tragedia
L’uomo e i suoi problemi al centro della scena
Tra le più importanti creazioni artistiche che i Greci antichi hanno lasciato alla civiltà occidentale c’è la tragedia, genere letterario e spettacolo teatrale che mette in scena i grandi problemi dell’uomo nella società e nei suoi rapporti con gli altri, i suoi interrogativi sul bene e sul male, sulla vita e sulla dimensione divina. Nata originariamente come cerimonia sacra in onore del dio Dioniso, e poi evolutasi in spettacolo teatrale condotto secondo precise norme formali, la tragedia ebbe un ruolo centrale nella vita culturale, sociale e politica dell’Atene classica. Grandi stagioni del genere tragico vi furono anche nel Seicento, in Francia e in Inghilterra, e nell’età romantica
Per nessun altro genere letterario, come per la tragedia, si è cercato di fornire definizioni che ne cogliessero il senso profondo. Sulla base di quanto già osservava il filosofo Aristotele (4° secolo a.C.) nella Poetica, si può affermare che la tragedia, almeno così come fu concepita nell’Atene classica, è rappresentazione drammatica (dramma) – cioè teatrale – di una vicenda esemplare, preferibilmente mitica, conclusa tragicamente, che induce gli spettatori a riflettere sul significato di certe azioni, sui valori etici, sociali e politici che il mito, rielaborato e riletto, sta a simboleggiare.
La tragedia è dunque, innanzitutto, uno spettacolo. Eventi e personaggi sono messi in scena, e questo costituisce un canale di comunicazione privilegiato tra il poeta e il pubblico: i costumi, le musiche, la scenografia, sono tutti elementi che contribuiscono a creare quell’atmosfera straordinaria – la cosiddetta illusione scenica – in cui lo spettatore si immerge, concentrandosi in modo unico sulla vicenda drammatica.
Il contenuto della tragedia – quasi sempre nell’antichità e talvolta anche nell’età moderna – è tratto dal mito: gli eroi e i personaggi del vastissimo repertorio mitologico antico, proprio perché eccezionali, sono i più indicati per mostrare al pubblico sentimenti e valori in forme accentuate e, quindi, più evidenti. La tragedia è il genere delle grandi passioni, dei grandi amori e degli odi più atroci.
Il mito, nella tragedia, è però reinterpretato alla luce dell’attualità, cioè dei problemi culturali, sociali ed esistenziali che il poeta vuole mettere in luce. La tragedia, allora, diviene il luogo – letterario e teatrale – in cui si dibattono idee e questioni di carattere universale: qual è il rapporto dell’uomo con la divinità? Quali sono i limiti e le possibilità dell’intelligenza umana? La tragedia affronta le contraddizioni della vita e della civiltà, e spesso è costruita in base ad antinomie – vale a dire conflitti insanabili – che sono proprie di ogni età: essere/apparire, amore/odio, verità/menzogna, fede/ragione, natura/convenzione.
A partire dalla fine del 6° secolo a.C., ad Atene cominciarono a essere rappresentate opere teatrali che mettevano in scena i grandi personaggi del mito e le loro vicende tragiche. Quale sia l’origine di questi spettacoli è ancora oggi difficile dire. Aristotele affermava che la tragedia si sviluppò dai cori lirici che intonavano canti in onore di Dioniso (Bacco), allorché un personaggio si staccò dal coro e cominciò a dialogare con esso.
In ogni caso la documentazione ci presenta drammi che già nei primi anni del 5° secolo a.C. apparivano maturi dal punto di vista strutturale e formale, e ciò contribuisce al mito di una tragedia greca nata quasi perfetta, come straordinaria creazione dello spirito. Le rappresentazioni tragiche si svolgevano, ad Atene, nell’ambito delle feste di Dioniso. Un ruolo rilevante, soprattutto nel periodo più antico, aveva il coro, che cantava e compiva evoluzioni accompagnato dalla musica; c’erano poi tre attori uomini che si dividevano tutte le parti del dramma, indossando costumi appariscenti e maschere. Le donne non potevano recitare.
I teatri, di forma semicircolare, con uno spazio circolare al centro per il coro (l’orchestra, dal greco orchèomai «danzare») e uno rettangolare per la recitazione degli attori (la skenè), erano in origine di legno; in seguito vengono costruiti in pietra sulle pendici di una collina, per sfruttarne l’acustica. I teatri greci più importanti, come quelli di Epidauro, di Atene o di Siracusa, potevano contenere anche diecimila spettatori.
