Alimentazione
(II, p. 498; App. I, p. 87; II, i, p. 136; III, i, p. 70; IV, i, p. 101; V, i, p. 125)
Scienze alimentari e nutrizionali
di Emanuele Djalma Vitali
Sul finire del 20° sec., accanto ai tradizionali indirizzi di ricerca emergono, a formare uno scenario ampio e articolato, nuove tematiche, per lo più a impronta interdisciplinare, sulle quali convergono indagini di natura biochimica, genetica, microbiologica, tossicologica ecc. Accanto ai progressi dovuti alla sperimentazione e al ricorso a sempre più raffinate tecnologie, sono motivo di costante attenzione sia i diffusi mutamenti delle abitudini alimentari, indotti da cause molteplici (economiche, antropologiche, ambientali, psicologiche ecc.), sia l'andamento epidemiologico, peraltro non favorevole, delle malattie di origine alimentare (soprattutto quelle di natura infettiva e tossinfettiva: v. oltre).
Apporti giornalieri raccomandabili di fattori nutritivi
Dopo circa un decennio dall'edizione precedente, sono stati pubblicati (1996) i nuovi Livelli di assunzione raccomandati di nutrienti per la popolazione italiana (LARN), per i quali v. anche nutrizione (IV App.).
Rispetto alle precedenti edizioni si introducono alcune modifiche, tra cui: a) l'eliminazione dei suggerimenti sugli apporti energetici, a proposito dei quali occorre evitare schematismi e generalizzazioni, essendo il dispendio energetico assai diverso da un individuo all'altro, anche se si tratta di soggetti equiparabili per età, sesso, corporatura, attività fisica svolta; b) l'inserimento dei fabbisogni di rame e selenio, oligoelementi di cui è riconosciuto ampiamente un ruolo molto significativo; c) la scomparsa delle indicazioni per il magnesio, dato che questo elemento, sebbene indispensabile, è di solito sufficientemente apportato, anche in caso di a. molto parca; d) la specificazione dei fabbisogni medi di acidi grassi essenziali, anche allo scopo di sottolineare il significativo ruolo nutrizionale degli acidi grassi ω-3 (ovvero n-3), in particolare l'acido α-linolenico, che è relativamente diffuso in natura, specialmente nei lipidi dei pesci (tabb. 1A e 1B).
Strategie antiradicaliche: gli antiossidanti
Mentre in passato, nell'ambito dietetico, l'interesse preventivo era soprattutto rivolto alle malattie da carenza (avitaminosi, sindromi osteoporotiche, anemie nutrizionali ecc.), a quelle da abituale eccesso alimentare (obesità, diabete di tipo 2, gotta, iperlipidemie da sovraccarico energetico e altre), o da contaminazione biologica o tossica degli alimenti, ora si è esteso anche alla patologia da radicali liberi (v. radicali liberi: Patologia, in App. V) e ai rischi connessi alla lipoperossidazione. Alla base di queste strategie preventive si collocano soprattutto le sostanze organiche antiossidanti, alcune delle quali sono di natura vitaminica o provitaminica (vitamina C, vitamina E, betacarotene e alcuni altri carotenoidi), mentre la stragrande maggioranza di esse (oltre quattromila) è rappresentata da polifenoli, in particolare flavonoidi (flavoni, flavonoli, antocianine, catechine ecc.), da carotenoidi 'non attivi', come il licopene, e altri composti vegetali (v. nutrizione, in questa Appendice). Gli antiossidanti sono largamente presenti in molti prodotti ortofrutticoli, nelle piante eduli campestri, nei frutti di sottobosco, in alcuni prodotti ittici (crostacei) e altresì in bevande che una volta erano considerate quasi soltanto sotto il profilo voluttuario, come tè e vino (in particolare quello rosso).
Come risulta chiaramente da studi in vitro, da attendibili ricerche in vivo su animali di laboratorio e, per quanto concerne la specie umana, da prolungate indagini epidemiologiche, molti antiossidanti sono in grado, in varia misura, di neutralizzare i radicali liberi più lesivi, ossia quelli centrati sull'ossigeno; di ostacolare l'ossidazione degli acidi grassi polinsaturi e delle lipoproteine (specialmente quelle a bassa densità, implicate nel meccanismo di comparsa delle lesioni aterosclerotiche); di attenuare l'aggregabilità piastrinica; di svolgere, in alcuni casi, una sensibile azione chelante nei confronti di alcuni metalli pesanti (piombo, mercurio); quindi, in definitiva, di attenuare il rischio di processi ateromatosi e neoplastici. Si tende ad ammettere, sia pure in via ipotetica, che alcuni antiossidanti possano parzialmente antagonizzare certi fenomeni involutivi della senescenza (donde il tentativo di impiegarli, a scopo terapeutico, anche nel morbo di Alzheimer in fase iniziale).
Tossinfezioni alimentari. - Deludente è la situazione epidemiologica mondiale delle tossinfezioni alimentari. Anche nei paesi sanitariamente più avanzati si continuano a verificare frequenti focolai epidemici innescati da molteplici fattori, tra cui: innovazioni in campo zootecnico, non sempre sanitariamente sicure; diffusione di zoonosi tardivamente affrontate o diffuse dal mercato internazionale di bestiame; turismo di massa verso paesi con degrado ambientale e scarso livello igienico-sanitario; crescente numero di mense collettive senza un corrispettivo diffondersi, tra gli addetti al lavoro, di un corretto comportamento nella manipolazione degli alimenti; insufficiente cottura di vivande a rischio infettivo; maggiore propensione del pubblico verso il crudismo carneo e ittico; scarsa sensibilità di alcuni governi e dell'opinione pubblica nei confronti di moderne misure di sanificazione microbiologica degli alimenti, in primo luogo l'irradiazione (v. oltre).
Molte tossinfezioni alimentari continuano a presentare incidenze superiori al previsto, come le salmonellosi (v. salmonella, App. V), le shigellosi e molte altre, note da lungo tempo. Per di più, negli anni Ottanta, sono emersi quadri morbosi (v. anche infettive, malattie: Malattie infettive emergenti, in questa Appendice) che prima parzialmente o totalmente sfuggivano a una diagnosi precisa, sia per inadeguatezza dei mezzi di indagine, sia per insufficienti controlli igienici ai vari livelli della catena di produzione degli alimenti, compresi i punti di vendita e quelli della ristorazione collettiva. Soltanto a metà degli anni Ottanta si è diffusa la consapevolezza che la listeriosi si può configurare anche come una grave, talora letale tossinfezione alimentare. Dal 1982 sono stati descritti, nell'America Settentrionale (Oregon, Michigan, Canada), i primi focolai epidemici di enterocolite emorragica provocata da un ceppo particolarmente aggressivo di Escherichia coli (O157: H7), individuato in hamburger poco cotti e poi anche in altri alimenti. Questo agente patogeno (e altri ceppi analoghi, più rari, con la stessa azione entero-emorragica) ha causato, negli anni successivi, numerosi focolai epidemici in tutto il mondo, per es. in Australia, Scozia, Germania, Italia, Sudafrica, Giappone (circa 84.000 casi nel 1966), con conseguenze particolarmente gravi nei bambini e nei ragazzi, nei quali può indurre una grave sindrome emolitico-uremica, talora mortale.
Irradiazione degli alimenti
Le Nazioni Unite, attraverso la mediazione di FAO, WHO (World Health Organization) e IAEA (International Atomic Energy Agency), hanno ripetutamente esortato, dal 1988 in avanti, i governi dei paesi membri a promuovere l'impiego di radiazioni ionizzanti per ridurre drasticamente la contaminazione microbica e parassitaria degli alimenti, di natura vegetale e animale, allo scopo di prevenire, su scala mondiale, le tossinfezioni, le infezioni e le parassitosi alimentari. Oltre che con questo obiettivo primario, l'irradiazione può essere sfruttata per migliorare la serbevolezza dei prodotti, con notevoli vantaggi economici.
L'impiego di radiazioni ionizzanti per favorire la conservazione di alcuni alimenti fu auspicato sin dal 1889 da A. Pacinotti e V. Porcelli, quattro anni dopo la scoperta dei raggi X da parte di W.C. Roentgen e H. Becquerel. Ma solo nel 1930 fu rilasciato in Francia il primo brevetto per realizzare la cosiddetta pasteurizzazione a freddo degli alimenti. Le imperfezioni del metodo originario, gli alti costi, i rischi cui erano esposti gli operatori e infine gli eventi bellici determinarono una caduta di interesse nei confronti dell'impiego di questa tecnologia. Le sperimentazioni sono state riprese verso il 1950, anche con l'utilizzazione di fasci di elettroni accelerati e poi di raggi gamma (ormai i preferiti, perché più penetranti) emessi da cobalto 60 o cesio 137.
L'energia liberata da queste fonti non rende radioattivi gli alimenti trattati, contrariamente a quanto teme buona parte del pubblico, che non ha ancora acquisito la consapevolezza della profonda differenza di significato tra 'alimento radiocontaminato' (cioè divenuto radioattivo in quanto ha incorporato particelle che emettono radiazioni ionizzanti) e 'alimento irradiato', ossia semplicemente esposto a energia radiante, della quale, però, non rimane traccia alcuna.
Le Nazioni Unite hanno dovuto protrarre per anni lo sforzo di persuasione proprio per superare gli immotivati timori dell'opinione pubblica, di fronte ai quali anche lo IOCU (International Organization of Consumer Unions) ha evitato di fornire rassicurazioni in quanto ritenute superflue.
L'irradiazione degli alimenti, di solito, non è attuata per realizzare una vera e propria sterilizzazione (ossia completa eliminazione di microrganismi e loro spore) che, peraltro, si raggiunge solo con dosi superiori ai 60 kGy (chilogray), tali da indurre alterazioni chimiche indesiderabili, sia dal punto di vista organolettico, sia da quello nutritivo. Si impiegano, invece, dosi decisamente inferiori che provocano, comunque, una drastica diminuzione dei microrganismi (con sostanziale annullamento del rischio patogeno) senza incidere significativamente sul potere nutritivo (modesta diminuzione del contenuto vitaminico) e sulle caratteristiche organolettiche. Solo pochi alimenti (in primo luogo il latte, per il quale peraltro si ricorre alla pastorizzazione) non tollerano l'irradiazione. Talora, per prolungare l'integrità di alimenti molto deperibili (come ortofrutticoli e pesce), possono essere sufficienti dosi molto basse (anche inferiori a 2 kGy); e per impedire il germogliamento delle patate, appena 0,03 kGy.
