TREVIRI
(ted. Trier; lat. Augusta Treverorum)
Città della Germania occidentale, nel Rheinland-Pfalz, sorta in una valle lungo il corso della Mosella.
In posizione strategica, posta all'intersezione delle grandi strade provenienti da Lione-Metz verso Colonia e da Parigi-Reims in direzione di Magonza, la città romana di Augusta Treverorum venne fondata intorno al 15 avanti Cristo. All'interno delle mura romane, l'infrastruttura della città si dispose simmetricamente attorno a un cardine e a un decumano massimo con il foro nel loro punto di intersezione. All'estremità settentrionale del decumano, nella cinta muraria romana, si trova la ben nota porta Nigra (seconda metà del sec. 2°), trasformata in chiesa nell'11° secolo. La città raggiunse una grande importanza politica alla fine del sec. 3°, quando sotto la prima tetrarchia, nel 293, divenne residenza del coimperatore Costanzo Cloro e in seguito di suo figlio Costantino il Grande, che vi risiedette dal 306 fino alla sua vittoria a ponte Milvio, nel 312.Dopo essere stata invasa dalle popolazioni germaniche nel 350, in seguito alla morte di Costanzo, figlio di Costantino, T. trasse vantaggio da due brevi periodi di rinascita politica sotto gli imperatori Valentiniano I (364-375) e Graziano (375-383), che vi stabilirono la loro residenza fino a che, per motivi di sicurezza, nel 395 la prefettura non venne spostata ad Arles e la corte imperiale a Milano.In connessione con lo sviluppo come città imperiale, T. divenne inoltre una importante metropoli cristiana, nella quale studiarono s. Ambrogio e s. Girolamo. Il cristianesimo vi fu introdotto già nella seconda metà del 1° secolo. I vescovi di T. sono testimoniati senza soluzione di continuità fin dalla metà del sec. 3° (MGH. SS, XIII, 1881, p. 298ss.). Il primo vescovo è documentato al sinodo di Arles del 314 con il nome di Agrizio di Antiochia. Come a Roma, dopo l'editto di Milano nel 313, anche a T. venne eretta una cattedrale con il sostegno dell'imperatore. In aggiunta alla cattedrale a T. esistevano, alla fine del sec. 5°, per lo meno altri cinque, se non addirittura sette, edifici sacri tra chiese e oratori. Di questi, tre vennero edificati sulle tombe dei primi vescovi della città che furono sepolti nei sepolcreti romani al di fuori delle mura. Eucario, primo vescovo di T., costruì una chiesa dedicata a s. Giovanni Battista, che ospitò il suo corpo e quello dei suoi successori, Valerio e Materno. I vescovi dell'epoca di Costantino, Agrizio (m. nel 330 ca.) e Massimino (m. 347 ca.) furono sepolti nella chiesa di S. Giovanni Evangelista. I loro successori, Paolino (m. nel 358), Bonosio (m. nel 375), Felice (m. nel 401 ca.) e in seguito Mauro (m. nel 480 ca.) furono sepolti in un cimitero sul quale venne costruita una chiesa dedicata alla Vergine.Con il graduale disgregarsi dell'impero romano, nel sec. 5°, T. venne ripetutamente saccheggiata dalle popolazioni germaniche e dagli Unni e, al più tardi nel 480, inglobata nel dominio dei Franchi. La T. altomedievale, che dopo la caduta dell'Impero romano aveva perduto più della metà della popolazione, era limitata quasi esclusivamente all'area settentrionale della precedente città romana dove si trovava l'antica cattedrale. Del resto, a partire dall'Alto Medioevo, la città fu suddivisa in insediamenti collegati l'uno all'altro in una maniera quasi indipendente dall'antica rete stradale. La città, che aveva perduto la sua centrale funzione politica, perse anche la sua importanza dal punto di vista commerciale. Essa restava comunque a capo di una diocesi, fatto che assicurava la continuità di esistenza come città, nonostante il potere territoriale dei vescovi fosse stato soppresso all'epoca di Carlo Magno. Durante l'Alto Medioevo le chiese cimiteriali dei vescovi al di fuori della città divennero grandi complessi monastici. Presso la chiesa dedicata a s. Giovanni Evangelista, che cambiò la propria dedicazione in St. Maximin, forse già nel sec. 6° venne fondato un monastero, mentre presso la chiesa intitolata a s. Giovanni Battista ciò accadde nel sec. 8°; la chiesa mariana che ospitava i vescovi postcostantiniani divenne chiesa di St. Paulin.Nell'882 la città fu gravemente danneggiata dai Normanni e i resti delle strutture tardoantiche furono definitivamente perduti. Una nuova epoca di ricchezza culturale ebbe inizio nel 902, quando il vescovo di T. ricevette un importante privilegio regio che gli permetteva di esercitare il controllo politico nella circostante valle della Mosella; nel corso del sec. 10° la sede vescovile divenne arcidiocesi. Arcivescovi attivi come Egberto (977-993 ) e Poppone di Badenberg (1016-1047) diedero vita a vasti programmi edilizi, quali la riedificazione della cattedrale, la costruzione di St. Matthias e la fondazione della chiesa e della collegiata di St. Simeon.L'aula palatina, che faceva parte del quartiere del nuovo palazzo imperiale, fondato nell'area orientale della città, fu probabilmente fatta erigere da Costantino