May, Theresa Mary. – Donna politica britannica (n. Eastbourne 1956). Laureata nel 1977 in Geografia allo St Hugh's College di Oxford, ha iniziato a lavorare presso la Banca d’Inghilterra come consulente finanziario, per poi passare all'Association for payment clearing services, dapprima come responsabile dell’Unità affari europei (1989-96) e quindi come senior adviser per gli affari internazionali (1996-97). Esponente del Partito conservatore, è entrata in Parlamento nel 1997; membro dei governi ombra di W. Hague (1999-2001) e di I.D. Smith (2001-2002), nel 2002 è stata nominata presidente dei Tories, prima donna a ricoprire tale incarico e attivamente impegnata nel riformarne l’immagine. Successivamente ha ricoperto numerosi altri incarichi istituzionali: segretario di Stato nei governi ombra di M. Howard (2003-2005) e di D. Cameron (2005-10), dal 2010 ha rivestito il ruolo di ministro degli Interni. A seguito del risultato del referendum del 23 giugno 2016, in cui i cittadini britannici hanno approvato l’uscita del Paese dalla UE, e delle conseguenti dimissioni di Cameron da premier e da leader dei Conservatori, M. è stata scelta a succedergli in entrambe le cariche, seconda donna alla guida del Paese dopo M. Thatcher. Attiva nella difesa dei diritti delle donne fin dagli inizi della sua carriera politica e impegnata nel sociale soprattutto in favore dei ceti meno abbienti, ma avversa all’apertura su questioni quali il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali, M. ha assunto posizioni estremamente rigide riguardo al tema dell’immigrazione: nel 2013 ha espulso dal Paese l’imam radicale Abu Qatada, e nel 2015 ha avanzato la proposta di impedire l’accesso in Gran Bretagna ai cittadini dell'Unione Europea in cerca di lavoro. In merito alla Brexit, M. ha inizialmente espresso parere favorevole alla permanenza del Paese nella UE seppure da posizioni moderatamente euroscettiche, impegnandosi in seguito a trattare le modalità più adeguate per l'uscita dall’organizzazione internazionale e a trasformare tale distacco in un’opportunità per il Paese. Nell'ottobre 2016 M. ha illustrato le fasi del processo di uscita, annunciando nel gennaio 2017 il piano di una Hard Brexit, che comporterà anche l'uscita del Paese dal mercato unico europeo; dopo l'ottenimento del consenso formale di Elisabetta II e l'autorizzazione della Camera dei Comuni e della Camera dei Lord, l'articolo 50 del Trattato di Lisbona, che prevede un meccanismo di recesso unilaterale cui seguiranno due anni di negoziazioni sui modi e i termini del distacco, è stato attivato il 29 marzo 2017. Il mese successivo M. ha inoltre annunciato l'indizione di elezioni anticipate di tre anni rispetto alla scadenza naturale della legislatura nel 2020 - volte a rafforzare il partito conservatore rispetto all'opposizione labourista. Tenutesi l'8 giugno, le consultazioni hanno però registrato una vittoria di misura del partito della premier, che non è riuscito a ottenere la maggioranza assoluta, conquistando 315 seggi contro i 261 aggiudicatisi dai laburisti di J. Corbyn, e costringendo M. a siglare un accordo di governo con il Partito democratico unionista (Dup) nordirlandese, che ha fornito appoggio all'esecutivo in cambio dell'erogazione di un pacchetto di aiuti economici pari a 1,5 miliardi di sterline. In merito alla Brexit, dopo due anni di negoziati, nel novembre 2018 il raggiungimento dell'accordo con l'Unione europea ha spinto alcuni ministri sostenitori di posizioni più intransigenti a rassegnare le dimissioni, producendo inoltre profonde lacerazioni anche all’interno del Partito conservatore ed evidenziando forti meccanismi di opposizione interna e una fragilità strutturale dell’attuale assetto di governo. Dal gennaio al marzo 2019 il Parlamento britannico si è comunque pronunciato per tre volte contro l'accordo con l'Unione Europea patteggiato dalla premier, che nel mese di aprile ha accettato la proposta del presidente del Consiglio della UE D. Tusk per un'estensione della data di uscita del Paese dall’Unione europea dal previsto 12 aprile al 31 ottobre 2019, con la possibilità di anticiparla qualora il negoziato Londra-Bruxelles si concluda prima. Nel giugno successivo la premier si è dimessa da leader del Partito conservatore, subentrandole dal luglio successivo in tale carica e in quella di premier del Paese B. Johnson; pochi giorni dopo l'annuncio delle dimissioni, il Partito conservatore della donna politica ha subìto una netta sconfitta alle elezioni europee, ottenendo il peggior risultato di sempre (9,2%), preceduto dal neofondato Brexit Party di N. Farage (31,7%), dagli europeisti liberaldemocratici (20,5%) e dai laburisti (13,6%).