TOSCANA
Regione dell'Italia centrale comprendente la porzione settentrionale tirrenica della penisola e le isole a essa adiacenti. Bagnata a O dai mari Ligure e Tirreno e limitata a N e a E dagli Appennini, a S e a S-E è divisa dal Lazio settentrionale e dall'Umbria da catene di colline e da valli.
Nei suoi confini odierni corrisponde, seppure con alcune non indifferenti modifiche, alla regione storica medievale nota con il nome latino di Tuscia fino a tutto l'Alto Medioevo, che assunse con la nascita del volgare il nome attuale. Essa ha costituito una ben individuata unità politica sin dal primo formarsi dei regni romano-barbarici: un ducato confluito con il titolo di marca nel sacro romano impero e da allora nominalmente parte del territorio dell'impero sino all'Unità d'Italia. Il marchesato, ritornato de iure sotto il diretto dominio imperiale dopo la morte di Matilde di Canossa nel 1115, risultò di fatto ben presto frammentato in una serie di potentati locali, piccoli stati territoriali o città-stato a governo perlopiù oligarchico o, più tardi, in parte democratico-rappresentativo, che, spesso in lotta tra loro, dopo la convulsa fase signoriale finirono per essere in gran parte assorbiti dal potere fiorentino tra il Trecento e il Cinquecento, fino alla costituzione dello stato regionale coronata dal titolo granducale.
La posizione periferica rispetto ai centri del potere imperiale, la vivacità economica e politica delle sue città e la stessa localizzazione fisica nel cuore dell'Italia e sul Mediterraneo hanno favorito la relativa autonomia e la prosperità della T. nei secoli del pieno Medioevo, con quel fenomeno dello sviluppo di un'autocoscienza culturale, civica o subregionale anzitutto, che tanta parte ha avuto anche nella promozione della produzione artistica.Rispetto all'Etruria, di cui si è sempre fin nel nome proclamata erede, la T. medievale ha via via perduto i territori meridionali della Tuscia romana, a più riprese assoggettati, politicamente e culturalmente, al dominio pontificio, come pure l'Umbria a O del Tevere, con gli importanti centri di Perugia e Orvieto, che Dante Alighieri (De vulgari eloquentia, I, XIII) considerava ancora, al pari di Viterbo e Civita Castellana, parte - seppur periferica - della regione, mentre Paolo Diacono (Hist. Lang., II, 16), al termine dell'età longobarda, era arrivato finanche a comprendervi Roma e l'intera Umbria, sulla scorta della regionalizzazione dioclezianea. Alla fine del Medioevo e già dal Trecento avanzato il termine T. arrivava a designare un'area culturalmente piuttosto omogenea, racchiudente sostanzialmente il territorio attuale.La vicenda artistica toscana resta di difficile ricostruzione per i secoli antecendenti il Mille, stante la pressoché totale scomparsa delle testimonianze monumentali dovuta alle estese ricostruzioni che i floridi secoli bassomedievali hanno prodotto. Emergenze archeologiche relativamente diffuse, alcuni isolati edifici e rari frammenti della produzione figurativa stanno tuttavia a provare la persistenza di una civiltà urbana nei ridimensionati municipia, perlopiù coincidenti con le prime sedi vescovili medievali. Tra questi, Lucca assunse dalla conquista gota particolare importanza.
È appena ravvisabile, grazie alle tracce scavate, la primitiva cattedrale lucchese, probabilmente risalente al sec. 5°, connessa a un battistero quadriconco ricostruito su pilastri nell'8°, poi cancellata dalla costruzione romanica dell'od. basilica dei Ss. Giovanni e Reparata. Di identificazione incerta è la primitiva cattedrale pisana, con battistero ottagonale dell'inizio del sec. 6°, epoca a cui si fa risalire la prima fase della cattedrale fiorentina, dedicata in origine forse al Salvatore, di cui resta parte dei muri presbiteriali, del colonnato e del mosaico pavimentale a disegni geometrici. All'interno dell'area archeologica di Roselle, scavi recenti hanno rimesso in luce presso le terme romane quanto resta della probabile cattedrale, pure a doppio colonnato, con nartece e torre in facciata aggiunta nell'11° secolo. I resti archeologici anteriori al periodo protoromanico della cattedrale doppia aretina, sul colle di Pionta, appena fuori della città, con la basilichetta di S. Maria e S. Stefano e il martyrium a pianta centrale di S. Donato, sembrano da situare invece in piena età longobarda. In alzato, seppure rimaneggiata, resta la cattedrale di Chiusi, dedicata a s. Secondiano, struttura basilicale a doppio colonnato rimontante al sec. 6°, con capitelli tardoantichi di reimpiego sormontati da pulvini scolpiti a simboli cristiani richiamanti le basiliche ravennati. Sorta su un precedente edificio paleocristiano, essa è stata restaurata in età romanica e in seguito, e fortemente ripristinata alla fine dell'Ottocento. Tra i pochi edifici religiosi non episcopali anteriori al sec. 9° superstiti nella regione si distingue la chiesa di S. Stefano presso Anghiari, in Valtiberina, di struttura laterizia, a triconco segnato da colonne ai varchi e aperto su un ambiente quadrato centrale sensibilmente più alto, a copertura lignea, secondo una tipologia situabile nell'8° secolo.Tra le sculture del periodo longobardo si segnala il fonte della pieve di Rigoli nella Valdiserchio pisana. Un precoce esempio di arte metallurgica altomedievale è costituito dal tesoro di Galognano, un completo eucaristico in argento del sec. 6° commissionato da una nobile di origine gota (Colle di val d'Elsa, Mus. civ. e d'Arte Sacra). Dalla Lucchesìa e dalla Valdinievole provengono importanti reperti figurati in bronzo di età longobarda: gli ornamenti di scudo da S. Romano (Lucca, Mus. Naz. di Villa Guinigi), piatte applicazioni a un perduto scudo da parata in cuoio con figure umane e animali ritagliate da una lastra metallica e decorate da punzonature, e il celebre frontale di elmo, risalente alla fine del sec. 6°, detto lamina di Agilulfo (v.; Firenze, Mus. Naz. del Bargello), in bronzo sbalzato e rifinito al cesello, recante una raffigurazione di omaggio al re longobardo Agilulfo, in trono e benedicente secondo un'iconografia tardoantica, cui personaggi incedenti dalle città, rappresentate da torri sui margini della scena, recano corone con croci, mentre angeli, immaginati a mezz'aria, con labari titolati ne proclamano la vittoria.L'età carolingia ha visto in T. un primo rifiorire diffuso dell'attività edificatoria, evidente soprattutto nelle cattedrali e nelle prime grandi abbaziali, come per il presbiterio della cattedrale fiorentina di S. Reparata, con unica abside e coro rialzato su una cripta a oratorio. Una terminazione a più absidi doveva forse possedere il duomo di Pistoia, di cui rimangono la base di un'absidiola e resti dei sostegni. Nella stessa Firenze, che andava a divenire il centro principale della T. a scapito di Lucca, già sede del duca longobardo, altre chiese furono innalzate nei decenni intorno all'800. Tra queste, la distrutta basilica di S. Cecilia, indagata da scavi, e il S. Pier Scheraggio, di cui resta parte della muratura dell'abside. Parallelamente si assistette nella regione anche alla diffusione del monachesimo benedettino, che in alcuni decenni si trovò a innervare capillarmente il territorio. Furono innalzate costruzioni perlopiù sostituite da più spaziose fabbriche in epoca romanica, ma di cui in qualche caso riemergono parti, come la cappella (in seguito ridotta a sacrestia) con cripta biabsidata a oratorio dell'abbazia di Sant'Antimo presso Montalcino, risalente con buona probabilità alla primitiva fondazione carolingia del cenobio, di cui doveva costituire una delle cappelle accessorie, alcune colonne con decorazioni geometriche e a intreccio nella cripta dell'abbazia di S. Salvatore al monte Amiata ad Abbadia San Salvatore, inserite nella ricostruzione protoromanica, o un'abside con coronamento a fornici dell'abbaziale (od. parrocchiale) di S. Caprasio ad Aulla, in Lunigiana, fondata dal marchese Adalberto di Toscana alla fine del 9° secolo.Testimonianze scultoree non trascurabili del periodo carolingio sono il paliotto con racemi a intreccio componenti medaglioni quadrati abitati del duomo di S. Maria Assunta a Orbetello, i frammenti di ciborio dalla demolita chiesa suburbana di S. Vincenzo a Cortona, datati da un'iscrizione sull'arco al tempo di Carlo Magno (Cortona, Mus. dell'Accademia Etrusca), e il ben conservato ciborio di S. Maria a Sovana, proveniente dal primitivo duomo, al pari delle lastre reimpiegate nella lunetta della cattadrale attuale, opere databili all'inizio del 9° secolo. A queste sono da aggiungere piccoli, numerosi frammenti scultorei sparsi ubiquitariamente in T., spesso riutilizzati in costruzioni romaniche, dal