intorno al 305. Quasi completamente distrutta durante la seconda guerra mondiale, ma in seguito ricostruita, la sala delle udienze del palazzo consiste in un gigantesco ambiente rettangolare, alto m 30, con dimensioni di base di m 5829, realizzato, compresa l'abside semicircolare, in laterizio. Resti di intonaco sulla superficie esterna indicano che essa era in origine intonacata e dipinta in rosso. L'interno era abbondantemente illuminato da un doppio ordine di grandi finestre ad arco a pieno centro. Concluso da una copertura piana, il suo interno è, dopo il Pantheon di Roma, il più vasto spazio unitario coperto dell'Antichità. Altri resti permettono di ipotizzare che i pavimenti e le parti inferiori delle pareti fossero in origine rivestiti di marmi, mentre le nicchie nell'abside e l'arco trionfale fossero decorati a mosaico.Per quanto riguarda la cattedrale, gli scavi effettuati dopo la guerra hanno rivelato l'esistenza di una basilica paleocristiana sul sito di un palazzo imperiale leggermente anteriore. I ritrovamenti archeologici sembrano quindi concordare con la leggenda secondo la quale l'imperatrice Elena, madre di Costantino, avrebbe donato il palazzo imperiale di T. al vescovo Agrizio perché lo trasformasse in una cattedrale. La chiesa, edificata qualche tempo dopo il 326, era una cattedrale doppia. Atanasio di Alessandria (Apologia ad Constantium imperatorem, 15) attesta che nella Pasqua del 346, quando essa non era stata ancora completata vi venne celebrata una messa. Due enormi sale parallele, quella a N, al di sotto dell'attuale cattedrale, e quella a S, al di sotto della Liebfrauenkirche, con una lunghezza di m 73 e un'ampiezza che va dai m 30 ai 38, erano collegate tramite ambienti annessi, tra cui un battistero quadrato. Entrambe le sale avevano un impianto basilicale, con una navata centrale e navate laterali, ed erano precedute da un vasto atrio. La doppia chiesa poteva ospitare una congregazione non molto più piccola di quella del Laterano a Roma.Già in epoca imperiale la cattedrale fu più volte oggetto di trasformazioni; i cambiamenti di maggiore importanza vennero effettuati all'epoca dell'imperatore Graziano, che sostituì il coro della basilica settentrionale con il Quadratbau, una struttura a pianta centrale che misura m 4040 ed è alta m 25; un ampio quadrato con grandi colonne agli angoli ne occupava la parte centrale. Quattro campate rettangolari lo circondavano lungo gli assi e piccoli ambienti quadrati si collocavano in corrispondenza degli angoli. A O il Quadratbau, che quindi aveva anche funzioni di coro, si fuse con la navata costantiniana tramite un grande arco trionfale. L'unione della pianta centrale con una navata basilicale che richiama in modo molto deciso le chiese costantiniane del sec. 4° sulla grotta della Natività a Betlemme e sul sepolcro di Cristo al Golgota ha sollevato la questione relativa a un eventuale possesso da parte di T. di importanti reliquie di Cristo (Krautheimer, 1965).La distruzione della cattedrale a opera dei Normanni, nell'882, determinò l'inizio di una nuova campagna costruttiva a opera dell'arcivescovo Egberto, il quale sostituì la navata costantiniana con una basilica a tre navate su pilastri. L'attuale forma della cattedrale, comunque, iniziò a delinearsi sotto l'arcivescovo Poppone, quando nella chiesa furono traslate le reliquie di s. Materno (sec. 4°). A O del Quadratbau Poppone costruì una nuova facciata, un raffinato esempio di architettura della prima età salica. La nuova struttura è caratterizzata da due torri campanarie quadrate alle cui estremità occidentali si aggiunge una torretta scalare; dal centro si proietta un'abside semicircolare. I muri sono articolati tramite passaggi aperti ad arco nelle parti inferiori delle torri, piatti pilastri con capitelli nell'abside e nelle torrette, sormontati dalle c.d. bande lombarde, ovvero fasce di archetti ciechi. L'alterazione delle parti semicircolari e rettilinee dell'edificio e l'uso dei passaggi ad arco richiamano l'architettura romana della porta Nigra. Poppone morì quando la costruzione della facciata occidentale aveva raggiunto l'altezza delle torrette per le scale. Essa venne completata dai suoi successori Eberardo (1047-1066) e Udo (1066-1078). La navata incompleta, iniziata da Egberto, venne sostituita da una navata che continuava l'alternanza di campate quadrate e rettangolari del Quadratbau e che si concludeva con la facciata occidentale di Poppone.Il coro orientale con la cripta sottostante, che emergeva oltre la conclusione paleocristiana, venne iniziato dall'arcivescovo Hillin (1152-1169), quindi proseguito e portato a compimento dagli arcivescovi Arnoldo (1169-1183) e Giovanni (1189-1212); l'altare maggiore fu consacrato nel 1196. Sotto l'arcivescovo Teodorico (1212-1242) iniziò la copertura a volta della navata centrale, che dovette essere portata a compimento nel 1235, quando iniziarono i lavori alla Liebfrauenkirche. I cambiamenti dell'epoca gotica