ALSAZIA (A. T., 32-33-34; fr. Alsace; ted. Elsass)
La divisione in due dipartimenti, dell'Alto Reno (capoluogo allora Colmar, ora Mulhouse) e del Basso Reno (capoluogo Strasburgo), opera della prima Repubblica francese, confermata dalla terza dopo il trattato di Versailles, non ha per nulla mutato il carattere di unità regionale assai spiccata, fissata dalla natura e confermata dall'uomo. Nel loro insieme i due dipartimenti corrispondono press' a poco alla regione geografica alsaziana, la quale risulterebbe nettamente delineata, se si lasciasse fuori l'espansione del Basso Reno sugli altipiani lorenesi ad ovest di Saverne e si aggiungesse all'Alto Reno il territorio di Belfort.
Geologia e rilievo. - Si tratta d'una grande pianura, che si estende per 200 km. dal S. al N. ed è larga appena da 25 a 30 km.; essa si appoggia al versante orientale dei Vosgi, giunge fino al Reno e scende rapidamente con esso verso il nord, di là dalle ultime cime del Giura, alle quali si appoggia al sud.
La pianura stessa va considerata come una parte del largo corridoio dell'Alto Reno, compreso tra i Vosgi e il Hardt da una parte, la Foresta Nera e l'Odenwald dall'altra; la sua storia geologica è quella di una fossa tettonica, gradatamente approfonditasi durante il Terziario e modificata ancora dall'alluvione e dall'erosione durante il Quaternario. Pare certo che nel Giurassico esistesse già una depressione tra i Vosgi e la Foresta Nera. La fossa esisteva fin dall'Oligocene; il mare vi penetrava dal sud, e i sedimenti vi si accumulavano, giungendo a uno spessore tale, che si deve ammettere un lento e continuo sprofondamento (gli scandagli scendono a una profondità di 1000 metri) di depositi terziarî dall'aspetto lagunare: marne, sabbie e calcari lacustri. In questi depositi si rinviene il petrolio di Pechelbronn (Basso Reno), insieme coi sali potassici del Nonnenbruch (Alto Reno). Lo sprofondamento continuò anche dopo che la fossa fu colma, mentre i Vosgi salivano senza dubbio a maggiore altezza, poiché i conglomerati litorali cessano ai piedi di essi. Il Reno ha diretto il suo corso verso il nord soltanto dopo il Pliocene superiore, come si deduce dal fatto che antichi cumuli di ciottoli con elementi alpini si succedono ad ovest di Belfort fin presso Besançon (Foresta di Chaux).
Dal Quaternario data la fisonomia dell'Alsazia, la quale non può concepirsi né senza il Reno, né senza i Vosgi. Immense distese di mucchi di ciottoli sono state arrecate dal gran fiume, in relazione con le morene dell'antico ghiacciaio che si avanzava dalle Alpi fino a Costanza e a Basilea; ed altri strati di ciottoli sono scesi dalle valli dei Vosgi, che erano occupate da ghiacciai di minore importanza (v. Vosgi); così si è formato un duplice sistema di pendii verso il N. e verso l'E. Numerosi terrazzi poi sono stati formati dall'erosione nei periodi interglaciali. Pare che lo sprofondamento sia continuato durante il Quaternario stesso, poiché gli antichi terrazzi giacciono sotto le alluvioni recenti.
Regioni naturali. - L'originalità dell'Alsazia si deve alla combinazione di tre aspetti diversissimi: un fronte montuoso dirupato, inciso da valli profonde (l'estremità orientale dei Vosgi); una pianura alluvionale, che si abbassa e si estende progressivamente verso il nord; e una regione di colline, che si congiungono alle alture del Giura verso il sud (Sundgau).
Il fronte vosgico si deve a un grande smembramento tettonico, reso evidente dai fasci di strati triasici e giurassici sprofondati. I dirupi tettonici hanno indietreggiato a motivo dell'erosione, ma è probabile ch'essi sieno stati a più riprese reintegrati da movimenti del suolo. Il dislivello è di quasi 1000 metri tra il Ballon d'Alsace (1250 m.) e la pianura di Mulhouse, e va diminuendo verso il nord. A Saverne la pianura è fiancheggiata dagli altipiani arenacei del Triasico; una zona di sprofondamento sminuzzata da faglie tiene il posto della grande faglia dell'Alta Alsazia.
Le valli dei Vosgi sono più profonde al S. (valli di Munster, Thur, Doller, Savoureuse); i loro fianchi accidentati, il loro fondo talvolta chiuso da sbarramenti rocciosi o da morene portano l'impronta dei ghiacciai quaternarî. Il contatto con la pianura è segnato da un succedersi di colline sub-vosgiche, formate per lo più dalle arenarie triasiche o dai calcari giurassici, spesso diboscati e ricoperti di vigneti. È questa la parte più ricca dell'Alsazia.
