vita
Progetto, ordine, complessità, trasmissione d’informazioni
La vita è l’insieme delle funzioni che rendono un organismo capace di conservarsi, cioè di seguire un progetto per sopravvivere, di svilupparsi e di riprodursi, cioè di trasmettere i propri caratteri ai discendenti. Un organismo riesce a mantenersi vivo finché, consumando energia e scegliendo tra un numero limitato di opportunità, contrasta il disordine naturale che alla fine prevarrà portandolo alla morte. Se è difficile definire tutte le proprietà dei viventi, lo è ancora di più ricostruire l’origine e i primi passi del fenomeno della vita sul Pianeta. Nella discussione sulle proprietà della vita un ruolo centrale hanno la forma, le dimensioni e la complessità degli organismi
Il titolo del paragrafo è una frase scritta dal premio Nobel francese Jacques Monod nel suo libro Il caso e la necessità, pubblicato nel 1970 e che, da allora, costituisce un importante riferimento della biologia del 20° secolo. Monod ci fa notare come, in base al secondo principio della termodinamica, in un Universo che tende spontaneamente all’aumento dell’entropia, ossia del disordine e della disorganizzazione, i viventi siano oggetti ‘strani’ perché altamente ordinati e organizzati: per navigare ‘controcorrente’ i viventi devono dunque essere dotati di un progetto. La vita, infatti, è possibile solo se le innumerevoli molecole che ne costituiscono i diversi livelli di organizzazione (cellule, tessuti, organi, individui, ecosistemi, biosfera) sono in rapporto fra loro per formare un sistema programmato e ben orchestrato nella struttura e nelle funzioni.
Per realizzare il suo compito, qualunque congegno ha bisogno di un assetto organizzato. Pensiamo a uno strumento meccanico semplice – per esempio a una molletta per stendere il bucato: basta che nel primo manchi una semplice molla perché non funzioni più. Anche in un vivente (sia esso un batterio, un’alga unicellulare o un organismo superiore) se una sua parte importante manca o non funziona, l’intero organismo cessa di funzionare; tuttavia, l’organizzazione del vivente è tale che singole disfunzioni non impediscono a esso di procedere nell’esistenza. Questa capacità di autoregolazione è una caratteristica dei viventi: è il frutto della loro complessa organizzazione e serve agli organismi anche per adattarsi alle mutevoli richieste ambientali. In questo senso un batterio, un’alga, una foglia o un gatto sono molto più esigenti e complessi di una molletta o anche di meccanismi più complessi: non solo sono capaci di autoregolarsi ma anche di ‘succhiare’ energia dall’ambiente per «mantenere ordine in sé stessi e produrre eventi ordinati», come scrisse il fisico austriaco Erwin Schrödinger.
Possiamo paragonare un organismo vivente a un ciclista che sa bene quanto e quando variare la forza della pedalata per superare le possibili insidie della strada, opponendosi al continuo rischio di cadere.
L’ordine che tutti i viventi perseguono sta infatti proprio nel mantenersi in equilibrio dinamico, ossia nel preservare la costanza della propria forma e la stabilità delle funzioni (omeostasi), nonostante i continui stimoli al cambiamento provenienti dal mondo esterno.
La stessa tendenza all’omeostasi si osserva nelle singole cellule che formano gli organismi. Le cellule sono microscopici mondi fatti di molecole che si legano o si staccano continuamente tra loro e in grado di spostarsi con grande rapidità nel citoplasma, in modo da trasportare messaggi chimici che mantengono l’attività cellulare regolata e sotto controllo.
Il biologo svizzero Émile Guyénot sosteneva che nel vivente esiste una «funzione profetica», anticipatrice degli eventi, la cui origine coincide con quella del codice genetico: in altre parole, l’organizzazione dei viventi è tale che essi sono in grado di prevedere i rischi a cui è sottoposta la loro esistenza e di adottare adeguate strategie di sopravvivenza.