si limitarono al prolungamento, nel sec. 14°, delle parti superiori delle torri che fiancheggiano il coro orientale. L'od. cattedrale romanica, lunga m 95, compreso il Quadratbau, e ampia m 38, occupa quasi la metà della basilica costantiniana settentrionale. Durante la seconda guerra mondiale subì danni relativamente limitati.St. Maximin nell'Alto Medioevo fu la più ricca e la più importante abbazia di Treviri. Gli scavi hanno confermato quanto attesta la Vita sancti Maximini del sec. 8°, cioè il fatto che il vescovo Agrizio avesse eretto una chiesa dedicata a s. Giovanni Evangelista. Il vescovo Paolino fece traslare il corpo del suo predecessore nella chiesa (Lupo di Ferrières, Vita sancti Maximini, 94) ), identificata con la basilica Sancti Maximini menzionata da Gregorio di Tours (ca. 540-594; De gloria confessorum). La chiesa venne distrutta dai Normanni nell'882 e fu restaurata sotto il potente vescovo Radbodo (883-915). Gli scavi hanno portato alla luce importanti serie di dipinti tardo-carolingi al centro della cripta della chiesa pre-ottoniana. Con poche alterazioni l'impianto della cripta altomedievale si sostituì a un precedente ambiente a destinazione funeraria di epoca tardoantica. La sua decorazione a fresco, in parte mutilata, era dominata da una Crocifissione circondata da teorie di santi e raffigurazioni di profeti e dei quattro evangelisti (Treviri, Bischöfliches Dom- und Diözesanmus.). Grazie alle testimonianze archeologiche e sulla base di confronti stilistici con la miniatura carolingia e ottoniana, gli affreschi sono stati di recente datati o all'ultimo decennio del sec. 9°, immediatamente dopo l'invasione normanna (Exner, 1989), oppure in connessione con la chiesa ottoniana costruita a fundamentis dopo il 934 sotto l'abate Ogo (Sistig, 1995). La chiesa ottoniana consacrata nel 949 era un'ampia basilica a tre navate lunga m 80 con absidi emergenti su entrambe le estremità, una cripta con accesso dal coro e un'ulteriore cripta esterna su due livelli; nel 1936, nella prima vennero rinvenuti due sarcofagi e il coperchio di un terzo, appartenenti probabilmente ai vescovi Massimino, Agrizio e Niceto. La chiesa, che non subì alterazioni significative per i primi duecentocinquanta anni della propria esistenza, venne gravemente danneggiata da un incendio nel sec. 13° e quindi distrutta per tre volte in epoca moderna. L'attuale St. Maximin è un edificio sconsacrato risalente al 17° secolo.La Liebfrauenkirche, edificata in due fasi al di sopra della basilica meridionale dell'antica cattedrale doppia tra il 1235 e il 1260 ca., è uno dei più importanti edifici del Medioevo tedesco. Dedicata alla Vergine, con funzioni di parrocchia della cattedrale, la chiesa è collegata a essa tramite un corridoio, il c.d. paradiso, e da un portale attualmente murato. La costruzione ebbe inizio sotto l'arcivescovo Teodorico e venne interrotta dopo la sua morte nel 1242. I lavori proseguirono e furono portati a termine tra il 1243 e il 1260 sotto il successore di Teodorico, Arnoldo di Isenburg. La chiesa sostituì un piccolo edificio dedicato alla Vergine che dal sec. 10° si trovava presso la cattedrale. La Liebfrauenkirche è a pianta centrale con un impianto cruciforme che presenta un alzato su due piani lungo i bracci e a tre nel punto di incrocio. Il coro emerge di due campate e termina in un'abside pentagonale, mentre a tre lati sono le absidi poste a terminazione dei bracci del transetto. Tra i bracci di quest'ultimo, poste diagonalmente, si inseriscono rispettivamente due cappelle a un piano che creano un effetto di quasi totale circolarità dell'intero impianto. All'esterno l'edificio presenta un alzato differenziato su tre livelli, le cappelle laterali a un piano, la navata centrale a due e infine l'incrocio centrale su tre piani per la presenza di una torre quadrata. Fino al 1631 quest'ultima presentava un'originale guglia appuntita che la rendeva significativamente più alta. I motivi a traforo della finestra sono tipici delle forme geometriche del Gotico francese.La Liebfrauenkirche è la prima e la più importante tra le chiese gotiche a pianta centrale, stilisticamente correlata all'architettura della cattedrale di Reims, come testimoniano per es. i portali dei bracci ovest, nord ed est, che, nonostante la presenza di profili semicircolari romanici, negli archivolti e nei timpani sono decorati da figure scolpite (metà del sec. 13°), caratterizzate da un aggraziato movimento, delicatamente articolato dal panneggio di matrice gotica francese. Il portale occidentale, il più ricco dal punto di vista della decorazione plastica (in parte distrutto), presenta un programma dedicato all'Infanzia di Cristo. Nel timpano si trova la Vergine con il Bambino, con a sinistra l'Annuncio ai pastori e l'Adorazione dei Magi e a destra la Presentazione al Tempio e la Strage degli Innocenti, mentre negli archivolti si dispongono le figure di angeli, del papa e dei vescovi e infine dei vegliardi dell'Apocalisse