duomo di Pisa all'abbaziale di Sant'Antimo, dove permangono peraltro in situ i capitelli di una trifora della sala capitolare.A partire dal periodo ottoniano prese avvio in T. la fecondissima stagione dell'arte protoromanica e romanica, con la ricostruzione e la fondazione di un gran numero di edifici religiosi, sopravvissuti in buona parte, e costellanti il territorio, le cui numerose diocesi erano ormai divise stabilmente in pievanie, unità pastorali e demografiche alla cui diffusione si era peraltro assistito sin dall'età precarolingia, entro un panorama in cui si andavano inserendo sempre più numerose comunità monastiche benedettine, ben presto anche dei rami riformati, talora qui originatisi, come Camaldolesi e Vallombrosani. Strutture difensive feudali e, più raramente, di iniziativa collettiva sorgevano a fortificare i centri abitati, mentre si ponevano le prime basi per la rinascita della viabilità e delle strutture utilitarie, ponti, fonti, pozzi, ben raramente tuttavia sopravvissute.I centri in cui la produzione artistica, relativa soprattutto all'architettura, ebbe maggiore impulso nei decenni intorno al Mille furono Pisa (v.), Lucca (v.), Firenze (v.) e Arezzo (v.), mentre aree rimaste successivamente marginali, come la Lunigiana, le valli aretine e l'intera fascia subappenninica toscana, conservano numerose costruzioni, in specie pievi e abbaziali, innalzate poco successivamente al Mille, il che è indice della vasta azione di rinnovamento degli edifici religiosi nell'intera regione avvenuta in quegli anni. Si tratta di edifici a conci di pietra locale, perlopiù a impianto basilicale su colonnati - talora, meno nobilmente, su pilastri -, a copertura lignea, muniti di absidi, decorati all'esterno da teorie di archetti pensili o ricadenti su lesene o colonnine, e aperti da semplici portali e strette monofore, spesso a incassi, oculi e croci lucifere, cui si aggiungono, in area pisana, finestre rettangolari a gradoni e losanghe, aperte o più comunemente cieche, di valore decorativo, elementi destinati a particolare fortuna nell'età del pieno Romanico. Tra gli edifici più significativi sono la basilica di S. Piero a Grado, presso Pisa, l'abbaziale di S. Zeno nella stessa città, con avancorpo riecheggiante i cori occidentali delle omologhe abbaziali imperiali d'Oltralpe, la primitiva chiesa della Badia Fiorentina, fatta erigere dai marchesi di Toscana, e il duomo vecchio di Arezzo, con la basilica di S. Maria e S. Stefano, ricostruita all'inizio del sec. 11°, e il S. Donato, consacrato nel 1032, struttura centrale a ottagono allungato e poliabsidato, originata dalla cosciente rielaborazione di modelli ravennati, S. Vitale in primis, che il costruttore Maginardo su impulso del vescovo aveva visitato, realizzando uno dei più antichi viaggi di studio noti.Nel territorio risalgono ai primi anni del secondo millennio costruzioni come la pieve di S. Stefano a Sorano presso Filattiera, in Lunigiana, ad absidi percorse da archi rincassati su lesene, quella di S. Giovanni ad Arliano, in Lucchesìa, a teorie di archetti pensili, e la pieve di S. Eugenia al Bagnoro presso Arezzo.In questi decenni, con lo sviluppo dei rami riformati toscani dei Benedettini si ebbe un nuovo impulso alla costruzione di importanti abbaziali. Dalle due nuove case madri di Camaldoli e Vallombrosa, per il seguito interamente ricostruite pur lasciando intuire le primitive strutture a lunghe navate uniche, transetto inserito a T e coro absidato, derivarono nei due secoli successivi numerosi edifici in tutta la regione e ben oltre nell'Italia centrale appenninica, stilisticamente via via riflettenti i diversi orientamenti locali. Altre importanti abbaziali benedettine edificate a partire dal primo sec. 11° furono S. Maria di Farneta, nel territorio cortonese, la badia di S. Salvatore a Settimo presso Scandicci e la ricostruita abbaziale di Abbadia San Salvatore, con cripte articolate a oratori - nel primo caso a trifoglio, uniti da navatelle - e struttura che dagli esempi benedettini si discosta, soprattutto nell'ultimo caso, per avvicinarsi alle costruzioni dei rami riformati toscani, fatta salva la presenza nell'abbaziale amiatina di una facciata a due torri di influenza oltralpina.La presenza in T. di artefici lombardi, operanti con buona probabilità in gran numero nella regione a fianco dei maestri toscani sino a tutta l'età romanica, è provata da numerose particolarità stilistiche in comune con l'architettura dell'Italia settentrionale e ben rilevate dalla critica nel corso di tutto il Novecento. Tra le opere del primo Romanico queste appaiono evidenti tanto nelle soluzioni icnografiche, come nelle abbaziali a presbiterio sopraelevato su cripta, quali quelle di San Godenzo in Val di Sieve o Badia Prataglia in Casentino e, più tardi, la stessa cattedrale di S. Romolo a Fiesole, ma anche in particolari decorativi, dalle archeggiature delle chiese di area lucchese alle coppie di archetti pensili, come nella pieve di S. Maria alla Chiassa presso Arezzo. A testimoniare la complessità e la ricchezza del quadro culturale di riferimento per l'età protoromanica nella regione compare anche lo schema cassinese di chiesa a tre absidi terminali affiancate e largo transetto continuo, come a S. Veriano e a Badicroce presso Arezzo. La scultura in questa fase si concentra soprattutto nei capitelli, che, ove non reimpiegano materiale antico, come quasi sempre a Pisa e spesso altrove, come a Farneta, o altomedievale, come anche nelle cripte di San Baronto sul Montalbano e di S. Salvatore in Agna a Montale, mostrano differenti indirizzi, dalla rielaborazione di tipologie corinzie alla presenza di intrecci, foglie angolari, elementi vegetali e talora zoomorfi a forte rilievo e, nelle cripte, mensole e abachi al centro dei lati per la ricaduta dei sottarchi.Più nutrito è il gruppo di edifici ricostruiti nei decenni successivi, intorno o poco dopo la metà del secolo, dalle nuove fabbriche delle cattedrali di Lucca, Pistoia (v.) e Firenze, di cui solo quest'ultima nota dagli scavi, a transetto con cappelle orientate e absidate e grande presbiterio triabsidato, rialzato su cripta, all'avvio della ricostruzione del duomo di Pisa nel 1064, che avrebbe costituito un imprescindibile modello per l'intera età romanica in T. occidentale e oltre. La rete delle pievi venne in questi decenni fortemente rinnovata, su differenti tipologie, a basilica, o ad aula unica, come quasi tutte le suffraganee, a una o tre absidi, raramente munite di battistero, che compare per es. a Castello presso Monteriggioni e poi a Sant'Appiano presso Barberino val d'Elsa. I campanili sono a piani di monofore e bifore, all'uso lombardo, come più comunemente nella T. nordoccidentale, o talora cilindrici, su influenza ravennate, come in alcuni casi soprattutto della diocesi aretina, tra cui le pievi di S. Maria a Pàcina presso Castelnuovo Berardenga, Pieve Sócana, sorta su un tempio etrusco nel territorio di Castel Focognano, e Ss. Vito e Modesto di Corsignano a Pienza, ma anche nei più prestigiosi complessi della Badia Fiorentina e della badia di S. Salvatore a Settimo. Tra i più maturi esempi conservati di pievi protoromaniche è la chiesa di S. Leonardo ad Artimino, sul versante pratese del Montalbano, a tre navate su pilastri e corpo orientale triabsidato coronato da arcature e, sull'abside centrale, loggetta a fornici, simili a quelle presenti sull'abside della pieve di S. Lazzaro a Lucardo, nella Valdelsa fiorentina. Tra le suffraganee si distingue la chiesa di S. Angelo a Metelliano, sotto Cortona, a sistema alternato e tre absidi.Tra le chiese costruite nelle città si segnalano gli aulici edifici lucchesi sorti per volere del vescovo Anselmo da Baggio, papa Alessandro II (1061-1073), tra i quali rimane la basilichetta di S. Alessandro, a colonnato classicheggiante e piana facciata in marmo apuano bianco a rade fasce grigie, dal geometrizzante schema basato sui quadrati d'impostazione generale e del simile settore superiore centrale limitato da cornici, e sui triangoli del timpano del portale e del coronamento dei salienti, aperta solo da una bifora e una piccola croce lucifera, opera cui si ispirarono alcune chiese dei dintorni, come la pieve di S. Maria a Diècimo. Questo stile si sarebbe evoluto verso una maggiore monumentalità nel successivo S. Frediano, per andarsi poi a fondere con le influenze provenienti dalla vicina Pisa, dove l'esempio del duomo era stato raccolto da un buon numero di chiese urbane, prime tra le quali S. Frediano e S. Pietro in Vincoli, ed extraurbane, come le pievi dei Ss. Giovanni ed Ermolao a Calci, di S. Maria a Càscina e dei Ss. Maria e Giovanni a Vicopisano.