L'irradiazione degli alimenti è stata avviata soprattutto da paesi con agricoltura avanzata: nei Paesi Bassi sin dal 1978; in Belgio e in Sudafrica, su larga scala, dal 1981; in Cile dal 1983; in Francia dal 1982 solo per le spezie, ma dal 1986 anche per pollame e ortofrutticoli. Tra i paesi avanzati più in ritardo figura l'Italia. Negli USA l'irradiazione è iniziata nel 1984, limitatamente alle spezie, ma è stata estesa a pollame e pesce dopo la metà degli anni Novanta; dal gennaio 1998 è stata approvata dalla FDA (Food and Drug Administration) anche per carni bovine, ovine, suine.
Contemporaneamente, un gruppo di studio congiunto FAO/ IAEA/WHO ha anticipato (1998) la sintesi delle favorevoli conclusioni sull'impiego dell'irradiazione ad alte dosi (e di altre strategie preventive) "per prevenire la propagazione transnazionale dei microrganismi patogeni attraverso gli alimenti destinati all'uomo e al bestiame, per lottare contro le malattie di origine alimentare e per favorire la disponibilità di alimenti sicuri e nutrienti". Le medesime conclusioni sono attese, a breve scadenza, anche da parte dell'Unione Europea: nel febbraio 1998 l'Assemblea di Strasburgo ha già preso una posizione favorevole, a larga maggioranza, in attesa della decisione finale.
Alimenti biotecnologici
La ricerca scientifica rivolta alla produzione di alimenti non tradizionali (v. alimenti non convenzionali, App. V) è ormai prevalentemente orientata alla produzione di nuove fonti alimentari con l'ausilio di tecnologie avanzate per ottenere sia piante sia animali transgenici (v. biotecnologia e genetica, in questa Appendice). Dagli animali si mira a ottenere soprattutto latte e altri prodotti con caratteristiche organolettiche specifiche (come la pecora Polly che produce latte di tipo umano) o contenenti molecole proteiche di utilità terapeutica. La coltivazione delle piante transgeniche è auspicata da molti anche in chiave di compatibilità ambientale perché può consentire di ottenere piante resistenti agli stress ambientali e alle malattie, donde la prospettiva di realizzare un'agricoltura più 'pulita', con ridotto uso di fertilizzanti chimici e di pesticidi. Tuttavia è prematuro formulare previsioni produttive a lungo termine. Le specie vegetali transgeniche già ampiamente sperimentate sono di estrema importanza per l'a. umana (si tratta di grano, mais e soia, oltre a patate, pomodori, altri ortaggi) e quindi tali da imporre programmi molto meditati.
La produzione di alimenti ricavati da piante transgeniche, in continua ascesa, riscuote molti entusiasmi ma suscita anche alcune perplessità. Negli USA, delle tre agenzie governative che possono regolamentare in merito, solo la FDA ha sempre sostenuto che i prodotti dell'ingegneria genetica non richiedono alcuna regolamentazione aggiuntiva rispetto agli altri prodotti alimentari o farmaceutici.
Sostengono, invece, la necessità di regolamentare la coltivazione delle nuove piante ottenute con le tecniche di DNA ricombinante sia l'USDA (United States Department of Agriculture) sia l'EPA (Environmental Protection Agency), che hanno assunto un atteggiamento di cautela perché non escludono la possibilità che le piante transgeniche possano rivelare proprietà non prevedibili (per es., azione allergizzante). Si tratta, però, di controversie dai toni piuttosto sfumati, la cui soluzione richiede ulteriori sperimentazioni e conoscenze.
bibliografia
Food safety and foodborne diseases, in World health statistics quarterly, 1997, 1-2.
SINU (Società Italiana di Nutrizione Umana), Livelli di assunzione raccomandati di energia e nutrienti per la popolazione italiana (LARN), Revisione 1996, Roma 1997.
FAO/IAEA/WHOStudy group in high dose irradiation, Food safety, in Weekly epidemiological record, Geneva, 18 genn. 1998, pp. 9-11.
Storia d'Italia, Annali, 13, L'alimentazione nella storia dell'Italia contemporanea, a cura di A. Capatti, A. De Bernardi, A. Varni, Torino 1998.
Disturbi del comportamento alimentare
di Gabriella Ripa di Meana, Massimo Cuzzolaro
La specie umana ha sviluppato attraverso migliaia di secoli meccanismi biologici e schemi di comportamento adatti a fronteggiare la penuria di risorse alimentari. Solo da pochi decenni e solo in alcune regioni della Terra si confronta, impreparata, con la sovrabbondanza di cibo. Su questo sfondo si inscrive il grande aumento di anoressia, bulimia e obesità nella seconda metà del Novecento.
Definizioni
Nelle classificazioni psichiatriche correnti (World Health Organization 1993; American Psychiatric Association 1994), la rubrica disturbi dell'a. o del comportamento alimentare (eating disorders) comprende l'anoressia nervosa, la bulimia nervosa e i disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati (anoressie e bulimie parziali, incomplete, quadri clinici in cui sono presenti quasi tutti ma non tutti i sintomi che la comunità scientifica ha convenuto di ritenere necessari per la diagnosi medica di anoressia o di bulimia). Fra questi ultimi, il disturbo di a. incontrollata (binge eating disorder) ha suscitato nell'ultimo decennio un interesse crescente per i suoi legami, importanti, con l'obesità (Spitzer, Devlin, Walsh et al. 1992; v. obesità, App. V).
Anoressia nervosa e bulimia nervosa sono due sindromi che la nosografia psichiatrica più recente (Russell 1979) tiene distinte: i criteri diagnostici sono tali che la diagnosi di stato può essere solo l'una o l'altra. Anoressia e bulimia condividono però molti caratteri ed è frequente che la stessa persona passi, in momenti diversi della vita, dall'uno all'altro disturbo (Bulimia nervosa 1990; Jeammet, Agman, Corcos 1994; Samuel-Lajeunesse, Foulon 1994; Cuzzolaro 1997).
Anoressie e bulimie. - La sistematica clinica definisce le costellazioni di sintomi che devono essere presenti per poter effettuare una diagnosi. La diagnosi psichiatrica è formulata, per lo più, su base descrittiva, sindromica, e non eziologica (come accade, per es., per le malattie infettive), né morfologica (come accade, per es., per i tumori) o biochimica (come accade, per es., per le malattie endocrine e metaboliche). Anche la diagnosi dei disturbi del comportamento alimentare è fondata sulla ricognizione descrittiva di alcuni specifici raggruppamenti di sintomi.
I criteri diagnostici per l'anoressia e la bulimia sono stati modificati più volte nel corso degli ultimi trent'anni. Le tabb. 2 e 3 riportano, in sintesi, i criteri della 4ª edizione del Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-IV, 1994). Sono i criteri che hanno raccolto il consenso più ampio.
In sintesi, tre caratteristiche sono indispensabili per porre la diagnosi psichiatrica di anoressia nervosa: la paura morbosa di aumentare di peso, la perdita di peso e l'amenorrea. E tre sintomi sono necessari per quella di bulimia nervosa: la fobia di aumentare di peso, le abbuffate compulsive e i comportamenti impropri di compenso. La paura morbosa di ingrassare è il sintomo comune, essenziale per la diagnosi, condiviso dalle due sindromi.
Nell'anoressia nervosa il peso viene mantenuto a livelli più bassi che nella bulimia nervosa con un Indice di massa corporea di solito 〈17,5 kg/m². L'Indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI) si calcola dividendo il peso in chilogrammi per l'altezza in metri elevata al quadrato (BMI=kg/m²). Si considerano valori normali negli adulti quelli compresi tra 19 e 24.
La diagnosi differenziale fra anoressia nervosa di tipo bulimico e bulimia nervosa è fondata sui criteri amenorrea e peso: nell'anoressia le mestruazioni mancano da almeno tre mesi o non sono mai comparse (anoressia nervosa prepuberale o premenarcale) e il peso è gravemente inferiore a quello atteso.
L'anoressia nervosa maschile (Males with eating disorders 1990), che presenta anch'essa una variante bulimica, è molto più rara di quella femminile (1:10). Le caratteristiche cliniche sono simili e i criteri diagnostici sono gli stessi: l'amenorrea è sostituita dalla perdita della libido e dell'attività eiaculatoria. Secondo alcuni studiosi il bisogno coatto ed eccessivo di esercizio muscolare (palestra, corsa ecc.) in adolescenti e giovani deve essere interpretato come un equivalente dell'anoressia nervosa. In effetti, questo sintomo fa parte spesso di un quadro anoressico, ma da solo non giustifica l'equivalenza.
Abbuffata compulsiva e disturbo di alimentazione incontrollata. - L'espressione inglese binge eating è stata introdotta da A.J. Stunkard circa mezzo secolo fa (1959) per definire un sintomo: le crisi di ingordigia in cui si mangia moltissimo con un sentimento di perdita di controllo. È usata oggi in medicina e in psichiatria sia per indicare quel sintomo che per comporre il nome di una sindrome, il binge eating disorder (disturbo di a. incontrollata; Binge eating 1993). In questa sindrome sono presenti le crisi di ingordigia compulsiva, di bramosia irresistibile per il cibo, ma non i comportamenti di compenso della bulimia nervosa. La conseguenza è che, mentre nella bulimia nervosa il peso corporeo è normale o inferiore alla norma, nel disturbo di a. incontrollata è, in genere, superiore alla norma, nell'area del sovrappeso (BMI>24) o dell'obesità (BMI>30). Tale sindrome è stata accolta nel DSM-IV come possibile nuova categoria diagnostica. I criteri di definizione sono riportati, in sintesi, nella tab. 4.
È probabile che la bulimia nervosa senza condotte di svuotamento e il disturbo di a. incontrollata siano quadri clinici vicini fra loro e che altrettanto lo siano l'anoressia nervosa e la bulimia con condotte di svuotamento. Le future classificazioni rifletteranno i risultati degli studi su questa ipotesi.
Sul piano psicopatologico, gli obesi con disturbo di a. incontrollata presentano, forse, rispetto agli altri obesi, un'incidenza più alta di episodi depressivi, attacchi di panico, disturbi isterici, disturbi di personalità. Vari studi sul disturbo di a. incontrollata hanno concentrato la loro attenzione su due possibili fattori di rischio: la restrizione dietetica (circolo vizioso restrizione-disinibizione) e l'abitudine a reagire alle emozioni mangiando (emotional eating).
Pica, mericismo, obesità. - Pica e mericismo sono disturbi del comportamento alimentare che insorgono, per lo più, durante l'infanzia e la prima fanciullezza.