e delle Vergini sagge e stolte. L'ingresso era in origine fiancheggiato da sei figure stanti, al Bischöfliches Dom- und Diözesanmus, delle quali ancora si conservano quelle dell'Ecclesia, della Sinagoga e di S. Giovannni. Il programma iconografico del portale settentrionale, situato nel c.d. paradiso, si incentra invece sulla Vergine. Nel timpano Maria, assistita da due angeli, è incoronata da Cristo e dall'arcangelo Michele. Il portale orientale, che conduce al chiostro, è il più semplice e presenta soltanto ornamenti fitomorfi. Se si dà una lettura complessiva del programma iconografico, comprendente anche i portali figurati, esso appare focalizzato non soltanto sulla Vergine Maria come Theotókos, ma anche sulla economia della salvezza nel suo insieme (Borger-Keweloch, 1986). L'ampio chiostro che si trova a S della chiesa è in gran parte del 13° secolo.Tra le quattro abbazie benedettine di T., St. Matthias è l'unica che si sia interamente conservata. La chiesa, in origine dedicata a s. Giovanni Battista, risale al periodo della sepoltura di s. Eucario nel sec. 4°; dal sec. 8° fece parte di un monastero benedettino; venne distrutta nel corso dell'invasione normanna dell'882. La costruzione di una nuova chiesa fu intrapresa sotto l'arcivescovo Egberto e continuata sotto l'abate Bertulfo (1024-1050): fu poi sostituita da un edificio romanico, dedicato a s. Matteo a ricordo dell'avvenuto rinvenimento delle reliquie nel 1131. La chiesa, frequentato centro di pellegrinaggio, fu consacrata nel 1148 da papa Eugenio III e completata nel 1160. Si tratta di una basilica romanica a croce, a tre navate con due torri che fiancheggiano il coro orientale e una terza, quadrata, che corona l'ingresso. Navatelle e navata centrale, sostenute da pilastri, erano in origine coperte da volte a crociera romaniche, ma intorno al 1500 furono sostituite da una volta 'a reticolo' gotica. La facciata venne in origine progettata per comprendere due torri, ma un cambio di cantiere sembra aver determinato la decisione di costruire un'unica torre monumentale al centro. Dal coro si accede alla cripta a tre navate con i sarcofagi romani dei ss. Eucario e Valerio e frammenti delle recinzioni paleocristiane. L'attuale monastero fu costruito durante l'ultimo decennio del governo dell'abate Giacomo di Lotaringia (1210-1257). Il chiostro della prima età gotica, in parte restaurato, è antecedente alla costruzione della Liebfrauenkirche e rappresenta il primo esempio di stile gotico a Treviri.La chiesa di St. Paulin, fondata nel tardo sec. 4°, fu in origine dedicata alla Vergine. Il primo edificio, costruito per custodire le spoglie del vescovo Paolino di T., morto in Frigia nel 358, andò distrutto durante un incendio nel 1093; quindi venne ricostruita una chiesa romanica a tre navate lunga m 60 e priva di transetto, consacrata nel 1148, ma poi completamente distrutta dai Francesi nel 1674. La costruzione attuale risale al 18° secolo.Senza apportare grandi cambiamenti, il vescovo Poppone fece trasformare la porta Nigra in una chiesa doppia dedicata a s. Simeone, che visse lì in solitudine per sei anni e vi morì nel 1034. La trasformazione della porta romana, lunga m 36 e alta m 30 con torri sporgenti semicircolari ai lati, fu semplice. Una scala indipendente conduceva al secondo e al terzo piano della porta dove fu costruita una chiesa doppia. Entrambe le chiese avevano per navata la corte centrale voltata, le gallerie servivano da navatelle e le stanze delle torri erano utilizzate rispettivamente come nartece e coro. L'arcivescovo Alberone (1131-1152) aggiunse negli ultimi anni del suo governo un coro indipendente, poligonale, sul lato orientale della porta. A O della porta Nigra si trovava la collegiata di St. Simeon, analogamente fondata da Poppone nel 1034. Tra gli elementi portati alla luce dagli scavi si trovano i lati nord e sud di un chiostro a due piani di m 3530 che conserva alcuni tra i più importanti resti di architettura monastica romanica della Germania.La nobiltà di T., nel corso dei secc. 11° e 12°, viveva in case-torri fortificate di cui resta una mezza dozzina di esempi. Quella giunta nelle migliori condizioni è detta Frankenturm (Dietrichstrasse), del 1100 ca., con pianta rettangolare e quattro piani, dei quali si conservano solo quello terreno e quello nobile con due finestre ad arco a pieno centro. Il Dreikönighaus (Simeonstrasse), risalente al 1230 ca., si innalza per cinque piani; lungo la facciata si susseguono lesene raccordate in alto da un fregio ad archetti a pieno centro.
Bibl.:
Fonti. - Gesta Trevirorum, a cura di J.H. Wittenbach, M.F.J. Müller, 3 voll., Trier 1836-1839; Atanasio di Alessandria, Apologia ad Constantium, in PG, XXV, col. 614; Gregorio di Tours, De gloria confessorum, a cura di B. Krusch, in MGH. SS rer. Mer., I, 1885, p. 807; Vita sancti Maximini, in AASS. Maii, VII, Paris-Roma 1867, pp. 19-36; Lupo di Ferrières, Vita sancti Maximini, in MGH. SS rer. Mer., III, 1896, pp. 73-82: 79.
