Vestirsi
Fin dall'Età della Pietra gli uomini hanno imparato a coprirsi per ripararsi dal freddo e dal caldo eccessivi. Tuttavia già i nostri antenati indossavano certi indumenti anche per esaltare alcune caratteristiche fisiche o per affermare agli occhi degli altri il proprio prestigio e la propria autorità.
Tra i motivi che hanno spinto gli uomini a coprirsi c'è sicuramente quello di ripararsi dal grande freddo delle glaciazioni che risalgono a decine di migliaia di anni fa. Per far fronte alla nuova situazione climatica gli uomini capirono che potevano utilizzare meglio gli animali che cacciavano: così oltre a mangiarne la carne cominciarono anche a impossessarsi delle loro pelli. Ma le pelli degli animali diventavano presto dure e non era facile ricavarne qualcosa con cui coprirsi. Le donne eschimesi per ammorbidire le pelli le masticavano a lungo, altri popoli le battevano con legni.
Una tappa importante fu l'invenzione dell'ago con la cruna, ricavato dalle spine di pesce o dalle ossa di renna, grazie al quale si cominciarono a cucire insieme diverse pelli. Un altro progresso della storia dell'uomo, che ebbe conseguenze anche sul suo modo di vestire, si realizzò quando l'uomo da cacciatore diventò anche agricoltore e cominciò a intrecciare mantelli di paglia, uno dei quali è stato trovato accanto all'uomo di Similaun, e a lavorare e utilizzare materiali come il lino e il cotone.
Gli Egizi usavano vestiti fatti di lino bianco e dalle forme geometriche; i più ricchi si ornavano di preziosi gioielli e tingevano i tessuti con preparati naturali. Inoltre, erano particolarmente preoccupati della cura del corpo: uomini e donne facevano uso di oli profumati ed erano soliti truccarsi usando sostanze naturali. Nelle tombe e nelle piramidi sono stati trovati molti oggetti, tra i quali specchi, rasoi, pettini, orecchini. Gli Egizi ritenevano che tutti questi oggetti sarebbero stati necessari al defunto nella sua nuova vita. Nelle cerimonie importanti gli Egizi indossavano grandi parrucche, poiché volevano presentarsi in modo elegante di fronte agli dei.
Durante le campagne contro i Galli, i Romani rimasero molto colpiti da un indumento indossato dai nemici: le brache che consentivano loro di muoversi con molta disinvoltura e li tenevano caldi. Si tratta di un indumento simile ai calzoni, ma più corto e meno ampio. Cavalcare e combattere vestiti così sembrava più facile. Anche i Romani cominciarono a indossare le brache, ma soltanto sui campi di battaglia: infatti non consideravano questa specie di mutandoni un capo d'abbigliamento da portare tutti i giorni. Per quanto comode, per i Romani le brache rimanevano pur sempre … un indumento da barbari!
Nel Medioevo, ai tempi di Carlomagno, si era affermata presso i sovrani e i nobili la moda di vestire in modo elegante e sontuoso. Gli abiti arrivavano dall'antica Bisanzio, l'attuale Istanbul, famosa per la tessitura e la tintura della seta; oppure si acquistavano a Pavia, a quel tempo celebre per una fiera in cui si vendevano merci provenienti dall'Oriente. Indossare quegli abiti era un modo per manifestare la propria posizione sociale. Le donne e gli uomini alla corte dell'imperatore facevano a gara a chi vestiva in modo più ricco ed elegante. Pare che i cortigiani indossassero questi abiti anche durante le battute di caccia, riducendoli inevitabilmente in brandelli.
Il nome di questo indumento sembra derivi dal nome di Pantalone, personaggio della commedia dell'arte, una forma di teatro molto sviluppata nel 16° secolo. Questo personaggio indossava sempre pantaloni esagerati, stretti dalla caviglia al ginocchio, e dal ginocchio in su larghi e gonfi come delle sottovesti.
Secondo studi recenti, già mezzo milione di anni fa l'antenato dell'uomo, l'Homo erectus, indossava pelli animali che aveva imparato a trattare: ci sono segni evidenti che le raschiava a lungo perché non si indurissero.
Gli abiti di luoghi diversi sono differenti tra loro soprattutto per ragioni di tipo climatico. Le donne eschimesi non potrebbero certo indossare i leggeri sari delle donne indiane: morirebbero di freddo! Ma esistono anche distinzioni legate al sesso, alla professione, alla religione.
I vestiti servono soprattutto per coprirsi, per difendersi dal caldo e dal freddo e per nascondere le nudità. Racconta la Bibbia che non appena Adamo ed Eva ebbero gustato il frutto della conoscenza "aprirono gli occhi tutti e due e si accorsero di essere nudi". Il racconto prosegue dicendo che prima di cacciarli dal Paradiso terrestre "il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelliccia e li vestì".
Questo mito delle origini dell'umanità mette in luce due delle ragioni essenziali per le quali ci si veste: il pudore, cioè la vergogna di mostrarsi nudi, e il bisogno di protezione. Nel corso del tempo, però, i vestiti sono diventati, oltre che guscio protettivo, anche strumento di comunicazione. Gli abiti parlano e ci dicono a quale epoca, a quale paese, a quale popolo appartiene la persona che li indossa. Ogni persona, infatti, si veste seguendo gli usi, le tradizioni e le regole del gruppo sociale di cui fa parte.
Gli abiti possono rivelare il lavoro, la professione o l'importanza sociale di chi li indossa: i militari indossano le uniformi, ma l'uniforme di un generale è diversa da quella di un soldato.
Anche i religiosi hanno vestiti particolari e si può distinguere facilmente un prete da un frate francescano perché il primo indossa una tunica nera e l'altro un saio marrone. Bastano alcune parti del vestito per capire la cultura religiosa di appartenenza: le donne musulmane portano un velo chiamato hijab, che può essere di varie dimensioni e colori e prendere nomi diversi a seconda dei luoghi (in Iran si chiama chador); invece gli ebrei maschi portano uno zuccotto che si chiama kippah, e così via.