Esistono proprietà comuni a tutte le creature viventi: è ormai accertato infatti che, nonostante l’enorme biodiversità, i viventi sono derivati da uno stesso progenitore formatosi miliardi di anni fa sulla Terra.
In primo luogo tutti i viventi sono costituiti da molecole contenenti carbonio e pochi altri elementi essenziali (ossigeno, idrogeno, talvolta azoto e fosforo) che consentono loro di esprimere le funzioni fondamentali. Inoltre i viventi prendono energia dall’ambiente e la trasformano per svolgere i processi vitali (metabolismo). In terzo luogo i viventi sono catalogabili secondo una gerarchia, ossia secondo livelli di organizzazione crescente che, partendo dagli atomi e dalle molecole (mondo del microscopico), arrivano alla biosfera (mondo del macroscopico). Altra caratteristica comune dei viventi è la capacità di riprodursi e di trasmettere i propri caratteri alla prole tramite il dna che contiene le informazioni ereditarie (riproduzione ed ereditarietà). Infine i viventi si sviluppano, si differenziano – per formare tessuti e organi diversi a partire da cellule indifferenziate) –, si accrescono, percepiscono gli stimoli e reagiscono e, infine, si evolvono (evoluzione).
Tra le tante caratteristiche dei viventi sono di particolare importanza le dimensioni, la complessità e la forma.
Le dimensioni. Un organismo è di grandi dimensioni (per peso, altezza, volume) quando è formato da molte cellule. Tuttavia ‘grande’ non vuol dire necessariamente ‘complesso’: esistono per esempio alcune spugne marine gigantesche, formate da moltissime cellule identiche tra loro e che non sono considerate organismi complessi.
Viceversa, si trovano animali minuscoli come i Rotiferi, microscopici vermi acquatici, che presentano un’elevata complessità, avendo un corpo formato da relativamente poche cellule ma ben differenziate e costituenti diversi organi specializzati.
La forma. Il problema della forma dei corpi dei viventi è da sempre al centro dell’interesse dei biologi. D’Arcy Wentworth Thompson, matematico e naturalista scozzese, scrisse (1917) nel suo libro Crescita e forma: «Cellula e tessuto, conchiglia e osso, foglia e fiore, sono altrettante porzioni di materia, ed è in obbedienza alle leggi della fisica che le particelle che li compongono sono state assestate, modellate, conformate. Esse non fanno eccezione alla regola che Dio geometrizza sempre». Thompson sostiene che le leggi della matematica e della geometria debbano valere anche per spiegare la forma dei viventi.
Inoltre, egli dimostra come, attraverso la semplice deformazione delle coordinate in cui può essere racchiuso il disegno di un animale (regola, questa, nota anche ai grandi maestri della prospettiva in pittura), se ne può ottenere un altro differente ma ancora molto simile al primo, come nel caso di Diodon hystrix o pesce porcospino e di Mola mola, o pesce luna.
A quale geometria obbediscono i viventi? Basta guardarsi attorno per osservare come i viventi abbiano una forma che ricorda pressappoco i solidi della geometria euclidea.
Gli alberi, per esempio, hanno un tronco che sembra un cilindro, una chioma che può essere assimilata a una sfera, a un’ellisse o a un cono, ma anche gli animali e l’uomo, sia pure con maggiore approssimazione, possono essere ricondotti a forme geometriche note (cubi, sfere, cilindri).
Oggi però esiste una geometria, diversa da quella euclidea, che si chiama geometria dei frattali, che permette di definire e di misurare con precisione le forme poco regolari degli oggetti naturali e dei viventi (frattale).
Un comune cavolfiore, per esempio, è suddivisibile in tante parti via via sempre più piccole ognuna delle quali assomiglia all’intero cavolfiore.
Quindi anche una struttura complessa come, per esempio, quella di un cavolfiore può essere geometrizzata e misurata ricorrendo alle regole della geometria dei frattali.