La pianura consta di una serie di zone, che presentano diversità di terreno e d'aspetto, quando siano attraversate da O. ad E.: da prima un ciglione d'alti terrazzi asciutti, coperti di loess, diboscati e rivestiti di ricche colture, con grossi villaggi qua e là. Questo ciglione s'abbassa fino a 100 metri circa; a questo punto un dislivello un po' più accentuato produce mutamento completo di paesaggio: da ogni parte prati spesso sommersi durante l'inverno, tagliati da canali costeggiati da filari di salici e di pioppi: è il Ried, il quale deve la propria umidità all'affioramento della vena sotterranea che feconda i terrazzi (fenomeno simile a quello dei fontanili in Italia). Dopo alcuni chilometri, l'acqua scompare nuovamente e si attraversa fino al Reno la zona dei terrazzi recenti, formati da ciottoli non ricoperti di loess, dove la vena d'acqua è abbassata dal prosciugamento operato dal gran fiume. In questa zona vi sono ancora foreste.
La pianura non ha soltanto un pendio trasversale; essa sale rapidamente verso il N.: Haguenau è a 100 metri, Mulhouse a 240. Il Reno è molto tortuoso a valle di Strasburgo, e le alluvioni della sua zona inondabile formano pingui praterie; a S. di Brisach intacca i terrazzi di ciottoli e scorre in un ampio letto pur esso sassoso, suddividendosi in una rete di canali instabili.
Il Sundgau. - Ha principio a S. di Mulhouse. È una regione di colline, che s'innalzano fino a 400 metri e sono in contatto con gli ultimi rilievi del Giura. Le valli, profonde da 100 a 200 metri e assai ramificate, hanno il punto culminante in un antico terrazzo del Reno, di cui i mucchi di ciottoli esistono ancora sulle cime delle colline e ricoprono un sottosuolo molle, che affiora in ogni parte del versante. I boschi si fanno sempre più frequenti, e l'aspetto del paese è assai simile a quello del Giura e delle colline svizzere. Tuttavia le comunicazioni continuano ad essere sufficientemente agevoli, se si seguono le creste e specialmente se si passa ai piedi delle alture che si vanno abbassando mano a mano che si attenua l'erosione dalla parte di Belfort. Da questa facilità di passaggio, sia verso il nord sia verso l'ovest, proviene soprattutto l'importanza del Sundgau e di città come Mulhouse e Belfort.
Clima e vegetazione. - La pianura d'Alsazia deve alla sua posizione riparata dai Vosgi un clima più continentale e più asciutto che quello delle regioni vicine. Il suo cielo sereno, il caldo sole delle sue estati, che fanno maturare le uve e che indorano le spighe del grano, hanno sempre attirato i popoli settentrionali; e ben si comprende com'essa sia stata oggetto di contese. Ai piedi dei Vosgi, sotto le più alte vette, si trova il minimum delle piogge (Colmar ne riceve meno di 50 cm.), e quindi si notano altresì le più elevate temperature annue (10°,4) ed estive (luglio 20°,5). Anche l'inverno è alquanto più caldo di quello che sia in Lorena ad uguale altezza e nella pianura renana ad altezze inferiori (nel gennaio 0°,4 a Mayence, altezza 91 metri; 1°,3 a Colmar, altezza 179 metri). Al N., abbassandosi i Vosgi, i venti dell'O. hanno facile accesso nella pianura; Saverne e Strasburgo sono più fredde e più umide, e in ispecie Strasburgo soffre spesso per le nebbie.
La posizione privilegiata ai piedi degli alti Vosgi si manifesta nella vegetazione. Sui pendii delle colline sub-vosgiche il botanico raccoglie piante del Mezzodì e rintraccia elementi xerotermici; e nello stesso senso è significativa la fauna dei molluschi, mentre nei giardini si osservano frutta dei paesi meridionali: pesche ed anche albicocche. I vigneti alsaziani sono tutti concentrati in questa zona sub-vosgica, dove rivestono soprattutto i declivî calcarei o sabbiosi che hanno terreno più caldo.
Geografia umana. - S'intende facilmente come in ogni tempo la pianura d'Alsazia abbia attirato gli uomini: grande era il contrasto fra le alture erciniche boscose e spesso velate da nebbioni, e le aste distese scoperte, sulle quali splende un bel sole. La zona del loess e quella delle colline sub-vosgiche, naturalmente prive di boschi o facili a dissodarsi, hanno attirato da prima l'uomo preistorico. E quivi per l'appunto se ne rinvengono le tracce più numerose, che risalgono all'età della pietra ed aumentano di numero col sopravvenire dell'età del bronzo. In questa stessa zona era concentrata la maggior parte della popolazione, allorché i Romani giunsero sulle rive del Reno, poiché i Celti, che allora occupavano il paese, si tenevano lontani dal fiume selvaggio e dalla zona paludosa del Ried. Le invasioni germaniche hanno profondamente modificato il carattere del popolamento, cacciando i Celti romanizzati nelle valli dei Vosgi e colonizzando a poco a poco le parti umide e boscose della pianura.
I Tedeschi sono stati gli agenti principali di tale mutamento; ma, nonostante l'imposizione del dialetto germanico a tutta la popolazione, il carattere alsaziano ha conservato e conserva tuttora quei tratti caratteristici che lo rendono profondamente diverso da quello degli altri popoli renani.