La fine del sec. 11° ebbe notevole importanza per lo sviluppo del Romanico fiorentino, con la ricostruzione del grandioso battistero, terminato nel Millecento, e tra le chiese conservate delle basiliche di S. Miniato al Monte - fondata nel 1099 - e dei Ss. Apostoli e fuori città di chiese come la Badia fiesolana e la collegiata di S. Andrea a Empoli, con facciata a specchiature marmoree geometrizzanti, la cui parte inferiore reca una data, il 1093, che è forse relativa alla fondazione dell'edificio, ma che non si deve discostare di molto da quella del rivestimento della zona basamentale, se si considerano le analogie con la tomba delle contesse Cilla e Gasdia nella badia di S. Salvatore a Settimo, del 1096.Lo stesso stile, che nella più tarda facciata della Badia fiesolana è variato nei motivi e interessa le classicheggianti finestre timpanate, esemplate su quelle del battistero, venne utilizzato per decorare a partire dall'inizio del sec. 12°, oltre alla tomba del vescovo Ranieri nel battistero fiorentino, del 1113, una serie di plutei, fonti battesimali e pulpiti dell'area fiorentina. Tra questi, gli amboni delle pievi di S. Giovanni Maggiore presso Borgo San Lorenzo e di S. Agata presso Scarperia, del 1175 (quest'ultimo disfatto), il fonte battesimale della pieve di S. Felicita a Faltona, ancora vicino a Borgo San Lorenzo, del 1157, e il pulpito e il fonte di S. Maria a Fagna, nel territorio di Scarperia, tutti in Mugello. Si tratta di opere in cui i fini motivi geometrici e figurati piatti a tarsia marmorea divengono via via più complessi, compresenti, minuti e ripetitivi, ma acquistano rilievo nei fioroni e nei setti, fino alle lastre del fonte del battistero fiorentino, della recinzione e del pulpito di S. Miniato al Monte e alle sculture da queste derivate, come il fonte oggi ricostituito nella parrocchiale di S. Andrea a Montespèrtoli. Lavori questi dell'inizio del Duecento, cui nuove forze, in parte esterne all'ambito fiorentino e da ricercarsi forse tra le maestranze di origine lombarda operanti a Lucca - ed educate su opere come l'ambone della parrocchiale di San Gennaro, in Lucchesìa -, riuscirono a dare un diverso e compiuto valore estetico. Opera qualitativamente emergente di questa stagione resta il più avanzato pulpito da S. Pier Scheraggio, oggi in S. Leonardo in Arcetri a Firenze.
Nell'ambito pisano e lucchese, il sec. 12° aveva visto il fitto susseguirsi di una serie di felici stagioni artistiche. Dalle fasi tarde buschetiane (v. Buscheto) della cattedrale pisana - che andava irradiando il suo stile alla T. marittima e alle isole, fino alla Corsica e alla Sardegna politicamente dipendenti da Pisa, e addirittura alla Capitanata -, all'opera di Rainaldo nello stesso cantiere, con l'accoglimento di nuove influenze arabe e bizantine, alle imprese di Guglielmo (v.) con gran parte della facciata, l'arredo presbiteriale e il pergamo - poi traslato nel duomo di Cagliari -, il duomo pisano si era arricchito di una decorazione plastica che, trascendendo la pur nobilissima rielaborazione di tipologie classiche, costituiva il complesso scultoreo più vasto e moderno visibile nella T. romanica. Diotisalvi (v.) aveva da poco dato inizio alla fabbrica del battistero e di lì a breve sarebbe seguita la fondazione del campanile. Generazioni di artisti si sono formate lungo tutto il secolo in quel cantiere, tra cui notevole soprattutto l'ultima, quella di Biduino (v.) e Bonanno (v.), che rielaborò profondamente il linguaggio artistico, appreso anche con l'osservazione di opere e di artisti di provenienza esterna, e l'esportò altrove, in T. occidentale nel primo caso, e anche in Sicilia, con la porta bronzea del duomo di Monreale, nel secondo. A Lucca, dove lo stile locale si era fuso fin dal 1150 con quello pisano in costruzioni come S. Maria forisportam, S. Michele in Foro e numerose chiese dei dintorni, come la pieve vecchia di Santa Maria del Giudice, Biduino convisse con le prime generazioni di scultori e architetti i cui nomi siano noti. Questi artisti, perlopiù di matrice ticinese, e in particolare Guidetto e i suoi aiuti, mostrano un precoce e originale adattamento allo stile e ai materiali della scultura in T., dimostrando un gusto decorativo ricco e policromo che li avrebbe portati alla predilezione di figurazioni geometriche o fitomorfe, a tarsia o a rilievo, caratterizzante l'intera stagione artistica del Tardo Romanico in T. occidentale e capace di influenzare, come si diceva, anche Firenze. Si sviluppò in questa fase una nuova statuaria, al cui vertice è il gruppo di S. Martino e il povero nel duomo di Lucca.Riflessi importanti dell'arte delle diverse fasi del cantiere della cattedrale pisana sono osservabili anche nel duomo di Volterra (v.), in S. Jacopo ad Altopascio, negli edifici romanici della Valdinievole e soprattutto a Pistoia, dove le principali chiese innalzate nel corso del sec. 12°, in specie S. Andrea, S. Bartolomeo in Pantano, S. Giovanni Fuorcivitas e il duomo dei Ss. Zeno, Rufino e Felice mostrano nella veste architettonica come nella decorazione scolpita e nel superstite arredo presbiteriale l'opera di scultori di origine pisana, dagli allievi di Guglielmo, autori dello smembrato pulpito del duomo di cui si conservano due lastre figurate nella cripta, ai maestri, tra cui Enrico, autori in S. Andrea dei capitelli dell'intera costruzione e dei portali, a Gruamonte e Adeodato (v.), scultori e forse anche architetti presenti nelle altre chiese pistoiesi citate, escluso il duomo, e ugualmente debitori dell'insegnamento di Guglielmo, cui unirono un più vivace gusto per la decorazione bicroma piana a tarsie a motivi geometrici.
