Vedi Yemen dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Lo Yemen costituisce un’entità statuale unitaria dal 1990, anno della riunificazione della Repubblica araba dello Yemen, nota anche come Yemen del Nord, con la Repubblica democratica popolare dello Yemen, di stampo socialista e corrispondente all’attuale area centro-meridionale del paese. Oggi, a 14 anni dall’unificazione e dopo una guerra civile (scoppiata nel 1994), la vertenza Nord-Sud rimane aperta. In gran parte della regione settentrionale spadroneggiano gli houthi, dissidenti sciiti zaiditi (rispetto agli sciiti non credono all’infallibilità e impeccabilità dell’imam e nel suo carattere messianico), che controllano vasti territori e che talvolta si scontrano per ragioni religiose e territoriali con gruppi salafiti, alleati delle tribù locali, appoggiati dal partito islamista Islah e finanziati dai sauditi. Il Sud invece è incendiato dalle rivendicazioni autonomiste del movimento al-Hiraak che inneggia alla secessione. La posizione geografica dello Yemen scatena poi le mire di molti paesi, poiché è un importante crocevia e punto di collegamento per le rotte tra l’Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo. Di fatto, controlla il passaggio attraverso il Golfo di Aden verso il Canale di Suez. La sua rilevanza geopolitica, l’instabilità interna e la presenza di al-Qaida, rendono lo Yemen uno dei paesi più fragili della scena mondiale e, al tempo stesso, un ago della bilancia negli equilibri regionali. Data la posizione, il paese prende parte alle dinamiche di un’altra area difficile, il Corno d’Africa, sull’altra sponda del Golfo di Aden. Le relazioni internazionali e la politica estera yemenite sono condizionate da questa doppia fragilità, che impone al governo di Sana’a di cercare – sia nella regione sia in contesti più ampi – interlocutori in grado di rafforzare la solidità del regime. L’Arabia Saudita, paese confinante, rappresenta, in questa prospettiva, il maggiore alleato. La monarchia saudita è il principale garante della sicurezza yemenita, non soltanto per la prossimità territoriale, ma anche per limitare la minaccia di un accerchiamento sciita che avrebbe luogo in caso di un accrescimento del potere politico e militare degli houthi. Per le medesime ragioni, anche l’Oman cerca di sostenere la stabilità del paese confinante e mantiene controlli serrati alle frontiere. Anche gli Stati Uniti costituiscono un importante partner per Sana’a, alla quale riservano annualmente aiuti economici e militari, destinati in parte alla lotta al terrorismo. Lo Yemen è l’unico paese della Penisola Arabica a non far parte del Consiglio per la cooperazione del Golfo (Gcc), ma intrattiene buone relazioni con tutti i paesi arabi dell’area. Tese sono invece le relazioni con l’Iran, accusato di sostenere la guerriglia sciita antigovernativa e di sfruttare i dissidi interni in chiave anti-saudita. Sana’a ha stretto infine importanti relazioni politiche e diplomatiche con la Somalia, di cui accoglie migliaia di profughi.
Dall’unificazione, la struttura statale yemenita è organizzata secondo il modello di una repubblica presidenziale ed è unica, nel suo genere, nella Penisola Arabica, composta per il resto da monarchie ed emirati. Accanto alla figura del presidente, eletto direttamente dal popolo per sette anni e, di fatto, vero capo dell’esecutivo, ha rilevanza quella del primo ministro, che viene nominato dallo stesso presidente. Il potere legislativo è formalmente affidato a un parlamento bicamerale. Ali Abdullah Saleh, del Congresso generale del popolo, è stato presidente dello Yemen per ben 33 anni, uno dei periodi più lunghi all’interno del mondo arabo. Già presidente dello Yemen del Nord dal 1978, a seguito di un colpo di stato, Saleh ha continuato a mantenere la stessa carica anche nello Yemen riunificato.