Attraverso le più torbide e varie vicende di una storia agitatissima, la distribuzione della popolazione in tutto il territorio è rimasta press'a poco quale era ai tempi gallo-romani. Le densità maggiori si notano ai piedi dei monti, dove esse salgono a 200 e a 300 abitanti per kmq., e dove si addensano i villaggi dei vignaioli, con le loro case, nelle quali la cantina è posta sotto una scala di pietra. Ivi è tutta una successione di città, situate allo sbocco delle valli vosgiche, che sono insieme mercati di montagna e centri industriali: Giromagny, Thann, Guebwiller, Colmar e Türckheim, Schlettstadt e Ribeauvillé, Molsheim, Saverne. I loro abitanti già da più secoli sono dediti alla filatura e alla tessitura; ma l'industria del cotone s'è affermata nell'Alsazia vosgica soprattutto sul finire del sec. XVIII, ed è poi andata e va sempre salendo per le valli, dove gli abitati si seguono talvolta senza interruzione fino ai piedi dei colli, e specialmente per le valli della Thur, con St.-Amarin, Wesserling e Kruth, della Fecht con Turkheim, Winzenheim, Munster e Metzeral, della Liévrette con Altenberg e S. te-Marie-aux-Mines.
La zona del loess, sebbene abbia conservato un carattere rurale, è ancora abbastanza popolata (da 100 a 150 abitanti per kmq.). Si tratta di grossi villaggi, spesso circondati da verzieri e nascosti in avvallamenti del terreno, a intervalli di circa 3 km. I pozzi, profondi da 20 a 50 metri, trovano l'acqua nei mucchi di ciottoli sottoposti al loess, il quale dà una terra asciutta, ma fertile. I cereali, soprattutto il grano, si avvicendano con le barbabietole e coi foraggi, che permettono l'allevamento di numerosi bovini. Tra le colture industriali, il lino è in diminuzione, ma si coltiva ancora il tabacco e così pure il luppolo, che s'arrampica su per le canne incrociate, presentando un aspetto caratteristico. All'altezza di Strasburgo, la zona del loess ha il suo maggiore sviluppo; al N. essa è interrotta da grandi terrazzi di ciottoli ricoperti di foreste (Foresta di Haguenau); al S. il Ried la riduce a uno stretto corridoio, che si confonde sulla carta delle densità con la zona sub-vosgica popolatissima, mentre grandi tratti con popolazione scarsa (36 a 60 abitanti per kmq.) si estendono sul ciottolame ancora boscoso (Hardt, Nonnenbruch) fino al Reno, sulle cui rive sorgono di nuovo villaggi e vecchi borghi all'estremità d'un passaggio più facile, come Brisach.
Il Sundgau presenta una densità media (50 a 100 abitanti per kmq.) con una distribuzione della popolazione affatto diversa dal resto dell'Alsazia, in correlazione con un genere di vita che si accosta a quello delle colline svizzere e del Giura. Numerosi gruppi di case sono disseminati nelle valli verdeggianti, fino al margine della foresta che spesso riveste le alture.
Le città e le comunicazioni. - In Alsazia la vita cittadina si è sviluppata assai presto. Oltre la corona delle piccole città che cingono i Vosgi alla baso, tre grandi centri, i quali occupano nella pianura tre nodi di comunicazione ben distinti, sono divenuti importanti sedi d'industria e di commercio: Belfort, Mulhouse e Strasburgo. Belfort e Mulhouse sono situate sul crocicchio del Sundgau e della Porta di Borgogna, la prima dalla parte d'occidente, allo sbocco del corridoio Saona-Rodano; la seconda dalla parte d'oriente, all'entrata stessa del corridoio renano. L'industria è fiorente dall'una e dall'altra parte. Mulhouse (95.000 abitanti) è un grande centro del cotone, donde s'è diffusa la filatura nei Vosgi; anche la metallurgia vi occupa un posto molto notevole con costruzioni meccaniche e rinomate officine ferroviarie. Belfort (40.000 abitanti) è soprattutto un centro tessile.
Strasburgo (178.000 abitanti) è in una posizione privilegiata, nell'ultimo punto cui possono giungere le barche da trasporto renane e nel punto dove l'unica strada che valichi facilmente i Vosgi (a Saverne) sbocca sul Reno. Essa è dunque ad un tempo una città di transito e un crocicchio di vie d'acqua e di vie di terra, e deve principalmente a questa sua caratteristica l'importanza che ha assunto in tutta l'Alsazia. La ferrovia, costeggiata dal canale che congiunge la Marna al Reno, venendo da Parigi attraverso Nancy, incontra a Strasburgo la grande strada ferrata N.-S. di Basilea. Quivi le merci, lasciando la via del Reno, profittano dei treni, oppure proseguono per acqua, nel canale che unisce il Rodano al Reno, verso Mulhouse e Basilea. L'incremento di Strasburgo, ha ripreso dal momento in cui si è riordinato il porto, oggi uno dei più attivi della Francia. Riunita a questo stato, la capitale dell'Alsazia si prepara ad essere il principale magazzino di deposito dell'Alto Reno.
Storia. - Territorio di confine, l'Alsazia fu abitata, in origine, da popolazioni celtiche (Sequani, Rauraci) e fece parte dell'antica Gallia; ma non sfuggì a immistioni germaniche, dei Tribochi e Nemeti. Con la conquista cesariana il paese appartenne ai Romani per circa cinquecento anni (58 a. C.-sec. V d. C.), e si romanizzò, diviso nelle due provincie della "Germania prima" al nord, e della Maxima Sequanorum" al sud. Il cristianesimo vi è attestato nel sec. IV: il vescovado di Argentoratum (Strasburgo) è ricordato già nel 314, e poco più tardi S. Amando, vescovo di Argentoratum, presenzia ai concilî di Serdica (343) e di Colonia (346).
