visione
Catturare le immagini con l’occhio e rielaborarle con il cervello
La visione è la funzione che ci permette di percepire il mondo che ci circonda attraverso la vista, il più importante dei nostri sensi; coinvolge organi complessi, come l’occhio e il cervello, e un’entità ancora in parte sconosciuta: la coscienza. L’occhio è capace di decodificare la radiazione luminosa trasformandola in un segnale elettrico. Il cervello interpreta quel segnale attraverso l’attività di zone specifiche della corteccia cerebrale, e restituisce alla nostra coscienza un’immagine coerente
Fra i cinque sensi, quello della vista è per l’uomo il più importante. Infatti è su ciò che vediamo, più che sulle altre percezioni, che si basa gran parte delle nostre azioni coscienti, e l’estensione delle aree cerebrali dedicate alla visione è molto più ampia di quelle dedicate agli altri sensi. La vista è per noi così fondamentale che, nel corso dell’evoluzione, si è sviluppata anche a scapito di altre capacità: i nostri antenati, infatti, l’hanno letteralmente ‘barattata’ con l’olfatto, perdendo alcuni geni della percezione degli odori e acquistandone altri, che hanno reso più completa la visione.
La vista ci permette di dare un significato alle onde luminose che arrivano dall’esterno e di creare nella nostra mente un’immagine del mondo che ci circonda. Da quando apriamo gli occhi al mattino fino a quando li richiudiamo alla sera, la vista ci sembra un processo del tutto naturale; eppure, coinvolge strutture e organi complessi – come gli occhi e il cervello – e un’entità ancora parzialmente sconosciuta, la coscienza.
Il percorso che un’immagine compie nel nostro corpo prima che riusciamo a percepirla è più emozionante di un giro sulle montagne russe: entra nell’occhio e si capovolge, va in mille pezzi e arriva nel cervello, per poi essere ricomposta e tornare ‘dritta’.
Arrivando sull’occhio, i raggi luminosi colpiscono la cornea, la struttura trasparente più esterna dell’occhio, che ha il compito di effettuare una prima messa a fuoco. Poi attraversano la pupilla, un foro al centro dell’iride colorata, capace di variare il suo diametro a seconda della luminosità: la pupilla si restringe affinché una luce troppo forte non danneggi le strutture interne dell’occhio, o si dilata per ricevere più luce nelle condizioni di scarsa luminosità. L’immagine giunge così al cristallino, una vera e propria lente capace di modificare la sua curvatura grazie all’azione del muscolo ciliare, la cui attività è controllata dal sistema nervoso parasimpatico. Il cristallino convoglia i raggi luminosi verso la retina, la membrana sensibile situata al fondo di ciascun occhio, dove l’immagine giunge invertita dal cristallino.
La retina è spessa da 0,10 a 0,23 mm ed è grande circa come un francobollo. Le sue componenti più preziose sono i coni e i bastoncelli, neuroni capaci di trasformare il segnale luminoso in uno stimolo elettrico, grazie alla presenza di pigmenti che reagiscono quando sono colpiti dai fotoni che compongono la luce. Si calcola che nell’occhio umano ci siano da 5 a 6 milioni circa di coni e ben 120 milioni di bastoncelli. I primi sono concentrati nella fovea, la regione più sensibile della retina, e ci permettono di percepire i colori, ma non funzionano se la luce è troppo fioca. I secondi invece si attivano anche quando la luminosità è scarsa ma vedono solo in bianco e nero.
Esistono tre tipi di coni: quelli sensibili al rosso, quelli che reagiscono al verde e infine quelli che percepiscono il blu. L’azione combinata di queste cellule permette di mescolare i 3 colori fondamentali e perciò di distinguere circa 2 milioni di tinte diverse! Nei daltonici però i coni non funzionano tutti come dovrebbero: per questo chi soffre di daltonismo vede male alcuni colori, oppure non li vede affatto.
Il segnale elettrico generato dai coni e dai bastoncelli viene convogliato verso neuroni gangliari, i quali a loro volta lo trasmettono al cervello attraverso il nervo ottico. Prima di giungere a destinazione, però, le fibre nervose che partono dai due occhi si incrociano in corrispondenza di una struttura detta chiasma ottico: in questo modo, alla parte destra del cervello arriveranno per lo più gli stimoli che ha percepito l’occhio sinistro, e alla parte sinistra quelli dell’occhio destro.
Il nervo ottico porta gli stimoli in una zona del cervello chiamata diencefalo. Qui i corpi genicolati laterali distribuiscono gli stimoli alle diverse zone della corteccia cerebrale; una di queste, chiamata area 17, è la tappa finale delle vie della visione: si trova nel lobo occipitale, in corrispondenza della nuca.
Le informazioni sulle diverse caratteristiche dell’immagine non arrivano tutte contemporaneamente, e a mettere insieme i vari ‘pezzi’ contribuiscono anche altre zone del cervello. Il processo però è così rapido che noi non ci accorgiamo di nulla.
