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TOSCANA

di PPaolo Cammarosano - Federiciana (2005)
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TOSCANA

PPaolo Cammarosano

All'avvento di Federico II, la Toscana presentava un quadro di accentuato frazionamento politico. Vi erano sette città autonome (Lucca, Pisa, Pistoia, Firenze, Volterra, Siena, Arezzo), una decina di famiglie comitali e marchionali con loro territori di signoria locale, estesi talora anche al di fuori della regione (Malaspina, marchesi di Massa, Ubertini, Ubaldini, Alberti, Guidi, Gherardeschi, Cacciaconti, Pannocchieschi, Aldobrandeschi) e un manipolo di abbazie che avevano signoria su territori talora assai estesi (tale il caso di S. Salvatore del Monte Amiata). Questa articolazione si complicava con una serie cospicua di cittadine minori, qualcuna anche sede episcopale, che erano rette in forma comunale e si libravano tra fasi di completa autonomia e fasi di soggezione alle città maggiori. La lotta politica in Toscana si realizzava all'interno delle città e anche di numerose comunità minori nel contrasto fra milites e populares, e sull'arco regionale nel contrasto fra città maggiori e comunità minori che resistevano alla volontà egemonica di quelle; con l'ovvio costituirsi di schieramenti di alleanza in funzione dei tentativi egemonici e della resistenza a essi. Sin dall'epoca di Federico I si era delineata una fondamentale ostilità tra Firenze e Siena, una fondamentale ostilità tra Firenze e Pisa, una conseguente tendenziale solidarietà pisano-senese e un riferirsi di ambedue le città antifiorentine all'Impero come a un naturale alleato.

La politica imperiale in Toscana, realizzata attraverso i legati, nuntii e vicari (a cominciare da Everardo di Lautern, che era stato già a capo dell'amministrazione imperiale in Toscana al tempo di Ottone IV e che fu confermato da Federico negli anni 1220-1221), e logisticamente appoggiata ai castelli imperiali di Pontremoli e di San Miniato (v.), si concretizzò in una prima fase nell'intervento legale in alcune controversie di sovranità territoriale: prima in un contrasto tra il comune e il vescovo di Pistoia, poi nel conflitto che opponeva il comune di Siena ai castelli di Orgia e Montauto e alla cittadina, in vistosa espansione, di Poggibonsi. In ambedue queste situazioni gli alti funzionari imperiali tennero un atteggiamento di sostanziale equidistanza, senza approfittare delle situazioni per consolidare una solidarietà con Pistoia e Siena. I pistoiesi avrebbero così continuato a inclinare verso una subalternità al comune di Firenze, mentre i senesi non ricevettero, nella tensione che li opponeva da gran tempo a Firenze e che andava adesso montando, quel deciso sostegno che avrebbero potuto attendersi dall'alleato imperiale. Fu in questa situazione che nell'estate del 1222 si svolse la battaglia di Castel del Bosco, conclusa con una sconfitta delle forze senesi per mano dei fiorentini.

La seconda tornata del conflitto toscano, dominata ancora dalla pulsione egemonica di Firenze, s'innescò fra il 1226 e il 1227, quando del vicariato di Tuscia furono titolari prima Rodolfo di San Miniato, poi Bertoldo di Urslingen. Nei confronti di Pistoia la politica imperiale continuò ad essere segnata dall'incapacità di costituire un rapporto di solidarietà con le autorità comunali, e quella città si venne legando sempre più decisamente a Firenze (con un passaggio decisivo nel 1228). Si sviluppò invece con maggiore nitidezza che nel passato l'alleanza tra l'apparato imperiale e il comune di Siena, con lo stabilirsi della sovranità senese sull'importante castello di Orgia e poi soprattutto con un intervento di pieno sostegno dei senesi nella questione di Montepulciano. In questo popoloso castello si era svolto tra populares e milites un conflitto aspro, conclusosi verso la fine degli anni Venti con l'espulsione di questi ultimi: i milites fuorusciti cercarono l'alleanza senese per rientrare al potere, mentre i populares inclinavano a offrire Montepulciano alla supremazia fiorentina. In tale situazione il legato imperiale, adesso Geboardo di Arnstein, s'impegnò decisamente a sostegno dei senesi. Dopo una serie di vicende militari e giurisdizionali, risoltesi in un sostanziale rafforzamento della posizione fiorentina, Geboardo di Arnstein e Pier della Vigna dettarono nel dicembre del 1232 una sentenza di solenne condanna del comune di Firenze. Ma ancora una volta il confronto si portò sul terreno delle armi e si concluse con un successo fiorentino (pace di Poggibonsi, giugno del 1235).