Letteratura critica. - G. Kentenich, Geschichte der Stadt Trier von ihrer Gründung bis zur Gegenwart, Trier 1915 (19792); N. Irsch, Der Dom zu Trier, Düsseldorf 1931; G. Kentenich, Trier. Seine Geschichte und Kunstgeschichte, Trier 1933; Die Kunstdenkmäler der Rheinprovinz, XIII, 3, Die kirchlichen Denkmäler der Stadt Trier mit Ausnahme des Domes, Düsseldorf 1938; E. Ewing, Trier im Merowingerreich. Civitas, Stadt, Bistum, Trier 1954; id., Kaiserliche und apostolische Tradition im mittelalterlichen Trier, Trierer Zeitschrift 24-26, 1956-1958, pp. 147-186; T.K. Kempf, Trierer Domgrabungen 1943-1954, Neue Ausgrabungen in Deutschland, Berlin 1958, pp. 368-379; R. Krautheimer, Early Christian and Byzantine Architecture (The Pelican History of Art, 24), Harmondsworth 1965 (1989⁵; trad. it. Architettura paleocristiana e bizantina, Torino 1986); W. Reusch, Die Kaiserthermen in Trier, Trier 1965; R. Günter, Wand, Fenster und Licht in der Trierer Palastaula und in spätantiken Bauten, Herford 1968; T.K. Kempf, Grundrissentwicklung und Baugeschichte des Trierer Domes, Das Münster 21, 1968, pp. 1-32; E. Gose, Die Porta Nigra in Trier, Berlin 1969; E. Zahn, Trier, MünchenBerlin 1976; Führer zu vor- und frühgeschichtlichen Denkmälern, XXXII, 1-2, Mainz a. R. 1977; Trier: Kaiserresidenz und Bischofssitz. Die Stadt in spätantiker und frühchristlicher Zeit, cat., Trier 1984; N. Borger-Keweloch, Die Liebfrauenkirche in Trier, Bonn 1986; M. Exner, Die Fresken der Krypta von St. Maximin in Trier, Trier 1989; W. Weber, Die Anfänge des Trierer Domes, Trierer Theologische Zeitschrift 98, 1989, pp. 147-155; J. Sistig, Die Architektur der Abteikirche St. Maximin zu Trier im Lichte Ottonischer Klosterreform, Kassel 1995.E. Thunø
La produzione delle officine grafiche di T. assunse una fisionomia definita solo nell'ultima parte dell'8° secolo. I documenti precedenti a questa fase sono scarsi e di origine assai controversa. Resta isolata la trascrizione del commento al Cantico dei Cantici di Giusto di Urgell (Roma, Vallicell., B. 62; CLA, IV, 433), redatto intorno alla fine del sec. 7° per un Basinus, vescovo di T. (671-695), menzionato in un carmen acrostico trascritto nelle carte finali (Bischoff, 1964). Il volume, interamente vergato in onciale, è arricchito da piccole iniziali ittiomorfe stilisticamente assai prossime a quelle che ornano il Missale Francorum e altri manoscritti della Francia settentrionale (CLA, IV).Sebbene la città di T. conservi alcune tra le testimonianze più alte della miniatura carolingia, è assai probabile che nessuno di questi manoscritti sia stato eseguito all'interno delle numerose fondazioni ecclesiastiche che vi trovarono spazio già dal 7°-8° secolo. Origini quasi certamente estranee a T. caratterizzano un evangeliario (Treviri, Domschatz, 61) per uso liturgico, scritto in minuscola anglosassone e provvisto di quattro grandi frontespizi miniati, generalmente attribuito allo scriptorium di Echternach, dove sarebbe stato eseguito intorno alla metà del sec. 8° (Nordenfalk, 1977; Alexander, 1978; Netzer, 1994). Una forte impronta insulare, mediata attraverso modelli franco-sassoni, distingue le miniature a piena pagina e gli ornati di un evangeliario poco più tardo, proveniente dalla biblioteca del monastero di S. Maria ad Martires (Treviri, Stadtbibl., 23; Goldschmidt 1928; Bischoff, 1964) e quasi certamente copiato in uno scriptorium locale.A questo codice devono aggiungersi una raccolta di scritti computistici (Roma, BAV, Pal. lat. 1448) in minuscola carolina dei primi anni del sec. 9°, predisposta per una decorazione mai eseguita, e due codici trascritti da un Harduinus presbyter, uno dei quali proveniente dalla biblioteca del monastero di St. Maximin (Berlino, Staatsbibl., Lat.fol. 741; Theol. lat. fol.362; Bischoff, 1965a; 1965b).Nella collezione libraria di St. Maximin - di gran lunga la più importante della città - risulta presente già dal sec. 12° l'Evangeliario di Ada (Treviri, Stadtbibl., 22; CLA, IX, 1366). Il "Textus evangelii [...] auro scripto", menzionato nel più antico catalogo della biblioteca (Knoblich, 1996), fu commissionato da una badessa che una tarda leggenda bassomedievale ha voluto identificare con una sorella di Carlo Magno. Attorno a quest'opera - che giunse a T. in un momento imprecisato, ma presumibilmente non lontano dalla sua esecuzione - è concordemente raccolto il primo nucleo dei manoscritti di lusso prodotti nell'officina grafica attiva presso la corte di Carlo Magno (Köhler, 1958; Bischoff, 1965a). Le raffinate cadenze antiquarie del volume - un'edizione integrale del vangelo interamente vergata in oro e ornata da grandi miniature a piena pagina con i ritratti degli evangelisti - esercitarono una profonda influenza sui manoscritti prodotti negli scriptoria della città nella prima metà del 9° secolo. Tra i manufatti grafici trevirensi riferibili a questo periodo spicca quello conservato a Manchester (John Rylands Lib., 112), anche questo un evangeliario per uso liturgico, assai prossimo alle tendenze classiciste che improntano i codici palatini (Bischoff, 1965a; 1965b).Importato quasi certamente in epoca molto antica risulta un altro importante manoscritto di età carolingia: il più antico e autorevole esemplare illustrato dell'Apocalisse (Treviri, Stadbibl., 31), compilato a Tours intorno all'800 e precocemente trasferito a T., dove risulta conservato già dal sec. 12° (Trier Apocalypse, 1972). Origini turoniane sembra aver avuto anche una Bibbia di grande formato, della quale sopravvivono pochi lacerti riutilizzati nelle legature di alcuni manoscritti provenienti dalla biblioteca di St. Maximin (Boeckler, 1939; Mütherich, 1972; Mayr-Harting, 1991).Il saccheggio che la città subì a opera dei Normanni nell'882 non intaccò il patrimonio librario dei suoi monasteri, al quale avrebbero attinto - all'incirca un secolo più tardi - gli artisti che lavorarono