Un altro modo di 'vestirsi', diventato di moda soprattutto tra i giovani, è dipingersi il corpo con i tatuaggi. Già alcune popolazioni precolombiane credevano che le pitture facciali potessero proteggere dalle malattie. Gli Indiani d'America usavano dipingere il proprio corpo di rosso per allontanare gli spiriti maligni. Le donne musulmane prima del matrimonio si fanno dipingere di rosso le mani e i piedi con l'henné, una pianta utilizzata anche per colorare i capelli.
Sono diventati di moda tra i ragazzi i buchi al naso, alle labbra o in altre parti del corpo, oltre ai tradizionali buchi alle orecchie; in questi buchi vengono fatti passare anelli di tutti i tipi. Anche questa pratica, che si chiama piercing, affonda le sue radici nelle tradizioni di antiche popolazioni presso le quali bucare il corpo era un modo per indicare che si diventava grandi, si entrava nella vita adulta. Anche i tatuaggi, una volta diffusi tra marinai e carcerati, sono ora di moda tra giovani e meno giovani.
Anche il modo in cui i capelli sono acconciati, colorati, tagliati contribuisce a dare informazioni su di noi. Negli anni Settanta del secolo scorso, i ragazzi punk esibivano come segno di ribellione teste rasate con al centro alte creste multicolori. I buddisti portano il capo rasato. In alcune regioni dell'Africa le donne non ancora sposate acconciano l'intera capigliatura in trecce sottili. Nel mercato di Bamako, la capitale del Mali, sotto un grande capannone di legno, lavorano 'le artiste della treccia', capaci di pettinare il capo nel modo più adatto per affrontare un viaggio, partecipare a una festa, incontrare il fidanzato.
I giovani indossano in ogni occasione abiti sportivi e scarpe da ginnastica. Hanno scarpe sportive i ragazzi che ballano la break dance, il ballo in cui ci si rotola e si salta dappertutto, anche sull'asfalto, o che fanno rap, cioè che cantano parlando ritmicamente. Questi ultimi, i rapper, portano jeans abbondanti, cappellini con visiera al contrario, medaglioni stravaganti (perfino una sveglia): tutti elementi che li rendono facilmente riconoscibili.
Siamo alla fermata dell'autobus e nell'attesa osserviamo le persone che ci stanno vicine: tante di loro indossano abiti che ci sono familiari, altre vestono tuniche variopinte o nascondono il volto dietro un velo. Probabilmente vengono da paesi con una cultura diversa dalla nostra.
I vestiti africani sono coloratissimi. E i colori hanno significati diversi a seconda delle regioni e delle persone che li indossano. Il blu è il colore più diffuso: un proverbio del Ghana dice: "Un tessuto senza blu è come l'Africa senza palme da cocco".
Le popolazioni primitive dell'Africa usavano vestiti fatti di intrecci di foglie e corteccia battuta. Oggi solo alcune tribù di Pigmei, che abitano la foresta equatoriale del Congo, continuano a vestirsi di queste fibre vegetali. A partire dal 16° secolo le stoffe africane cominciarono a essere tessute con la rafia. Nei due secoli successivi l'uso di questa fibra si diffuse in tutta l'Africa Occidentale, finché non venne sostituita dal cotone. Tra i tessuti africani di produzione vegetale non si possono dimenticare i bogolan del Mali, arazzi primordiali di cotone, dipinti con le argille colorate del fiume Niger.
Un tempo, in alcune zone dell'Africa il vestito era come un libro aperto, un mezzo di comunicazione importantissimo, in tutte le fasi della vita. Gli anziani della regione del Mali descrivevano sulla stoffa, sui tessuti, la storia della loro tribù. I motivi dipinti sulla tela sono chiamati 'bambini della scrittura'.
Le pitture rupestri del deserto del Sahara, risalenti a cinquemila anni fa, raffigurano esseri umani vestiti con il pagne. La parola pagne (dallo spagnolo paño, che significa "panno") indica un pezzo di stoffa annodato attorno ai fianchi, che è la base di ogni abito tradizionale africano. L'usanza esige che l'avvolgimento inizi posando un lembo di stoffa sul lato destro del corpo per terminare su quello sinistro. Un'arte dei gesti che rappresenta una tradizione del vestire, imparata fin da bambini imitando la mamma.
Un tempo il pagne era realizzato cucendo insieme diversi pezzi di cotone tessuti al telaio fino a creare una tela rettangolare. Oggi si utilizzano i moderni tessuti prodotti e stampati dalle industrie locali o provenienti dall'Europa, e con essi si confezionano anche abiti dal taglio occidentale.
Il pagne accompagna tutte le fasi della vita, in particolare quella delle donne. Tra le tribù Akan del Ghana la defunta è seppellita insieme ai suoi tessuti migliori; in altre parti dell'Africa, al ragazzo che si allontana da casa per affrontare gli studi o cercare lavoro la madre consegna come portafortuna il primo pagne, quello con cui lo ha avvolto alla nascita.
Le donne dei paesi dell'Africa nera avvolgono i loro capelli in coloratissimi foulard, triangoli di stoffa che lasciano il viso scoperto. Diffuso fra le donne musulmane è invece il niqab, un velo che copre dalla testa ai piedi e che lascia scoperta solo una fessura all'altezza degli occhi. Ma portare il velo non è reso obbligatorio dalla religione musulmana, e infatti in molti paesi dell'Africa Settentrionale e del Medio Oriente, come la Tunisia, l'Egitto, il Libano e la Turchia, molte donne vestono all'occidentale.
A coprirsi con il velo non sono soltanto le donne. Nel deserto del Sahara, i nomadi Tuareg sono velati. Molti viaggiatori europei che li hanno incontrati li hanno chiamati 'uomini blu' per il colore delle loro vesti e del loro corpo, che resta macchiato dalla tintura usata per i mantelli e i veli con cui si coprono. Il velo che essi indossano per ripararsi dai raggi del sole durante le loro traversate nel deserto è una striscia di tessuto lunga diversi metri e può servire anche da sacco, da cintura e da cuscino per la notte.
In Giappone le donne indossano splendide tuniche fatte di tessuti preziosi. In India gli uomini intrecciano intorno al capo suggestivi turbanti e le donne, abilissime ricamatrici, ornano di fantasiosi ricami i tessuti che indosseranno.
