Tōkyō monogatari
(Giappone 1953, Viaggio a Tokyo, bianco e nero, 135m); regia: Ozu Yasujirō; produzione: Yamamotō Takeshi per Shōchiku; sceneggiatura: Noda Kōgo, Ozu Yasujirō; fotografia: Astuta Yōharu; scenografia: Hamada Tatsuo; montaggio: Hamamura Yoshiyasu; musica: Saitō Kōjun.
Un'anziana coppia, Shōkichi e Tomi, si reca a To-kyo, dalla lontana Onomichi, per far visita ai figli Kōichi e Shige. Presi dai problemi del lavoro e dalle loro rispettive famiglie, i figli non riescono a dedicare ai genitori che poco tempo, e dimostrano tutta la loro insensibilità quando decidono di offrir loro un soggiorno nella località termale di Atami, anziché continuare a ospitarli nelle proprie case. L'unica davvero disponibile nei loro confronti è la nuora Noriko, vedova di Shōji, un altro figlio dell'anziana coppia morto in guerra otto anni prima. Durante il viaggio di ritorno verso casa, Tomi ha un malore che la costringe a fermarsi insieme al marito a Osaka, nella casa di un altro loro figlio, Keizū. La donna si riprende, ma giunta a Onomichi ha un secondo e fatale attacco di cuore. I figli arrivano al suo capezzale per porgerle l'ultimo saluto. Dopo il funerale, tutti fanno subito ritorno alla propria vita: solo Noriko rimarrà ancora qualche giorno a tenere compagnia al suocero e alla sua figlia più giovane Kyōko.
Tōkyō monogatari, il cui soggetto è ispirato a Make a Way for Tomorrow (Cupo tramonto, 1937) di Leo McCarey, è il film più noto in Occidente tra quelli girati da Ozu Yasujirō. La pellicola riprende alcuni temi cari a tutta l'opera del regista, e in particolare quelli legati alla dissoluzione della famiglia e alle delusioni delle attese dei genitori nei confronti dei figli. Il soggiorno a Tokyo di Shōkichi e Tomi, infatti, è interamente costruito sulla prospettiva dell'anziana coppia costretta a registrare con amarezza come i due amati figli, Kōichi e Shige, vivano ormai in un mondo di cui loro non possono più essere parte. Come altre volte avviene nel cinema del regista, il confronto fra genitori e figli non prende mai le fattezze di uno scontro aperto, ma procede attraverso piccoli gesti, parole e fatti apparentemente insignificanti. Ozu, del resto, non calca affatto la mano nel rappresentare l'egoismo dei figli e, addirittura, affida a Noriko il compito di difenderli dalle accuse della più giovane Kyōko: "Quando si arriva a un'età come quella di Shige, una donna ha la propria vita del tutto indipendente da quella del padre e della madre. Non credo che lei abbia agito volendo far del male. È solo che arriva il giorno in cui è la nostra vita a prendere il sopravvento". Con queste parole Noriko pone le premesse allo sviluppo di un altro tema assai caro al regista, quello del fluire di tutte le cose, dell'instabilità e della mutevolezza dei sentimenti e degli affetti umani; continua, infatti, la giovane donna: "Credo non ci sia modo di sfuggire. Si finisce tutti così… Sì, farò così anch'io. Non è che lo voglia, ma finirò anch'io come tutti gli altri".
In Tōkyō monogatari ritroviamo diverse strategie narrative e soluzioni stilistiche proprie a tutto il cinema del regista. Nell'ambito delle prime è sufficiente ricordare l'uso insistito delle ellissi, che omettono, ad esempio, non solo i momenti in cui Tomi è colta dai suoi malori, ma anche quello della sua stessa morte, sostituita da una serie di inquadrature che, a seguire un'immagine del volto di Shōkichi, mostrano diverse vedute della città di Onomichi, legate fra loro dalla presenza dell'acqua ‒ ennesimo segno di quel fluire di tutte le cose, così come della vita umana, che è, come si è già detto, una vera e propria costante del cinema di Ozu. Fra le soluzioni stilistiche, invece, speciale rilievo assume l'uso insistito di inserti e transizioni che conducono lentamente da una sequenza a un'altra, dando così modo ai sentimenti dei personaggi ‒ insieme a quelli dello spettatore ‒ di prendersi un tempo tutto per sé, senza essere subito soffocati dal succedersi degli eventi: esemplare, a questo riguardo, è la lunga inquadratura di panni stesi che segue il momento in cui, a Osaka, i due sposi arrivano quasi a confessarsi reciprocamente la delusione per l'atteggiamento dei figli nei loro confronti. Per esprimere l'armonia esistente fra Tomi e Shōkichi, Ozu fa spesso assumere loro pose parallele e li fa muovere all'unisono ‒ come accade quando i due si portano contemporaneamente alla bocca del cibo, mentre sono seduti su un gradino all'ingresso del parco di Ueno. Poiché Noriko e Kyōko partecipano alla stessa armonia, anche loro sono spesso sottoposte a un simile trattamento (come succede nel corso della veglia funebre, quando Noriko si alza e, dopo qualche secondo, il suo posto è preso da Kyōko). Interessante, sul piano sonoro, anche l'uso del rumore, affidato spesso al ticchettio di un orologio, al motore di un battello, al passaggio di un treno, al frinire delle cicale: rumori tutti scanditi da un ritmo regolare che rinvia al tema dello scorrere del tempo, e che sembra trovare il suo punto d'arrivo nella scena della cerimonia funebre di Tomi, in cui la recitazione dei sutra è anch'essa accompagnata dal ritmico battere di un insieme di tamburi.
Interpreti e personaggi: Ryō Chishō (Hirayama Shōkichi), Higashiyama Chieko (Hirayama Tomi), Hara Setsuko (Noriko), Sugimura Haruko (Kaneko Shige), Nakamura Nobuo (Kaneko), Yamamura Sō (Kōichi), Miyake Kuniko (Ayako), Kagawa Kyōko (Kyōko), Tōno Eijirō (Numata Sanpei), Ōsaka Shirō (Keizū), Murase Zen (Minoru), Mori Mitsuhiro (Isamu).
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Ozu's Tokyo Story, a cura di D. Desser, Cambridge 1997.
Sceneggiatura: Le voyage à Tōkyō, Paris 1986; in "L'avant-scène du cinéma", n. 204, mars 1986.