benessere, Stato del
Come garantire ai cittadini un insieme di servizi sociali
Con l'espressione 'Stato del benessere' (dall'inglese Welfare State) si intende un insieme di servizi ‒ istruzione, assistenza sanitaria, pensioni, protezione contro malattie, infortuni e disoccupazione ‒ che lo Stato offre ai propri cittadini gratuitamente o a costi molto bassi. Nato in Inghilterra negli anni Quaranta del Novecento e poi diffusosi nell'Europa occidentale, lo Stato del benessere ‒ detto anche 'Stato sociale' o 'Stato assistenziale' ‒ ha conosciuto una progressiva espansione sino agli anni Settanta, quando la crisi economica e le trasformazioni demografiche (allungamento della vita, calo delle nascite) lo hanno reso sempre meno sostenibile dal punto di vista dei costi.
Il moderno Stato del benessere prese forma in Europa sul finire dell'Ottocento, come risposta alla drammatica questione sociale innescata dalla rivoluzione industriale. Il nuovo sistema di lavoro, caratterizzato dall'introduzione delle macchine e dal sistema delle fabbriche, aveva condotto a un prodigioso aumento delle capacità produttive, ma anche alla formazione di una nuova e immensa classe sociale, che lavorava e viveva in condizioni ai limiti della sopravvivenza. Da questo stato di cose nacquero i sindacati operai, che realizzarono le prime forme di 'assistenza sociale' e si batterono per migliorare le condizioni di lavoro, e i partiti socialisti, che teorizzavano il superamento del capitalismo per via rivoluzionaria o tramite riforme.
Due fattori contribuirono a far sì che il conflitto sociale non divenisse distruttivo. Il primo fu il timore della rivoluzione, che spinse gli Stati a varare, sul finire dell'Ottocento, le prime forme di legislazione sociale. Il secondo fu l'allargamento del diritto di voto ‒ ottenuto dai democratici ‒ che permise ai nuovi partiti di massa (di ispirazione socialista e cristiana) di entrare nei Parlamenti, incanalando la loro battaglia politica all'interno delle istituzioni liberaldemocratiche (democrazia). Ciò favorì il varo di leggi volte a migliorare le condizioni di vita dei ceti più deboli. Lo Stato del benessere rappresenta il frutto più avanzato di questa tendenza.
La prima pietra del moderno Stato del benessere non fu posta in Inghilterra, culla del capitalismo industriale, bensì in Germania, cioè nell'ultima grande nazione europea a industrializzarsi. Fu infatti il cancelliere Bismarck, negli anni Ottanta dell'Ottocento, a istituire la prima assicurazione sociale contro malattie, infortuni, invalidità e vecchiaia. Il tutto avvenne in un contesto autoritario: nella Germania da poco unificata e industrializzata era sorta la classe operaia più organizzata d'Europa, dotata di un forte partito socialista. Bismarck aveva dapprima varato leggi 'antisocialiste' (divieto di riunione e propaganda) e quindi aveva cercato, con i provvedimenti sociali, di legare la classe operaia al nuovo Stato tedesco. Nell'Inghilterra degli anni Dieci del Novecento, invece, le fondamenta dello Stato del benessere sorsero in un contesto liberale: l'assicurazione sanitaria nazionale e un sistema di tassazione fortemente progressivo (in base al quale i ricchi pagano più tasse, che servono a realizzare i servizi sociali) integrarono i diritti sindacali e politici della classe operaia.
La crisi economica del 1929 rafforzò la tendenza degli Stati a mettere in pratica politiche assistenziali per combattere la disoccupazione: questo avvenne sia in paesi sottoposti a regimi dittatoriali, come Italia e Germania, sia in paesi democratici, come gli Stati Uniti (il New Deal del presidente Roosevelt). Il progetto più organico di Stato del benessere vide, però, la luce nell'Inghilterra degli anni Quaranta, quando il liberale William Beveridge presentò un piano secondo il quale lo Stato doveva proteggere tutti i cittadini da situazioni difficili di lungo periodo (vecchiaia, invalidità) o di breve periodo (malattia, disoccupazione, maternità). Da allora Stato del benessere significò istruzione, sistema sanitario, pensioni, protezioni contro infortuni e malattie, diritto alla maternità, assegni di disoccupazione e così via. Dagli anni Cinquanta agli anni Settanta lo Stato del benessere venne realizzato nei principali paesi europei da governi di ispirazione socialdemocratica o cristiano-sociale e arrivò a garantire una rete più o meno larga di servizi sociali. Al di là delle differenze politiche, l'idea di disporre di una serie di 'diritti sociali', oltre ai diritti civili e politici, entrò via via a far parte della mentalità collettiva.