per l'arcivescovo Egberto (977-993). All'episcopato di quest'ultimo è collegato il periodo senz'altro più significativo della scuola di Treviri. Esponente di una facoltosa famiglia di feudatari della Bassa Lotaringia, membro per qualche tempo della cancelleria imperiale, presso la quale potrebbe aver conosciuto il grande maestro anonimo del Registrum Gregorii, Egberto fu un mecenate artistico di notevoli ambizioni.Il corpus dei manoscritti commissionati dall'arcivescovo comprende due codici di eccezionale qualità trascritti nello scriptorium di St. Maria a Oberzell nell'isola di Reichenau: il Salterio di Egberto (Cividale, Mus. Archeologico Naz., CXXXVI) e una collezione di pericopi evangeliche meglio conosciuta come Codex Egberti (Treviri, Stadtbibl., 24; v. Egberto, Codice di). Sebbene le caratteristiche iniziali a racemi dorati e la forma espansa delle figure rivelino senza difficoltà lo stile dei manoscritti della Reichenau, il programma decorativo dei due volumi fu certamente ideato a Treviri. La genealogia dei santi vescovi che avevano illustrato la diocesi, offerta dalle prime carte del Salterio, richiama apertamente le aspirazioni primaziali della sede di T., delle quali lo stesso Egberto si era fatto promotore. A sostegno di questa rivendicazione di preminenza, il Capitolo della cattedrale invocava l'origine assai remota dell'istituzione episcopale - attribuita a s. Pietro, cui la stessa cattedrale era dedicata - e le importanti funzioni amministrative che la città aveva avuto in epoca romana (Mayr-Harting, 1991; Ronig, 1993).In questo clima di renovatio si inserisce con buona probabilità l'arrivo a T. del Maestro del Registrum Gregorii (v.). La formazione e le esperienze culturali di questo pittore, nel quale si riconosce la personalità artisticamente più complessa e originale della miniatura ottoniana, restano oscure (Nordenfalk, 1950; 1972; Nitschke, 1966). Incerte ne rimangono l'identità e la condizione sociale, sebbene i suoi molti spostamenti abbiano suggerito l'ipotesi che si tratti di un artista itinerante, forse un orafo. Tracce della sua attività di miniatore sono ravvisabili non solo a T. ma anche a Lorsch e Fulda. Riflessi di sue opere appaiono anche nei manoscritti di Colonia ed Echternach. Scarsa fortuna ha avuto l'isolata proposta di riconoscere in questo personaggio un pittore italiano: il "Iohannes quidam gente Longobardus, ordine episcopus" (Ruperti Chronicon, 13; MGH. SS, VIII, 1848, p. 267) chiamato da Ottone III per decorare la tribuna della cattedrale di Aquisgrana (ca. 996; Nordenfalk, 1988; Barbera, 1997). Non è tuttavia improbabile che il maestro abbia iniziato la sua attività nello scrinium imperiale. Assai di recente gli è stata attribuita l'esecuzione del grande diploma nuziale che certifica le nozze di Ottone II e Teofano (Wolfenbüttel, Niedersächsisches Staatsarch., 6 Urk.II; Hoffmann 1986; 1993).Il manoscritto cui il Maestro del Registrum Gregorii deve il nome è una grande copia d'apparato dell'epistolario di Gregorio Magno della quale sopravvivono due frammenti, rispettivamente conservati a T. (Stadtbibl., 171/1626 2°) e a Chantilly (Mus. Condé, 14bis, foglio staccato). Nella scena di dedica del volume è rappresentata la tradizionale immagine del santo che, ispirato da una colomba, detta il contenuto dell'opera al suo copista, assiso al di là di una tenda. A questa immagine - nella quale si è voluto riconoscere una sorta di criptoritratto dello stesso Egberto (Mayr-Harting, 1991) - si accompagnava una solenne rappresentazione di Ottone II in trono. Qualche tempo dopo, sul verso di questa immagine fu trascritto il testo di una composizione in versi che lamenta la morte del sovrano. Il codice, che documenta l'attività del maestro a T., deve essere stato eseguito intorno al 983. Nello stesso periodo il Maestro avrebbe eseguito per l'arcivescovo un insieme di altre opere. Tra queste sono compresi un Salterio di piccolo formato arricchito da annotazioni interlineari in lingua greca, destinato probabilmente all'uso personale dello stesso Egberto (Treviri, Stadtibl., 7/9), e un evangeliario per uso liturgico (Parigi, BN, lat. 8851). Nel corso del soggiorno a T. dovrebbe collocarsi anche un singolare intervento di restauro e integrazione di un manoscritto più antico, documentato nelle miniature con i ritratti degli evangelisti di un codice conservato a Praga (Památnik národního pisemnictvimuz. české literatury, D F III 3). Un episodio analogo fu realizzato, qualche tempo più tardi, in un manoscritto precarolingio (Sankt Peter im Schwarzwald, Priestseminar der Erzediözese Freiburg, foglio isolato; Kuder, 1993). Un riflesso di quest'attività di 'restauratore' sembra rivelarsi nella profonda conoscenza di modelli carolingi che impronta l'opera del Maestro, attestata non solo dalla tipologia dei ritratti degli evangelisti - visibilmente ispirati da un prototipo affine all'Evangeliario dell'Incoronazione (Vienna, Kunsthistorisches Mus., Schatzkammer; Mayr-Harting, 1991) - ma anche dal frontespizio del codice gregoriano dei Moralia in Iob (Treviri, Staatsbibl., 2209/2328). Un diretto richiamo a modelli tardoantichi evocano anche le prime miniature del Codex Egberti - che gli sono ormai concordemente attribuite (Mayr-Harting, 1991) - e le immagini superstiti di un Evangeliario eseguito per Ottone III intorno al 996 (Manchester, John Rylands Lib., 98; Kuder, 1993).Il Maestro del Registrum Gregorii influenzò a lungo l'attività delle officine grafiche di T., come rivela l'esecuzione di un evangeliario eseguito per il monastero di St. Maximin nei primi anni del sec. 11° (Berlino, Staatsbibl., Theol. lat. fol.283). Conclusa la stagione ottoniana, la miniatura trevirense non sembra conoscere altri momenti di rilievo. La produzione grafica dell'epoca romanica e poi gotica non si distacca in forma particolare dai modi correnti della miniatura mediorenana contemporanea.