La gestione del potere su base clientelare, l’assenza dello stato nelle aree periferiche e la corruzione dilagante nell’amministrazione hanno provocato grosse proteste popolari, scoppiate sull’onda delle Primavere arabe dei primi mesi del 2011, per chiedere le dimissioni del presidente. Solo dopo mesi di manifestazioni e violenze, che hanno rischiato di trasformarsi in un nuovo conflitto civile, Saleh ha firmato un accordo – mediato dall’Arabia Saudita – che ha imposto il passaggio dei poteri al vice presidente Abd Rabbuh Mansour Hadi. Nominato nel febbraio 2012, e inizialmente previsto in carica per due anni, Hadi manterrà il ruolo di presidente fino al completamento del processo di stesura della nuova Costituzione yemenita. L’incarico di redigerne il testo è stato assegnato a una Conferenza di dialogo nazionale, composta da nove commissioni e guidata dal Gcc. Nel gennaio del 2014, dopo dieci mesi di negoziato, i 565 delegati sono giunti a un accordo quadro sulla fisionomia istituzionale e sulla ribellione houthi, che non è stato però condiviso dalle circoscrizioni della regione sud – dominate dagli autonomisti di al-Hiraak - e dagli houthi stessi. I delegati meridionali, che avevano proposto un ordinamento confederale, rigettano infatti la struttura federale del nuovo stato, in quanto le sei regioni previste dividerebbero le zone sotto il controllo degli autonomisti, frammentando il loro potere.
Le divisioni hanno posposto le elezioni previste per inizio 2014 dopo il referendum costituzionale del marzo 2015, ma il deterioramento della stabilità del paese e l’intensificarsi delle violenze sembrano prospettare un nuovo rinvio sine die delle consultazioni. Particolarmente destabilizzante è l’avanzata delle fazioni armate houthi, che da nord sono riuscite a entrare nella capitale nell’ottobre 2014, e le proteste popolari (sostenute dagli stessi houthi) scoppiate a Sana’a in seguito al taglio dei sussidi sul carburante, che hanno condotto alla caduta del governo nel settembre 2014 e alla reintroduzione di alcuni dei sussidi eliminati. Nel gennaio del 2015 i ribelli houthi sono entrati nella capitale, prendendo il controllo della sede della televisione di stato e del palazzo presidenziale. Nonostante alcune fonti parlino di un colpo di stato, a fine gennaio 2015 la situazione resta ancora indefinita.
Lo Yemen, con i suoi 24 milioni di abitanti, rappresenta il paese più popoloso dell’intera Penisola Arabica, secondo soltanto all’Arabia Saudita. La popolazione yemenita risulta omogenea dal punto di vista etnico ed è composta per la quasi totalità da arabi, affiancati da alcune esigue minoranze di origine africana, soprattutto eritrea e somala. Di contro, il paese è spaccato in due dal punto di vista religioso, tra gli appartenenti all’islam sunnita e gli sciiti di fede zaidita – corrente minoritaria dello sciismo presente quasi esclusivamente in Yemen, in particolare nelle regioni settentrionali. Negli ultimi anni il paese è stato testimone di una notevole crescita demografica, generata tanto dall’afflusso di profughi dal Corno d’Africa, in particolar modo dalla Somalia, quanto da un elevato tasso di fecondità. La popolazione, inoltre, è la più giovane di tutto il mondo arabo: un dato che dovrebbe confermare il trend di crescita. Di fronte a tale prospettiva, il governo non ha adottato misure adeguate e oggi lo Yemen rischia una vera crisi umanitaria. Secondo le Nazioni Unite, circa 10 milioni di persone (ovvero quasi il 40% della popolazione) soffrono la fame e tale cifra è probabilmente destinata ad aumentare, poiché l’Arabia Saudita ha deciso di espellere circa 200.000 lavoratori yemeniti. Il basso livello di sviluppo umano e la scarsa urbanizzazione (solo il 33,5% della popolazione totale vive in città), costituiscono, infine, altri indicatori delle rilevanti difficoltà sociali.
All’arretratezza della società e del sistema educativo si aggiunge una gestione autoritaria del potere, resa ancora meno accettabile dalla diffusa corruzione. La libertà di espressione è limitata e non sono rari sia gli arresti di oppositori al regime, sia le chiusure di organi di stampa e informazione critici verso gli apparati governativi e il presidente. Come retaggio di una cultura tradizionalista, in cui la legge islamica è un pilastro del diritto, domina una spiccata discriminazione ai danni delle donne, in tutti gli ambiti sociali, economici e politici.
Oltre a essere un paese poco sviluppato dal punto di vista sociale e con un sistema politico rigidamente chiuso, lo Yemen ha anche il pil pro capite più basso di tutta l’area mediorientale.