Il termine pica (dal latino pica, gazza, per l'abitudine che hanno questi uccelli di ingoiare tutto ciò che trovano) designa la tendenza compulsiva a mangiare materiali non commestibili. Fra gli adulti, soprattutto lungodegenti dei vecchi ospedali psichiatrici, è una condotta associata a psicosi croniche e a gravi ritardi mentali. Con la parola mericismo si indica l'abitudine al rigurgito volontario, lento, di cibo che viene riportato dallo stomaco nella bocca, masticato, assaporato e deglutito di nuovo. È una ruminazione. Per quanto riguarda gli adulti, anche questa è una condotta osservata in pazienti molto regrediti, affetti da psicosi croniche e da gravi ritardi mentali. Il mericismo può essere presente, anche se di rado, in casi di anoressia nervosa e di bulimia nervosa. A dispetto delle radici etimologiche del termine (dal latino ob-edere: mangiare troppo), l'obesità non figura, finora, tra i disturbi del comportamento alimentare né figura altrove nelle classificazioni psichiatriche. È una condizione somatica definita su base morfologica (eccesso di massa grassa) e non è dimostrato che sia associata abitualmente a particolari disturbi psichiatrici o a specifici profili patologici di personalità. Un certo numero di persone obese (forse il 20÷30%), soprattutto quelle che si sono sottoposte a diete drastiche ripetute, presenta, però, un disturbo di a. incontrollata. Il trattamento dell'obesità, inoltre, si basa tuttora sulla ricerca di una modificazione stabile dello stile di vita, in particolare del comportamento alimentare e dell'attività fisica: in altre parole, su cambiamenti psicologici. È per queste ragioni che negli ultimi anni è diventata sempre più forte la tendenza a collegare gli studi sull'obesità a quelli sulla psicologia e sulla psicopatologia dell'a. creando gruppi multidisciplinari di lavoro, teorico e clinico, nel campo (Bruch 1973; Eating and its disorders 1984; Advancements in diagnosis 1994; Eating disorders and obesity 1995; Handbook of assessment methods for eating behaviors 1995).
Lo spettro del comportamento alimentare. - I comportamenti alimentari umani e quelli di un singolo individuo in epoche diverse della vita si distribuiscono lungo un continuum. È frequente che uno stesso paziente entri ed esca tra varie categorie diagnostiche: molte anoressie evolvono in senso bulimico (più della metà); molti soggetti affetti da bulimia hanno sofferto in precedenza di un disturbo anoressico, conclamato o, più spesso, parziale, breve, passato magari inosservato; in altri casi ancora si alternano nel tempo fasi anoressiche e fasi bulimiche. Comportamenti anoressici e bulimici si combinano fra loro e succedono gli uni agli altri sia perché in entrambi la costruzione del sintomo passa attraverso il codice alimentare, sia perché si instaura un circolo vizioso: restrizione prolungata dell'introito calorico → perdita di controllo sull'alimentazione → senso di colpa e allarme → restrizione dell'introito calorico.
Le diete drastiche, soprattutto se protratte e ripetute, producono due conseguenze: alterano il metabolismo con diminuzione del dispendio energetico di base e maggiore tendenza a ingrassare, e inducono disturbi del comportamento alimentare, in particolare in senso bulimico: la restrizione favorisce la disinibizione, cioè la perdita di controllo (Anderson, Kennedy 1992; Principles and practice of relapse prevention 1992). Per queste ragioni nell'obesità è cosí difficile mantenere nel tempo le perdite di peso conseguite. E fra gli obesi sono soprattutto quelli che hanno fatto molte diete a sviluppare un disturbo da a. incontrollata. L'abuso di diete restrittive è tra i fattori responsabili dell'insorgenza di comportamenti alimentari abnormi, e la diffusione delle diete estetiche è una delle cause del grande aumento dei disturbi del comportamento alimentare.
Epidemiologia
Nel loro insieme i disturbi del comportamento alimentare rappresentano un problema grave e diffuso soprattutto tra le adolescenti e le giovani donne. Nei paesi occidentali industrializzati, compresa l'Italia (Vetrone, Cuzzolaro, Antonozzi 1997), ogni 100 ragazze in età di rischio (12-25 anni) 8÷10 soffrono di qualche disturbo del comportamento alimentare: 1÷2 nelle forme più gravi (anoressia e bulimia), le altre nelle forme più lievi, spesso transitorie, di disturbi parziali, subliminali. Tra le giovani donne la prevalenza della bulimia (1%) è maggiore di quella dell'anoressia (0,3÷0,5%). Anoressia e bulimia colpiscono soprattutto le donne (90÷95% dei casi: Orbach 1993; Feminist perspectives on eating disorders 1994).
L'anoressia nervosa colpiva, in passato, le classi sociali medio-alte. Negli ultimi due decenni tutti i disturbi del comportamento alimentare si sono equamente diffusi nei vari strati sociali. L'età di esordio cade, per lo più, fra i 10 e i 30 anni; l'età media di insorgenza è 17 anni. Sono descritte forme, non rare, prepuberali e premenarcali (Childhood onset anorexia nervosa 1994), cosí come forme tardive, anche successive alla menopausa. In questi ultimi casi, la diagnosi differenziale deve prestare attenzione a disturbi depressivi mascherati e ricercare precedenti episodi anoressici rispetto ai quali quello attuale può essere una lontana recidiva. L'anoressia maschile non presenta differenze sostanziali, sul piano epidemiologico, rispetto a quella femminile. Anche tra i maschi l'incidenza e la prevalenza dell'anoressia sembrano in aumento negli ultimi decenni, ma forse non nella stessa proporzione del sesso femminile.
La bulimia nervosa è una sindrome di definizione recente e pertanto i confronti con un passato lontano non sono possibili. Negli ultimi venti anni è stata comunque segnalata una sua diffusione dilagante. Il dato è connesso alla maggiore conoscenza di questa nuova sindrome fra i medici e nella popolazione in generale, oltre che, come per l'anoressia nervosa, alle influenze patoplastiche di fattori storici, sociali e culturali nella scelta del sintomo (sovrabbondanza di cibo, culto della magrezza, nuovi ruoli sociali della donna ecc.).
È stata individuata una rapida sequenza di cambiamenti nella frequenza relativa delle varie forme psicopatologiche: negli anni Sessanta i quadri clinici più comuni erano le anoressie restrittive, nei decenni successivi sono diventate sempre più frequenti le forme bulimiche.
Paesi ricchi e paesi poveri
Anoressia e bulimia sono sindromi legate alla cultura, specifiche cioè di alcuni paesi e di certe culture e assenti in altri. È un dato importante per la comprensione del peso dei fattori sociali e culturali nella loro patogenesi.
Anoressia e bulimia sono disturbi frequenti nei paesi occidentali industrializzati, in Australia e Nuova Zelanda, in Sudafrica, in Giappone; sono assenti o molto rare nei paesi poveri dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina. Esse appaiono legate a valori e conflitti specifici della cultura occidentale, connessi, in particolare, alla costruzione dell'identità femminile e al ruolo familiare e sociale della donna. La loro diffusione in paesi dell'Est europeo, del Terzo Mondo e fra gli immigrati da nazioni povere verso nazioni ricche appare correlata al miglioramento delle condizioni economiche e, ancora di più, ai processi di occidentalizzazione culturale.
Passato e presente
Nella mitologia, nell'arte e nelle pratiche sociali, l'eccesso, l'orgia alimentare e il digiuno, non quello obbligato dalla carestia ma quello autoimposto, hanno sempre occupato spazi importanti (Fischler 1990; Flandrin, Montanari 1997). La medicina, attenta fin dalle origini alla dieta e agli effetti buoni e cattivi dei regimi alimentari, si è interessata alla psicopatologia dell'a. anche in epoche remote.
L'anoressia nervosa, presente nel Medioevo nella forma di digiuni ascetici (Bell 1985) perseguiti fino alla morte (le vicende di sante come Margherita d'Ungheria o Caterina da Siena sono esemplari), è stata descritta in testi di medicina almeno a partire dalla fine del Seicento, come, per es., nella Opera medica di R. Morton del 1696. In quelle storie antiche è possibile rintracciare tutti i sintomi dei casi attuali, salvo la paura morbosa d'ingrassare e i disturbi dell'immagine del corpo.
Il comportamento bulimico sembra essere un fenomeno moderno. Newsweek proclamò il 1981 The year of the binge-purge syndrome, e la prima descrizione medica di casi di bulimia nervosa è probabilmente il saggio presentato alla Società psicoanalitica tedesca il 12 aprile 1932 da M. Wulff, che descriveva quattro donne nelle quali crisi di ingordigia incontrollabile erano associate ad angosce per l'immagine del proprio corpo.
Le sindromi psichiatriche non sono entità naturali stabili ma quadri mutevoli che risentono dello spirito del tempo (Guillemot, Laxenaire 1993): la pratica del digiuno volontario e la tendenza all'eccesso alimentare incontrollato accompagnano l'uomo fin dalle origini della sua storia, ma solo oggi si associano a preoccupazioni, particolari ed esasperate, per il peso e l'aspetto del corpo (Body images 1990).
I moderni disturbi del comportamento alimentare differiscono da quelli antichi non solo per gli aspetti qualitativi appena segnalati ma anche, sul piano quantitativo, per quell'aumento epidemico della loro incidenza che ha caratterizzato la seconda metà del Novecento: dopo la fine dell'ultimo conflitto mondiale i casi di anoressia e di bulimia sono diventati da rarissimi sempre più frequenti. Le pubblicazioni scientifiche e divulgative dedicate a tali patologie sono state sempre più numerose. Le casistiche sono cresciute ed è anche notevolmente aumentata la massa dei dati elaborabili con metodi statistici, certo al prezzo di un minor approfondimento delle singole storie cliniche: gli studi descrittivi hanno prevalso sulle costruzioni speculative di ipotesi e modelli.
Patologie antiche e postmoderne: interpretazione di un mito classico. - "C'è, nelle estreme contrade della Scizia, un luogo gelato, terreno triste, terra sterile priva di messi, priva di alberi. Abitano lì il pigro Freddo e il Pallore e il Brivido, e la Fame allampanata [...] Ispidi capelli aveva, occhi infossati, viso pallido, labbra sbiancate dalla muffa, fauci irruvidite dalla rogna, pelle incartapecorita sotto la quale si distinguevano in trasparenza i visceri; dalle anche spigolose spuntavano le ossa secche, al posto del ventre c'era lo spazio per il ventre; il torace lo avresti detto sospeso, sorretto soltanto dalla colonna vertebrale; la magrezza faceva risaltare le articolazioni, le rotule delle ginocchia sembravano enfiagioni, i malleoli sporgevano, protuberanze mostruose" (Ovidio, Metamorfosi, viii, 788-808, trad. di P. Benardini Marzolla).