In T. meridionale il sec. 12° rimase caratterizzato dalla compresenza di architetti e scultori di origine lombarda e pisana, e dalla sporadica ma importante presenza di artisti oltralpini, soprattutto francesi delle regioni centrali atlantiche, dell'Alvernia e del Midi tolosano e linguadocano; notevoli soprattutto le importanti postazioni monastiche, in un'area ancora scarsamente urbanizzata. In particolare, l'abbaziale di Sant'Antimo venne ricostruita nei primi decenni del secolo, con pianta di derivazione cluniacense, eseguita peraltro con notevoli scarti dimensionali, a basilica munita di deambulatorio a cappelle radiali, con tribune, incompiuta nelle coperture, forse previste in legno su arconi diaframma nel vano centrale, e a volticine nelle navatelle e nel deambulatorio. Tra gli scultori che vi lavorarono, il Maestro di Cabestany (v.), attivo anche nel Rossiglione e in Catalogna, cui vengono pressoché concordemente ascritti i leoni stilofori e un gruppo di capitelli tra cui quello raffigurante Daniele nella fossa dei leoni. Lo stesso scultore è presente anche altrove in T.: suo il fusto di colonnina istoriata, forse di acquasantiera, da San Giovanni in Sugana (San Casciano in val di Pesa, Mus. Vicariale d'Arte Sacra), raffigurante l'Annunciazione e la Natività. Maestranze di provenienza francese sono forse anche all'origine della veste attuale della cattedrale di Sovana, ricostruita nel pieno sec. 12° e terminata nel successivo, a tre navate su pilastri a semicolonne addossate, transetto e cupola, con capitelli a motivi fitomorfi e geometrici e uno, di mano lombarda, con scene bibliche.Altre abbazie presenti nella T. a S dell'Arno mostrano interessanti elementi di novità, come il gruppo delle fondazioni camaldolesi e vallombrosane del sec. 12°, tra cui per es. Badia a Coltibuono presso Gaiole in Chianti, l'abbaziale di S. Maria a Conèo nella Valdelsa senese, o l'allora ricostruita Badia Berardenga, chiese che mostrano, in uno con l'adozione dell'impianto a T con navata unica e cupola all'incrocio dei bracci, il rinnovamento della scultura architettonica, influenzata soprattutto nell'ultimo caso dalla più moderna ed elegante plastica pisana e non immune da influenze francesi. Anche in questa parte della regione, tipologie icnografiche e maestranze apparentano chiese, in realtà, di differente stato giuridico: talora pievi, o finanche suffraganee, oltre a ricavare dalle abbaziali l'impianto a T o le cupole su pennacchi all'incrocio e a svilupparne il tema, arrivano a mostrare novità stilistiche e a volte un livello qualitativo sorprendente, come nel caso della pieve di S. Giovanni a Ponte allo Spino presso Sovicille e delle canoniche di S. Pietro in Vìllore a San Giovanni d'Asso o di S. Bruzio presso Magliano in Toscana. Ma è, tuttavia, ancora soprattutto nelle abbaziali che in prima istanza si ritrovano sperimentate nuove soluzioni, come in questi decenni per es. la volta a botte, anche spezzata, che, già presente a tutto sesto in vani minori, come imbotti absidali o vani di transetto, viene estesa a coprire il presbiterio o la navata in abbaziali come S. Rabano all'Alberese, presso Grosseto, o chiese derivate, come S. Giusto sul Montalbano - dove il corpo longitudinale doveva proseguire voltato a crociera -, oltre che in chiese minori spesso legate a nuovi Ordini come i monaci guglielmiti, diffusi soprattutto in Maremma dopo la fondazione dell'eremo di Malavalle, presso Castiglione della Pescaia, oggi in rovina.In T. occidentale influenze monastiche d'Oltralpe parimenti precoci sono osservabili in opere architettoniche fin dalla metà del sec. 12°, come nell'abbaziale vallombrosana di S. Paolo a Ripa d'Arno a Pisa, che, a fianco di un repertorio decorativo basato sulle esperienze del coevo cantiere del duomo, mostra oculi lobati e cornici spezzate di ascendenza francese, ripresi nell'ottavo decennio da chiese del territorio pisano, come le pievi di S. Giovanni a Campiglia Marittima o di S. Casciano presso Càscina, e da edifici sardi in cui pure dovettero lavorare artefici pisani di simile formazione, come dimostra il caso della recinzione di S. Pietro di Sorres presso Borutta, di derivazione guglielmesca.Negli stessi anni anche la T. orientale sviluppò un modello basilicale, a più massicci capitelli con geometrizzanti motivi vegetali di meno diretto rimando classico o anche figurati, come nella pieve di S. Maria Assunta a Stia, in Casentino, spesso in associazione a una ricca decorazione su archetti di lontano modello pisano-lucchese, come nelle absidi delle pievi di S. Pietro a Gròpina, nel Pratomagno, completata da un fantasioso ambone nello stesso stile, e San Pietro di Romena, ancora in Casentino, tipologia il cui esempio più monumentale resta, a cavallo del nuovo secolo, la pieve di S. Maria ad Arezzo.Importante fattore di novità tra la fine del sec. 12° e il Duecento fu il diffondersi delle tecniche architettoniche in laterizio, soprattutto a opera di maestranze lombarde, che già dalla seconda metà del sec. 12° avevano realizzato costruzioni religiose di non vaste dimensioni in mattoni, soprattutto in aree sprovviste di buona pietra da taglio, come il Senese e la Valdelsa, mentre nei secoli precedenti il mattone compariva soprattutto nei coronamenti e in alternanza alla pietra a scopo perlopiù decorativo. Chiese come la pieve di S. Giovanni a Monteràppoli, sulle colline a S di Empoli, di un maestro lombardo Bonseri del 1165, aprirono la strada alla diffusione di organismi perlopiù a navata unica e facciata a capanna aperta da portale e bifora con decorazioni in cotto e, talora, l'inserimento di bacini ceramici, secondo una tradizione diffusa in vari centri del Romanico italiano e in particolare a Pisa. Tra i migliori esempi di questo stile, a cavallo del Duecento, il duomo di San Miniato e le chiese dei Ss. Ippolito e Biagio a Castelfiorentino, dei Ss. Michele e Jacopo e di S. Tommaso a Certaldo. Strutture in cotto furono da questo momento in gran parte le piccole chiese dei numerosi pellegrinai e spedali innalzati nelle città e lungo le principali strade di comunicazione e pellegrinaggio, gli oratori delle nascenti confraternite, destinate a un importante ruolo sociale soprattutto nel Trecento, e numerose suffraganee. Tra le piccole chiese in cotto sorte nel primo Duecento vi furono anche le prime fondazioni dei nascenti Ordini mendicanti, in T. particolarmente precoci e diffuse, tra cui Francescani (v.), Domenicani (v.), Agostiniani, Carmelitani e Serviti, dei quali nella regione si trovano alcune delle più importanti sedi.In questi decenni si assistette anche allo sviluppo della pittura su tavola, soprattutto nella tipologia della croce dipinta, a partire da prototipi come la croce di Guglielmo nel duomo di Sarzana - opera probabilmente lucchese del 1138 ma in parte aggiornata in seguito - e non molto più avanzati esempi lucchesi come la croce di S. Michele in Foro, o pisani, come la croce ora in S. Caterina a Siena o quella di S. Frediano, fino alla diffusione di simili opere nelle zone presbiteriali di numerose chiese, soprattutto di area lucchese, pisana e fiorentina, sebbene anche nella parte meridionale della regione non manchino precoci esempi di croci dipinte, come quella da S. Pietro in Vìllore a San Giovanni d'Asso (Pienza, Mus. diocesano di arte sacra). La tipologia andò gradualmente a sostituire quella dei crocifissi lignei scolpiti, di simili dimensioni e funzione, di cui restano esempi del pieno sec. 12°, nelle abbaziali di Sant'Antimo o di Abbadia San Salvatore, o non molto successivi (Arezzo, Mus. Diocesano). Nei decenni seguenti si produssero piuttosto gruppi lignei della Deposizione, come quelli della pieve di Vicopisano e del duomo di Volterra. Iconografia a parte è quella del Volto Santo, grande crocifisso scolpito di tipo orientale, con colobium, di cui si conservano il notissimo esempio del duomo di Lucca, meta di pellegrinaggi