L'Alsazia tedesca. - Già fin dal sec. III l'Alsazia fu soggetta alle incursioni degli Alamanni, sempre ricacciati, e soprattutto debellati da Giuliano nella grande battaglia di Strasburgo (357). Alla fine del sec. V, contesa tra Alamanni e Franchi, rimase a questi ultimi, che ne occuparono la parte settentrionale sino alla foresta di Hagenau, diffondendo il cristìanesimo fra gli Alamanni. E la regione, che aveva avuto assai a soffrire, specialmente nella prima metà del sec. V, per le incursioni e le devastazioni degli Alamanni, conobbe allora un'èra di almeno relativa tranquillità. Poté così svolgersi, in profondità, l'azione della chiesa, attuata specialmente attraverso la predicazione monastica (S. Pirmino), e il sorgere di numerose abbazie tra il sec. VII e l'VIII (Weissenburg, Murbach), che furono allora, qui come negli altri paesi, centri di civiltà e di lavoro. Il nome stesso Alsazia appare in quest'epoca: nel 610 è mentovato il pagus Alisacense; più tardi appare la forma pagus Elisacense (ted. Helisaze, Elsass). Politicamente, l'Alsazia fu retta da duchi della casa degli Eticoni, fino al sec. VIII; poi venne incorporata nell'impero carolingio, di cui divise, nella prima metà del sec. IX, le fortunose vicende. L'Alsazia fu anzi una delle terre contese e dei campi di battaglia tra i Carolingi: dell'842 è il famoso "giuramento" di Strasburgo, che legava i carolingi Lodovico e Carlo, e in cui per la prima volta appaiono mescolate parole francesi, e tedesche. Nell'843, il trattato di Verdun assegnava l'Alsazia alla Lotaringia; ma nell'870, morto Lotario II, l'Alsazia passava all'Austrasia (trattato di Mersen). Da allora, per quasi otto secoli, l'Alsazia condivise politicamente le vicende della Germania a cui era unita; e d'altronde, all'aggregazione politica corrispondeva, in parte se non altro, quella ecclesiastica, giacché il vescovado di Strasburgo era suffraganeo di quello di Magonza.
Sebbene incorporata nel ducato di Svevia, i cui duchi ebbero anche il titolo di duchi d'Alsazia fino al 1268 (estinzione della casa degli Hohenstaufen), l'Alsazia si venne rapidamente spezzettando in numerosissime signorie feudali, piccole e grandi, laiche ed ecclesiastiche, le quali naturalmente mantenevano il paese in uno stato di guerra e di agitazione quasi permanente. E pure, al disopra dei singoli poteri signorili, permaneva l'alta giurisdizione dei langravî: già dalla prima metà del sec. XII troviamo infatti i due langraviati dell'Alta e della Bassa Alsazia (Ober- e Nieder- elsass). Il primo di essi passò, nel 1168, agli Asburgo che lo tennero fino alla pace di Vestfalia; il secondo, nel 1197, ai conti di Woerth. Ma, estintasi questa famiglia, a mezzo il sec. XIV, langravî della Bassa Alsazia divennero dal 1384, per concessione imperiale, i vescovi di Strasburgo. Il langraviato non era tuttavia una forma di organizzazione territoriale, ma semplicemente una dignità, potestas iudicaria, caratterizzata dal potere di alta giurisdizione, laddove i singoli signori territoriali non avevano se non la bassa giurisdizione: sebbene poi gli Asburgo riuscissero, col tempo, a divenir signori territoriali di molte delle terre dell'Alta Alsazia.
Accanto alle signorie territoriali sorsero però le "città". Alcune di esse (Weissenburg, Munster) erano venute costituendosi a poco a poco attorno ai rispettivi monasteri, grazie alla più intensa vita economica che la presenza del monastero stesso aveva suscitata; altre (Kaisersberg, Belfort) erano antichi castra, sorti per motivi di difesa. Di più, gl'imperatori e re di Germania, e, sul loro esempio, persino vescovi e signori minori, avevano elevato a grado e dignità di "città" borghi di piccola importanza. Ed ecco svilupparsi la città come ente politico. Favorite dagli imperatori e dai loro rappresentanti, che accordano privilegi e franchigie; favorite talora, sull'inizio, dai vescovi stessi (come accade a Strasburgo), le classi cittadine si organizzano, cercano di conquistare il diritto all'autogoverno, di liberarsi da ogni tutela signorile, lottando anche a tale scopo contro i vescovi e il potere episcopale. Così a Strasburgo, che, dichiarata città libera direttamente dipendente dall'impero (Unmittelbare Reichsstadt, concessione di Filippo di Svevia nel 1201), si sottrae, nel corso del sec. XIII, alla tutela dei vescovi, acquistando la piena autonomia interna e l'indipendenza, limitata, quest'ultima, solo dalla suprema autorità imperiale. Poi, nei secoli XIV e XV, successive contese tra i varî ordini della cittadinanza conducono allo stabilimento di un governo animato da uno spirito sempre più accentuatamente democratico, che culmina nella Schwoerbrief o carta costituzionale del 1482, rimasta tale sino alla rivoluzione francese (v. strasburgo).
