Figlio (Torino 1666 - Rivoli 1732) di Carlo Emanuele II, cui successe nel 1675. Assunti pieni poteri (1684), entrò (1690) in guerra contro la Francia, con cui negoziò la pace di Torino (1696) e con cui si alleò, ottenendo la restituzione di Pinerolo. Durante la guerra di successione spagnola si schierò prima con i francesi, per passare poi dalla parte degli imperiali (1703). Con la pace di Utrecht (1713) e con quella di Rastatt (1714) ebbe la Sicilia (scambiata con la Sardegna nel 1718) con il titolo regio e ampliamenti verso la Lombardia. Dopo aver abdicato (1730) in favore del figlio Carlo Emanuele III (1701-1773), chiese la revoca della decisione ma, arrestato, morì in prigionia.
Aveva 9 anni quando il padre morì (1675) e la madre Giovanna Battista di Nemours assunse la reggenza, che tenne anche dopo che il figlio ebbe raggiunto la maggiore età (1680). Venuto presto a contrasto con la madre, della quale non condivideva la stretta dipendenza politica da Luigi XIV, nel 1684 assunse in pieno il governo dello stato. Ribaditi i legami con Luigi XIV sposandone la nipote Anna d'Orléans, intraprese una notevole opera di riorganizzazione economica e militare dello stato, con disegni riformatori. Costituitasi la Lega di Augusta (1686), V. A. strinse i contatti con l'Impero, mentre trattava con l'Inghilterra. Nel 1690 entrò nella Grande Alleanza, in guerra contro la Francia; battuto più volte, negoziò con Luigi XIV, duramente impegnato sul Reno e nei Paesi Bassi, una pace separata (trattato di Torino, 1696), che rafforzò il suo prestigio, escludendo l'Austria da Casale e sbarrando la via d'Italia ai Francesi. Poco dopo, la pace generale si concludeva a Rijswijk (1697). La guerra di successione di Spagna offrì a V. A. nuova occasione di grandi disegni politici. Nella prima fase del conflitto, alleato della Francia, ebbe il comando supremo delle forze ispano-francesi in Italia (aveva intanto dato in moglie la figlia Maria Luisa Gabriella a Filippo V); ma, avvedutosi del fatto che rischiava di cadere sotto la completa egemonia francese, avviò trattative con l'imperatore, con l'Olanda e l'Inghilterra e nel 1703 passò nel campo avverso. Dopo vicende assai gravi, culminate nell'assedio francese di Torino (giugno-sett. 1706), fu salvato dai rinforzi imperiali guidati da Eugenio di Savoia, che trionfò a Torino costringendo i Francesi a ripassare le Alpi. Nelle ulteriori vicende politiche si comportò con grande abilità, finché con le paci di Utrecht e Rastatt ottenne la Sicilia col titolo regio e ampliamenti verso la Lombardia. Il disegno di permutare la Sicilia con la Sardegna gli riuscì finalmente nel 1718, benché dovesse attendere il 1720 per ottenere l'effettiva consegna dell'isola da Carlo VI. Particolarmente acuto si era fatto intanto il problema dei rapporti con la S. Sede; fermo sostenitore del diritto dello Stato di fronte alla Chiesa, V. A. lottò per le proprie leggi sui Valdesi, incurante del decreto papale di condanna, combatté le pretese pontificie sulla Sicilia, impose tributi al clero, svuotò di ogni significato il tribunale dell'Inquisizione e giunse a espellere da Torino l'internunzio. Notevole fu la sua opera all'interno del suo stato: principe assoluto, ebbe però grandi cure per le riforme e l'assestamento dell'amministrazione (organizzazione del Consiglio di stato, 1717), della finanza (nuovo catasto, 1698-1730; avocazione e vendita di feudi abbandonati; limitazione di immunità ecclesiastiche). Attese al riordinamento della legislazione, che culminò nella promulgazione, in due successive elaborazioni (1723 e 1729), delle Leggi e costituzioni di S. M. Nel 1730 V. A. abdicò in favore del figlio Carlo Emanuele III e si ritirò a Chambéry; ma un anno dopo, convinto che il figlio non fosse all'altezza del compito, si stabilì a Moncalieri, chiedendo la revoca dell'abdicazione. Di fronte al suo contegno e al pericolo di sollevazioni interne, Carlo Emanuele III lo fece arrestare, ed egli morì in prigionia.