nel Medioevo, con le sue copie medievali (Pisa, S. Sisto in Cortevecchia; Bocca di Magra, Santa Croce) e quello, talora indicato come più antico, del duomo di Sansepolcro, opere di difficile collocazione cronologica, comunemente datate al sec. 12° ma strettamente dipendenti da prototipi altomedievali, se non preromaniche esse stesse.Il Tardo Romanico ha prodotto ancora nel Duecento alcune delle sue opere migliori: dalla elegante plastica della cattedrale di S. Cerbone a Massa Marittima agli interventi lucchesi di Guidetto e della sua scuola, come le loggette del duomo o la facciata di S. Michele in Foro, che andava a completare una chiesa costruita nella metà del secolo precedente, opere in cui i loggiati di ascendenza pisana si ornano con più complessi motivi a tarsia, anche figurati, e acquistano maggior plasticismo e autonomia, fino ai casi più tardi, tra cui la facciata di S. Pier Somaldi, nella quale le maestranze lucchesi ruotanti intorno alla famiglia dei Bigarelli (v.) si mostrano in qualche modo già aggiornate alle novità che contemporaneamente venivano introdotte nella regione dai monaci costruttori cistercensi, dalla loro fondazione toscana di San Galgano in Val di Merse, nella Maremma senese, cui si affiancò in un secondo tempo la badia di S. Salvatore a Settimo, a loro concessa nel 1236.Il peso avuto da San Galgano resta determinante per il passaggio dal Romanico al Gotico in terra toscana nel corso del Duecento. L'abbaziale risulta in costruzione dal 1224 ca., dopo una fase ventennale di stanziamento dei Cistercensi (v.) presso il cupolato santuario rotondo di San Galgano a Montesiepi, innalzato negli ultimi anni del secolo precedente. La nuova abbaziale non concede alcunché, soprattutto nelle sue prime fasi, ai possibili suggerimenti stilistici locali. La pianta a tre navate, transetto sporgente e cappelle terminali rettilinee segue perfettamente lo schema proprio all'Ordine, e i capitelli delle parti basse del corpo orientale rimandano a Casamari, la casa madre laziale da cui i monaci provenivano. Le fasi successive si arricchiscono di nuovi apporti cistercensi, direttamente provenienti dalla Francia e, più numerosi, di esperienza meridionale: maestranze di Casamari erano state documentatamente impiegate dall'imperatore Federico II nelle sue imprese edilizie nel Regnum, come certo le residenze di Castel del Monte o di Lagopesole.Negli anni quaranta del Duecento, un diretto cantiere federiciano è peraltro impiantato anche in T., nel castello di Prato (v.), sotto la direzione di Riccardo da Lentini, il che spiega la similitudine icnografica con gli altri castelli da lui seguiti in Sicilia orientale. Anche qui, per la scultura i riferimenti a Castel del Monte sembrano immediati, fornendo nella regione un importante e rivoluzionario esempio. Tra le costruzioni che sembrano ispirarsi a questo nuovo stile anzitutto il duomo di Siena (v.), i cui complessi rapporti con San Galgano, da cui provenivano gli amministratori della sua Opera, non sembrano da interpretare come una pedissequa derivazione, né tantomeno rendono possibile concludere per una identità di maestranze. Il cantiere senese dovette tuttavia accogliere numerose istanze cistercensi (icnografiche, tipologiche e stilistiche) all'interno di una articolata équipe di maestranze di varia origine ma perlopiù toscane, forse capitanate già dalle prime fasi dell'opera da Nicola Pisano (v.). Capitelli di derivazione cistercense e soluzioni stilistiche e strutturali apprese dal contatto con i monaci bianchi affiorano anche successivamente in tutta l'opera di Nicola e della sua bottega nella regione (oltre che a Siena, a Pisa anzitutto), e negli edifici che da essa derivano, tra i più precoci dei quali l'abbaziale della SS. Trinità e S. Mustiola a Torri, nella Montagnola senese, come pure nelle parallele, meno geniali opere volterrane di Giroldo da Como (v.), che poté attingere in quella città, nella cui diocesi San Galgano ricadeva, anche a un precoce quanto sinora trascurato filone locale di tradizione scultorea di origine cistercense, inaugurato ancor prima della metà del Duecento con la costruzione del palazzo dei Priori.
La nuova scultura gotica e soprattutto l'opera di Nicola, con la lunetta del portale sinistro del duomo di Lucca (1257 ca.) e i grandi pulpiti del battistero di Pisa (1258-1260) e del duomo di Siena (1265-1268) resero rapidamente obsoleta la grande tradizione lombardo-lucchese, che aveva visto produrre notevoli episodi decorativi, dagli arredi presbiteriali (fonte, recinzione, pulpito) della pieve di S. Giorgio di Bràncoli, in val di Serchio, della fine del sec. 12°, e della collegiata di S. Cristofano a Barga - che completarono quel complesso edificio romanico nel 1230 ca. -, opere di maestranze guidettesche, ai pulpiti di S. Bartolomeo in Pantano a Pistoia e ai rilievi dell'atrio del duomo di Lucca, cui si lavorava ancora alla metà del secolo con Guido Bigarelli e i suoi familiari.Il panorama artistico della T. del Duecento venne a cambiare anche per il rapido e capillare diffondersi degli Ordini mendicanti, subito assurti a committenti tra i principali della produzione artistica, architettonico-plastica, ma ora anche e soprattutto pittorica. Pittori come i Berlinghieri (v. Berlinghiero) e in particolare Giunta Pisano (v.), rinnovatore profondo della tipologia allora più diffusa, la croce dipinta, trovarono spunto per la propria azione nella nuova spiritualità francescana; si andavano mettendo a punto nuove iconografie e tipologie con le tavole agiografiche, mentre il moltiplicarsi delle occasioni di committenza dalla metà del Duecento e le mutate condizioni sociali e politiche fornivano maggiori possibilità agli artisti di lavorare al di fuori della propria città.Già dagli anni intorno alla metà del secolo, gli Ordini mendicanti iniziarono a sostituire le primitive, piccole chiese urbane innalzate nell'età delle origini con grandiosi edifici gotici. Tra i primi esempi il S. Francesco a Cortona, voluto da frate Elia stesso, a navata unica coperta a capriate, cappelle terminali voltate e semplice facciata a capanna con elegante portale marmoreo. In queste ricostruzioni i Frati sovente impegnarono per la riedificazione e decorazione delle loro chiese i più noti nomi allora operanti, dalle precoci fabbriche pisane di S. Caterina e S. Francesco - grandi organismi mononavi con numerose cappelle terminali affiancate -, affidate a Giovanni di Simone allora capomaestro del duomo di Pisa, alla lenta edificazione di S. Maria Novella a Firenze e poi di Santa Croce, il progetto della quale resta attribuito pressoché concordemente ad Arnolfo di Cambio (v.). A parte le maggiori postazioni mendicanti fiorentine, le numerosissime chiese innalzate dai Frati nella regione in questi decenni sembrano seguire il modello dell'aula unica senza transetto - o con transetto appena sporgente - con cappelle terminali piane, come nell'esempio cortonese, e, solo per i centri principali, come Siena o Pistoia, il modello pisano comprendente anche un transetto sporgente. Gli ambienti conventuali si trovano costantemente distribuiti su uno o più lati di un chiostro quadrato sul lato della chiesa, semplificando la tipologia delle abbazie cistercensi o degli altri Benedettini riformati, come comunemente è dato riscontrare anche al di fuori della regione. Tra le chiese più notevoli dei centri minori, si citano la precoce chiesa di S. Francesco a Castiglion Fiorentino, quella di San Miniato, che conserva in facciata traccia della costruzione primitiva, di cui riutilizza in parte un fianco, il singolare santuario di S. Margherita a Cortona, poi ricostruito, e la grande postazione di S. Lucchese, sulla tomba del fondatore del terzo Ordine francescano, esempio del tutto sovrapponibile, nello schema e nelle dimensioni, a un complesso urbano, ma sorto, per la sua peculiare origine, in posizione isolata, poco fuori Poggibonsi.