'Via della seta' è il nome di una serie di piste che partivano dalla Cina, attraversavano l'Asia e arrivavano fino a Bisanzio e, da lì, fino al cuore dell'Europa. I mercanti la percorrevano trasportando con loro molti beni preziosi: spezie, tè e soprattutto seta, la mercanzia più famosa prodotta dai Cinesi. Nell'antica Roma questo tessuto era molto richiesto, soprattutto dalle donne che con la seta facevano realizzare abiti elegantissimi. Nel latino medievale, la Cina si chiamò Sericana, terra della seta. Al tempo dell'imperatore Giustiniano due monaci furono inviati in Cina per impadronirsi del metodo di fabbricazione di questo tessuto che, fino ad allora, era rimasto un mistero. I due monaci tornarono dalla loro missione con alcuni bozzoli di bachi da seta, e così la seta cominciò a essere prodotta anche sulle sponde del Mediterraneo: tuttavia la Cina ne rimase la principale esportatrice.
La seta è da sempre il tessuto più usato dai Cinesi per confezionare i loro vestiti o, almeno, gli abiti dei ricchi. Infatti, nel passato i contadini portavano ampi indumenti di tela grezza, ottenuta da fibre vegetali come la canapa ed erano soltanto i cortigiani e i nobili a indossare splendide vesti di seta. In alcuni periodi la legge proibì di indossare la seta perfino ai mercanti che la commerciavano. Molti di loro venivano puniti se si scopriva che portavano sotto gli indumenti comuni abiti realizzati con quel tessuto.
Anche la ricchezza dei ricami era un segnale dell'importanza di chi indossava il vestito. I ricami spesso raffiguravano avvenimenti di storia, oppure fiori o animali. Il ventaglio accompagnava il vestito elegante, ed era un accessorio diffuso sia tra gli uomini sia tra le donne. Si andava dai modelli più preziosi, in avorio, molto decorati, fino ai più semplici fatti di bambù e carta; su alcuni di essi venivano anche scritte poesie.
Oggi in Cina si stanno diffondendo i vestiti all'occidentale ma, nonostante ciò, la seta è ancora considerata simbolo di eleganza e di tradizione.
In Giappone l'abito tradizionale è il kimono, una lunga tunica stretta in vita da una fascia di tessuto. Il kimono assomiglia un po' a un quadro. Molti famosi pittori giapponesi si sono dedicati alla pittura dei tessuti per i kimono: per gli uomini, per le donne, per i bambini, per le diverse stagioni dell'anno, per le varie feste e cerimonie. Di solito il kimono è un vestito semplice da indossare, ma ci sono anche kimono complicati: per fare il nodo alla grande fascia (chiamata obi) che stringe la vita ci vuole quasi un'ora! Alcuni antichi kimono, come quelli indossati ancora oggi nelle cerimonie imperiali, sono formati da numerosi strati, fino a dodici, e hanno decorazioni e colori raffinatissimi. I Giapponesi oggi vestono con abiti simili a quelli occidentali ma durante le feste, le cerimonie e altre occasioni speciali indossano con orgoglio i loro preziosi kimono.
L'abito tradizionale indossato da molte donne indiane si chiama sari. Si tratta di un pezzo di stoffa, di cotone o di seta, che viene avvolto intorno al corpo, senza che ci sia bisogno di bottoni o fermagli. Nei villaggi dell'India e del Bangladesh i sari sono confezionati a mano dalle donne, le più abili ricamatrici del mondo. Fra gli uomini, gli Indiani Sikh della regione del Panjab portano sempre il turbante. È questa una delle loro regole religiose, che prevedono anche che essi debbano indossare un tipo particolare di pantalone al ginocchio, portare un pugnale, un braccialetto di ferro al polso destro e che non debbano tagliarsi i capelli, che infatti vengono raccolti all'insù e nascosti sotto l'immancabile turbante.
Perché un indumento è alla moda e un altro no? In passato, così come accade ancora oggi, sono state ragioni diverse a determinare il successo di un particolare indumento: a volte a dettare legge in fatto di moda sono stati i re o i nobili di corte che, sfoggiando nuovi capi, hanno dato il via a una nuova moda. Ma non sempre è andata così.
Nel 15° secolo, quando Firenze era la capitale dei tessuti, si assistette alla nascita di quella che potremmo chiamare una moda giovanile. Gli uomini anziani continuavano a usare abiti tradizionali: mantelli, vesti ampie con maniche lunghe, braghe lunghe. I giovani invece preferivano abiti molto più corti che mettevano in evidenza la linea del corpo: abiti, come diremmo oggi, attillati. Vivaci e variopinti, i nuovi modelli avevano bisogno di tagli perfetti e quindi di sarti molto abili. Nella realizzazione degli abiti acquistarono particolare importanza i bottoni: quelli meno pregiati erano fatti di legno, di osso o con i noccioli della frutta, ma ne esistevano anche di molto preziosi, fatti d'oro e d'argento.
Cominciò a diffondersi l'uso delle camicie e quello di adornarsi con anelli, medaglie e catenine. Sempre in questo periodo iniziarono a diffondersi gli occhiali per correggere i difetti della vista e aumentò l'attenzione per l'igiene del corpo: a quest'epoca risale l'uso delle prime mutande, il cui nome significa appunto "che devono essere cambiate".
Nel 17° secolo si diffuse la moda della parrucca. Già gli Egizi, e poi altri popoli antichi, avevano fatto uso di queste capigliature artificiali, realizzate con la lana o con altri materiali e indossate in particolari circostanze. Ma è a Parigi, alla corte di Luigi XIV, noto anche come re Sole, che questa moda conobbe la sua massima diffusione. Il re Sole conservava le sue numerose parrucche in un'apposita stanza e le cambiava più volte al giorno, a seconda della cerimonia a cui partecipava. Le sue parrucche erano tutte ingombranti, addirittura esagerate, alte persino più di 15 centimetri: infatti dovevano anche far sembrare il re più alto di quanto in realtà non fosse. Ed è proprio per imitare il re che anche i nobili della corte cominciarono a nascondere i loro capelli sotto queste finte capigliature, che diventarono oggetto di mille cure: venivano profumate con particolari unguenti e ornate di nastri e perfino di gioielli.