Circa duemila anni fa Ovidio descriveva, senza saperlo, il quadro ambiguo e complesso di una figura antica e contemporanea: la figura - oggi epidemica - dell'anoressia. Il mito racconta che Erisictone di Tessaglia, mal tollerando lo strapotere degli dei, decise un giorno di annientare la grande quercia sacra del bosco di Cerere, dea e madre di fertilità e di abbondanza. L'atto sacrilego scatenò una vendetta violenta e la potente dea aizzò contro lo scellerato un personaggio rapace e arido, pronto a insinuarsi senza pietà: la Fame. Posseduto, Erisictone "quanto più insacca nel ventre, tanto più brama" (ivi, v. 834). La Fame non gli dà tregua e lo divora. Allo stremo, lui comincia a "lacerarsi e strapparsi a morsi i propri arti e a nutrirsi, sventurato, rosicando il proprio corpo" (ivi, vv. 877-78). Dunque, non è più il soggetto a soffrire i morsi della Fame, ma è la Fame a soffrire i morsi del soggetto. E proprio di questo sembra trattarsi nell'anoressia. In particolare nell'anoressia postmoderna, che si dilania tra digiuni e abbuffate compulsive, condannata a espiare il suo insaziabile desiderio di vuoto e di leggerezza. Cerere (in quanto rappresentante di un fecondo, generoso, vendicativo regime materno) ed Erisictone (in quanto portatore di un desiderio di identità, peccaminoso e interdetto) sono le figure archetipiche del grande conflitto inconscio da cui è tormentato il soggetto anoressico fino a morirne. E quell'immagine scheletrica, in cui ha bisogno di riflettersi per sentire un po' di pace, non è che il sembiante mortifero di un abbraccio fatale: "La Fame [...] lo avvinse tra le sue braccia e gli insufflò in corpo se stessa, respirandogli in bocca, in gola, nei polmoni, e spandendogli col fiato uno sfinimento nella cavità delle vene" (ivi, vv. 815-20). È la storia di una penetrazione totale, assoluta, di una immedesimazione erotica che toglie la pace e il sonno. La mancanza divampa e più nulla riesce a sedarla. La Fame si rivela, perciò, una perversa alleata della potenza materna ("La Fame, pur essendo contraria all'operato di Cèrere, eseguì l'ordine" ivi, vv. 814-15): è il suo braccio armato contro i desideri di distinzione, di autonomia e di differenza. Per il soggetto, travolto, non c'è più niente o alcuno che conti. Non c'è che il cibo a cui pensare, salvo evitarlo là dove si trova: "davanti alle tavole imbandite si lagna di essere a digiuno e in mezzo alle vivande chiede vivande" (ivi, vv. 831-32).
Questo accade ancora oggi al soggetto anoressico bulimico: non prova fame, è la Fame. Che mangi e vomiti o si ostini in digiuni implacabili è, sempre e comunque, alle prese con quel tragico amplesso. Come Erisictone che, dilaniandosi a morsi, mostra di essersi trasformato nella Fame di se stesso, altrettanto il soggetto anoressico, replicante postmoderno della mitica Fame, rivolge contro se stesso la propria divorante brama di essere (Ripa di Meana 1998).
Dall'isteria all'anoressia. - Negli anni Sessanta - grazie alle battaglie femministe e alle conquiste antropologiche dei movimenti delle differenze - si è avviato culturalmente e psicologicamente un passaggio sintomatico che, oggi, non è ancora concluso. In epoca prefemminista, una cultura di impianto maschile presumeva di detenere un vero e proprio sapere relativo alla donna e alla sua sessualità, al prezzo di rimuoverne gli aspetti più enigmatici e le peculiarità più sfuggenti. La soggettività femminile, del resto, era un mistero per la donna stessa che - alla costante ricerca di identità e di parola - alimentava di oscuri malanni il proprio corpo. Accadeva così che il sintomo prefemminista della donna, o meglio della posizione femminile, fosse l'isteria. È così che le misteriose ancelle o vestali di fine Ottocento, remote ai loro stessi desideri e alla loro verità, approntavano senza volerlo un sintomo, due, tre, con cui riuscivano a paralizzare la propria vita e quella altrui. E in questo modo producevano, senza saperlo, il sorprendente dilemma della propria identità, provocando, nel monolitismo del sapere virile, una frattura, un insopportabile nonsenso.
Oggi, invece, le ragioni della donna, la sua parola nei vari campi dell'esperienza, si trovano spesso in posizione dominante. Eppure le ragioni femminili, sostenute e razionalizzate dal femminismo, lasciano rimosso proprio il soggetto dell'inconscio, poiché quest'ultimo, in quanto soggetto del desiderio, non vuole né rappresentanti né analogie. Così, nella nostra epoca postfemminista, la domanda 'isterica' d'identità si è trovata oscurata o addirittura negata dall'emergenza anoressica. Espulso, con la sua ombra, dalla coerente chiarezza del discorso ideologico delle differenze, il corpo sessuato si fa oggetto e oggetto alla deriva. In sostanza la ragazza, ma anche il ragazzo, hanno fin troppe risposte oggi al loro dilemma 'isterico': da quelle dei genitori alle informazioni dei media che offrono e dicono di tutto. Si determina così un nuovo ricorso sintomatico quale effetto limite di un circuito di parola pieno, troppo pieno: il ricorso all'anoressia e alla bulimia, in cui un oggetto-corpo scisso dal soggetto che parla domina il campo immaginario e simbolico come se non ci fosse più niente da desiderare (Ripa di Meana 1995).
Corpo indicibile, corpo impossibile. - In conclusione, l'esito postmoderno del legame sociale si riflette in un corpo che è psichicamente un relitto corporeo, inaccessibile al fiume di parole pronunciate per predicarlo, interpretarlo e controllarlo. Si tratta di un 'corpoimmagine', scollato dal soggetto e incline a perdersi. Un corpo, insomma, che diventa immagine alienata ed espropriante. Tale corpo può cristallizzarsi in una sorta di feticcio che resta fuori da ogni possibile articolazione simbolica ed emerge dallo specchio in forma di persecuzione, abbattendosi sul soggetto e togliendogli pace e parola. Il reale del loro corpo di donne diventa un'ossessione per le ragazze di oggi, per altri versi padrone del discorso sessuale dominante. Circondate dal senso, del senso non sanno che farsene, mentre si trovano a doversela cavare con la propria sessualità, oggetto bistrattato e onnipotente. Quindi, mentre il corpo come oggetto di desiderio era l'allusione e l'intollerabile mistero ostentato dall'isterica, ciò che viene incarnato dall'anoressica è un 'corpoimmagine' che non desidera nulla. Tuttavia, di questo 'corpo-da-nulla' l'anoressica pretende un dominio assoluto. Negli ultimi decenni, dunque, l'aporia del soggetto sembra aver cambiato sintomo: rappresentata ieri dal corpo indicibile dell'isterica, si trova oggi alla ribalta di un corpo diventato impossibile, il corpo dell'anoressica.
Angoscia di deformazione del corpo nei moderni disturbi dell'alimentazione. - Nell'ambito delle moderne patologie del comportamento alimentare hanno un'importanza rilevante i disturbi dell'immagine corporea. Il soggetto anoressico bulimico sembra non poter tollerare quella comune lacerazione originaria che sta alla base della costituzione psichica di qualsiasi io cosiddetto normale che, dall'incontro fondante con l'immagine dell'altro, deriva simultaneamente identità e alienazione.
Di questa complessa costruzione immaginaria parlano alcune fra le più significative opere della pittura moderna: i ritratti macellati di Bacon, i laceri sacchi di Burri, le alterazioni e le dislocazioni di Picasso, le spezzature paradossali di Magritte. Il nostro tempo e la ricerca stilistica più temeraria sembrano sapere quanto la deformazione dell'immagine del corpo costituisca una partita aperta nei processi di individuazione che ogni soggetto vive tra sé e la sua ombra, tra il suo mistero e la sua apparenza. Già Michelangelo conosceva la potenza estetica di quanto resta implicito nella materia, intaccando la compiutezza della forma e la sua armonia. Lo sapeva, per es., quando nella Pietà Rondanini esponeva - proprio nell'atto di rappresentare l'amore materno - la deformazione del figlio, laddove la materia non scolpita trattiene e, insieme, fa esplodere l'immagine di un corpo anoressico indimenticabile. Bacon stesso mostra come il destino pulsionale attraversi capillarmente ogni pezzo del nostro corpo senza risparmio, dilatandolo e capovolgendolo nella più sublime delle bestialità possibili che è la carne da macello: carne violenta e violata che mostra in primo piano il passaggio turbinoso di Eros e Thanatos nel comporsi e scomporsi della vita segreta della psiche. Burri non ci risparmia gli sfibramenti della vile iuta, e neppure i crateri erotici della materia bruciata nell'uso, segnalando in tal modo bellezze imprevedibili alla superficie dei materiali di risulta. Questa lunga parentesi, dedicata alla lacerazione dell'io e del soggetto nella pittura e nell'iconografia della nostra era, ci consente di inscrivere il mito scientifico della nascita speculare dell'io nella più vasta ricerca moderna dell'identità.
Qualcosa di diverso accade nella costruzione immaginaria di anoressia e bulimia, dove non c'è spazio né per l'ombra, né per la mancanza, né per le incrinature inferte dalle vicissitudini pulsionali. Padre e madre si sostengono su immagini molto idealizzate e difendono un'immagine di sé compatta e onnipotente. Di conseguenza, il soggetto anoressico è destinato a vivere gli inevitabili conflitti relativi alla propria immagine come un evento psichico deturpante e deludente rispetto agli ideali di armonia e conformità che dominano oscuramente la struttura inconscia dell'identità familiare. È per questo che il messaggio inconsapevole, ma ostinato, dell'anoressia e della bulimia postmoderne sembra articolabile più o meno in questi termini: "C'è una falla nella trama della mia immagine, uno strappo, forse una deformità. Lasciatemeli avere! Lasciate che mi attraversi la brutalità delle cose! Un'immagine di rigida perfezione mi ossessiona e mi danna. È questa a sancire il mio fallimento, la mia devianza tragica che mi impedisce di vivere una devianza felice".