Ove presente, la scultura architettonica rimanda costantemente a prototipi cistercensi, peraltro ormai comuni anche al di fuori della committenza mendicante dopo l'esempio del duomo di Siena, in ogni caso riletti e riadattati allo stile locale, in alcuni casi ancora in associazione a particolari costruttivi tardoromanici, portali e varchi a pieno centro e semplici monofore e oculi.Tra la metà del Duecento e il primo terzo del secolo successivo si situa anche la grande stagione della costruzione dei palazzi pubblici (v. Comune), ormai necessari all'attività delle istituzioni civiche, anche in cittadine di ridotte dimensioni. Ancora presenti o rintracciabili in molti centri toscani, rispondevano a diverse tipologie: dal palazzo a corpo unico con fronte porticata, come quello degli Anziani di Pisa e il palazzo nuovo del Comune di Prato, del tutto trasformati in seguito, o lo scomparso palazzo comunale di Lucca, agli edifici a blocco squadrato con cortile e torre, dal palazzo del Bargello di Firenze al Palazzo Pubblico di Siena o al palazzo Vecchio a Firenze, ancora progettato da Arnolfo. A metà tra le due tipologie è il palazzo del Comune di Pistoia, con portico e cortile. I centri minori presentano edifici che riprendono spesso i caratteri dell'edilizia delle città di riferimento, dal palazzo Pretorio di Vicopisano, che è esemplato sulle grandi case-torri pisane ad arconi in pietra, tecnica in cui erano costruiti anche i restanti edifici pubblici e molti edifici residenziali della repubblica marinara, ai palazzi delle Terrenuove fiorentine (v.), il palazzo Pretorio di San Giovanni Valdarno e il palazzo dei Vicari a Scarperia soprattutto, o al palazzo Pretorio di Certaldo, che pure rimanda all'edilizia signorile fiorentina del tempo. Notevoli il palazzo del Podestà di San Gimignano e il palazzo dei Priori di Montalcino, della fine del Duecento, ancora con ampie e semplici finestre ad arco ribassato e snelle torri. A queste tipologie si avvicinarono talvolta anche i castelli feudali, come quello dei Conti Guidi, poi palazzo Pretorio, a Poppi, in Casentino, che oltre a mutuare alcune soluzioni dal palazzo del Bargello sembra anticipare da vicino palazzo Vecchio.Da questa tipologia divergono altri castelli, come i numerosi della Lunigiana, tra i quali il castello del Piagnaro a Pontremoli o i castelli Malaspina di Fosdinovo e di Massa e la Verrucola presso Fivizzano, peraltro in buona parte ricostruiti o ampliati nel Quattrocento, basati su cinte imperniate su un massiccio mastio, di norma quadrangolare. Di tipo diverso, a semplice cinta con torre, senza funzione residenziale, ma collegato al palazzetto dei vicari imperiali, era il castello duecentesco federiciano di San Miniato, con torre quadrata a cella retta da quattro pilastri circolari, forse spunto per il suo contraltare guelfo di palazzo Vecchio, o il più regolare castello di Romena, in Casentino, con ampia cinta rettangolare racchiudente un ampio spazio libero e il mastio turrito. Simile struttura aveva il relativamente ben conservato castello di Montecchio Vesponi presso Castiglion Fiorentino, mentre esempi significativi di mastii sono il precoce castello casentinese di Porciano e il mastio duecentesco di Pierle, nella Valtiberina cortonese. In T. meridionale numerose sono le strutture fortificate, residenze, spedali o finanche fattorie, risalenti al Tardo Medioevo, di cui resta esempio emblematico la grangia di Cuna presso Monteroni d'Arbia.Nell'ordine di alcune centinaia sono in tutta la regione i centri abitati fortificati, dalle principali città con le loro cinte - esemplari i precoci casi di Pisa e di Lucca, con monumentali porte urbiche, a Lucca tra torri circolari - ai nuclei muniti fortemente denotati dalla prevalente funzione militare, come Monteriggioni, Staggia, Serravalle Pistoiese. Le città furono dotate di cittadelle e rocche - tra le più vaste quelle di Massa Marittima e di Montalcino -, di porte urbiche e di strutture utilitarie, fonti in specie, per il solito in posizione difesa o prossima alle mura, perlopiù risalenti al tardo Duecento e al Trecento, tra le più antiche delle quali si segnalano la fonte delle Fate a Poggibonsi, le fonti di Docciòla a Volterra, gli esempi di San Gimignano e di Siena, e le singolari strutture termali come le vasche e i portici di Bagno Vignoni e di Bagni di Petriolo, in Terra di Siena.