Prima che diventasse un tipo di pantalone e fosse blu, il jeans era soltanto un tessuto di cotone molto resistente. L'impiego di questa tela di cotone per realizzare i pantaloni più famosi del mondo si deve a un giovane sarto tedesco: Levi Strauss. Nella seconda metà dell'Ottocento Levi Strauss andò a lavorare a San Francisco al seguito dei cercatori d'oro. Si accorse presto che quegli avventurieri avevano bisogno di pantaloni fatti di stoffa molto resistente. Così gli venne l'idea di realizzare tute da lavoro tagliando la tela robusta che si usava per i carri. Decise anche di tingerle di blu, perché così le macchie sarebbero state meno visibili. Il nome jeans, dato prima al tessuto e poi ai pantaloni con esso confezionati, deriva probabilmente da Genova, città nella quale si produceva inizialmente quella tela.
Nati dunque come pantaloni da lavoro, i jeans diventarono veramente di moda nel 1935. Quell'anno, su una rivista, comparve una pubblicità che mostrava per la prima volta due donne dall'aria elegante che indossavano i jeans: quello stile venne chiamato western chic. Da quel momento i jeans diventarono un indumento per il tempo libero, per adulti e bambini, uomini e donne. Oggi, con la diffusione dei jeans 'firmati' da sarti famosi, quelli che erano nati come pantaloni da lavoro ormai non sono neanche i più economici.
La camicia come la conosciamo noi oggi nacque dopo la diffusione dei pantaloni. Prima di allora si usavano casacche che arrivavano alle ginocchia o ai piedi e venivano fermate alla vita da una cintura. Un indumento così non poteva certo essere indossato con i pantaloni! Per questo dovette per forza essere accorciato e … diventò camicia.
Fin dall'antichità gli uomini hanno fatto uso di accessori, cioè di oggetti che abbelliscono e impreziosiscono gli abiti o permettono, a chi li indossa, di distinguersi dagli altri. Sono accessori: le cravatte, le cinture, i gioielli e, a volte, anche i bottoni.
Le prime notizie storiche su qualcosa di simile alle nostre cravatte risalgono a più di 2.000 anni fa: i soldati romani, durante le lunghe giornate trascorse al caldo, per rinfrescarsi portavano intorno al collo sciarpe intrise d'acqua. Queste sciarpe possono essere considerate le antenate della moderna cravatta. C'è anche un altro episodio di vita militare all'origine dell'attuale forma della cravatta. Nel 1668 arrivarono in Francia truppe di cavalieri croati che portavano intorno al collo sciarpe di lino. I Francesi rimasero molto colpiti dall'uso di indossare queste piccole stole e cominciarono a imitare i soldati croati: tuttavia, anziché portarle con la divisa, indossarono quelle sciarpe durante le feste e i ricevimenti. I Francesi chiamarono quelle sciarpe cravates, adattando alla loro lingua la parola croata hrvat, che significa "croato"! Un indizio in più per collocare proprio nella terra dei soldati croati l'origine della cravatta.
La cintura ha sempre avuto, sin dall'antichità, diverse funzioni: uno dei suoi compiti è sempre stato quello di sostenere un abito o di stringerlo intorno alla vita. Soprattutto in passato, poi, serviva anche per sostenere armi e strumenti, come il pugnale, la spada, la pistola; oggi alla cintura qualcuno ci appende il cellulare!
La cintura appartiene all'abbigliamento tradizionale di tanti paesi. Nell'arte marziale del karate il colore della cintura che chiude il kimono indica il valore in combattimento dell'atleta che la indossa. Bisogna preoccuparsi quando ci si trova davanti una cintura nera: questo colore rappresenta, infatti, il grado più alto del livello di preparazione.
La passione per i gioielli come ornamento dell'abito e del corpo è comune a tanti popoli e risale a epoche diverse. Gioielli molto raffinati furono quelli realizzati dagli Egizi; forme molto elaborate ebbero quelli bizantini. Naturalmente sono sempre stati i più ricchi a fare sfoggio di gioielli e, in alcune epoche, furono addirittura emanate leggi per porre freno al lusso eccessivo.
Fu soprattutto il contatto con i popoli orientali a far conoscere prima ai Greci e poi ai Romani il piacere dell'ornamento. Orecchini, anelli, collane, bracciali furono indossati sia dagli uomini sia dalle donne. Spesso anche i vestiti vennero ricamati con oro e argento e i sandali e gli stivali furono ornati da fibbie preziose. Perfino i bottoni diventarono gioielli!
All'inizio i bottoni erano dischetti decorativi, più o meno preziosi, cuciti sulle maniche o sul collo degli abiti. Quando nel 15° secolo si passò a indossare abiti più stretti che aderivano maggiormente alla linea del corpo, i bottoni diventarono utili per chiudere il vestito. Poteva accadere che un bottone valesse più dell'intero vestito. Si racconta che il sovrano francese Francesco I, nel 1520, ordinò al suo gioielliere 13.400 bottoni che vennero applicati sul suo abito di velluto nero. L'abito era stato confezionato per un'occasione importante, un incontro con il re d'Inghilterra, e Francesco I riteneva di doversi presentare molto… 'abbottonato'!
La rivoluzione per la chiusura degli abiti è però dovuta all'ingegnere americano Whitcomb Judson che nel 1891 inventò la cerniera lampo: aveva deciso di trovare qualcosa che aiutasse la moglie a far meno fatica a chiudere il busto. Le prime cerniere lampo (dette anche chiusure lampo o zip) erano però molto difettose e si inceppavano in continuazione. Si dovette aspettare perciò circa vent'anni prima che l'industria fosse in grado di fabbricarle in serie, in primo luogo per le tute degli aviatori durante la Prima guerra mondiale. Oggi la cerniera lampo sostituisce i bottoni e serve a mille altre chiusure: dalle tasche delle giacche a quelle degli zaini e delle valigie.
Gli uomini si coprono per affrontare situazioni climatiche completamente diverse: c'è chi, come gli Eschimesi, si copre per fare fronte al freddo polare e chi, come i nomadi del Sahara, lo fa per resistere al grande caldo del deserto. In passato ci si copriva persino al mare. Era l'epoca in cui anche mettersi in costume voleva dire vestirsi.