Sull'esempio di Strasburgo, si muovono le altre città; e nel 1353, su invito dell'imperatore Carlo VI, vediamo costituita la cosiddetta decapoli d'Alsazia, cioè la lega offensiva e difensiva delle dieci città: Mulhouse, Colmar, Munster, Türckheim, Rosheim, Hagenau, Weissenburg, Schlettstadt, Oberehnheim (Obernai), Kaisersberg. Ognuna delle singole città, che godeva però di piena autonomia interna, doveva pagare una determinata, se pur lieve, imposta al landvogt, come prezzo della protezione imperiale, e in caso di guerra dell'impero mandare un non grande contingente di truppe e aiuto di denari. Le dieci città tuttavia non giunsero mai ad acquistare quella completa libertà di azione di cui godeva Strasburgo, giacché erano poste sotto la protezione del landvogt imperiale. Esse furono cioè civitates imperiales, riunite sotto il landvogt o prefetto, in una prefettura (centro Haguenau): prefetti imperiali furono, per lo più, i conti d'Asburgo. Alla decapoli aderirono in seguito altre città; ma se ne staccò, nel 1525, Mulhouse, che aderì invece alla confederazione dei cantoni elvetici.
L'Alsazia era una terra di confine, linguisticamente tedesca, e in relazioni poco strette con le città francesi; sebbene già col sec. X si affacciassero ambizioni renane in Francia, rintuzzate dagl'imperatori Ottone II, Ottone III, Corrado II ed Enrico III, sebbene pure, durante la guerra dei cento anni (1339-1453), non mancassero tentativi francesi di occupare le terre alsaziane e soprattutto Strasburgo, specie nel 1445. Allorché nel 1469 Carlo il Temerario di Borgogna ebbe ceduti da Sigismondo del Tirolo parte dei suoi possessi alsaziani, s'adoperò invano ad incorporare tutta l'Alsazia, finché cadde a Nancy (1477).
L'Alsazia partecipò largamente alla vita culturale della Germania: uno dei testi più interessanti per lo studio dell'antico tedesco è l'Evangelienbuch di Otfried, monaco di Weissenburg (sec. IX); una delle opere più celebri di tutta la letteratura germanica medievale, il poema Tristan und Isolde, è di Golfredo di Strasburgo (1205-10); e anche nel sec. XV, alsaziani sono Giacomo Wimpheling, Sebastiano Brant, Geiler di Kaisersberg. Come nella vita culturale, così nella vita sociale l'Alsazia era assai vicina alla Germania, particolarmente alla Germania meridionale: sì che le famose rivolte di contadini, che dovevano devastare quest'ultima nell'età della riforma, ebbero per campo di azione anche l'Alsazia. Qui, già alla fine del sec. XV, s'era formata una "lega della scarpa" (Bundschuh, 1493), subito soffocata; sollevazioni s'erano avute tra il 1505 e il 1513: più terribile arse infine la grande guerra dei contadini, nel terzo decennio del sec. XVI. Il duca di Lorena soffocò col ferro la rivolta: ma intanto le idee riformate s'erano diffuse largamente nella regione. La riforma vi incontrava grande favore: Strasburgo specialmente diveniva un centro di raccolta dei riformati e, tra il 1538 e il 1540, vi si rifugiò anche Calvino. E sebbene la città nella Dieta di Augusta del 1530 professasse la riforma zuingliana, si conservò in ottimi rapporti con i luterani; si unì, nel 1531, alla lega smalcadica, e nel 1546 mandò le sue milizie all'esercito della lega. Il riaffermarsi della dominazione asburgica riuscì tuttavia a contenere la diffusione delle dottrine evangeliche: e Strasburgo decadeva, sebbene l'accademia fondata da Massimiliano II, e la riforma scolastica di Giovanni Sturm la facessero rimanere un centro intellettuale abbastanza importante.
La conquista francese. - Intanto si rafforzavano e s'intensificavano le antiche aspirazioni francesi al Reno, finché appunto il re Enrico II di Francia non compiva il primo serio tentativo di attuarle, strappando al regno di Germania Metz, Toul e Verdun (1552), senza conquistare però Strasburgo. Territorio conteso e soggetto alle vicende alterne di stirpi rivali, la francese e la tedesca, l'Alsazia non poteva sfuggire al suo fato di obbedire a quella delle due che a volta a volta prevaleva. Durante la guerra dei Trent'anni (1618-1648) l'Alsazia fu saccheggiata e devastata in tal maniera dalle truppe francesi e svedesi che diminuì oltremodo di popolazione, e vide molta parte del paese rimanere incolta. Il trattato di Münster in Vestfalia, che terminò la guerra trentennale, assegnò alla Francia vittoriosa la città di Breisach (Brisac) i due langraviati dell'alta e bassa Alsazia, il Sundgau (cioè l'alta Alsazia, con capitale Altkirch) e la prefettura delle 10 città imperiali (Hagenau, Colmar, Schlettstadt, Weissenburg, Landau, Oberehnheim, Rosheim, Munster, Kaisersberg, Turckheim). Nella impotenza dell'autorità imperiale, la quale, del resto, fino dal 1617 aveva rinunziato ai suoi diritti sull'Alsazia cedendoli al re di Spagna, Luigi XiV approfittò della campagna contro l'Olanda per invadere la parte dell'Alsazia rimasta alla casa d'Austria. Con la pace di Nimega (1679) finiva la guerra; e Luigi XIV, risoluto a conquistare tutta l'Alsazia e specialmente Strasburgo, andò per le spicce.