Il sistema economico è composto da un settore industriale che produce circa il 49,2% del pil totale, seguito dal terziario, che invece ne genera il 40,6%, e da quello agricolo, che copre il 10,1%. L’agricoltura rimane una delle principali fonti di occupazione per una popolazione che, per quasi il 70%, vive in zone rurali e si scontra quotidianamente con le immense difficoltà legate a un territorio in gran parte montagnoso o desertico. Le produzioni di caffè e di cotone coprono una quota rilevante del totale.
Uno dei punti deboli della struttura economica è costituito dalla forte dipendenza dalla produzione ed esportazione di petrolio che, fra l’altro, è in via di esaurimento. Se attualmente il petrolio costituisce ancora il 90% circa delle esportazioni dello Yemen e più del 70% degli introiti governativi, la produzione appare in netto declino. Il suo esaurimento, nel giro di pochi anni, provocherebbe un deficit gravissimo.
Lo Yemen registra anche un tasso di disoccupazione molto elevato, intorno al 40%, e un’inflazione strutturale molto alta. Il turismo potrebbe rappresentare un importante strumento per combattere la crisi economica, poiché il paese è ricco di bellezze architettoniche e archeologiche e custodisce quattro siti dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco. La scarsa sicurezza e i frequenti attentati e rapimenti a danno dei turisti impediscono tuttavia lo sviluppo del settore e riducono la possibilità di attrarre investimenti.
Grazie alla produzione petrolifera, lo Yemen è ancora un paese indipendente dal punto di vista energetico. L’autonomia si limita, però, quasi esclusivamente al petrolio, che conta per l’88% del mix energetico. Nel 2009 è stato inaugurato il primo impianto di liquefazione del gas naturale nell’ambito degli obiettivi di diversificazione economica ed energetica, ma la produzione è ancora bassa. Le esportazioni di idrocarburi sono dirette quasi esclusivamente in Asia, soprattutto in Cina, Thailandia, India e Corea del Sud. Un problema gravissimo è costituito dalla scarsità di risorse idriche. L’accesso all’acqua potabile è limitato e la quota pro capite è insufficiente: questo rende il paese a rischio anche sotto il profilo ambientale. Lo Yemen è anche tra gli ultimi al mondo per estensione delle aree protette, che costituiscono solo lo 0,7% del territorio.
Tanto le pessime condizioni socio-economiche quanto le difficoltà del governo nel controllare il territorio fanno dello Yemen uno dei paesi più insicuri e maggiormente a rischio di destabilizzazione nel panorama mondiale. Le minacce alla stabilità interna sono di vario genere e provenienza.
Lo Yemen ha attraversato, all’indomani della riunificazione, una guerra civile tra le forze governative e le milizie delle regioni meridionali che si ispiravano a un’ideologia di stampo marxista. Il conflitto ha avuto il suo apice nel 1994, anno in cui l’esercito del presidente Saleh ha sconfitto i guerriglieri. Sebbene le tensioni tra Nord e Sud sembravano essere superate, nel 2008 la frattura ha nuovamente assunto i toni di uno scontro armato, alimentato dalle condizioni arretrate dello Yemen meridionale e dalle frequenti manifestazioni anti-regime.
Oggi Sana’a deve affrontare anche la guerriglia zaidita, guidata dal giovane Abd al-Malik al-Houthi, che ha la sua roccaforte a Sa’ada, nel Nord del paese, ma che dal 2011 è notevolmente avanzata verso sud,riuscendo a entrare, nel settembre 2014, nella capitale Sana’a.
L’infiltrazione di gruppi legati alla nebulosa di al-Qaida si aggiunge alla duplice sfida separatista. Il terrorismo internazionale di matrice islamica ha saputo sfruttare le carenze nel controllo territoriale da parte del governo per stabilire le proprie basi logistiche. Il fenomeno è così marcato che, nel 2009, è stata ufficialmente riconosciuta la nascita di una nuova cellula dell’organizzazione con base in Yemen, denominata al-Qaida nella Penisola Arabica (Aqap).