Gli Inuit, cioè gli Eschimesi, devono far fronte a temperature che arrivano a trenta gradi sotto lo zero. Perciò si devono coprire molto bene! Gli uomini e le donne vestono in modo molto simile. I loro indumenti sono fatti prevalentemente di pelle di caribù, un tipo di renna selvatica: indossano un giubbone foderato di pelliccia, un cappuccio imbottito, guanti, pantaloni e calzettoni. I loro stivali sono realizzati con pelle di foca.
Ma non sempre ci si copre solo perché fa molto freddo: i Tuareg, popolazione nomade del Sahara, lo fanno per proteggersi dalle elevate temperature del deserto. I loro indumenti sono spesso di lana, perché i tessuti di lana hanno all'interno molti spazi riempiti di aria che, come nei thermos, fa da isolante termico e mantiene inalterata la temperatura del corpo. Per questo gli indumenti di lana servono sia quando fa molto freddo sia quando, come nel caso dei Tuareg, la temperatura esterna è molto più elevata di quella del corpo! Inoltre, fin da ragazzi i Tuareg portano un velo avvolto intorno alla testa che lascia scoperti solo gli occhi. All'arrivo di una tempesta di sabbia il velo e il lungo vestito che indossano proteggono completamente questi nomadi del deserto.
Nati alla fine del 19° secolo, i costumi da bagno presero inizialmente a modello gli abiti di tutti i giorni. Le donne per fare il bagno indossavano pantaloni, gonna, camicia con maniche lunghe e colletto, calze nere e scarpe basse. Dopo il bagno, il costume era più pesante della bagnante stessa! Si ricordano casi di annegamento dovuti proprio a questo motivo.
Solo dai primi anni Trenta del secolo passato, però, stare in spiaggia e abbronzarsi al sole diventarono una moda. Fino a quel momento, invece, la pelle scura era considerata una caratteristica dei poveri, che per svolgere il proprio mestiere di contadini o di operai lavoravano spesso all'aperto. Sempre agli anni Trenta risale la nascita delle cuffie di gomma, per proteggere i capelli dall'acqua di mare, e degli oli e delle creme abbronzanti per la pelle.
Con il passare del tempo, i costumi da bagno femminili si riducono e anche quelli maschili, che prima coprivano perfino il torace, si riducono a pantaloncini. Nel dopoguerra, infine, arriva il modello di costume da bagno femminile ancora oggi più famoso: il bikini.
Il bikini prende il nome da un isolotto dell'Oceano Pacifico dove, nel 1946, gli Stati Uniti stavano facendo esperimenti con lo stesso tipo di bombe atomiche che l'anno prima avevano devastato le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Quelle bombe erano l'argomento del giorno, e così a Parigi uno stilista che aveva ideato un nuovo costume da bagno femminile, dalle misure assai audaci per quel tempo, decise, con un certo cattivo gusto, di chiamarlo "bikini": questo per dire che era una novità esplosiva!
In realtà il bikini sembra avere un'origine molto più antica. In Sicilia, a Piazza Armerina, tra il 3° e il 4°secolo d.C. venne costruita la splendida Villa del Casale: il suo pavimento è fastosamente decorato con mosaici che rappresentano scene di argomenti vari. Il pavimento di quella che viene chiamata la Sala delle dieci ragazze raffigura giovani ginnaste con un costume che sembra proprio essere un antenato del bikini!
Nel 1880 fu inventata una 'macchina da bagno' per signore: era una cabina con le ruote, con alcuni scalini e una tenda. Una volta trasportata nell'acqua poco profonda, le donne potevano spogliarsi nella cabina e scendere in acqua nascoste dalla tenda, al riparo da sguardi maschili.
In origine il cappello non era altro che il lembo della cappa, cioè dell'ampio mantello con il quale ci si copriva dalla testa ai piedi: è proprio dalla parola cappa che deriva il termine cappello. In seguito con questo nome si indicò il cappuccio e poi, in modo generico, tante altre forme di copricapo.
Il cappello dà importanza a chi lo indossa. Inoltre, un copricapo può darci molte informazioni sulla persona che lo porta: per esempio, potremmo indovinare il lavoro che svolge (pensiamo al casco dei pompieri o a quello dei vigili urbani) o la religione che professa.
Un tempo, in alcuni paesi d'Europa lo sposo portava un cappello alto per tutto il giorno delle nozze come segno dell'autorità esercitata sulla sposa.
Almeno fino agli anni Sessanta del secolo passato il cappello era un accessorio molto di moda: esistevano cappelli, sia per uomo sia per donna, adatti ad ogni occasione, ora del giorno, stagione. Ancora oggi sono in molti a indossare copricapi dalle forme e dai colori diversi, ma il cappello non svolge più il ruolo di prestigio sociale che aveva in passato.
Originariamente i cappelli avevano la funzione di riparare il capo dal freddo o dai raggi del sole. I primi cappelli di cui si ha notizia risalgono a più di 2.000 anni fa: li troviamo in Grecia. Il petasos era portato da cacciatori e viaggiatori greci, e serviva a proteggere dalla pioggia e dal sole. Quando non veniva indossato pendeva sulla schiena appeso a una cordicella.
Un altro tipo di cappello usato in Grecia era il pilos, che aveva la forma di un cono. A un certo punto il pilos divenne il cappello dei sapienti, dei professori. In alcune università, trasformato in tocco, diventò il cappello indossato dagli studenti durante le cerimonie di consegna del diploma di laurea.
Fino alla fine del 18° secolo furono soprattutto gli uomini a portare il cappello; da quel momento, però, anche le donne, soprattutto se di famiglia nobile o ricca, cominciarono ad appassionarsi a questo accessorio e cominciarono a sfoggiare cappelli vistosi e variopinti, ornati di nastri, fiori e piume.