Gli spettacoli, nell’Atene classica, erano concepiti come una gara tra poeti e giudicati da una giuria popolare estratta a sorte. Lo Stato concedeva a tutti gli spettatori un indennizzo, e in tal modo si rendeva esplicito il valore educativo e civile della tragedia. Alcuni studiosi moderni hanno calcolato che, solo nel 5° secolo a.C. e solo ad Atene, furono rappresentate circa 1.500 tragedie, e oltre cinquanta sono i tragediografi di cui abbiamo notizia. Tuttavia, di questa enorme produzione sono a noi giunte soltanto sette tragedie di Eschilo, sette di Sofocle, diciassette di Euripide, autori greci vissuti tra il 6° e il 5° secolo a.C.
Quando Roma entrò in contatto con il mondo greco, nel 3° secolo a.C., rimase affascinata dalle forme di spettacolo teatrale come la tragedia. Così alcuni autori romani iniziarono a scrivere in latino opere drammatiche, di cui però a noi non restano che frammenti. Pochissimo sappiamo di questo teatro latino arcaico, che doveva prediligere temi forti e passionali; accanto alle tragedie di argomento greco abbiamo notizia di drammi di argomento romano, storico, che avevano la funzione politica di celebrare le gesta di importanti membri delle famiglie patrizie. I più famosi autori tra il 3° e il 1° secolo a.C. furono Quinto Ennio, Marco Pacuvio e Lucio Accio.
Con l’avvento dell’Impero e la fine delle libertà politiche repubblicane, la tragedia romana sembrò entrare in crisi. Di Lucio Anneo Seneca (1° secolo d.C.) sono conservate nove tragedie, incentrate sui miti greci più famosi ed esemplari (Medea, Fedra, Edipo), di carattere letterario e forse destinate alla lettura pubblica in apposite sale. L’unica tragedia di argomento storico è Ottavia, che mette in scena la penosa vicenda della prima moglie di Nerone e che solo dubbiosamente è attribuita a Seneca.
Le tragedie senecane sono le ultime dell’antichità. Divennero uno dei modelli preferiti dagli autori medievali che adattarono il genere tragico allo spirito e a contenuti cristiani: il conflitto interiore tipico della tragedia classica venne sostituito così, nel Medioevo cristiano europeo, dalla lotta per la scelta tra bene e male e dal conflitto tra angeli e diavoli, spesso messi in scena nelle sacre rappresentazioni sui sagrati delle chiese o nelle piazze.
Alla fine del Quattrocento si riscoprirono, in Europa, alcune opere di Aristotele fino allora non conosciute. Tra queste, la Poetica, in cui Aristotele parlava della tragedia greca, riscosse immediatamente un immenso successo. Venne tradotta e commentata, e sulla base delle osservazioni aristoteliche nacque una nuova produzione di tragedie. In Italia, già nel Cinquecento, le ricche corti signorili fecero allestire sfarzosi spettacoli tragici: gli argomenti erano tratti dal mito greco o dalla storia romana. Musiche, cori, danze, raffinati costumi e giochi pirotecnici erano gli elementi più significativi di questi spettacoli, accanto a testi molto elaborati dal punto di vista letterario.
Nate per un analogo contesto di corte, anche le tragedie del francese Pierre Corneille avevano un aspetto formale classicheggiante e mettevano in scena i personaggi del mito greco presentati come giganteschi simboli di vizi e virtù. Jean Racine, altro drammaturgo francese del Seicento, mise invece a nudo i più intimi sentimenti umani, dall’amore tenero e incondizionato alle pulsioni morbose e rovinose.
In Inghilterra, dove il teatro, in particolare a Londra, assunse un’importanza pubblica che non ebbe pari altrove, tra Cinquecento e Seicento s’impose la straordinaria figura di William Shakespeare, autore di numerosissime tragedie incentrate sulle passioni irrisolte dell’individuo e sui grandi conflitti di valori. I suoi personaggi, Enrico IV e Otello, Romeo e Giulietta o Re Lear, attinti da disparati orizzonti – mito antico e storia romana, leggende medievali e storia anglosassone –, ancora oggi sono tra i più famosi e apprezzati della letteratura di tutti i tempi.
Poco amata dagli illuministi, la tragedia fu invece di nuovo frequentata dagli autori romantici, che ne sfruttarono le possibilità di mettere in scena eroi e antieroi tra loro contrapposti. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, infine, la tragedia si trasformò in un genere letterario nuovo, il dramma moderno, che pur ponendo al centro grandi temi esistenziali e sociali ne sfuma i toni e gli esiti univocamente tragici.