A partire dalla piena età gotica, la storia della produzione artistica in T. diviene studiabile soprattutto attraverso l'analisi dell'evoluzione del dibattito artistico nei principali centri: Firenze, Siena, Pisa e Lucca, in qualche misura anche Arezzo, Pistoia e Volterra (v.), anche nei reciproci rapporti, e per complessità e ricchezza di opere si presta difficilmente a essere riassunta o ricondotta entro un quadro complessivo.Nel secondo Duecento, gli scambi e le influenze intercorsi fra pittori pisani, fiorentini e senesi hanno reso difficile la collocazione delle origini di numerosi dipinti, soprattutto di area fiorentina. La generazione di Coppo di Marcovaldo (v.), attivo anche a Siena, e con opere conservate a San Gimignano e a Pistoia, rappresenta il primo caso di esportazione dell'arte di Firenze verso altre aree. Al di fuori della città resta anche una delle opere migliori del suo ambito, la tavola con S. Michele in trono e storie da Vico l'Abate (San Casciano in val di Pesa, Mus. Vicariale d'Arte Sacra), mentre non molto più tarda è la Madonna di S. Maria Primerana a Fiesole, vicina a Meliore, come pure il dossale della pieve di S. Leolino a Panzano in Chianti, con Madonna in trono tra i ss. Pietro e Paolo e storie, e la Madonna con il Bambino e angeli in S. Stefano a Montefioralle, presso Greve in Chianti. Pittore molto attivo al di fuori della città fu Corso di Buono, autore delle Storie di s. Giovanni Evangelista in S. Lorenzo a Montelupo Fiorentino, datate 1284, della Maestà nella pieve di S. Giovanni Battista a Rèmole, alle Sieci, a E di Firenze, e forse della Madonna della Misericordia a fresco in S. Lorenzo a Signa.A partire dalla comparsa delle grandi personalità artistiche di Cimabue (v.) e Nicola Pisano, e più con Arnolfo di Cambio (v.), Giovanni Pisano (v.), Giotto (v.), Duccio di Buoninsegna (v.) e i grandi maestri del primo Trecento, l'intera attività artistica nella regione si trova per più decenni a essere in differente misura influenzata dalle opere di questi prestigiosi caposcuola e degli artisti con loro formatisi. Se i soggiorni di Cimabue a Pisa e le opere da lui lì eseguite modificarono il corso della pittura in T. occidentale, aggiornandone lo stile alle novità fiorentine, come evidente già nel Maestro di S. Martino (v.) e poi nelle opere di minori come Ugolino di Tedice, la contemporanea opera di Giovanni Pisano a Siena, Pistoia, Pisa e altrove, come il completamento della collegiata di San Quirico d'Orcia e del coro e coronamento della facciata del duomo di Massa Marittima, e la scuola da lui formata, a Pisa soprattutto, permisero la definitiva apertura al Gotico di zone rimaste negli ultimi decenni al di fuori dalle correnti più innovative. Si pensi anche alle imprese degli allievi di Giovanni Pisano, come Lupo di Francesco (v.) - principale artefice del decoratissimo oratorio di S. Maria della Spina in patria - a Barcellona, o del più pacato e narrativo Giovanni di Balduccio (v.) a Firenze, a San Casciano in val di Pesa, a Sarzana e in Lombardia, mentre altri scultori di simile formazione completavano a Carrara la facciata del nobile duomo romanico di S. Andrea. Diversa la situazione tra i senesi, dove al violento patetismo di Giovanni Pisano, già attenuato dal successore diretto alla direzione del cantiere del duomo, Camaino di Crescentino, venne preferita una lezione basata sull'interpretazione della pienezza formale di Nicola Pisano attraverso i sunteggianti linearismi arnolfiani, come appare dalle opere di Tino di Camaino (v.), attivo, oltre che in patria, a Pisa, Firenze e a Napoli, o più fluida e sensibile alle novità provenienti dalla pittura, come in Gano da Siena (v.), Marco Romano (v.) e soprattutto Lorenzo Maitani, che da Siena si spostò presto a Orvieto per dirigervi la fabbrica del duomo e con ogni probabilità eseguirvi i delicati e innovativi rilievi dei pilastri esterni della facciata, succedendo a un primo maestro, pure senese, fosse o meno Ramo di Paganello.In area fiorentina, dopo i fermenti di novità di cui sono esempio discusse opere di alta qualità, quali la tavola vicina a Cimabue con Madonna con il Bambino in Maestà (Castelfiorentino, S. Verdiana, Pinacoteca) o la piccola Madonna con il Bambino frammentaria riferita a Giotto giovane nella pieve di Borgo San Lorenzo, la produzione artistica è monopolizzata dalla città, in uno dei momenti di maggior fioritura economica e culturale, con gli anni di attività di Giotto e dei grandi allievi di Nicola Pisano, come il probabile Lapo nelle teste-mensola in Santa Trinita e nei rilievi della cappella Castellani in Santa Croce, e di Arnolfo di Cambio, alla guida dei principali cantieri religiosi e civili fiorentini. Il gigantismo e l'eccezionale rilievo qualitativo di quest'arte non ne permisero una facile diffusione ai centri minori, che nel Trecento come mai prima nel Medioevo toscano si trovarono in posizione del tutto satellitare. È probabile che Giovanni Pisano, negli ultimi suoi anni, partecipasse ai lavori di ampliamento del duomo di S. Stefano a Prato, di cui si ricostruì il coro a cappelle terminali affiancate sul modello delle nuove grandi chiese mendicanti, come anche avvenne, per es., nella collegiata di S. Maria Assunta a Càsole d'Elsa. Le tipologie architettoniche si andavano ancora una volta mescolando, come dimostra anche l'eccezionalità della disposizione delle grandi costruzioni religiose gotiche toscane, cattedrali di Firenze e Siena in testa, che non intendevano porsi a modello architettonico ma anzi sembravano proclamare la propria unicità, sebbene singoli particolari o stilemi fossero invece destinati a una relativa diffusione. In scala più piccola, anche edifici come la nuova cattedrale di S. Donato ad Arezzo, slanciata basilica a tre navate con abside poligonale, innalzata tra la fine del Duecento e il secolo successivo, o quella di S. Lorenzo a Grosseto, coeva, ma in gran parte ricostruita nel Cinquecento, e in seguito ridecorata in stile, non ebbero seguito se non, forse, nel primo caso, con il duomo di Sansepolcro. In un pacato Gotico di radice pisano-lucchese furono condotti più tardi a Pietrasanta il duomo di S. Martino e la chiesa di S. Agostino, in seguito fortemente rimaneggiati, mentre Lucca stessa si apprestava a ricostruire, in grandiose forme gotiche di lessico fiorentino ma di influenza nordica, la sua cattedrale. Ma se le grandi sedi artistiche dell'arte trecentesca in T. furono essenzialmente poche città culturalmente egemoni, e artisti come Giotto o Simone Martini (v.) dipinsero solo nei principali centri culturali della propria epoca, oltre che nella città di origine, ma non altrove in T., se non a Pisa, in altri casi nel corso del Trecento è possibile trovare opere significative sparse nella regione. In ambito senese in particolare sembrano più comuni le trasferte di artisti al di fuori della città, non solo verso Firenze, dove peraltro Duccio di Buoninsegna e poi Ambrogio Lorenzetti (v.) soggiornarono interagendo con la pittura locale, ma anche in località minori, per le quali vennero realizzate importanti opere, come alcune tavole di stretto ambito duccesco, tra cui la Madonna in Maestà di Badia a Isola (Colle di val d'Elsa, Mus. civ. e d'Arte Sacra) o i monumenti funebri di mano di Gano da Siena e di Marco Romano nella collegiata di Càsole d'Elsa. Lo stesso Ambrogio Lorenzetti dipinse un'opera importante della maturità, il ciclo di affreschi con Maestà, Annunciazione e Storie di s. Galgano nella cappella aggiunta nel 1340 alla rotonda di Montesiepi, e per Massa Marittima una famosa Maestà su tavola (Massa Marittima, Mus. archeologico e Pinacoteca Civ.), che andava ad aggiungersi alla Madonna delle Grazie duccesca e all'arca del patrono s. Cerbone di Goro di Gregorio (v.), entrambe in duomo, opere che hanno rapidamente reso Massa Marittima, da poco sottomessa, la città minore più prestigiosa dello Stato senese, come ribadito negli anni seguenti dal completamento del coro della chiesa di S. Agostino nel 1348 su progetto di Domenico d'Agostino, che semplificava e aggiornava il modello giovanneo del duomo massetano. Pietro Lorenzetti si era spostato, invece, soprattutto a E, sulla via di Assisi, dal polittico della pieve di S. Maria ad Arezzo alle opere cortonesi (Cortona, Mus. Diocesano), guadagnando per un buon periodo all'influenza senese gran parte della T. orientale, come poi altri tra cui Niccolò di Segna e la sua bottega. Riflessi di grande arte senese sono rintracciabili in numerosi altri centri minori. Esempio emblematico ne è l'opera della bottega di Memmo di Filippuccio (v.) e Lippo