C'è perfino una data di nascita per quello che è diventato uno dei più famosi cappelli del mondo: il cappello a cilindro. Il 15 gennaio 1797, pochi anni dopo che a Parigi era scoppiata la Rivoluzione francese, un inglese di Londra, di nome John Etherington, uscì dal suo negozio di vestiti indossando un nuovo cappello da lui ideato. Il più importante giornale inglese, il Times di Londra, ne diede la notizia e scrisse che quella novità aveva attirato una piccola folla di curiosi: il cappello indossato da quel signore era quello che sarebbe diventato il famoso 'cilindro'. In seguito il cappello a cilindro diventò anche il cappello del mago che faceva giochi di prestigio, perché la sua forma consentiva di nasconderci dentro gli oggetti delle magie. Ma se il cappello del prestigiatore è necessariamente a forma di cilindro, il cappello del 'mago genio' o del 'mago scienziato' è più spesso a forma di cono.
Cappello a cilindro, bombetta (quella di Charlot), cappello Borsalino (tipo gangster anni Trenta) appartengono al passato. Sulla testa dei ragazzi occidentali ci sono oggi bandane e berretti. La bandana nasce con gli hippies degli anni Sessanta, per fermare i capelli quando si portavano molto lunghi: oggi si usa anche se i capelli sono diventati più corti. Il berretto con la visiera (a volte all'indietro) e le sue varianti diventa di moda a metà degli anni Settanta. Come altri accessori della moda casual provengono dal mondo dello sport, e precisamente da quello del baseball americano. Sono ancora di moda e si alternano a berretti di vario tipo, come quelli di lana a zuccotto, dai mille colori.
Esistono scarpe dalle forme più disparate: scarpe basse o dai tacchi vertiginosi, sandali e stivali di cuoio, calzature con la punta tonda o squadrata, allacciate o con le fibbie… Molti tipi di scarpa hanno tante storie da raccontare. Gli zoccoli erano considerati le scarpe dei poveri, mentre oggi sono diffusissime calzature estive.
Si racconta che un poeta greco vissuto più di 2.000 anni fa indossasse sandali dalla suola di piombo per non farsi portar via dal vento. Si dice anche che durante le cerimonie ufficiali il generale e uomo politico romano Giulio Cesare portasse sandali dalle suole d'oro. Da questi due racconti emerge che sia i Greci sia i Romani calzavano i sandali. Invece i sacerdoti, durante le cerimonie religiose, erano quasi sempre scalzi, e le calzature che indossavano di solito erano comunque molto semplici e disadorne.
Le calzature, inoltre, sono state spesso il mezzo attraverso il quale inviare messaggi simbolici: nell'antico Egitto per indicare l'odio e il disprezzo nei confronti di qualcuno se ne dipingeva la figura sulle suole dei sandali. In Grecia, al contrario, si usava disegnare sulla suola l'immagine di una persona amata.
Gli zoccoli in origine erano le scarpe dei poveri. Avevano la forma più semplice da realizzare, e le tecniche di costruzione e la loro forma sono sempre state le stesse. Tra i tipi più antichi di zoccoli c'è il sabot, ricavato da un solo pezzo di legno scavato e sagomato. È questa la forma caratteristica degli zoccoli olandesi. Esiste anche un altro modello di zoccoli, quello formato da una suola, di legno, cuoio o plastica, sulla quale è inchiodata una parte superiore che può essere fatta di cuoio o di altri materiali.
In passato gli zoccoli erano usati come scarpe da lavoro, soprattutto nelle campagne. Fino a quando in Inghilterra, durante la Seconda guerra mondiale, vennero a mancare le materie prime per fare le scarpe: le riviste di moda cominciarono allora a presentare gli zoccoli come scarpe eleganti, pubblicando fotografie con le dive del cinema che li indossavano. Quelle foto convinsero le donne che gli zoccoli erano alla moda, e gli zoccoli smisero così di essere solo scarpe da lavoro.
Le scarpe più diffuse tra la gente di ogni età, paese e condizione sociale sono quelle da ginnastica. Esse comparvero per la prima volta in America nel 1875. Da pochi anni era stato scoperto il modo di lavorare la gomma (ancora non esistevano i pneumatici!) e queste scarpe di tela bianca avevano appunto una suola di gomma. Perfette per lo sport, ebbero subito grande successo tra i giocatori di tennis. Ma solo dopo il 1950 diventarono le scarpe dei ragazzi e degli studenti, maschi e femmine, e poi via via anche degli adulti. Sono le scarpe più diffuse per più motivi: costano poco, comunque meno delle altre, inoltre possono essere colorate in mille modi e avere le forme più diverse.
Ci sono molte tradizioni legate alle scarpe: una di queste prevedeva che il fidanzato regalasse un paio di scarpe alla ragazza come segno d'amore e di unità. Questo perché, come i fidanzati, le scarpe sono due, l'una non può stare senza l'altra e sono fra loro complementari. Come l'uomo e la donna in una coppia!
Anticamente, in Cina e in Giappone, alle bambine venivano fasciati strettamente i piedi fin dai primi anni di vita, in modo da impedirne la crescita. Il piede piccolo era considerato infatti un segno di bellezza e di eleganza. Il piede deformato non superava i 10÷12 centimetri di lunghezza e sebbene la pratica fosse dolorosa era il mezzo migliore per assicurare alla fanciulla un buon matrimonio. Questa terribile tradizione è stata ufficialmente abolita nella seconda metà del secolo scorso.
Un tempo tutti andavano dal sarto per farsi cucire un vestito. Oggi invece possiamo comprare indumenti già pronti per essere indossati e pagarli molto meno degli abiti fatti a mano. Questo cambiamento è avvenuto nel 19° secolo, grazie all'invenzione di alcuni macchinari che tagliano la stoffa e cuciono insieme le diverse parti di un abito.
Oggi comprare vestiti e scarpe è molto semplice. Basta andare in un negozio, scegliere un modello che ci piace e cercare la nostra taglia. Soltanto alcune persone molto ricche indossano vestiti fatti su misura, cioè realizzati appositamente per loro. Ma non è stato sempre così. Fino al 19° secolo tutti i vestiti erano fatti a mano, uno per uno, e chi voleva un abito doveva andare da un sarto, farsi prendere le misure e aspettare che fosse pronto. Questo vuol dire che non esistevano due capi d'abbigliamento perfettamente identici.