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Già in epoca merovingia T. ricopriva un ruolo di primo piano tra i centri della produzione orafa transalpina. Nel capoluogo mosellano va localizzata una bottega che produsse gioielli con smalti cloisonnés e vetri intarsiati policromi, la cui opera principale - in passato attribuita nientemeno che a s. Eligio (Vierck, 1974) - è il disco (Arrhenius, 1985; 1986) più tardi riutilizzato sul lato posteriore del reliquiario dell'altare di Egberto, il reliquiario del sandalo di S. Andrea (Treviri, Domshatz). Nel centro del disco si trova reimpiegato un solidus aureo con il ritratto dell'imperatore Giustiniano I (coniato prima del 538), circondato da alcuni cerchi a cloisonné e da uno d'oro punzonato, entro cui si delinea la sagoma della croce. Se lo spazio vuoto tra la moneta e la lastra di base lascia ipotizzare che in origine esso ospitasse una reliquia, due fori sul verso dell'almandino nel braccio verticale superiore della croce rivelano l'uso dell'oggetto come pendente, probabilmente indossato come pettorale da un sacerdote, funzione da estendere, si suppone, anche ad altri dischi riconducibili alla manifattura di T. nel 6° secolo.Non sono pervenute testimonianze di una produzione in epoca carolingia, ma il calice, la patena e l'anello episcopale trovati nella tomba dell'arcivescovo Ruotberto (931-956) nella stessa Liebfrauenkirche a T., oggi conservati nel tesoro della stessa chiesa, mostrano non solo l'esistenza, ma il livello notevole della pratica orafa locale già all'inizio del regno ottoniano, indicando una tradizione viva e probabilmente continua nel praticare l'arte in città.Sotto l'arcivescovo Egberto (977-993), anche l'oreficeria di T. visse la sua stagione più sontuosa. Caratteristico di quel periodo fu l'uso arcaizzante di elementi a forma di cuore e di lastrine con smalti o pietre preziose accompagnate da una contenuta ornamentazione, con scarso impiego di filigrana.La prima opera pervenuta è il reliquiario del bacolo di S. Pietro (Limburg an der Lahn, Staurothek Domschatz und Diözesanmus.), datato al 980, che nella sua forma di lungo scettro sormontato da un pomo sferico, configura la reliquia contenuta al suo interno: quella - come informa l'iscrizione - del pastorale lasciato da s. Pietro al suo allievo s. Eucario, che lo avrebbe portato a Treviri. Sull'emisfero superiore del pomo, il reliquiario è decorato con quattro placchette raffiguranti i simboli degli evangelisti; su quello inferiore si trovano le immagini di S. Pietro con i suoi seguaci, i ss. Valerio, Materno ed Eucario, inviati a evangelizzare la regione del Reno. Sul plesso di raccordo del pomo al fusto sono raffigurati i dodici apostoli e infine, sul fusto, due serie di dieci tra pontefici e arcivescovi di T., che terminano con quelli contemporanei, Benedetto VII ed Egberto. Insieme all'iscrizione che narra le vicende del bacolo attraverso i secoli per giustificarne il diritto di possesso da parte del clero di T., il programma iconografico sottolinea le origini apostoliche dell'arcidiocesi, delle quali la reliquia fornisce la prova materiale. Essa così assurge al rango di simbolo, poiché tra le cure degli arcivescovi di T. rientrava anche quella di difendere le prerogative di primato rispetto alle due metropolitane limitrofe e rivali nel regno ottoniano, Magonza e Colonia.Ancora la reliquia di un apostolo, il sandalo di s. Andrea, è contenuta nel già citato altare di Egberto. Si tratta del più antico esempio di altare portatile a forma di cassa, creato dalla necessità di contenere molte più reliquie rispetto a quelle che si potevano conservare in una semplice forma a tavola (Budde, 1997). Alla reliquia dedicatoria si riferisce la disposizione delle gemme su un piede dorato a tutto tondo, che tipologicamente risale ai piedi votivi dell'Antichità. A parte il già citato disco merovingio sul lato posteriore e un altro (perduto) su quello anteriore e varie pietre intagliate antiche, sui laterali della cassa, tra smalti con i simboli degli evangelisti sono reimpiegati due leoni a rilievo di origine anglosassone. Come recita l'iscrizione, oltre alla reliquia principale l'altare conteneva parti della barba e della catena di s. Pietro, nonché un chiodo della croce di Cristo: quest'ultimo a sua volta inserito in un prezioso contenitore, ancora modellato sulla reliquia stessa, che solo di recente è stato escluso dal corpus della bottega egbertiana e anticipato all'epoca carolingia (Westermann-Angerhausen, 1990).Il terzo capolavoro dell'oreficeria ottoniana a T., la coperta del Codex Aureus Epternacensis, formata da un rilievo eburneo con la Crocifissione circondata da raffigurazioni in oro sbalzato (Norimberga, Germanisches Nationalmus.), venne commissionato dall'imperatrice Teofano come dono al monastero di Echternach tra il 985, data della sua riconciliazione definitiva con Egberto, e il 991, data della sua morte. I documentati contatti dell'imperatrice con il monastero fanno supporre che la genesi dell'opera sia avvenuta all'inizio di questo lasso di tempo.