All'insuccesso toscano fece immediatamente seguito l'avvio della campagna militare imperiale di Lombardia, e nel solco di un grande successo militare (Cortenuova, 27 novembre 1237) e dell'inasprimento del conflitto tra Federico II e la Sede Apostolica (scomunica pronunziata da papa Gregorio IX la domenica delle Palme del 1239) si realizzò infine un intervento federiciano più intenso e più incisivo nelle cose di Toscana. Attraverso l'opera del legato Geboardo di Arnstein fu realizzato un accordo con il comune di Firenze, che avrebbe retto pur attraverso uno stillicidio di ribellioni e lotte interne lungo tutti gli anni Quaranta. Ospitato spesso nelle città di sicura fedeltà imperiale (come Pisa, dove celebrò un solenne Natale nell'anno stesso della sua scomunica) e presso le grandi famiglie nobiliari alleate (quali i conti Aldobrandeschi prima del passaggio del conte Guglielmo allo schieramento papale), l'imperatore riorganizzò l'apparato funzionariale dei vicari e dei capitani generali.

Figura eminente di questa nuova fase fu il capitano generale di Toscana Pandolfo di Fasanella (v.). A lui fecero ricorso quanti cercavano la protezione imperiale contro città egemoniche (come alcune comunità del Pistoiese nel 1245), o per affermare loro diritti contro città rivali. Ancora negli anni Quaranta, comunque, il sostegno imperiale anche a città alleate, come era il caso di Siena, non ebbe il carattere unilaterale che gli interessati avrebbero desiderato. A Siena si manifestò inoltre una tensione contro un autoritarismo imperiale che sembrava porre in discussione l'autonomia comunale nella nomina del podestà.

Col nuovo inasprimento del conflitto tra la Sede Apostolica e l'imperatore, che si verificò con papa Innocenzo IV nell'estate del 1245, e col contemporaneo virulentarsi dei contrasti interni alle città, l'intervento diretto nell'amministrazione della Toscana apparve ancora più necessario alla corte imperiale. Una svolta ulteriore si ebbe così nel 1246, con l'imposizione di Federico d'Antiochia quale podestà di Firenze e vicario generale della Toscana. A questo intervento si accompagnò una riorganizzazione più pervasiva dell'amministrazione imperiale, con podestariati di sicura osservanza federiciana, capitanati nei castelli imperiali e vicariati in alcune subregioni, come quella "tra Arno ed Elsa" nominata in un atto del novembre del 1247. Ma se da un lato si manifestava un tale impulso istituzionale, amministrativo e organizzativo, dall'altro la politica imperiale in Toscana si risolveva sempre di più, nei fatti, in un intervento trasversale nelle singole realtà: una politica, cioè, di sostegno alla pars ghibellina di questa o quella compagine locale. Fu quanto si realizzò a Firenze, a Pistoia, a S. Gimignano, ad Arezzo, e anche all'interno di un castello imperiale come era Pontremoli e di compagini nobiliari come quella dei conti Aldobrandeschi ‒ un cui esponente, Guglielmo, passò decisamente allo schieramento antisvevo tra il 1239 e il 1240 ‒ e quella dei conti Guidi ‒ divisi tra Ruggeri e il fratello Guido Guerra, che fu accusato di tradimento nel 1243. In un clima segnato da una contrapposizione violenta, da un conflitto politico inteso come lotta per la sopraffazione definitiva di una pars, e che attraversava ogni città, castello e dinastia, prese piede la sequenza dei veri o presunti tradimenti e delle relative condanne: ai casi citati di Guglielmo Aldobrandeschi e di Guido Guerra l'ambito toscano, particolarmente segnato da quello scontro trasversale, avrebbe aggiunto altri traditori eccellenti nelle persone di Bernardo Orlando Rossi (v.) da Parma, podestà fiorentino nel 1244, che iniziò nello stesso anno un avvicinamento alla Sede Apostolica, poi dello stesso capitano generale di Toscana, Pandolfo di Fasanella, sostituito al vertice della Toscana da Federico di Antiochia nel febbraio del 1246 e poco tempo dopo rivelatosi come partecipe di una congiura (v. Capaccio [1246], congiura di) per l'assassinio dell'imperatore, infine del vescovo Marcellino di Arezzo, giustiziato nel dicembre del 1247.