Il tipo di fabbricazione che permette di produrre tanti capi d'abbigliamento uguali, pronti per essere acquistati, si chiama produzione in serie. È iniziata nel 19° secolo grazie a nuove, ingegnose invenzioni che hanno reso più facile e più veloce il lavoro dei sarti.
Le prime invenzioni che hanno cambiato il modo di produrre gli abiti hanno riguardato nuovi tipi di telaio. I telai sono macchine che servono a intrecciare tra loro i fili di lana, cotone o altri filati per creare il tessuto, cioè la stoffa che servirà a fare il vestito. I telai sono noti sin dalla più remota antichità, ma fino alla fine del 18° secolo venivano azionati a mano. Poi arrivarono i telai meccanici che, utilizzando la forza dell'acqua o del vapore, potevano produrre quantità di tessuto dieci volte maggiori e fare in serie tante copie di una stoffa con lo stesso disegno.
Per lungo tempo i diversi pezzi di stoffa di cui è fatta una giacca o una camicia andavano comunque tagliati a mano e poi cuciti insieme usando ago e filo. La vera e propria produzione in serie iniziò, di fatto, solo alla fine del 19° secolo, quando furono inventate la taglierina, che serve a tagliare pezzi di stoffa tutti di misura uguale, e soprattutto le macchine per cucire. Grazie a queste invenzioni, si possono produrre grandi quantità di vestiti rapidamente e a basso costo. E mentre prima il luogo dove i vestiti si facevano era lo stesso dove si vendevano (la sartoria), da quel momento la produzione e la distribuzione si separano: la prima avviene nelle industrie tessili, la seconda nei negozi e nei grandi magazzini.
Realizzare i vestiti in serie costa molto meno che farli a mano, perché basta disegnarli una volta e poi farne tante copie uguali. Per questo oggi quasi tutti i vestiti e le scarpe sono fatti in serie, come le automobili. Se ci guardiamo attorno, però, notiamo una cosa. È molto raro incontrare qualcuno che abbia una combinazione di capi di abbigliamento esattamente identica alla nostra. È invece frequente vedere per strada due automobili perfettamente uguali. I vestiti, infatti, servono anche a distinguerci dagli altri, e a nessuno piace indossare esattamente le stesse cose indossate da un'altra persona. A volte basta un piccolo particolare, una bandana attorno al collo, una cintura o una sciarpa annodata in vita per rendere in qualche modo unico il vestiario che stiamo indossando.
* Questo paragrafo è stato scritto da Nicola Nosengo
Da quando non ci si fa più fare abiti su misura, prima di comprare un paio di pantaloni o un altro indumento è necessario conoscere la propria taglia, altrimenti si è costretti a provarne diversi fino a che non si trovano quelli giusti. Le taglie sono numeri convenzionali che indicano una certa misura di un indumento. Ci sono sistemi di taglie diversi per le scarpe, per i pantaloni, per le camicie, per gli abiti femminili e così via. Inoltre i numeri usati per indicare le taglie cambiano da un paese all'altro.
"Molti anni fa viveva un imperatore, il quale amava possedere abiti nuovi e belli, tanto che spendeva tutti i suoi soldi per abbigliarsi con la massima eleganza. Non si curava dei suoi soldati, non si curava di sentir le commedie, o di far passeggiate nel bosco, se non per sfoggiare i suoi vestiti nuovi; aveva un vestito per ogni ora del giorno, e mentre di solito di un re si dice: "È in Consiglio!" di lui si diceva sempre: "È nello spogliatoio!"".
Un giorno giungono in città due impostori e sostengono di poter tessere una stoffa straordinaria dotata dello strano potere di diventare invisibile a tutti quelli che non sono all'altezza della propria carica o sono davvero stupidi. L'imperatore proprio non resiste, vuole una veste di quel tessuto.
I due impostori si mettono all'opera. Lavorano al telaio, si complimentano l'uno con l'altro, ma nessuno è in grado di vedere la stoffa: né il primo ministro, né gli alti funzionari del regno e neppure l'imperatore. Nessuno, temendo di passare per stupido, osa rivelarlo. Così, quando i vestiti sono pronti, gli impostori chiedono al sovrano di spogliarsi e di indossarli.
"Dio, come sta bene! Come donano al suo personale questi vestiti!", dicevano tutti. "Che disegno! che colori! È un costume prezioso!".
La sfilata comincia e tutti i sudditi, pur non vedendole, lodano le vesti dell'imperatore.
"La gente per le strade e alle finestre diceva: "Sono di una bellezza incomparabile! Che splendida coda dietro la giubba! Ma come gli stanno bene!"".
Solo un bambino ha il coraggio di dire che il sovrano è nudo. Di lì a poco tutta la gente urla: "Non ha proprio niente indosso!". Il re sa che i suoi sudditi hanno ragione, ma non si dà per vinto. Fingendo di avere addosso l'abito più bello che si sia mai visto, continua imperterrito a camminare nel corteo, mostrando un vestito che non c'è. Il sovrano, a causa della sua sfrenata vanità, viene deriso da tutto il suo popolo. Non sa che per realizzare abiti portentosi ci vuole abilità e non bastano certo degli impostori. Un sarto particolare ha inventato un "Modello di vestito / che si allunga e si allarga / all'infinito. / Non perde bottoni, / non ragna sui calzoni, / esente da macchie e da strappi", cresce di anno in anno senza rovinarsi.
Il sarto sa che i suoi colleghi non apprezzeranno quel 'vestito dell'avvenire'. Vorranno distruggerlo, farlo in mille pezzi. "Chiederanno al governo / qualche decreto drastico / contro il vestito elastico / che dura in eterno. / Con o senza permesso, / io lo invento lo stesso".
Il sarto inventore ha coronato il suo sogno realizzando un abito impossibile. Anche la vecchia madre - forse un po' strega - di Vestedimuschio vuole preparare per la figlia una veste magica, in grado di realizzare i desideri. La bella gitana, con quell'abito addosso, "non doveva far altro che esprimere il desiderio di trovarsi in un luogo e all'istante ci sarebbe stata; o di trasformarsi in un'altra creatura, come un cigno o un'ape, e anche questo si sarebbe avverato".