La questione giuridica e diplomatica era, per vero, assai intricata, specialmente per l'art. 89 del trattato di Münster. Infatti, mentre gli art. 75 e 76 del trattato di Münster riconoscevano al re di Francia non solo Brisac, il langraviato dell'alta e della bassa Alsazia, il Sundgau, ma anche la prefettura provinciale delle dieci città imperiali: et loca dependentia.... cum omnimoda iurisdictione et superioritate, supremoque dominio... (il testo in H. Vast, Les grands traités du règne de Louis XIV, Parigi 1893, I, pp. 38-40), l'art. 89 faceva obbligo al re di Francia di lasciare le predette città imperiali, nonché i vescovi di Strasburgo e Basilea, la città di Strasburgo, varî signori e abati e tutta la nobiltà dell'Alsazia inferiore in ea libertate et possessione immedietatis erga Imperium Romanum, qua hactenus gavisae sunt... ita ut nullam ulterius in eos regiam supenoritatem praetendere possit, sed iis iuribus contentus maneat, quae ad Domum Austriacam spectabant (op. cit., p. 44). Il che era in piena contraddizione con il disposto dell'art. 76; ma alla fine dell'art. 89, subito dopo la formula ora riportata, ecco riapparire una clausola, diremo così di salvaguardia: ita tamen ut praesenti hoc declaratione nihil detractum intelligatur de eo omni supremi dominii iure, quod supra concessitum est. Un testo, dunque, pieno di oscurità e di sottintesi, che, al momento della pace, né l'una parte né l'altra vollero chiarire, ma che permetteva da un lato alla diplomazia francese di affermare che Luigi XIV aveva effettivamente il supremum dominium, e quindi nessun altro obbligo se non quello di garantire alle città imperiali le franchigie comunali e commerciali, di cui esse godevano sotto il dominio austriaco; dall'altra, alla diplomazia austriaca di affermare che i diritti del re francese rimanevano subordinati alla sovranità imperiale. Del tutto diverso era poi il caso di Strasburgo: giacché non solo, come s'è detto, l'art. 89 le riconosceva e riservava la possessio immedietatis dell'impero, ma, per non esser mentovata né negli art. 75 e 76, né negli atti di cessione (Vast, op. cit., p. 58 segg.) essa si doveva, fuor d'ogni discussione, intendere pienamente libera dalla sovranità del re di Francia. Ma questi doveva esser tratto a comprendere anche Strasburgo in quelle provincie, Alsatiam utramque (Vast, op. cit., p. 60), cedutegli, e soprattutto a farla rientrare nel langraviato inferioris Alsatiae, di cui essa era la capitale, dando al termine langraviato non il valore semplicemente dignitario ch'esso aveva avuto, con diritti onorifici di nessun valore pratico, proprio per la Bassa Alsazia, nelle mani dei vescovi di Strasburgo, ma valore territoriale. Comunque, il governo di Luigi XIV risolvé l'intricata questione con un colpo di forza e col fatto compiuto. Le città imperiali d'Alsazia, che avevano tenacemente difeso la loro autonomia, chiudendo anche la porta in faccia al governatore francese (Haguenau al duca di Mazarino), erano già state costrette a prestare giuramento di stretta fedeltà: Colmar, nel 1673, era stata smantellata e "ridotta all'obbedienza". Nel 1680, iniziarono il loro lavoro le cosiddette "camere di riunione". Gli art. 75 e 76 avevano ceduto le città imperiali, Brisac, i langraviati ecc. con omni territorio et banno, quatenus se ab antiquo extendit e con i loca dependentia; ora il consiglio superiore di Brisac, che era incaricato di procedere alle riunioni per l'Alsazia, citò, sull'inizio del 1680, varî principi e signori stranieri, feudatarî nella Bassa Alsazia, per giustificare i loro diritti di feudo, e per render omaggio al re, come sovrano di tutta l'Alsazia. Il 22 marzo, il consiglio dichiarò "costante" la sovranità del re su tutti i territorî di quei signori; poi, il 9 agosto, con un secondo editto, rivolto contro i signori indigeni, decretò la riunione di tutte le terre del vescovo-principe di Strasburgo, della città di Strasburgo, di altri signori e di tutta la nobiltà della Bassa Alsazia (alla quale pure, sempre con l'art. 89 del trattato del 1648, era stata riserbata la possessio immedietatis erga Imperium Romanum) alla corona di Francia: i loro possessori furono dichiarati privi dei diritti, ove non sollecitassero l'investitura dal re di Francia entro tre mesi. Il vescovo principe di Strasburgo e altri si sottomisero, e le terre rurali della città vennero riunite. Libera rimase solo Strasburgo; ma anche la sua libertà doveva avere breve durata.