Memmi (v.) nella collegiata e nel palazzo del Podestà di San Gimignano. Un raro ciclo profano con le stagioni e una serie di uomini illustri è stato affrescato da un artista senese educato sulle opere di Ambrogio ad Asciano nella casa Corboli, mentre soprattutto dagli stessi decenni opere su tavola di grandi artisti senesi andavano a ornare le chiese di numerosissime località secondarie dello Stato, operando una diffusione quasi capillare e tuttora ricostruibile dell'arte pittorica della città. La stessa politica fu perseguita per tutta l'età gotica: si pensi agli affreschi di Lippo Vanni (v.) all'eremo di S. Leonardo al Lago, a O di Siena, e alle loro sperimentali architetture dipinte, o all'opera affrescata di Bartolo di Fredi (v.) ancora nella collegiata di San Gimignano, mentre nel caso della pittura su tavola si possono fare i nomi di Luca di Tommè (v.), Jacopo di Ser Sozzo, fino alla vasta attività divulgatrice, non solo in T., di Taddeo di Bartolo (v.).La diffusione dell'arte senese è anche attribuibile alle numerose opere di oreficeria, industria in cui la città eccelleva a livello internazionale, che dalla fine del Duecento a tutto il secolo successivo furono esportate, anche in T. stessa, con l'opera di artisti come Guccio di Mannaia (v.), Tondino di Guerrino, Lando di Pietro, anche scultore e architetto, suo figlio Viva (v.), e Ugolino di Vieri (v.).In particolare, l'arte senese mise a punto ed esportò nei principali centri artistici europei e presso le maggiori corti, papale e angioina in testa, la raffinata tecnica orafa dello smalto traslucido, che andava a ricoprire placchette argentee incise figurate. Si poteva così conferire un pittoricistico risalto cromatico alle scene bidimensionali, soprattutto narrative, che integravano le parti fuse e rifinite al cesello, in luogo del ricorso a scene sbalzate in monocromo metallo. Dalle placchette sagomate di opere tardoduecentesche come il precoce calice del Tesoro Mus. della basilica di S. Francesco ad Assisi di Guccio di Mannaia, lo smalto conquistò nei decenni rilevanza e spazio nelle opere, sino a occuparne vasti campi con articolate scene in rapporto con la contemporanea pittura, come nel maturo e celebre reliquiario del Corporale del duomo di Orvieto, di Ugolino di Vieri e soci, del 1337-1338. In opere precedenti o di altro ambito, come le placchette della c.d. cintola del duomo di Pisa (Pisa, Mus. dell'Opera della Primaziale pisana), di scuola di Nicola Pisano, le figure principali, eseguite a sbalzo, emergevano invece da un fondo decorato con smalti champlevés. Una simile tecnica compare ancora nel paliotto del battistero di Firenze (Firenze, Mus. dell'Opera del duomo), iniziato con la cornice del gradino nel 1313 da Andrea Pucci Sardi di Empoli, che alterna setti in forma di pilastri aperti da ordini di nicchie archiacute e coronati da ghimberghe a formelle ad altorilievo con le Storie del Battista, lavoro concluso solo con l'intervento di Michelozzo nel settore centrale. Al fianco di opere incentrate su scene a smalto o a rilievo, dal secondo Duecento a tutta l'età gotica si continuarono a produrre reliquiari o paliotti maggiormente caratterizzati da schemi architettonici in rapporto con la coeva architettura, di cui a volte anzi anticipano nuove soluzioni, come la serie dei reliquiari senesi, tra cui quelli di S. Galgano (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana) o del capo di S. Savino (Orvieto, Mus. dell'Opera del duomo), mentre maggiormente denotate da una statuaria maturità plastica sono le opere fiorentine, come i busti di S. Giovanni Gualberto della Badia a Passignano, nel Chianti, e di S. Zanobi in S. Maria del Fiore. Tra le realizzazioni più monumentali è l'altare argenteo di S. Jacopo nel duomo di Pistoia, opera condotta attraverso le diverse generazioni del Trecento da vari artisti, pistoiesi, senesi, fiorentini e pisani, a partire da Andrea di Jacopo di Ognabene (v.), in una città particolarmente sensibile alle novità, in questo campo soprattutto provenienti da Siena, come attesta la presenza del senese Pace di Valentino già nel terzo quarto del Duecento. In aggiunta a questi episodi emergenti va menzionata la produzione di croci perlopiù argentee, stazionali e astili, di cui si conservano numerosi esempi soprattutto in Lucchesìa, dalla croce di Càsoli a quella di Convalle, attribuita ad Andrea di Jacopo di Ognabene (Lucca, Mus. diocesano), agli esempi arricchiti da smalti a partire dal primo Trecento, e anche altrove, come è il caso della croce del duomo di Massa Marittima, elegantemente decorata da smalti, opera pisana di Meo, Gaddo e Ceo (v.), incentrata su un crocifisso di Andrea Pisano (v.).Nei territori facenti capo a Firenze è più facile, rispetto al panorama della produzione pittorica di altre zone, notare l'azione, confinata all'esterno del centro egemone, di personalità artistiche di secondario rilievo, di provenienza locale o non ben inserite nel panorama cittadino. Al di fuori della scuola giottesca si dovettero tuttavia muovere anche grosse personalità, come i più tardi mosaicisti della cupola del battistero, forse veneti, che lavorarono a fianco a Cimabue, e pittori di asprezze cromatiche o tensioni espressive, come Lippo di Benivieni, attivo anche a Pistoia, o il Maestro di Figline (v.), che pure trovarono eco nella regione. Con i decenni, iconografie di derivazione giottesca si diffusero nel territorio anche grazie a divulgatori locali: ne è esempio il Maestro di San Martino alla Palma con la sua Maestà eponima. Tra i maggiori giotteschi, mentre Taddeo Gaddi (v.) operò nella cappella del castello dei conti Guidi a Poppi, oltre che a Pisa e Pistoia, e Bernardo Daddi (v.) inviò opere in varie località, soprattutto degli immediati dintorni di Firenze, Maso di Banco (v.) o, più tardi, Andrea Orcagna e la sua bottega dipinsero pressoché esclusivamente per la committenza fiorentina. Più vasta fu in T. l'eco di pittori tardogotici come Agnolo Gaddi (v.) o, ancor più, Spinello Aretino (v.), chiamati a lasciare opere in differenti centri della regione. Ma artisti come Buonaccorso di Cino e poi Giovanni di Bartolomeo Cristiani (v.) e Cennino Cennini (v.) - il Maestro di San Lucchese - si trovarono a dover operare soprattutto in altre città: Prato e Pistoia, ancora Pistoia, e Poggibonsi rispettivamente. Tra i non molti forestieri che lavorarono continuativamente a Firenze nel pieno Trecento spicca Giovanni da Milano (v.), che vi trascorse gran parte della propria vita.In T. occidentale, la lunga attività della bottega impiantata a Pisa da Lippo Memmi piegò al verbo martiniano i pittori locali, mentre apporti fiorentini - dovuti al soggiorno di Buonamico Buffalmacco (v.), autore del Trionfo della Morte e attivo anche altrove al di fuori di Firenze, come in una cappella della badia di San Salvatore a Settimo e nel duomo di Arezzo, a Taddeo Gaddi, e forse anche a Stefano e Bernardo Daddi (v.) - e poi emiliani (è il caso di Barnaba da Modena, v.), forniscono il complesso quadro culturale su cui si formarono i pittori attivi dalla metà del Trecento. Tra questi, il gruppo facente capo a Francesco Neri da Volterra, e poi Cecco di Pietro e Turino Vanni (v.), sebbene anche in anni tardi committenze di un certo rilievo fossero preferibilmente riservate a pittori forestieri, come il senese Martino di Bartolomeo, che affrescò nel 1398 le scene veterotestamentarie dell'oratorio di S. Giovanni degli Ospedalieri a Càscina. Anche a Lucca a fianco del locale Angelo Puccinelli si trovano attivi forestieri come Luca di Tommè o Spinello Aretino, mentre a Volterra si registra una prevalenza di pittori fiorentini sui deboli nomi del tardogotico locale.Il dibattito culturale e artistico nella T. di età gotica, sovente allargato a fasce sociali altrove non coinvolte, e il peso straordinario che l'arte ebbe nella vita politica e intellettuale delle città sono valutabili anche grazie a testimonianze documentarie e letterarie. Tra queste, ancor più delle notissime parole di Dante sulla fama di Giotto (Purg. XI, vv. 94-96), colpisce la testimonianza di Restoro d'Arezzo (La composizione del mondo, 8, 4bis), del 1282, sul valore dato in T. all'arte, già nell'età di Nicola, Arnolfo e del giovane Giotto: con i vasi antichi che si andavano ritrovando ad Arezzo, l'oggetto d'arte, per la sola sua bellezza generatore di stupore e meraviglia, è per la prima volta definito degno di conservazione e rispetto sacrale, opera di artisti la cui maestria, per certo di concessione divina, li rendeva essi stessi divini.
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