yoga
Insieme di tecniche di regolazione della mente e del corpo che, in forme anche molto diverse tra loro, ha interessato varie tradizioni del pensiero indiano. La parola viene da yuj, antica radice indiana che significa «aggiogare», «mettere sotto controllo». Al tempo stesso nella parola c’è anche il significato di «legame», «unione».
I testi più antichi dove si trova una trattazione ampia dello y. sono le Upanisad (8°-6° sec. a.C.), opere conclusive del grande corpus dei Veda, che raccoglie i testi indiani più remoti. La sintesi antica più sistematica è opera di Patañjali, a cui sono attribuiti gli Yogasutra (195 aforismi sullo y.) databili 2° sec. a.C. Questo testo, definito anche y. classico, ne chiarisce subito lo scopo principale: «arrestare le funzioni della mente». Il cultore dello y. (uomo: yogin; donna: yoginī), secondo Patañjali, si avvia in un cammino con otto rami o membra (anga), che nei primi cinque prevede precetti morali (non violenza, purezza, astinenza dal furto e altro), combinati con tecniche di controllo del corpo tramite posizioni (asana) e di controllo del respiro (prānāyāma). Gli ultimi tre stadi sono invece di tipo prettamente meditativo: concentrazione (dhāranā), meditazione (dhyāna), contemplazione totale (samadhi). A partire dal 12° sec. vengono prodotti manuali di Hathayoga che ne accentuano il carattere di «yoga della forza e dello sforzo», facendone una disciplina a sé e non un gradino del cammino di Patañjali.
Dopo la Seconda guerra mondiale, la diffusione dello y. in Occidente procede, sostanzialmente, secondo due vie: Hathayoga (spesso identificato tout court come y.) e meditazione, anche se non mancano esperienze unitarie. In medicina abbiamo evidenze di efficacia dello Hathayoga in gravidanza e nell’infanzia per patologie allergiche, mentre maggiori e più diffuse sono le evidenze relative all’impiego delle tecniche meditative in importanti patologie dell’adulto: da quelle cardiovascolari, ai disturbi dell’umore, fino alle patologie tumorali e da disregolazione immunitaria.