Una pianta con fiore è un organismo complesso, come lo è un gambero o un uomo. Intuitivamente si capisce perché: sono tutti formati da molte cellule differenziate, cioè specializzate a compiere funzioni diverse e ben coordinate tra loro in tessuti e organi diversi, riuniti a loro volta in sistemi o apparati che formano l’intero individuo. Il vantaggio di un’organizzazione complessa è l’aumento dell’efficienza dell’organismo e della sua capacità ad adattarsi ai mutamenti dell’ambiente.
C’è però un prezzo da pagare: le cellule di un individuo complesso non sono più in grado di dare origine a un nuovo essere, ma al massimo di produrre altre cellule identiche a loro. La capacità di dare origine a nuovi individui completi dopo che è avvenuta la fecondazione di un gamete maschile con uno femminile rimane quindi una proprietà delle sole cellule germinali o gameti, prodotte nelle gonadi dei due sessi, che per questo sono dette totipotenti.
Se trovare tracce o memorie della storia umana antica è arduo, ancora più difficile è studiare la storia della vita sulla Terra. I problemi sono molti: il primo è la vastità dell’arco di tempo da prendere in considerazione. Dal momento che la Terra si è formata all’interno del Sistema Solare circa 4,6 miliardi di anni fa, la quantità di tempo entro la quale la vita ha avuto inizio e si è sviluppata è talmente enorme da essere quasi inimmaginabile. Esiste poi la necessità di trovare informazioni sull’ambiente chimico-fisico dei primordi per poter ipotizzare l’origine e l’evoluzione delle prime forme di vita. Possiamo contare infatti solo su rarissime testimonianze fossili molto antiche, che spesso creano più domande che risposte; tuttavia, nell’ultimo secolo e mezzo gli scienziati che indagano sull’origine della vita sono riusciti ad accumulare molti dati e a effettuare esperimenti attendibili che ci permettono di fare chiarezza su alcuni importanti aspetti del problema.
La Terra si sarebbe formata, come tutto il Sistema Solare, da una nube di gas e polveri che, fondendosi, formarono una protostella (diventata in seguito il Sole) da cui poi si staccarono frammenti più o meno grandi che avrebbero dato origine ai pianeti e ai satelliti. In seguito al raffreddamento progressivo, sulla Terra come sugli altri corpi celesti, si sarebbe formata una prima crosta circondata da un’atmosfera primitiva. In seguito questa si sarebbe in parte dispersa nello spazio e in parte mescolata a gas e vapori provenienti dall’interno del Pianeta attraverso i primi vulcani e le spaccature della crosta.
Secondo l’ipotesi formulata nel 1924 dallo scienziato russo Aleksandr I. Oparin, ripresa e integrata nel 1929 dall’inglese John B. S. Haldane e da altri ricercatori, è in questa seconda atmosfera – detta riducente perché ricca d’idrogeno (H2), acido solfidrico (H2S), ammoniaca (NH3), e metano (CH4) – ma anche di anidride carbonica (CO2) e di acqua (H2O) che si deve cercare l’origine delle prime sostanze complesse a base di carbonio.
Le semplici molecole inorganiche dell’atmosfera riducente, per effetto delle scariche elettriche e delle radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole, avrebbero reagito tra loro formando alcuni composti organici semplici che, reagendo tra loro, avrebbero infine dato origine a molecole più grandi, complesse e stabili, disperse in quel brodo primordiale caldo e privo di ossigeno che allora erano le acque dei mari. Tali molecole, avrebbero quindi formato piccoli ammassi (coacervati) che, come gocce d’olio, rimasero dispersi nell’acqua per essere poi adsorbiti sulla superficie delle rocce che facilitarono il loro avvicinamento e la formazione di nuovi legami chimici.
