Unione Sovietica, storia dell'
La patria del comunismo
L’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche (URSS) – comunemente detta Unione Sovietica – nacque nel dicembre del 1922 nei territori della ex Russia zarista passati sotto il dominio comunista e si dissolse alla fine del 1991. La sua storia – drammaticamente segnata dalle vicende dello stalinismo – ha determinato in parte essenziale la parabola dell’ascesa e poi del declino del comunismo nel Novecento
Le origini dell’Unione Sovietica sono legate agli esiti della rivoluzione bolscevica (rivoluzioni russe) del 1917, la quale, sotto la guida di Lenin, instaurò in Russia un regime comunista (comunismo). Sorta all’indomani della guerra civile che seguì alla rivoluzione e quando la leadership di Lenin andava tramontando, essa riunì in una struttura federale 15 repubbliche socialiste, tra le quali la più importante era la Repubblica russa, poste sotto l’autorità di un Soviet supremo e il ferreo controllo del Partito comunista dell’Unione Sovietica (PCUS).
Isolata sul piano diplomatico e in gravissima crisi economica, l’URSS fu dominata nei primi anni dal problema della successione di Lenin, che era morto nel 1924. Da questo confronto – che fu al tempo stesso una brutale lotta per il potere – emerse nella seconda metà degli anni Venti Stalin, il quale dominò l’Unione Sovietica sino alla sua morte avvenuta nel 1953.
Sotto Stalin l’URSS si trasformò in un regime dittatoriale di tipo totalitario, finalizzato alla modernizzazione accelerata del paese. Contro i suoi oppositori Stalin riteneva che fosse possibile instaurare il ‘socialismo in un solo paese’. A tal fine egli procedette alla collettivizzazione forzata delle campagne eliminando la classe dei contadini più agiati, i kulaki. Nello stesso tempo avviò un processo di industrializzazione, fondato sulla piena statalizzazione dei mezzi di produzione e sull’introduzione di una ‘economia pianificata’, diretta cioè dallo Stato e completamente sottratta ai meccanismi del mercato. Queste trasformazioni resero possibile una forte crescita dell’industria, ma portarono alla costruzione di un regime duramente oppressivo, che distrusse ogni forma di dissenso attraverso il ricorso a epurazioni su vasta scala (le ‘purghe’ staliniane), al terrore e ai campi di concentramento (Gulag).
Nell’agosto 1939 strinse un patto di non aggressione con la Germania nazista che aprì le porte allo scoppio in settembre del conflitto mondiale. Malgrado ciò, l’URSS venne invasa dai Tedeschi nel 1941 e fu poi, con gli Stati Uniti, uno dei principali artefici della sconfitta di Hitler. Terminate le ostilità, l’Unione Sovietica divenne, in opposizione agli USA, uno dei due attori fondamentali della politica mondiale, stabilendo il proprio dominio sull’Europa centro-orientale, dove si consolidò un ampio sistema di Stati satelliti retti secondo il modello sovietico, e dando avvio alla costruzione di un enorme arsenale di armi nucleari.
Per quasi tutta l’età del bipolarismo e della guerra fredda (1945-91) l’URSS continuò a contrapporsi agli Stati Uniti, con fasi alterne di conflittualità e di distensione. La morte di Stalin nel 1953 permise l’avvio della destalinizzazione, vale a dire di un processo di smantellamento degli aspetti più apertamente terroristici della dittatura staliniana. Questo, tuttavia, non trasformò la natura del sistema sovietico, ma suscitò aspettative destinate a essere deluse nei paesi del blocco socialista, in particolare in Ungheria nel 1956, dove i Sovietici, dopo la rivolta di questo paese, misero in atto una dura repressione. Artefice della destalinizzazione fu Nikita S. Chruščëv, al potere dal 1953 al 1964.
Nei decenni successivi, in particolar modo con Leonid I. Brežnev (1966-82), l’URSS entrò in una fase di stagnazione, resa drammatica dall’invasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1968, dall’inizio della guerra sovietico-afghana (1979) e dalla grave crisi che investì la Polonia al principio degli anni Ottanta. Questa fase fu superata nell’epoca di Mikhail S. Gorbačëv (1985-91), che avviò un corso di riforme tese a liberalizzare e democratizzare il regime sovietico. Queste riforme diedero inizio a una nuova fase di distensione nelle relazioni con gli Stati Uniti, ma portarono al crollo del sistema sovietico: dapprima con la caduta dei regimi comunisti nell’Europa centro-orientale (1989-91) e poi, alla fine del 1991, con la dissoluzione della stessa Unione Sovietica.