Eziopatogenesi
Fattori individuali, familiari e socioculturali concorrono a determinare l'insorgenza dei disturbi del comportamento alimentare. Non è ancora possibile costruire una teoria sintetica che spieghi i meccanismi eziopatogenetici e che, in particolare, indichi quale specifica interazione di forze sia necessaria e sufficiente. È utile distinguere tra fattori predisponenti a lungo termine, fattori precipitanti e fattori che tendono a perpetuare la sindrome. Un cenno particolare meritano alcuni fattori di natura iatrogena.
Fattori predisponenti a lungo termine. - Un rapido elenco di possibili fattori di rischio comprende: una predisposizione genetica (il tasso di concordanza per le anoressiche gemelle monozigoti è significativamente più elevato di quello calcolato per le gemelle dizigoti), il genere femminile, la giovane età, una storia di sovrappeso e di diete, alcune malattie croniche (per es., diabete mellito, sindrome di Turner), certi tratti di personalità e problemi psicologici (per es., tratti ossessivi, ambizioni esasperate, perfezionismo, scarso controllo degli impulsi, intolleranza delle frustrazioni, particolari difficoltà nel processo di separazione-individuazione, rifiuto del corpo adulto e della sessualità, fissazione all'infanzia e a forme infantili di dipendenza e di controllo).
Una parte importante è svolta dalle caratteristiche di vischiosità e scarsa definizione dei ruoli del gruppo familiare, dall'incapacità di riconoscere e incoraggiare la distinzione, la separazione, l'autonomia. Sono frequenti la soggezione al mito del successo, il bisogno di rispondere sempre alle attese sociali e di eseguire al meglio i compiti richiesti, la dipendenza dal consenso e dall'ammirazione degli altri. Su queste stesse linee interviene il peso dei fattori micro e macrosociali e dei valori culturali: la competitività esasperata di certi ambienti, la richiesta di prestazioni straordinarie, l'esaltazione della magrezza, il mito della bellezza, le sollecitazioni molteplici e contraddittorie alle quali è esposta una giovane donna nell'era postmoderna, variegato collage di nuovo e di antico.
Fattori precipitanti. - Vari eventi della vita possono far precipitare l'inizio della malattia: separazioni e perdite, malattie, alterazioni dell'omeostasi familiare, esperienze sessuali, situazioni minacciose per la stima di sé. Un evento importante è l'esperienza dei cambiamenti puberali vissuta come un trauma e una minaccia al controllo di sé e della propria vita. La pubertà femminile è una vicenda più complessa di quella maschile dal punto di vista dell'elaborazione psichica: rapido aumento del peso corporeo, trasformazioni morfologiche evidenti, menarca, rischio di gravidanza, cambiamento profondo nel modo di essere guardata. Un nucleo psicologico importante è la paura di perdere il controllo e la stima di sé. La reazione difensiva è una concentrazione sul corpo, sul peso e sulla dieta come campo privilegiato nel quale recuperare un sentimento di dominio e di valore. La perdita di peso e la repressione degli impulsi golosi è sentita come un'impresa straordinaria e come un segno fondamentale di autodisciplina. Al contrario, un aumento anche minimo di peso appare come il segnale temibile di una perdita di controllo e di prestigio.
Fattori di autoperpetuazione. - Gli effetti del digiuno e della perdita di peso tendono a mantenere i sintomi, perché accentuano la concentrazione sul cibo, il corpo e il mangiare, aggravano le distorsioni della percezione dell'immagine del corpo e dei segnali interni, scatenano crisi bulimiche che a loro volta aumentano l'ansia e la paura di perdere il controllo e richiedono contromisure difensive come il vomito autoindotto, l'abuso di lassativi e ulteriori restrizioni della dieta. Altri fattori di autoperpetuazione sono i guadagni secondari legati alla malattia: posizione di potere in famiglia, attenzioni particolari, esonero da situazioni sessuali e sociali temute.
Fattori iatrogeni. - Alcuni interventi medici possono favorire lo scatenamento, il mantenimento o l'aggravamento dei disturbi del comportamento alimentare. La prescrizione di diete senza un'adeguata valutazione dei fattori di rischio può avviare l'inizio della malattia. Una gravidanza consentita da trattamenti dell'infertilità può riesacerbare una sindrome anoressica in remissione, anche da anni. Rialimentazioni forzate non contrattate con la paziente, non accompagnate da un efficace supporto psicoterapeutico e tali da provocare un aumento rapido di peso scatenano gravissime ansie, sono seguite da ricadute e, talora, provocano tentativi di suicidio o scompensi psicotici.
Terapia
Anoressie e bulimie possono essere malattie molto gravi, pericolose, difficili da curare. Nella costruzione di una strategia efficace vanno tenuti presenti quattro aspetti importanti: a) La funzione economica del sintomo. È necessario tener conto dei rischi biologici e delle emergenze somatiche create dai sintomi così come della funzione di quei sintomi stessi, costosa difesa di una certa integrità di funzionamento mentale. b) Le interazioni familiari. Una terapia che non coinvolga in qualche forma e in qualche fase i genitori ha poche probabilità di successo, soprattutto se la paziente è giovanissima; una terapia che manchi di riconoscere profondamente l'identità individuale del soggetto e il suo bisogno di separazione e distinzione non ne ha nessuna (Selvini Palazzoli 1981). c) Il transfert. L'investimento emotivo sul terapeuta è sospeso fra un eccesso divorante, insaziabile, e il rifiuto. L'uso mirato della frustrazione, la ricostruzione sistematica delle regole terapeutiche, la gestione calda e ferma della distanza sono presupposti indispensabili in ogni approccio e in ogni contesto di cura. d) La collaborazione di specialisti diversi. I disturbi del comportamento alimentare sono le malattie mentali che coinvolgono e sconvolgono più profondamente il corpo e la sua biologia. Nel corso del tempo, processi psichici e somatici interagiscono fra loro e contribuiscono a determinare, mantenere e complicare i quadri clinici. Il disturbo di base è psicopatologico. Quindi, la cura a lungo termine compete a psichiatri, psicoanalisti e psicoterapeuti. Ma in varie circostanze, a volte d'emergenza, è necessario l'intervento breve di altri specialisti: nutrizionisti, internisti, ginecologi, endocrinologi, odontoiatri. È necessario imparare a collaborare riconoscendo e rispettando le diverse aree di competenza.
La domanda di cura. - Una giovane fanciulla comincia a fare una dieta come per gioco, più o meno vagamente preoccupata del proprio peso e di un certo appesantimento della sua immagine. La dieta in poco tempo assume un andamento compulsivo. Non si può più fermare. La ragazza diventa sempre più magra fino a prendere un aspetto spettrale. Crede di dominare il campo, ricusando ogni tipo di nutrimento, ma in verità è proprio lei a essere dominata da una sorta di volontà titanica che le dà l'illusione di tenere tutti in pugno. Non chiede di essere curata, perché quando la dieta non ha cedimenti lei si sente bene, leggera appena quanto basta per tollerare la propria immagine allo specchio e il sentimento devastante del proprio corpo. Dunque, lei non chiede nulla, perché la sua domanda è tutta là, clamorosa e potente, in quella implacabile rinuncia a nutrirsi. Ma che cosa è, verosimilmente, accaduto? Che questa giovane ragazza - per la sua singolare storia e per il peculiare scenario dei suoi fantasmi inconsci, arrivata a uno dei primi snodi della sua crescita - abbia avuto un crollo davanti alle pretese inconsce dei suoi desideri e ai soprassalti o ai tormenti del suo io, una volta alle prese con l'individuazione e la sessualità. In che cosa può consistere, dal punto di vista psichico, questo crollo? Nell'esplosione e, al tempo stesso, nell'oppressione segreta di una domanda: una domanda paradossale di abnormità, di devianza, di alterità. Infatti: finora la nostra ragazza è stata per lo più nutrita di protezione e di amore, messa al riparo da turbamenti e desideri e soprattutto alimentata nella pratica della 'medesimezza' e dell'identità. In conclusione: finora non è stata mai posta nelle condizioni di barcamenarsi nel territorio psichico della mancanza, qualunque sia stata la sua storia è andata nel senso della colmazione e della ridondanza. Le arriva da tutte le parti la domanda imperiosa di essere normale e di neutralizzare, in tutti i modi, il disagio della civiltà. Così, assoggettata a tutto questo, diventa l'oscura, inconsapevole latrice di un messaggio ribelle: quello di rifiutare il cibo per dire no alla domanda dell'Altro e sì alla sua domanda abnorme, deviante, alla sua domanda di vuoto e di leggerezza estrema.
Ma che cos'è questo vuoto cui l'anoressica bulimica si immola? All'apparenza è il vuoto materialmente scavato nel corpo, quasi fino a bucarlo, il corpo. Ma in verità, il vuoto al quale inconsciamente aspira è il vuoto necessario alla sua esistenza psichica di soggetto, è tensione del non finito attraverso cui sganciarsi dal mito materno dell'Origine che - nella compattezza di ciò che è concluso, perfetto, o meglio ancora compiuto - imprigiona.
L'anoressica ha bisogno del vuoto più che del pane, poiché nulla potrebbe nutrirla prima che in lei si sia fatto lo spazio simbolico necessario all'assunzione del cibo che le viene dal mondo. Punta, dunque, con tutta se stessa alla creazione del vuoto attorno al quale riuscire a vivere e a desiderare. In tal modo si è imperiosamente attestata in lei una certezza delirante: che, se non mangerà più il cibo reale, potrà scavare quel vuoto che le manca, ovvero potrà sentirsi addosso quella sensazione di vuoto a partire dalla quale, soltanto, si sentirà in grado di entrare in contatto con gli altri e di tollerare se stessa. E allora contrappone all'esperienza comune e condivisa del corpo femminile una certezza incontrovertibile relativa ai pieni e ai vuoti del proprio corpo. Non c'è rassicurazione o competenza capaci di incrinare la sua marmorea convinzione: che agli svuotamenti del vomito e ai digiuni sia affidato lo stato ideale della sua forma e del sentimento del proprio corpo. Vorrebbe provare inappetenza, invece è consumata dalla fame. Vorrebbe abolire il bisogno, per riuscire a domandare qualcosa di 'inconcreto'. Vorrebbe sentire il languore che spinge verso l'oggetto perduto: invece, famelica, cerca e trova in ogni angolo, in ogni vetrina, ovunque, quell'assurdo simulacro alimentare dell'Oggetto Materno: angosciosa presenza e intrusiva ubiquità (Ripa di Meana 1992). Ecco che l'anoressia diventa l'espediente, tragicamente diffuso, con cui molti giovani esigono di avere fame e di patire i morsi della mancanza. Chiedono di aspirare all'oggetto, senza che sia lì a disposizione per farsi divorare. Ecco, allora, che oggi - di fronte ai primi segnali della sessualità e del desiderio, dove il viaggio si fa in solitario alla ricerca di non si sa chi e non si sa che - quella ragazza fa vibrare la sua incomprensibile domanda sotto le spoglie di un sintomo alieno ai suoi interlocutori e al suo contesto. Insomma la ragazza per la prima volta ostenta una sorta di domanda di in-curia: proprio di quell'incuria che è l'unica forma di cura che non ha avuto mai. Chiuso nel suo sintomo, infatti, c'è l'anelito a uno spazio di ascolto che non dia cibo o alimento, ma stimoli l'appetito, la fame; di uno spazio in cui venga nutrita la sua dimensione enigmatica di soggetto e sia riconosciuto al desiderio di vuoto lo statuto di una domanda e di un transfert.