La capitale della Bassa Alsazia fu infatti occupata il 30 settembre 1681, senza che le truppe francesi incontrassero resistenza, poiché, quando la popolazione corse ai cannoni, trovò che il senato prudente non aveva fornito la polvere. La connivenza del vescovo e di alcuni notabili con la Francia permise la pacifica occupazione della città; ma soprattutto contribuì a questo risultato la persuasione dell'inevitabilità dell'evento. Le guerre successive di Luigi XIV non fecero che confermare la situazione di fatto sia nella tregua di Ratisbona (1684), sia nella pace di Ryswick (1697), come pure in quella di Rastatt (1714). Ma l'Alsazia, che nel complesso era tedesca dai primi secoli dell'evo di mezzo, rimase tedesca, nonostante la conquista francese. La quale, accolta da principio come un fatto inevitabile e, almeno per molti, desiderabile, in quanto la subordinazione delle piccole signorie a un ordinamento monarchico unitario appariva un progresso, si consolidò sempre più attraverso varî stadî. Fino alla rivoluzione francese lo stato lasciò sussistere indisturbato il carattere germanico della regione, contribuendo molto alla conciliazione degli animi, creando un terreno di frontiera fra le due razze, sul quale esse s'incontravano, per esempio nell'università strasburghese, che fiorì assai in quel periodo ed ebbe frequentatori anche dei grandi tedeschi, come il Herder e il Goethe, e promuovendo l'industria, il commercio e la coltivazione del tabacco e della vite, avviati a un grande sviluppo. La popolazione, non violentata nelle sue tradizioni, nei suoi costumi, nella lingua, s'adagiava tranquilla nel suo conservatorismo e nel suo particolarismo, e veniva abituandosi alla convivenza con l'elemento francese, e adattandosi alla dipendenza dallo stato francese. I contrasti che gli intendenti francesi potevano avere da risolvere erano di religione, ché allora in Alsazia erano forti i protestanti. Ma la rivoluzione francese e il dominio napoleonico staccarono del tutto l'Alsazia dal suo passato tedesco, e la vennero fondendo sempre più col rimanente dello stato francese. La lingua d'uso rimase naturalmente il dialetto germanico, ma ormai letterariamente il francese trionfava e s'imponeva; le classi colte e quelle borghesi inclinarono sempre più verso la Francia, il sentimento di appartenere a un grande stato divenne generale in Alsazia. E anche in Alsazia, come in Lorena, la rivoluzione suscitò il sentimento nazionale francese. Nel 1798, al dipartimento dell'Alto Reno fu aggregata Mulhouse che da oltre due secoli faceva parte, come cantone autonomo, della Confederazione svizzera. L'Alsazia che alla rivoluzione dette generali come Rapp, Kléber, Lefebvre, fu caldamente napoleonica, perché il concordato (1802) e gli "articoli organici" da una parte, le misure contro gli Ebrei dall'altra, avevano risolto liberalmente il problema religioso di una provincia che lo sentiva fortemente tanto nella maggioranza cattolica quanto nella minoranza protestante, e avevano alleggerito il gravame dei debiti. Sia le conquiste giuridiche e morali della rivoluzione, come i rapporti economici che legarono strettamente l'Alsazia alla Francia, come pure la scuola e la gloria militare sotto Napoleone I fecero della regione renana due placidi dipartimenti del regno di Francia, il dipartimento del Reno superiore e del Reno inferiore.
Alla caduta dell'Impero, per la prima volta i patrioti di Germania, ridesti anch'essi all'idea di nazionalità e di espansione nazionale, affacciarono pretese sull'Alsazia; ma a Vienna (1815), per volontà dell'Inghilterra e remissività dell'Austria, gli alleati lasciarono alla Francia restaurata l'Alsazia-Lorena, con piccole diminuzioni territoriali da una parte, ma con qualche acquisto verso il bacino della Sarre. Durante la restaurazione, la monarchia di Luigi Filippo, la rivoluzione del 1848 e il secondo impero napoleonico, l'Alsazia-Lorena non subì scosse notevoli. Il sentimento politico francese era pacifico anche negli strati inferiori della popolazione che continuavano ad essere quasi estranei alla cultura francese. I prefetti mandati da Parigi accettavano il bilinguismo dei loro dipartimenti, né furono fatti tentativi sistematici per imporre nelle scuole popolari, in gran parte ecclesiastiche, l'uso assoluto del francese. Come prevalenza di partiti politici, l'Alsazia fu repubblicana, e in opposizione a Napoleone III, continuò nel costume a mantenere gelosamente le sue caratteristiche regionali, nelle quali gli altri Francesi vedevano con compiacenza una varietà pittoresca.
Tutti i governi succedutisi in Francia dalla restaurazione in poi (1815-1870) lavorarono indefessi a fondere l'Alsazia con la Francia, facendovi trionfare costumi, idee, sentimenti, lingua francesi, aiutati nell'opera loro dai molto numerosi alsaziani, entrati nell'esercito e nella burocrazia, e dal clero cattolico, che si adoprò a diffondere l'attaccamento alla Francia fra il popolo, mentre gl'interessi materiali e politici le avvincevano sempre più la regione.