Per esempio, non ci rendiamo conto del fatto che soltanto la fovea è capace di vedere in modo nitido, il resto risulta invece sfocato. Nel cervello, infatti, tale ‘difetto’ viene corretto. Possiamo percepire chiaramente l’intero campo visivo perché la fovea lo esplora incessantemente, spostandosi grazie a rapidissimi movimenti dei bulbi oculari chiamati saccadi (è stato calcolato che in un giorno l’occhio compia in media 150.000 saccadi). Il cervello riceve così molteplici segnali, ciascuno relativo a una piccolissima porzione del campo visivo, e li ricompone proprio come se stesse completando un puzzle grazie all’attività di neuroni specializzati, capaci di mettere le ‘tessere’ in relazione fra loro.
Oltre a ricomporre l’immagine, il cervello deve mettere al loro posto anche le informazioni sui colori, sulle forme geometriche, sui movimenti e – soprattutto – deve dare un significato a ciò che vede. Questi dati sono elaborati da piccoli gruppi distinti di cellule nervose, collocati in regioni a volte molto ridotte della corteccia cerebrale: alcune si accendono in presenza solo di righe orizzontali, altre solo di righe verticali, altre ancora percepiscono i movimenti oppure reagiscono a colori diversi.
Per individuare le zone responsabili della visione di ciascun dettaglio vengono utilizzate tecniche speciali – le tecniche di imaging – che permettono di osservare in diretta l’attività del cervello e di capire quali regioni si attivano in risposta a stimoli specifici (diagnostica per immagini).
Informazioni preziose sulla visione sono arrivate anche dall’analisi delle percezioni e delle sensazioni provate da persone che, a causa di malattie o di incidenti, hanno subito lesioni al cervello. Questo approccio si basa sull’idea che, se una certa zona è danneggiata, le funzioni specifiche che svolgeva prima della lesione non potranno più essere compiute. Il caso di una paziente, Gisela Leibold, ha mostrato che la teoria descritta è esatta.
Diversi anni fa questa signora tedesca ha avuto un ictus (infarto e ictus) che ha danneggiato le aree del cervello che percepiscono i movimenti e da allora il mondo le appare come una sequenza di immagini fisse. Per esempio, non riesce a capire quanto caffè deve versare in una tazzina, perché non vede salire il livello del liquido, oppure non può più attraversare la strada e si sente a disagio tra la folla, perché non capisce in che direzione si muovono le persone.
I pittori hanno imparato a giocare sui meccanismi inconsapevoli che il cervello mette in pratica per formare le immagini. Alcuni ricercatori, per esempio, hanno scoperto che il segreto del sorriso della Gioconda risiede – almeno in parte – nell’abilità di Leonardo da Vinci di sfruttare gli stimoli visivi che giungono nelle regioni più periferiche della retina, dove le immagini non sono messe a fuoco perfettamente e appaiono quindi sfocate.
Il gioco di ombre sul viso della Gioconda serve a dare risalto alla bocca, che accenna un sorriso, ma l’effetto è molto più accentuato quando si guardano gli occhi, mentre scompare quasi del tutto se lo sguardo cerca di catturare direttamente il sorriso.
La percezione delle figure geometriche è alla base dell’opera del pittore olandese Piet Mondrian che, chiedendosi quali fossero i costituenti essenziali delle forme, arrivò a scomporre le immagini in linee verticali e orizzontali. Molti anni più tardi i fisiologi hanno scoperto che quelle linee sono in grado di stimolare proprio i neuroni su cui il cervello fa affidamento per identificare la forma di un oggetto.
Non solo gli artisti ‘giocano’ con le immagini; esiste infatti un vasto repertorio di illusioni ottiche che sfruttano alcuni processi fisiologici per farci vedere le cose diverse da come sono in realtà.
Alcune si basano su alcune caratteristiche della fisiologia dell’occhio. Altre invece sfruttano i processi cerebrali. Per interpretare che sono un’immagine, infatti, il nostro cervello usa procedure in parte innate e in parte acquisite con l’esperienza, e confronta le informazioni che giungono attraverso il nervo ottico con quelle già immagazzinate nella memoria. Di fronte a un’immagine ambigua, però, il cervello può fornire interpretazioni fuorvianti, che la rendono ‘impossibile’.
Lo studio della mente sta iniziando a far luce anche sull’aspetto più affascinante della visione: quello coinvolto nell’interpretazione delle immagini.
Si è notato, per esempio, che le persone che hanno una lesione in una regione dei lobi temporali chiamata giro fusiforme non sanno più identificare i visi di amici e parenti, e alcune di loro non riconoscono neppure il proprio volto riflesso nello specchio! Anche se i loro occhi funzionano perfettamente, queste persone devono affidarsi ad altri particolari, come il tipo di abbigliamento o la voce, per identificare unconoscente.
Ma conservano comunque sempre la sensazione di vivere in un mondo popolato da estranei.