La madre raccomanda alla figlia di indossare sempre quella veste magica sotto gli abiti, anche quelli da lavoro. Così, quando la fanciulla esprime il desiderio di essere trasportata a cento miglia di distanza, in un attimo giunge in prossimità di un sontuoso palazzo. Vestedimuschio è cenciosa e sporca, ma è dolce, servizievole e, soprattutto, bellissima. A palazzo lavora come serva: i signori si affezionano a lei e, in particolare, il loro figlio sembra provare un'attrazione speciale per quella bella giovane. La invita a un ballo, ma Vestedimuschio rifiuta. Venuta la sera, però, la fanciulla indossa un abito meraviglioso di raso bianco, si reca al ballo di nascosto e rapisce il cuore del giovane signore. A mezzanotte, proprio come Cenerentola, Vestedimuschio sparisce lasciando tutti senza parole.
La sera successiva si reca di nuovo al ballo con indosso un vestito di seta coi colori di tutti gli uccelli dell'aria. Balla col giovane signore, ma anche questa volta, a mezzanotte, scompare. "Il giovane signore la sente librarsi nell'aria, ma niente può fare per fermarla. Riesce - chissà - a sfiorarle un piede e una delle scarpette cade a terra".
Da tutti i luoghi, vicini e lontani, vengono fanciulle a provare la minuscola scarpetta, ma solo Vestedimuschio riesce a calzarla e, finalmente, a sposare il suo amato. Le scarpe, si sa, hanno un fascino particolare. Possono essere di vetro, d'argento e di pietre preziose. Possono essere di vernice rossa, lucida e fiammante, ma anche di legno, di stoffa o di pelo d'animale.
Dorothy ha un bellissimo paio di pantofoline d'argento. Un tempo appartenevano alla potentissima strega dell'Est, ma ora che è morta, una fata gliene ha fatto dono. Si tratta certo di pantofole incantate, ma quale sia il loro incantesimo, nessuno lo sa. Dorothy sogna di lasciare il paese di Oz e di tornare a casa, in Kansas, a riabbracciare sua zia Emma. Per farlo deve superare ancora molte prove e, soprattutto, quella più difficile: sconfiggere la perfida strega dell'Ovest. Quell'essere malvagio e crudele fa catturare la bambina dalle scimmie volanti e tenta di sottrarle le pantofoline magiche. La sorveglia in continuazione, "ma la bimba ne era così orgogliosa che non se le toglieva mai, tranne la sera
per andare a dormire, e quando faceva il bagno".
La strega, però, ha paura del buio. E teme ancora di più l'acqua. Deve escogitare un piano per ottenere ciò che desidera.
"Mise una sbarra di ferro al centro della cucina e, con l'aiuto delle sue arti magiche, la rese invisibile ad occhio umano".
Quando Dorothy entra, inciampa e perde una scarpetta. Senza darsi per vinta, cerca di riprenderla, ma la strega non cede. Allora Dorothy, afferrato un secchio d'acqua, lo scaraventa addosso alla megera che, all'istante, comincia a liquefarsi. Ora la bambina è libera, ma ancora non sa come tornare a casa. È la fata Glinda a rivelarle il segreto delle meravigliose scarpette magiche. "Una delle loro qualità più notevoli è quella di poter trasportare chi le calza in qualunque parte del mondo, con soli tre passi". La bambina, dopo aver salutato gli amici, batte insieme i tacchi per tre volte e, finalmente, si ritrova in Kansas.
Tutte le scarpe, in fondo, sono un po' magiche. Scaldano, proteggono i piedi, aiutano a muoversi senza problemi. E se lo fanno è grazie ai calzolai che con pazienza e premura le realizzano e le aggiustano quando sono rotte. Si racconta che tanto tempo fa, in Germania, vivesse un calzolaio così povero che gli restava soltanto il cuoio per un paio di scarpe. La sera, prima di andare a dormire, le taglia, con l'intenzione di cucirle il giorno dopo, appena sveglio. Ma il mattino seguente le scarpe sono pronte. Il ciabattino è stupito, quasi non crede ai suoi occhi: qualcuno deve aver lavorato tutta la notte al suo posto.
Le scarpe sono subito vendute e, col ricavato, il ciabattino può comprare altro cuoio che di sera taglia e di mattina vede trasformato magicamente in scarpe. Una notte rimane sveglio e scopre due graziosi gnomi nudi che forano, cuciono e battono il cuoio. Il giorno seguente il ciabattino, grato di quell'aiuto, assieme alla moglie prepara vestitini, calze e scarpette per i due piccoli ciabattini. Gli gnomi indossano felici quei doni inattesi. Si rimirano allo specchio, si pavoneggiano, fanno capriole, ballano e saltano su panche e sedie. D'ora in poi non dovranno più nascondersi nella notte e potranno andare dove vorranno. "Da allora non tornarono più, ma il calzolaio se la passò bene finché visse ed ebbe sempre fortuna nelle sue imprese". (Anna Antoniazzi)
Hans Christian Andersen, I vestiti nuovi dell'imperatore, in Fiabe, Einaudi, Torino 1994
Hans Christian Andersen, I vestiti nuovi dell'imperatore, Mondadori, Milano 1998 [Ill.]
Lyman Frank Baum, Il mago di Oz, Mondadori, Milano 2001
Lyman Frank Baum, Il meraviglioso mago di Oz, Nord-Sud Edizioni, Zurigo 1997 [Ill.]
Teresa Buongiorno, 120 storie di gnomi, folletti, foreste e pellicce, Mondadori, Milano 1995 [Ill.]
Angela Carter, Vestedimuschio, in Le fiabe delle donne raccolte dalla tradizione popolare di tutto il mondo, Mondadori, Milano 1996
Jacob e Wilhelm Grimm, Gli gnomi, in Le più belle fiabe di Grimm, Bompiani, Milano 1963 [Ill.]
Jacob e Wilhelm Grimm, Gli gnomi, in Fiabe, Einaudi, Torino 1992
Charles Perrault, Cenerentola, Mondadori, Milano 1998 [Ill.]
Gianni Rodari, Il vestito dell'avvenire, in Filastrocche in cielo e in terra, Einaudi, Torino 1978 [Ill.]