In questa situazione andò diventando più netto il sostegno imperiale alle città in funzione delle opportunità politiche. Furono così accontentate le aspirazioni di Pisa e di Lucca sulle provinciae della Lunigiana e della Garfagnana, che erano state in un primo tempo attribuite al figlio dell'imperatore, Enzo (Enrico re di Sardegna), e gli vennero poi tolte, nel 1248, per essere concesse a quelle due importanti città. Una politica di ancor più deciso sostegno alle città alleate, inclusa Siena con la quale vi erano state numerose difficoltà e frizioni nonostante l'antico atteggiamento filoimperiale di quel comune, sarebbe stata poi attuata dopo la morte di Federico II, segnatamente da Manfredi.

Fonti e Bibl.: la narrazione più estesa delle vicende imperiali in Toscana è contenuta in R. Davidsohn, Geschichte von Florenz, I-IV, Berlin 1896-1927 (ediz. it. Storia di Firenze, I-VIII, Firenze 1972-1973): il periodo federiciano è trattato nel volume II, 1, del 1908; molto importante Id., Forschungen zur älteren Geschichte von Florenz, I-IV, ivi 1896-1908 (riprod. anast. Torino 1964). Per la struttura amministrativa è fondamentale F. Schneider, Die Reichsverwaltung in Toscana von der Gründung des Langobardenreiches bis zum Ausgang der Staufer (568-1268), I, Die Grundlagen, Rom 1914 (riprod. anast. Torino 1972; ediz. it. L'ordinamento pubblico nella Toscana medievale. I fondamenti dell'amministrazione regia in Toscana dalla fondazione del regno longobardo alla estinzione degli Svevi [568-1268], a cura di F. Barbolani di Montauto, Firenze 1975). Sulle autorità periferiche (legati, vicari e capitani generali) si rinvia alla bibliografia delle voci di questa opera: Legatus totius Italiae e Vicariati generali. Il vol. IV, Urkunden, del lavoro ivi citato di J. Ficker, Forschungen zur Reichs- und Rechtsgeschichte Italiens, I-IV, Innsbruck 1874 (riprod. anast. Aalen 1961), è importante per l'ampia raccolta di documenti, di provenienza soprattutto senese. Tutti questi fondamentali lavori si possono aggiornare attraverso la rassegna bibliografica in M. Luzzati, Firenze e l'area toscana, in Comuni e signorie nell'Italia nordorientale e centrale: Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Torino 1987, pp. 789-828. Sul dettaglio delle questioni giurisdizionali evocate qui, e le relative fonti, rinvio a P. Cammarosano, La Toscana nella politica imperiale di Federico II, in Federico II. Convegno dell'Istituto Storico Germanico di Roma nell'VIII Centenario della nascita, a cura di A. Esch-N. Kamp, Tübingen 1996, pp. 363-380.

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