Qualcosa di molto simile succede a Michael May, un signore statunitense al quale è capitato di perdere la vista all’età di tre anni e mezzo e di riacquistarla, dopo 40 anni, grazie a un trapianto di cornea. Il suo cervello non ha subito lesioni, ma la lunga inattività deve aver modificato qualcosa nei circuiti della visione. Michael non è in grado di riconoscere il viso di sua moglie.
Se guarda su una foto un individuo sconosciuto, soltanto sette volte su dieci riesce a capire se si tratta di un uomo o di una donna, e per decidere fa affidamento sul taglio dei capelli, più che sui lineamenti. Inoltre, la cecità deve aver compromesso anche le regioni del cervello che permettono di distinguere di che umore è il nostro interlocutore, perché se qualcuno si infuria con lui, Michael se ne accorge solo sei volte su dieci.
Lo sviluppo della vista nei bambini avviene in modo graduale. I neonati vedono pochissimo, perché i loro occhi, così come i centri della visione nel cervello, sono ancora immaturi.
Sono però già attratti dai contrasti forti, anche se la percezione dei colori inizierà solo al quarto mese e si completerà dopo i tre anni. A partire dai due-tre mesi il bambino può seguire un oggetto in movimento, ma il controllo completo dei muscoli che muovono gli occhi viene raggiunto solo a partire dall’ottavo mese di vita. La visione nelle tre dimensioni, infine, si sviluppa fra i 6 e i 18 mesi.
Fin da piccolissimo però il bambino ha una predilezione assoluta per il volto della mamma. Il suo mondo è fatto di oggetti dai contorni poco definiti, ma la capacità di mettere a fuoco un’immagine è maggiore alla distanza di 20÷30 cm: proprio quella del volto della mamma quando lo allatta.
L’evoluzione ha lavorato molto per arrivare a costruire un organo complesso come l’occhio umano, e ha iniziato molto presto. Strutture sensibili alla luce, infatti, sono presenti persino in esseri viventi composti di una sola cellula, anche se si tratta di organi molto semplici. Alcuni batteri, per esempio, sanno dirigersi verso le sorgenti luminose grazie alla presenza di pigmenti nelle loro cellule. In Euglena, un organismo unicellulare dotato di nucleo, i pigmenti sono invece concentrati in una regione chiamata macchia oculare, che guida il minuscolo essere verso le zone illuminate, dove può assorbire i raggi del Sole da cui ricava l’energia per la fotosintesi.
Negli esseri viventi pluricellulari, a specializzarsi nella percezione della luce sono invece gruppi di cellule, presenti già nelle meduse, nei coralli e nei vermi. Queste strutture diventano sempre più complesse via via che si sale nella scala evolutiva: prima si trasformano in coppe che captano la luce con maggiore efficienza, ma non sanno ancora mettere insieme un’immagine; poi, come accade nel nautilo, un mollusco primitivo, la fossetta diventa una sfera, dotata di un piccolo foro, che si apre e si chiude come l’otturatore di una macchina fotografica.
Nei Molluschi più complessi e nei Vertebrati compaiono infine la cornea e il cristallino, per la messa a fuoco. Insetti e Crostacei hanno però preso una via completamente diversa: invece che un organo solo, hanno un occhio composto, formato da una serie di minuscoli occhi, ognuno dei quali vede una piccola parte del campo visivo.
I difetti della vista più comuni dipendono da una cattiva messa a fuoco. Nella miopia il bulbo oculare è più lungo del normale, per cui l’immagine si forma davanti alla retina. Nell’ipermetropia invece avviene il contrario: il bulbo oculare è troppo corto e la messa a fuoco avviene dietro la retina. L’astigmatismo, infine, dipende da una curvatura irregolare della cornea, che provoca una distorsione nella messa a fuoco.
Questi difetti si correggono con gli occhiali e le lenti a contatto oppure con la chirurgia laser (o chirurgia refrattiva), che interviene sulla cornea per ripristinare una messa a fuoco corretta. La chirurgia refrattiva è stata inventata nella seconda metà degli anni Ottanta del 20° secolo. Utilizza una sorgente luminosa – il laser a eccimeri – che emette un fascio di luce ultravioletta, abbastanza potente da polverizzare i tessuti biologici con cui entra in contatto. Il chirurgo manovra il laser con grande precisione e rimodella così la cornea. Un altro disturbo della vista, frequente negli anziani, è determinato da una opacizzazione del cristallino che normalmente è trasparente (cataratta). Chi ha la cataratta vede come se ci fosse una nebbia più o meno fitta. Il difetto può essere corretto chirurgicamente, rimovendo il cristallino e sostituendolo con una lente di materiale inerte trasparente. Ma il difetto più grave della vista è la sua totale assenza (cecità). Questa può essere congenita – vale a dire presente fin dalla nascita – o acquisita e può avere numerose cause. I non vedenti normalmente compensano questa menomazione sviluppando e raffinando gli altri sensi. Per esempio, è proprio attraverso un raffinamento del tatto che i non vedenti riescono a leggere su libri particolari in cui le lettere sono rappresentate come punti rilevati (metodo di Braille).