Ricoveri. - In condizioni di emaciazione molto gravi, gli effetti di qualunque psicoterapia possono essere annullati dai fenomeni di autoperpetuazione della sindrome legati alla denutrizione. È opinione largamente condivisa che, mentre i casi meno gravi possono essere trattati subito ambulatoriamente, quelli più gravi devono essere inizialmente ricoverati. L'ambiente ideale per il ricovero è un piccolo reparto specializzato. Può essere sufficiente un ricovero parziale, diurno (day-hospital). Le condizioni che, da sole o combinate, possono rendere indispensabile un ricovero sono le seguenti: perdita di peso >40% (più temibile se si è verificata in poco tempo) e rifiuto assoluto di alimentarsi; squilibri elettrolitici (ipopotassiemia); disturbi psichici gravi e alto rischio di suicidio; necessità di una separazione dalla famiglia per interazioni patologiche non controllabili.
Senza un certo recupero del peso il trattamento psicoterapeutico di un'anoressica grave è spesso destinato al fallimento, ma è altrettanto vero che ricovero e rialimentazione possono essere accettati solo all'interno di una relazione psicologica di fiducia. Impresa difficile perché la maggior parte delle anoressiche nega la malattia o riconosce come patologici solo alcuni sintomi (per es., le crisi bulimiche ma non la ricerca di magrezza). È importante stabilire un rapporto di collaborazione con la famiglia. Un ricovero coatto è molto raro e non auspicabile. Nel corso della degenza, la rialimentazione deve essere effettuata evitando metodi coercitivi e umilianti e pericolose reintegrazioni massive. L'informazione e semplici tecniche comportamentali, affidate a dietisti e infermieri specializzati, sono di grande aiuto. Già durante il ricovero, è bene avviare o almeno prevedere un trattamento psicoanalitico o psicoterapeutico sistematico a lungo termine, da proseguire dopo la dimissione. Sono utilizzate tecniche, individuali, familiari e di gruppo, da sole o associate.
Psicofarmaci. - Non esistono finora farmaci che abbiano un'indicazione specifica per queste patologie né un'efficacia a lungo termine dimostrata sperimentalmente. L'impiego di antidepressivi nell'anoressia deve essere limitato ai casi in cui coesistano disturbi depressivi e ossessivi, soprattutto quando persistano o si accentuino dopo il recupero del peso. Nel corso dell'ultimo decennio si sono moltiplicate le ricerche sul trattamento delle crisi bulimiche con vari farmaci, soprattutto antidepressivi. I tentativi sono stati ispirati da criteri empirici, psicopatologici (rapporti fra bulimia e disturbi depressivi) e neurochimici (indagini sui sistemi neurotrasmettitoriali, in particolare sulla serotonina). Il blocco dei recettori serotoninergici (con farmaci antagonisti) può produrre aumenti ponderali; la stimolazione degli stessi (con farmaci agonisti) può ridurre gli attacchi di voracità compulsiva.
Allo stato attuale, è possibile trarre alcune conclusioni generali: molti farmaci dotati di proprietà antidepressive hanno efficacia antibulimica; la fluoxetina è particolarmente efficace e maneggevole; gli effetti antibulimici degli antidepressivi si manifestano indipendentemente dalla coesistenza di uno stato depressivo e dal suo miglioramento; nessuno studio controllato ha dimostrato, finora, che l'effetto antibulimico dei farmaci si mantiene nel tempo e dopo la sospensione della terapia né che gli effetti si estendono molto al di là del beneficio sintomatico.
Psicoanalisi e psicoterapie. - Il trattamento di scelta dei disturbi del comportamento alimentare è psicologico. I trattamenti psicoanalitici o psicoterapeutici, spesso protratti per anni, anche dieci e più, costituiscono, tuttora, lo strumento più utile di intervento (American Psychiatric Association 1993; Handbook of treatment for eating disorders 1997²).
La psicoanalisi si è occupata di anoressia fin dalle sue origini e per oltre vent'anni, dagli anni Cinquanta ai Settanta, ha rappresentato l'approccio egemone a questa sindrome. Modelli teorici diversi si sono succeduti e variamente integrati nel tempo: modello del conflitto pulsioni-difese, psicologia dell'Io, teoria delle relazioni oggettuali, teoria dell'inconscio come linguaggio, psicologia del Sé (v. io/sé, in questa Appendice). L'indirizzo cognitivo-comportamentale e quello familiare-sistemico hanno dato altri contributi fondamentali alla comprensione e al trattamento dei disturbi del comportamento alimentare. Mancano ancora studi sufficientemente estesi e rigorosi che confrontino i risultati conseguiti con tecniche psicoterapeutiche diverse e con combinazioni di trattamenti.
Un'indicazione generale può essere la seguente: le terapie relazionali-sistemiche (della famiglia) sono forse il trattamento più efficace per le pazienti più giovani, fino ai 16 anni; in fasce di età successive sembrano preferibili trattamenti individuali. Anche quando si applica un trattamento individuale è spesso utile e talvolta indispensabile una consulenza psicologica, se non una terapia formalizzata, dei genitori o del partner. Una forma particolare di intervento che si è diffusa negli ultimi vent'anni è rappresentata dai gruppi di auto-aiuto. Il più noto è Overeaters anonymous, nato sul modello di Alcolisti anonimi.
Posizioni terapeutiche e possibili fasi del trattamento. - Chiusi nel loro mondo difeso, i soggetti anoressici vivono l'incontro con chi li cura come una minaccia analoga a quella da cui hanno tentato di salvarsi attraverso la strategia sintomatica. Uno stuolo di 'guaritori' guarda all'anoressia e alla bulimia almanaccando teorie del recupero e del superamento. Ma per i soggetti anoressici e bulimici ingrassare è il male. Un evento demoniaco da scongiurare a qualsiasi prezzo. D'altronde, di fronte a un'emaciazione cachettica come potrebbe il 'guaritore' non sperare che il paziente ingrassi? Per l'anoressica ingrassare non equivale ad acquisire un corpo sensuale di donna, per lei una cura che la ingrassi è quell'incontro con l'Altro che le rapina la leggerezza di cui ha bisogno e che il suo realismo colloca illusoriamente nel corpo.
La medicina, le psicoterapie e la psicoanalisi si prendono in carico la domanda del soggetto anoressico ciascuna a suo modo (Contardi 1996). Tuttavia non c'è nulla di scontato in queste differenze che, anzi, per molti motivi si trovano spesso confuse e negate. L'anoressia, per il fatto di porsi al limite tra il somatico e lo psichico, si presta a farsi parassitare dalle confusioni di statuto e di competenza esistenti tra medicina, psicoterapia e psicoanalisi.
Il no al bisogno di cibo (sia in forma di digiuno che di abbuffata e vomito), il no al senso comune e alla norma alimentare, nel discorso medico portano a una diagnosi di anoressia, con il rischio di un consolidamento e, in una certa misura, di un rilancio proprio degli aspetti conformisti della patologia. È quindi indispensabile che il medico tenga ferma la propria posizione etica nella cura, aprendo a un diverso intervento e a un altro discorso. Il che può determinare un vero e proprio passaggio alla cura dell'anoressia come fenomeno psichico. L'etica medica, del resto - come ogni altra etica, sia psicoterapeutica che psicoanalitica - dovrebbe sapersi organizzare intorno al proprio punto di non ritorno, che è, al tempo stesso, quello in cui la tensione epistemologica è massima e l'individuazione dei propri limiti è trasparente.Il discorso medico è destinato a 'errare' tra le congetture della diagnosi, nonostante gli auspici del sapere scientifico, favorendo così il transfert del paziente a un altro discorso terapeutico. Riconoscendo il limite del proprio atto inaugura una nuova dimensione di sapere e una psicologia.
Quando qualcuno ascolta il sintomo e ne interpreta il senso tramite un sapere relativo alle dinamiche psichiche, il discorso psicoterapeutico è in atto, comunque si autodefinisca il suo locutore. Favorita in questo passaggio, l'anoressia-bulimia non è più una malattia silenziosa, ma un vero e proprio segno verso il quale si indirizza il sapere per comprendere, decrittare, svelare. Il paziente, che tende ad assumere la posizione passiva di portatore di sintomo, lascia che avvengano svelamenti di senso sul suo mistero soggettivo. Ciononostante, l'enigma racchiuso in lui sfugge alla presa ermeneutica nell'unico modo possibile: perseverando nelle provocazioni e nelle seduzioni del non-senso. L'interrogativo isterico - "Chi sono? Dimmelo Tu!" - domina il soggetto prodotto dalla psicoterapia. E in tal modo la domanda di cura da parte dell'anoressica diventa articolabile fondamentalmente grazie a un rovesciamento. Mentre prima, quel nulla di(r) nulla, quell'oggetto-da-niente viveva sulla rimozione del soggetto, adesso, attraverso l'isteria, riesce a voler conquistare una qualche forma di verità sulla propria identità sessuale e sul desiderio. A questa domanda l'analista non può che offrire il punto-limite del proprio discorso - la sua impotenza a sapere - nonché lo spazio psichico in cui far vivere enunciazione e non-senso. Emerso dalle ceneri, il soggetto diviso si rivolge al discorso analitico cui è affidata un'ulteriore mutazione: da malattia a segno, da segno a linguaggio, da parola a enigma.
Esiti
Il decorso dell'anoressia e della bulimia varia da un episodio singolo, benigno, che si risolve spontaneamente nel corso dell'adolescenza fino all'estremo opposto di una malattia cronica, persistente o ricorrente, con una elevata mortalità (The course of eating disorders 1992). Gli esiti riportati sono molto diversi da studio a studio per differenze nei campioni, nella durata e nel metodo dei controlli catamnestici, nei metri di giudizio di volta in volta impiegati (Canguilhem 1978; Cuzzolaro 1994).