La presenza di al-Qaida risale, in realtà, a prima dell’11 settembre 2001, come testimonia uno dei più gravi attacchi terroristici ai danni degli statunitensi: quello contro il cacciatorpediniere Uss Cole, avvenuto nel porto di Aden il 12 ottobre 2000. Costò la vita a 17 marines. Ancora oggi l’organizzazione pianifica attentati e rapimenti di cittadini stranieri, in prevalenza turisti. Il livello elevato di rischio in Yemen è stato reso evidente, nell’agosto 2013, dalla decisione statunitense di chiudere la propria ambasciata per qualche giorno, in seguito alla diffusione di indiscrezioni su un possibile attacco. Aqap continua a colpire obbiettivi strategici energetici e di sicurezza in tutto il paese, pur non direttamente legati agli Stati Uniti. Il 20 settembre 2013 una serie di attentati ha provocato la morte di almeno 56 persone, tra soldati e poliziotti. Inoltre proseguono gli scontri tra i combattenti houthi e salafiti, e sono frequentissimi i sabotaggi degli impianti petroliferi e di gas da parte di tribù che cercano di ottenere concessioni dalle autorità.
Il vuoto istituzionale e l’accerchiamento di Sana’a da parte dei guerriglieri di al-Houti hanno accelerato la discesa dello Yemen verso la condizione di failed state, uno stato fallito, proprio come la vicina Somalia. Le manifestazioni anti-regime di inizio 2011 sono diventate progressivamente più violente a causa della repressione governativa, e la diffusissima presenza di armi leggere tra la popolazione rende la situazione yemenita ancora più critica. Nella capitale, gli scontri tra rivoltosi e forze governative hanno rischiato di degenerare in guerra civile tra i lealisti e la tribù degli Ahmar, guidata dallo sceicco Sadiq al-Ahmar. Oltre alla triplice minaccia costituita dalle forze secessioniste nel Sud, dalla guerriglia di stampo zaidita nel Nord, ormai impadronitasi di Sana’a, e dalla presenza di al-Qaida, lo Yemen deve affrontare il grave fenomeno della pirateria. Sebbene gli attacchi siano diminuiti nel corso del 2013-14, le coste yemenite, assieme a quelle del Corno d’Africa, sono storicamente le più colpite. Ha riscosso un parziale successo la missione navale congiunta intrapresa dall’Eu con Russia, Iran e monarchie del Golfo, tutti potenzialmente minacciati nei loro interessi commerciali dai pirati locali. Accanto ad accordi di cooperazione militare con questi paesi, Sana’a mantiene stretti legami nell’ambito della sicurezza soprattutto con l’Arabia Saudita, con cui condivide sia le preoccupazioni per la guerriglia sciita sia quelle per il terrorismo di Aqap. Di particolare rilevanza è infine la partnership militare con gli Stati Uniti: nel quadro della lotta al terrorismo internazionale, il governo di Sana’a si è schierato con Washington, che a sua volta appoggia il regime anche con cospicui finanziamenti.
In Yemen si concentra la quasi totalità della comunità sciita appartenente alla setta zaidista, ramo minoritario dello sciismo stesso. In Yemen gli zaiditi sono circa 10 milioni, cioè la metà della popolazione, e sono concentrati prevalentemente nel nord del paese, presso la zona di Sa’ada. Dal 2004 un movimento armato, fondato da Hussein Badreddin al-Houthi e guidato attualmente da Abd al-Malik al-Houthi, conduce una guerriglia contro le forze governative che ha provocato negli anni non soltanto la morte di quasi mille soldati yemeniti e quella di alcune migliaia di civili e di seguaci di al-Houthi, ma la fuga di migliaia di persone. Secondo i dati dell’Unhcr, gli sfollati interni in Yemen sarebbero 250.000. La presenza della guerriglia sciita non costituisce soltanto un problema interno allo Yemen: si configura piuttosto come una componente dello scontro a distanza tra Iran e Arabia Saudita. Il regime yemenita ha più volte accusato Teheran (e anche la Libia) di sostenere e armare il movimento di al-Houthi, in nome della comune appartenenza allo sciismo e per indebolire l’Arabia Saudita, presso i cui confini si concentrano le attività del movimento. Sebbene non esistano prove circa il coinvolgimento iraniano nello scontro tra Sana’a e i guerriglieri zaiditi, l’Iran potrebbe comunque aver individuato nello Yemen un’area fertile per espandere la propria influenza in Medio Oriente.