Nel corso degli anni Settanta il continuo lievitare dei costi dello Stato del benessere e l'impossibilità di aumentare ulteriormente il prelievo fiscale ‒ sia perché era già alto, sia perché si era entrati in una fase di crisi economica ‒ portò gli Stati ad accumulare un forte deficit, cioè a spendere molto più di quanto incassavano. La necessità di risanare i bilanci impose a tutti i governi la diminuzione della spesa pubblica: iniziò così la crisi dello Stato del benessere.
Per quali ragioni i suoi costi erano divenuti insostenibili? In primo luogo a causa dei mutamenti demografici che avevano dilatato la spesa pensionistica: la maggiore durata della vita, ottenuta grazie ai progressi della medicina, aveva considerevolmente allungato il periodo in cui si percepiva la pensione, mentre la diminuzione della popolazione, causata dal calo delle nascite, aveva fatto saltare l'equilibrio tra lavoratori attivi (che pagano i contributi) e lavoratori a riposo (che percepiscono le pensioni). In secondo luogo aveva inciso molto il continuo aumento della spesa sanitaria, determinato dal numero via via più ampio di prestazioni per una popolazione sempre più anziana (e quindi sempre più bisognosa di cure) e da non pochi casi di cattiva gestione delle strutture pubbliche.
A partire dagli anni Ottanta si è tentato in vario modo di far 'dimagrire' lo Stato del benessere, suscitando forti resistenze da parte dei cittadini. I governi di orientamento liberale erano favorevoli a interventi più drastici, mentre quelli a guida socialdemocratica o cristiano-democratica propendevano per interventi più morbidi: ma a partire dagli anni Novanta nessuno ha messo in discussione la necessità di riformare lo Stato sociale, così come nessuno ha teorizzato il suo smantellamento. Gli interventi si sono concentrati sui due settori più costosi: pensioni e sanità. Per quanto riguarda le prime si è cercato di innalzare l'età pensionabile, di pagare pensioni meno alte e di incoraggiare forme di previdenza privata; quanto all'assistenza sanitaria, sono stati introdotti ticket su alcune prestazioni e su certi farmaci. Pur con varie ‒ e a volte consistenti ‒ differenze, gli Stati europei si stanno allontanando dalla concezione universalistica dello Stato sociale ‒ basata sul principio di offrire gli stessi servizi a tutti, senza eccezioni ‒ per avvicinarsi a una concezione selettiva, che calibra il tipo di prestazioni sulle effettive necessità dei cittadini e il costo sulle loro capacità economiche.
Secondo alcuni studiosi possono essere individuati tre modelli principali. Il modello più antico è quello 'universale-redistributivo', ispirato al principio di garantire a tutti i cittadini un reddito minimo e una serie di servizi e protezioni (istruzione, sanità, previdenza sociale) forniti direttamente dallo Stato: è il modello inglese sino agli anni Ottanta. Vi è poi il modello 'meritocratico-corporativo', sviluppatosi in Germania, che trae le sue risorse dai vari settori lavorativi ed eroga servizi in base ai risultati conseguiti in quel settore. Infine, vi è il modello 'residuale', tipicamente americano, nel quale i servizi pubblici entrano in gioco soltanto là dove il mercato o la famiglia non funzionano. Il primo modello è caratterizzato da una forte ispirazione egualitaria, perché tende a raggiungere uno standard di vita medio-alto per tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro capacità e dal loro impegno; l'ultimo è invece di ispirazione liberale, perché tende a responsabilizzare al massimo individui e famiglie, coinvolgendo lo Stato soltanto là dove è indispensabile.