È inoltre da assegnare alla manifattura egbertiana una piccola cornice (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kunstgewerbemus, Schloss Köpenick, BSM IV 77), proveniente da un reliquiario o da una coperta di libro, mentre la croce di S. Servazio (Maastricht, Schatkamer van de Sint-Servaasbasilek) per la sua qualità più modesta viene ritenuta opera di un successore della bottega. Le carte d'archivio attestano l'esistenza di varie opere perdute, tra le quali il reliquiario di S. Eucario, una croce monumentale d'oro e alcune coperte di libri (Kahsnitz, 1982a, pp. 85-86). Della fama degli orafi di Egberto è testimonianza il fatto che nel 987 Gerberto di Aurillac, all'epoca segretario dell'arcivescovo di Reims, Adalberne, e successivamente divenuto papa con il nome di Silvestro II, mandò oro a T. per farsi fare un crocifisso (MGH. Briefe, II, 1966, nrr. 104, 106, pp. 134-136).Sebbene rimanga ipotetica l'identificazione del capomaestro della bottega egbertiana con Benna Trevirensis, personalità poliedrica di pittore, orafo e canonico dell'importante collegiata di St. Paulin a T. (Kempf, 1966), quanto traspare dai documenti sul ruolo di quest'ultimo è impressionante: fu incaricato dell'educazione della figlia del re Edgar del Wessex, - Edith (961ca.-984), poi canonizzata, nell'abbazia di Wilton (Inghilterra), dove affrescò un oratorio e creò opere a sbalzo (perdute); per la stessa abbazia acquistò a T. una particola della reliquia del Sacro Chiodo. Probabilmente inoltre è allo stesso Benna che va riferita la menzione come autore del crocifisso aureo a grandezza maggiore del naturale per il duomo di Magonza (anch'esso perduto), voluto dall'arcivescovo Villigico (975-1011). Inoltre gli sono state attribuite anche le oreficerie del gruppo della Pala d'oro di Aquisgrana (Cappella Palatina), di cui fanno parte la coperta d'oro dell'Evangeliario di Aquisgrana (Aquisgrana, Domschatzkammer) e l'antependium della cattedrale di Basiliea (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny, Cl. 2350). Più cautamente invece, l'evidente parentela stilistica di questo gruppo con le miniature del Maestro del Registrum Gregorii è stata interpretata come relativa a un influsso che farebbe localizzare l'attività della bottega orafa in Lotaringia (Fillitz, 1993).Probabilmente alla fine del sec. 11° risale la cassa dell'altare portatile di S. Villibrordo (con integrazioni posteriori; Treviri, Liebfrauenkirche, in deposito al Domschatz), che racchiude come reliquia principale parti dell'abito della Madonna. Il contenuto mariano viene evidenziato grazie alla Vergine Odighítria e alla Kóimesis, raffigurate in due trittici d'avorio mediobizantini sui lati del reliquiario. L'ornamentazione a rosette delle lastre di rame che circondano i campi rettangolari dei lati si ispira chiaramente alle cassette 'a rosette' bizantine. La riflessione su modelli costantinopolitani è altrettanto decisiva per le due stauroteche del primo sec. 13° conservate nelle chiese di St. Matthias a T. (eseguita tra il 1243 e il 1247; Becker, 1995) e di St. Liutwin nella vicina Mettlach. Tutti e due i reliquiari, nella loro struttura a tavola - che include una croce a doppia traversa, circondata da venti scomparti rettangolari con reliquie collaterali - si ispirano alla stauroteca di Limburg an der Lahn (Staurothek Domschatz und Diözesanmus.), capolavoro dell'oreficeria bizantina del sec. 10°, che il crociato Heinrich di Ulmen dopo la conquista di Costantinopoli nel 1204 aveva portato con sé in patria. Secondo l'iscrizione sul reliquiario della croce di T., il frammento del Sacro Legno che vi è contenuto fu portato dalla capitale bizantina nel 1207 dallo stesso Heinrich di Ulmen, che del resto aveva fatto anche altre donazioni di ulteriori particole della croce e di varie importanti reliquie a diverse chiese tra Mosella e Reno. La stauroteca di Mettlach sembra più vicina all'esempio orientale per la chiusura degli scomparti delle reliquie con sportellini smaltati (mentre quella di T. mostra il suo contenuto attraverso lastrine di cristallo), ma a differenza delle altre due è allargata a trittico. In ogni modo, le due stauroteche prodotte a T. sono indipendenti dal modello bizantino nella loro iconografia, caratterizzata dalla presenza di santi locali e dall'accentuazione del senso escatologico, grazie alla Maiestas Domini incisa sul retro: si distacca completamente dall'esemplare orientale anche lo stile figurativo, in linea con il gusto anticheggiante prevalente nella regione mosano-renana intorno al 1200, il Muldenfaltenstil.Tra le più importanti opere create a T. nella prima metà del Duecento sono da annoverare l'arca di S. Simone (Bendorf, St. Maria und Johannes), il reliquiario di S. Potentino da Steinfeld (Parigi, Louvre), la coperta perduta del Liber aureus di St. Maximin a T. (tramandata da un acquarello del primo Settecento; Schatzkunst, 1984, nr. 77) e altre conservate a Manchester (John Rylands Lib.), Karlsrhue (Badische Landesbibl., Bruchsal. 1) e Praga (monastero di Strahow, Bibl.; Henze 1988). La stauroteca prodotta nel 1266 per St. Martin a T. (Praga, tesoro della cattedrale; Stork, 1999) ripropone ancora una volta la tipologia di quelle di St. Liutwin e di St. Matthias (con ricettacoli divisi da lastrine di cristallo come in quest'ultima), ma nelle sue parti figurative ormai segue lo stile gotico. Dell'oreficeria trecentesca finora solo pochissime opere possono essere collegate con T. (Fritz, 1982; Schatzkunst, 1984, nrr. 93, 115), sebbene, a partire dalla lista fiscale del 1363-1364 in poi, siano noti i nomi di non pochi artisti attivi in tal campo, tra i quali alcuni anche documentati da atti notarili (Zander, 1977).
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