin, che nel suo On native grounds dimostra pronta e duttile comprensione della contemporanea letteratura americana in prosa.
Per altri autori e per gli scrittori di cui non si sono menzionate le opere, si vedano le rispettive voci.
Bibl.: F. B. Millett, Contemporary American authors, New York 1944; M. E. Coindreau, Aperçu de la littérature américaine, Parigi 1946.
I Negri d'America (XXXII, p. 609).
Popolazione. - Nel censimento del 1940, la popolazione totale negra degli Stati Uniti risultava di 12.865.518, aumentata (rispetto al censimento del 1930) del 15,8% nel nord, del 5,8% nel sud e del 41,8% nell'ovest. Le cifre indicano che la migrazione interna dagli stati meridionali - soprattutto dalle zone rurali a quelle urbane - si è ancora accentuata. Mentre infatti nel 1930 il 77% della popolazione negra risiedeva nel sud agricolo, nel 1940 circa il 50% risiede nelle regioni urbane ed industriali. La guerra e le accresciute possibilità d'impiego (nel 1945 il ministro del Lavoro notificava che dal 1940 al 1944 circa un milione di Negri avevano trovato lavoro in attività concernenti la difesa e la produzione bellica) hanno certamente accelerato questo processo, i cui vantaggi per i Negri sono andati tuttavia in parte perduti con la riconversione e la soppressione di molte "agenzie" governative.
Dei 5.389.191 Negri con una occupazione nel 1940, il 62,2% è impegnato nell'agricoltura ed in altre attività giornaliere, in confronto al 28% dei Bianchi, mentre solo il 5%, di contro al 30% dei Bianchi, figura nelle professioni, in cariche amministrative e burocratiche e nel commercio. La percentuale di analfabeti nella popolazione negra è del 10%
Partecipazione alla guerra. - Si calcola che circa mezzo milione di Negri abbia fatto parte delle forze armate durante la guerra. Nell'ottobre ve n'erano nell'esercito solo 115.197; successivamente il numero fu aumentato e i Negri furono ammessi nella marina, nell'aviazione, nelle truppe costiere e nei fucilieri. Nell'agosto 1945 il grosso delle forze armate negre era dislocato come segue: 206.000 nel Pacifico, 23.000 in India, Birmania e Cina, 43.000 nello scacchiere mediterraneo, 181.000 sul teatro europeo. La 92ª divisione di fanteria negra combatté in Italia nella 5ª armata sotto il gen. L. Truscott e nel settembre 1944 partecipò alla occupazione di Lucca. Nel maggio 1946 fu annunciato ufficialmente che i Negri avrebbero costituito il 10 per cento delle forze armate postbelliche degli Stati Uniti.
Diritti civili e sviluppi politici e culturali. - Nonostante il perdurare di leggi restrittive e discriminatorie nei confronti dei Negri in varî stati dell'Unione, l'ultimo decennio e soprattutto l'amministrazione Roosevelt, sono stati caratterizzati da una considerevole attività intesa a raggiungere una effettiva eguaglianza giuridica della popolazione di colore rispetto ai Bianchi. La più significativa misura a favore dei Negri dal tempo dell'emancipazione fu la creazione, su iniziativa di Roosevelt, del FEPC (Fair Employment Practice Committee) il 25 giugno 1941, col compito di investigare i casi di discriminazione a causa di razza, colore, religione e nazionalità, nelle industrie della difesa e negli impieghi governativi, ove il presidente prescrisse la più assoluta "equità d'impiego". L'azione del comitato, disgraziatamente, s'impantanò rapidamente per l'opposizione dei congressisti del Sud e per la sua mancanza di autorità esecutiva. Il comitato ebbe una vita contrastata fino al 1946, quando dopo vani, reiterati tentativi di ottenere un riconoscimento ufficiale ed una base permanente, fu soppresso. Gli sforzi dei Negri si concentrarono da allora verso il raggiungimento di una legislazione contro la discriminazione raziale nei singoli stati più che sul piano nazionale, ed approdarono a qualche risultato soprattutto nell'Indiana, nel Massachusetts e negli stati di New York e del New Jersey.
Questi sforzi alla fine del 1946 si incontrarono con una coraggiosa iniziativa del presidente Truman, il quale, il 5 dicembre di quell'anno dava vita ad un Comitato presidenziale per i diritti civili posto sotto la presidenza di C. E. Wilson, con lo scopo di eliminare ogni intolleranza e discriminazione raziale, soprattutto in considerazione dei sacrifici sopportati dalla popolazione negra durante la guerra e del fatto che non poteva essere affermato all'esterno un ideale di democrazia quando all'interno esso era misconosciuto. Il 29 ottobre 1947 il comitato per i diritti civili presentava un rapporto conclusivo che, premessa l'esistenza di "ragioni morali, economiche e internazionali per un riesame della situazione dei diritti civili negli S. U." proponeva l'istituzione di organi centrali e periferici del Dipartimento della giustizia per la protezione dei diritti civili e costituzionali, nonché della libertà individuale. Esso suggerì, in concreto, di rendere più severa la legislazione contro le discriminazioni raziali, gli abusi amministrativi e degli organi di polizia e soprattutto quella contro il linciaggio, di eliminare la consuetudine invalsa di tener separati i Negri dai Bianchi nei locali pubblici, nei servizî di trasporto, negli ospedali, di togliere di mezzo le misure restrittive all'acquisto di proprietà, ecc. Questo programma, portato dinanzi al congresso da uno speciale messaggio di Truman il 2 febbraio 1947 incontrò la più aspra opposizione negli stati del Sud.
Tra le specifiche rivendicazioni fondamentali formulate da 25 organizzazioni nazionali negre alla vigilia delle elezioni presidenziali del 1944, figuravano: leggi federali che abolissero la tassa sul voto, usata da alcuni stati del Sud per escludere i Negri poveri e ignoranti dalle elezioni e quindi da ogni possibilità di governo; integrassero i Negri nelle forze armate, eliminando l'ingiustizia delle formazioni separate. Inoltre l'istituzione d'un comitato federale permanente per l'equo impiego; lo sviluppo, a spese del governo, della costruzione di alloggi non segregati per i Negri.
Alla massima organizzazione nazionale negra, la NAACP (National Association for the Advancement of Coloured People) e alla National Urban League che si articola in numerosissime leghe statali ove Bianchi e Negri trovano un luogo d'incontro per conoscersi e lavorare su problemi comuni, si è aggiunto nel febbraio 1944 il Southern Regional Council, alla cui costituzione hanno contribuito la Commission on Interracial Cooperation (fondata nel 1919), e le conferenze di leaders bianchi e negri tenute a Durham (ottobre 1942), ad Atlanta (aprile 1943) e a Richmond (giugno 1943) per il raggiungimento d'una migliore intesa e cooperazione fra Bianchi e Negri negli stati del Sud, per la democratizzazione dell'ordinamento sociale e l'attuazione degli ideali di "uguale opportunità per tutte le genti della regione".
L'affermazione più notevole dei Negri nel campo letterario nell'ultimo decennio, è rappresentata da Richard Wright, nato nel Missouri il 4 settembre 1908 e autore di originali e vigorosi romanzi: Uncle Tom's Children, 1938; Native Son, 1940; 12 Million Black Voices e Black Boy, 1945.