Nella valutazione devono essere prese in considerazione tre dimensioni, ossia quella fisica, quella psichica e quella sociale. L'esperienza clinica suggerisce che il decorso della malattia non è lo stesso ai tre diversi livelli e che altri disturbi psicopatologici tendono a persistere a lungo o a presentarsi ex novo anche dopo la remissione dei sintomi specifici, il miglioramento delle condizioni fisiche e il conseguimento di buoni risultati negli studi e nel lavoro. Non sono poche le ragazze che, dopo aver superato una malattia anoressica o bulimica, sviluppano, a breve o lungo termine, altri sintomi psicopatologici, a volte nella forma di gravi quadri psichiatrici, a volte in quella di manifestazioni più lievi, tratti di personalità, stili di vita. Quanto più lungo è il controllo catamnestico tanto minori sono i risultati favorevoli: non sono infatti in alcun modo attendibili studi di durata inferiore a quattro anni. L'età della morte è relativamente tardiva rispetto a quella di insorgenza. Il suicidio è una causa frequente di morte. In un terzo dei casi, includendo anche i meno gravi, la malattia dura più di 6 anni. Il tasso di ricadute (ritorno dei sintomi dopo una breve remissione) è elevato. Le recidive (ritorno dei sintomi dopo una lunga remissione e interruzione del trattamento) capitano anche a vari anni di distanza. Miglioramenti notevoli e guarigioni possono verificarsi anche dopo molti anni di malattia.
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Consumi alimentari
di Eugenio Cialfa
(v. anche nutrizione, App. V, iii, p. 714 e in questa Appendice)
La conoscenza dei consumi alimentari di una popolazione, o di gruppi di essa, costituisce il presupposto fondamentale per lo studio della situazione nutrizionale di quella popolazione, e quindi dello stato di benessere psicofisico della stessa. Gli obiettivi da perseguire attraverso lo studio dei consumi alimentari sono peraltro diversi. Infatti la conoscenza delle entità di questi consumi, delle loro modificazioni nel tempo, e anche delle differenziazioni territoriali e sociali, è base di riferimento per programmi e decisioni nell'ambito della politica agroalimentare e della politica sanitaria nonché per interventi educativi e di orientamento verso nuovi e migliori modelli di comportamento alimentare.
Per lo studio dei consumi alimentari degli Italiani è ovviamente necessario avvalersi di dati statistici, che pur con tutti i loro limiti ascrivibili a una sostanziale difformità nel reperimento delle informazioni consentono di delineare l'immagine dell'a. nel nostro paese, dei suoi mutamenti, e delle tendenze in atto. Per la lettura e l'interpretazione di questi dati occorre però sempre avere presenti le varie metodologie attraverso le quali sono ottenuti, poiché le stesse possono condurre talora anche a indicazioni difformi.
Le fonti statistiche attuali per lo studio dei consumi alimentari in Italia sono costituite in primo luogo dai Bilanci alimentari nazionali (BAN), calcolati dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Si tratta di un quadro numerico in cui, per i singoli prodotti alimentari di base, sono riportate anno per anno le quantità di produzione, quelle importate ed esportate, le variazioni delle giacenze, gli usi non alimentari, per giungere a definire le disponibilità per il consumo umano che, divise per il numero degli abitanti, ci danno i consumi pro capite.
Altra importante fonte statistica è l'Indagine sui consumi delle famiglie (ICF) che lo stesso ISTAT conduce annualmente su un vasto campione, relativamente agli acquisti di generi alimentari e non, rilevando quantità e spese. Le due indicate fonti forniscono informazioni diverse, parzialmente comparabili fra loro, ma tuttavia consentono di effettuare valutazioni sulle tendenze di base dei consumi, e sono dal punto di vista quantitativo il solo strumento per un monitoraggio continuo dei consumi alimentari in Italia.
La terza fonte di dati è rappresentata dalle Indagini campionarie sui consumi alimentari condotte dall'Istituto nazionale della nutrizione (INN) nel 1980-84 e nel 1994-95 (INN-CA). Queste indagini, svolte con il metodo dell'inventario e della pesata, sono le uniche esperienze di studi quantitativi dei consumi alimentari, a livello nazionale, che offrono un dettaglio di informazioni non ottenibili da altre fonti e soprattutto permettono una valutazione di ordine nutrizionale dei consumi stessi.
Le tre fonti ricordate rappresentano pertanto il presupposto di riferimento per i dati sui consumi alimentari in Italia e per la loro analisi.
Risalendo molto indietro negli anni, e cioè alla fine del 19° sec., nel periodo in cui si avviava l'unità nazionale, il quadro generale dei consumi della nostra popolazione, anche attraverso i pochi dati disponibili, dà l'immagine di una mensa diffusamente molto povera e spesso, in vaste zone d'Italia, al di sotto dei livelli minimi di sussistenza. Con il trascorrere dei decenni, la situazione alimentare si evolve in senso positivo con progressi rispetto alla fine del secolo scorso. Si tratta sempre di una razione media molto povera specie di alimenti di origine animale, ma senza più quegli aspetti di fame per larghi strati della popolazione. Migliorano infatti le condizioni alimentari delle popolazioni urbane e della classe operaia, mentre rimane spesso carente l'a. delle classi contadine, specie meridionali. Questo processo continua fino alle soglie della Seconda guerra mondiale.
I grandi cambiamenti, sul piano quantitativo e qualitativo, nei consumi alimentari degli italiani si realizzano a partire dalla prima metà degli anni Cinquanta, quando cioè, con la ricostruzione, la crescita industriale ed economica del paese porta un sensibile aumento del reddito pro capite, una forte urbanizzazione e una sempre più vasta offerta di prodotti agro-alimentari. Si realizza così, nell'a. degli italiani, quel salto qualitativo e quantitativo che in altri paesi occidentali, con l'avvento della rivoluzione industriale, si era realizzato alcuni decenni prima.
Dai dati di disponibilità di consumo forniti dai bilanci alimentari nazionali dell'ISTAT (tab. 5) risulta che dal 1950 fino al 1970 il consumo di frumento nel nostro paese è in genere aumentato, mentre il consumo dei cereali minori progressivamente diminuiva. A partire dal 1950, dunque, il consumo crescente e più diffuso di pane e pasta ha sostituito quello degli altri cereali. Poi, dalla metà degli anni Settanta, anche il consumo di frumento comincia a diminuire. Riguardo agli ortaggi, vi è un gruppo di prodotti (patate, legumi freschi, cavoli e cavolfiori) il cui consumo, dopo una prima fase di incremento, mostra una tendenza a diminuire, mentre per tutti gli altri ortaggi continua l'andamento crescente. Anche nel consumo della frutta vi è un andamento differenziato: gli Italiani hanno consumato per un certo periodo di tempo quantità crescenti di mele, pere, pesche, uva e anche di fichi, nespole, albicocche, ma negli anni Ottanta questi consumi si sono stabilizzati per poi aumentare negli anni Novanta. Per l'altra frutta, specie per gli agrumi in genere e per la frutta esotica di importazione e non, continua l'espansione dei consumi.
Per quanto concerne i prodotti di origine animale, il cui consumo è aumentato molto più di quanto non sia avvenuto per i prodotti di origine vegetale, è interessante sottolineare le diverse dinamiche di aumento, anche per individuarne le tendenze future. Fra le carni, infatti, si è avuta una crescita molto superiore, rispetto ad altri tipi, delle carni cosiddette alternative (maiale, pollo, coniglio), il cui consumo, agli inizi degli anni Ottanta, è risultato circa sei volte superiore a quello degli anni Cinquanta. Il consumo di carne bovina, che pure è costantemente cresciuto fino a metà degli anni Settanta, si è successivamente stabilizzato. Ciò è dipeso tanto dall'andamento dei prezzi quanto dalle maggiori cognizioni dei consumatori sull'equivalenza, dal punto di vista nutritivo, delle varie carni. I consumi di altre carni, come quella ovina, caprina e anche equina, sono rimasti a livelli modesti.
Il consumo di pesce in totale cresce in misura moderata, specie per quei tipi (pesce azzurro) che sono abbondantemente presenti nei nostri mari. Aumenta leggermente il consumo di pesce fresco, anche grazie allo sviluppo della tecnologia del freddo che consente di avere prodotti conservati come freschi. Si mantiene invece su basse percentuali il consumo di pesce secco e conservato (baccalà, stoccafisso, pesce sott'olio, inscatolato ecc.), probabilmente anche a causa del prezzo crescente di questi prodotti.
Lo sviluppo tecnico-produttivo del settore lattiero-caseario ha reso possibile un sensibile incremento del consumo dei relativi prodotti. L'introduzione del latte a lunga conservazione e i nuovi metodi di confezione del latte in contenitori hanno fatto sì che il suo consumo si diffondesse, specie nelle zone del Mezzogiorno dove prima era difficile avere a disposizione latte fresco per tutto l'anno. Anche riguardo ai formaggi, lo sviluppo della produzione ne ha fatto raddoppiare il consumo medio per abitante dagli anni Cinquanta agli Ottanta.
Il consumo dei grassi da condimento è in espansione per tutti i prodotti. È però quello dell'olio di semi che, unitamente alla margarina, è maggiormente cresciuto, passando da 1,4 kg annui (tab. 5) a oltre 10 kg annui pro capite nel periodo considerato. Anche il consumo di olio di oliva, tipico prodotto della nostra agricoltura meridionale, è aumentato, sebbene in misura inferiore a quanto è accaduto per l'olio di semi. Il consumo di burro, come quello di lardo e strutto, pur aumentando sensibilmente dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, rimane sempre moderato in confronto ad altri paesi occidentali (tab. 5).
In merito all'andamento del consumo di bevande, si hanno situazioni diverse. Il consumo di vino, anche questo caratteristico delle abitudini alimentari italiane, è andato costantemente aumentando dal 1950 fino all'inizio degli anni Settanta; poi ha cominciato a diminuire. Parallelamente è cresciuto il consumo dei superalcolici, della birra e soprattutto delle bevande analcoliche.
In termini di macronutrienti energetici, la razione complessiva, espressa in calorie, già negli anni Sessanta supera le raccomandazioni. Da tale periodo, inoltre, inizia la crescita del consumo di lipidi e la contrazione di quello di carboidrati, specie complessi.
Negli ultimi 10-15 anni si sono verificati nel modello alimentare italiano - quale risulta dai bilanci di disponibilità - ulteriori mutamenti nei consumi dei vari gruppi di alimenti, molto spesso di segno e di intensità diversi.