Durante un lunghissimo arco di tempo, dai coacervati si sarebbe passati alle protocellule, dotate di una membrana periferica (fondamentale per isolare e proteggere i costituenti cellulari dall’ambiente esterno) e, più tardi, arricchite da molecole (RNA e poi DNA) in grado di autoriprodursi e di trasmettere alle cellule figlie i caratteri ereditari. Secondo l’ipotesi formulata nel 1986 dal biologo Walter Gilbert, uno dei primi stadi della vita è stato un «mondo a RNA» – in quanto, all’interno delle protocellule, brevi molecole di RNA avrebbero permesso prima la sintesi delle proteine e più tardi quella del DNA.
Le ricerche sull’origine della vita sono limitate dal fatto che le rocce più antiche a noi accessibili si trovano in Groenlandia e hanno tra 3,9 e 3,8 miliardi di anni; in ogni caso i primi fossili noti – quali le impronte di batteri filiformi, le stromatoliti (ammassi rocciosi sottili o colonnari prodotti da alghe cianoficee ) e gli archeobatteri, procarioti capaci di vivere in condizioni estreme – si fanno risalire a 3,5÷3,2 miliardi di anni fa.
Il grande avvenimento che circa 2 miliardi di anni fa avrebbe trasformato le ‘regole del gioco’ della vita fu l’aumento dell’ossigeno libero (O2) nell’atmosfera, che divenne piano piano quella che è ancora oggi: un’atmosfera ossidante. Si pensa che l’ossigeno sia stato prodotto dai primi organismi fotosintetici (batteri e alghe) e che, accumulandosi, avrebbe dato origine nell’alta stratosfera, per effetto delle radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole, al gas ozono (O3). Lo strato di ozono cominciò a trattenere – come avviene tuttora – le radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole e molto dannose per i viventi.
A causa di tali radiazioni i primi viventi potevano infatti vivere solamente nei mari o nei bacini lacustri (l’acqua è in grado di filtrare le radiazioni dannose), dove, peraltro, era già da tempo iniziato un intenso processo evolutivo che aveva dato origine a una grande biodiversità.
Tra 600 e 500 milioni di anni fa il livello di ossigeno nell’atmosfera cominciò a stabilizzarsi sulla percentuale attuale (21%) e alcuni organismi poterono uscire dall’acqua dando luogo alla loro radiazione adattativa: è l’inizio della biodiversità vegetale e animale su tutta la terraferma.
Un sasso non fa parte dei viventi, questo lo sappiamo. Comunque, se si cambia la prospettiva dalla quale si è partiti per definire la vita, anche un sasso, sia pure paradossalmente, può essere legato alla vita. È quanto sostiene un personaggio del romanzo Andromeda (1969) dello scrittore di fantascienza Michael Crichton che racconta di una epidemia mortale causata dal «ceppo Andromeda», come viene chiamato un ammasso di esseri microscopici simili ai batteri terrestri, presenti su un satellite rientrato da un viaggio nello spazio extraterrestre e di cui alcuni scienziati cercano di scoprire la natura. Infatti, per trovare il modo di distruggerli, il primo problema da risolvere è se siano o no una forma di vita simile a quella terrestre. Nessuno di loro però sa esattamente definire cosa sia la vita se non che è un modo per assorbire e trasformare energia.
Ma questa definizione viene messa in crisi. Infatti Leavitt, uno del gruppo, si presenta ai colleghi con un panno nero, un orologio e un pezzo di granito affermando in base alla precedente definizione:
«Ecco qui tre esseri viventi. Il panno nero messo al sole si scalda (gli viene obiettato che si tratta di un assorbimento passivo di calore senza alcuna trasformazione di energia). L’orologio ha un quadrante che brilla nel buio (ma si tratta della liberazione dell’energia potenziale degli atomi)».
Ecco infine il granito.
«Questo è vivo – disse Leavitt – vive, respira, cammina e parla. Solo che noi non possiamo vederlo perché tutto accade troppo lentamente. La vita di questa roccia dura miliardi di anni, la nostra solo sessanta o settanta anni.
E la roccia da parte sua non s’accorge neppure della nostra esistenza perché noi siamo vivi solo per un brevissimo istante della sua vita. Per essa siamo solo come lampi nel buio».