Con l'inizio degli anni Ottanta, le tendenze di sviluppo per i singoli gruppi di alimenti si diversificano ulteriormente. Si contraggono i consumi del frumento, dello zucchero e del vino; gli altri consumi, con alcune eccezioni, rallentano i ritmi di crescita, specie nella seconda metà degli anni Ottanta. Ponendo a confronto le modificazioni relative fra i periodi 1981-85 e 1991-95 (tab. 5) si notano chiaramente le suddette contrazioni di consumo proprio per quanto riguarda il frumento, la frutta secca, lo zucchero e il vino, ma anche per il latte e il burro, prodotti, questi ultimi, il cui consumo in precedenza aveva sempre avuto un andamento crescente. Aumentano peraltro leggermente le disponibilità di consumo di ortaggi, di pollame, di uova, mentre incrementi percentuali più sensibili, secondo tali dati, si hanno per il riso, la frutta fresca (specie frutta esotica e agrumi), la carne suina, le carni minori, il pesce sia fresco che conservato, gli oli di semi.
Lo sviluppo dei consumi alimentari in termini quantitativi ha, ovviamente, una corrispondenza nell'andamento degli stessi in termini monetari. La spesa complessiva per l'a. raggiunge nel 1995 i 195.000 miliardi, un ordine di grandezza imponente che coinvolge ovviamente interessi molteplici che non sono ininfluenti sul comportamento dei consumatori. Nell'arco degli ultimi 15 anni, però, tale spesa in termini pro capite passa da una media di 3.500.000 lire (lire 1995) dell'inizio degli anni Ottanta, a 3.256.000 lire del periodo 1993-95, una tendenza in diminuzione che segnala nuovi indirizzi nelle scelte dei consumatori.
Sempre dagli anni Ottanta ai Novanta, la percentuale della spesa per consumi alimentari, rispetto a quella per consumi totali, diminuisce ulteriormente per toccare circa il 18% nel 1991. Si viene così a verificare quanto puntualmente avviene nelle società in cui il reddito pro capite aumenta. Anche la struttura percentuale della spesa, all'interno del comparto alimentare, subisce ulteriori trasformazioni. Infatti la spesa per pane e altri derivati dei cereali sale dal 12% al 13% della spesa alimentare complessiva, quella per ortofrutticoli passa dal 22% al 20%, quella per le carni scende dal 38% al 27%, restando comunque la voce di spesa più importante nel comparto alimentare.
I dati monetari indicati sono il risultato congiunto di molti fattori, quali la varietà dei prezzi di offerta dei singoli prodotti e le scelte dei consumatori sempre più diversificate. Tuttavia essi forniscono utili indicazioni sui comportamenti di consumo. Infatti l'aumento in termini di spesa, tra l'inizio e la fine degli anni Ottanta, in contrapposizione a quanto avveniva per gli stessi consumi in termini quantitativi, segnala un maggior consumo di prodotti alimentari più pregiati, maggiori quote di sprechi a livello domestico, e via dicendo. Per contro la ricordata diminuzione della spesa pro capite negli anni più recenti, in un contesto di difficoltà economica per larghe fasce di popolazione, evidenzia l'interesse dei consumatori per alimenti di minor pregio e anche talune contrazioni nelle quantità di consumo.
I dati utilizzati per l'esame dei consumi alimentari sono, come già sottolineato, essenzialmente quelli di produzione ISTAT, ossia i dati dei BAN e quelli tratti dall'ICF.
È bene ribadire che le diverse fonti statistiche di riferimento forniscono dati quantitativi di consumo talora molto diversi. Il diretto confronto tra i dati di fonte ISTAT (BAN e ICF) e quelli provenienti dall'indagine INN-CA 1995 (tab. 6) mette chiaramente in evidenza l'entità delle differenze. Si osserva così come i dati BAN siano generalmente molto superiori a quelli delle altre fonti. Ciò porta a una valutazione della razione media di consumo, in termini di nutrienti, notevolmente diversa: basare le valutazioni nutrizionali su dati di un tipo o di un altro è quindi di grande rilevanza. Si ricorda, per es., che molte correlazioni di tipo epidemiologico alimentare a livello nazionale sono basate sempre su dati di disponibilità di consumo ricavati dai BAN.
I mutamenti di consumo dei principali alimenti tra gli anni Ottanta e Novanta, quali risultano dai risultati delle due indagini INN, sono talora sensibilmente diversi da quelli ISTAT precedentemente ricordati (tab. 7). Per quasi tutti i gruppi di alimenti e bevande si registrano infatti variazioni in diminuzione, con entità più elevate in riferimento alle carni minori, ai grassi da condimento, ai prodotti lattiero-caseari, alle uova, allo zucchero e al vino.
Sulla base di tali dati (INN-CA) è possibile una valutazione aggiornata dei consumi alimentari espressi in macronutrienti ed energia e della relativa copertura delle quantità medie raccomandate (tab. 8). Si può così osservare come la copertura della razione media complessiva giornaliera in termini di energia sia passata (escludendo l'energia da alcool) da un leggero eccesso (circa il 12%) a una sostanziale parità (−3,4%). Permangono sbilanci in eccesso, sia pure in misura più contenuta rispetto alla prima metà degli anni Ottanta, per quanto concerne i consumi proteici (+54%) e quelli lipidici (+31%). Nel settore dei carboidrati, invece, è cresciuto lo sbilancio negativo (−26,6%). Ciò vuol dire che, nonostante l'aspetto positivo (dal punto di vista nutrizionale) costituito dalla diminuzione dei consumi in complesso, si resta sempre lontani dal modello alimentare ottimale di tipo 'mediterraneo' che prevede una maggiore presenza nella razione media di carboidrati (soprattutto di amido) e una minore di proteine e grassi.
Nel valutare tali dati occorre anche tenere presenti le modificazioni che si sono avute nei livelli medi raccomandati di assunzione di nutrienti ed energia per le popolazioni di riferimento calcolate secondo i nuovi LARN. Inoltre, in questo tipo di valutazione dei consumi alimentari le conclusioni potrebbero essere molto diverse se ci si dovesse riferire ai dati tratti dai BAN.
Nell'esame dei consumi alimentari degli italiani risulta interessante anche un breve raffronto comparativo con quelli di alcuni principali paesi europei nonché degli Stati Uniti e del Giappone. I dati sono ottenuti con il metodo dei BAN prima ricordati e sono calcolati dagli uffici statistici dell'Unione Europea e della FAO. I modelli alimentari che per grandi linee emergono da questo confronto (tab. 9) risultano sostanzialmente diversi a seconda che si tratti di paesi nordeuropei o mediterranei o di altri continenti. Si nota, per es., come consumi di frumento e di ortofrutticoli (fatta eccezione per le patate) siano prevalenti nel nostro paese rispetto a tutti gli altri. In altri consumi 'mediterranei' invece, quali il vino e l'olio d'oliva, gli italiani hanno livelli equivalenti a quelli spagnoli.
Nel consumo delle carni si possono rilevare livelli quantitativi generalmente inferiori, fatta eccezione per il Giappone, a quelli di tutti gli altri paesi; altrettanto può dirsi per il burro e gli altri grassi animali oltre che per lo zucchero. Per quanto riguarda il consumo di pesce permane in Italia, a confronto di altri paesi, un livello di consumo da considerarsi non adeguato soprattutto in considerazione del ruolo nutrizionale di questo prodotto.
Dall'esame sintetico di tali dati si conferma che, nonostante la crescita disordinata del consumo dei vari alimenti, mediamente il nostro modello alimentare può ancora ritenersi meno squilibrato rispetto a quello degli altri paesi occidentali, mentre il miglior giudizio sul piano strettamente nutrizionale può attribuirsi al modello giapponese.
Per dare uno sguardo alle prospettive future, è bene sottolineare che i consumi alimentari degli individui e dell'intera popolazione sono influenzati, sul piano qualitativo e quantitativo, da numerosi fattori. In primo luogo il fattore demografico, che si caratterizza nel nostro paese con la crescita zero della popolazione e il suo invecchiamento, la diminuzione della dimensione delle famiglie, l'aumento dei singles, e, non ultimo, l'aumento dei flussi di immigrazione di soggetti che hanno tradizioni e bisogni alimentari talora estremamente diversi. Si tratta indubbiamente di variabili notevolmente incidenti sia sui consumi individuali che sulla domanda totale di alimenti.
A quello demografico sono da aggiungere altri importanti fattori, tra i quali bisogna annoverare in primo luogo l'andamento del reddito pro capite e le variazioni del numero di percettori di reddito all'interno delle famiglie, l'andamento dei prezzi dei prodotti alimentari legato anche al tipo di sviluppo della distribuzione, le trasformazioni delle abitudini di vita e di lavoro (pasti fuori casa, nuovi orari di lavoro, utilizzazione del tempo libero, viaggi ecc.).
Unitamente a questi e ad altri fattori, come quello della saturazione dei consumi, occorre considerare la generale crescita culturale della popolazione e quella specifica in tema di a., una cultura spesso influenzata anche da informazioni non corrette o contrastanti, ma che comunque stimolano un interesse del tutto nuovo e particolare nelle scelte di consumo. Infatti, un altro elemento che ha condizionato fortemente l'andamento dei consumi alimentari negli anni più recenti è senza dubbio la diffusione dell'informazione, non sempre corretta, circa i rapporti a.-salute, a.-benessere, a.-aspetto fisico, e via dicendo. Di qui il proliferare di diete indicate dai media e seguite acriticamente da un numero sempre più elevato di persone. Sulla base di numerose inchieste specializzate degli ultimi anni risulta crescente la quota di popolazione che con varia frequenza si sottopone a una dieta dimagrante. Secondo la stessa indagine INN-CA 1995, nell'ambito del campione studiato, una quota di individui consistente (oltre il 20%) si sottoponeva nel periodo di rilevazione a una dieta restrittiva per presunti o reali motivi di peso e di salute.
Anche il settore produttivo, e specialmente il comparto degli alimenti di origine animale, ha contribuito al cambiamento qualitativo e quantitativo della razione media con un grande impegno nel mettere a disposizione dei consumatori prodotti con minor densità nutrizionale e in particolare con contenuti inferiori (rispetto al passato) sia di grassi in generale sia, in particolare, di grassi saturi.
I ricordati fattori, con l'ulteriore sviluppo delle conoscenze scientifiche sul rapporto a.-salute, provocheranno ulteriori mutamenti nei modelli di consumo degli italiani, nel breve e nel medio termine.
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