Riconquista tedesca e irredentismo francese. - Anche se fra gli Alsaziani dominava la lusinga di essere intermediarî spirituali fra le due razze rivali, l'Alsazia tuttavia era di cuore francese, quando scoppiò la guerra franco-tedesca (1870-1871). Certo essa si palesò ostilissima, più che qualunque altra parte della Francia, alle truppe germaniche che la invasero subito all'inizio della guerra, ed elesse all'assemblea nazionale francese nel febbraio del 1871 soltanto avversarî risoluti dell'annessione alla Germania; ma non sfuggì alla sorte di essere assegnata al vincitore nei preliminari di pace di Versailles. Si vuole che Bismarck stesso dubitasse della opportunità di tagliare così nel vivo dell'unità e del sentimento francese, e che pensasse piuttosto ad offrire parte dell'Alsazia alla Svizzera; ma le ragioni militari prevalsero, e tutti i Tedeschi videro, specialmente nell'Alsazia, una bella provincia idealmente germanica, che ritornava al germanesimo ricostituito. La pace di Francoforte (10 maggio 1871) sancì la cessione dell'Alsazia all'Impero tedesco, eccettuato Belfort e alcuni cantoni del Reno superiore, parlanti francese: in tutto 660 miglia quadrate con 55.000 abitanti. La questione dell'Alsazia-Lorena si impostava come una questione di diritto vielato, ma non prescritto, dalla forza: la Francia attendendo dall'avvenire tale mutazione di destino da riprendere anche con la forza il bene perduto; la Germania confidando invece di mantenere per sempre il conquistato, quando fosse riuscita a suscitare sul fondo etnico e linguistico, anticamente germanico del paese, anche un sentimento politico germanico. Intanto, per tutti e due gli stati l'Alsazia-Lorena rimaneva un ostacolo insuperabile alla loro conciliazione e una ragione a ricominciare ancora lo storico conflitto delle due nazioni per le marche renane. L'Impero germanico, divenuto lo stato più forte del continente, contava che il tempo avrebbe fatto cadere dall'animo della repubblica francese, più debole, il sogno della rivincita, tanto più presto, quanto prima l'Alsazia e Lorena fossero compiutamente germanizzate. Dalla parte spodestata perdurava lo sforzo a mantener vivo un sentimento e un ricordo tra gli Alsaziani-Lorenesi, dall'altra, beata possidens, lo sforzo più facile per cancellarli.
Nei primi tempi dell'annessione alla Germania, lo spirito alsaziano-lorenese mostrò quale forza di simpatia avesse sopra di esso la patria francese pur vinta. Il governo tedesco s'adoprò a conciliarsi gli animi degli Alsaziani, pagando pingui risarcimenti per i danni di guerra, diminuendo il peso delle imposte, migliorando il servizio postale, telegrafico e ferroviario, erigendo in Strasburgo una università (11 maggio 1872), e abolendo il monopolio del tabacco. Ma questa politica non ebbe nessuna efficacia immediata, ché il ceto medio era divenuto francese, il clero cattolico, scontento della legislazione scolastica, introdotta nell'Alsazia, si palesava irriconciliabile, e la "lega alsaziana" dalla Francia conduceva una violenta ed efficacissima campagna contro tutto ciò che era tedesco. Così quasi nessun alsaziano entrava al servizio tedesco, gl'impiegati tedeschi in Alsazia erano schivati e trattati con durezza; quando poi, sulla base del trattato di pace di Francoforte, s'interrogarono gli Alsaziani, perché scegliessero la loro nazionalità, 160.000 preferirono la Francia alla Germania, ma solo 50.000 emigrarono dal paese; gli altri, fra cui molti adolescenti, rimasero, pretendendo invano d'esser trattati come stranieri, ed esentati dal servizio militare, il quale era stato reso obbligatorio. Per una quindicina di anni l'Alsazia-Lorena visse legata alla Germania, protestando contro il legame politico non accetto. Per tenerla più sicuramente nella nuova compagine, la Germania ne fece un Reichsland "territorio dell'Impero", cioè un territorio direttamente dipendente dal governo centrale, organizzato come una provincia prussiana, senza alcuna di quelle autonomie locali che tutti gli altri paesi, Länder, del Reich mantenevano in virtù dalla loro tradizione storica. Fu da principio governata da un Oberpräsident, il von Möller, dipendente dal Kaiser e dal cancelliere, con concetti nei quali avevano forte influenza gli elementi militari, che nell'Alsazia-Lorena vedevano anzitutto la marca strategica. Per i cosiddetti "paragrafi della dittatura", il presidente aveva autorità di prendere sul luogo provvedimenti militari ogni volta che scorgesse un pericolo.
Intanto, la nazionalizzazione politica del paese era favorita in tutti i modi. I posti lasciati vuoti nell'amministrazione venivano largamente occupati da Tedeschi d'oltre Reno, gli Altdeutschen, mandati come impiegati e favoriti in ogni modo ad immigrare nel Reichsland. L'elemento cattolico, fortissimo in Alsazia, contribuì non poco a mantenere lo spirito "protestatario" contro la Germania anticattolica del Kulturkampf. Il malcontento si rivelò a pieno nelle elezioni comunali e distrettuali, in seguito alle quali non si poterono costituire molti consigli comunali e molte diete, perché la maggioranza degli eletti rifiutarono il prescritto giuramento di fedeltà all'Imperatore. Tutti i deputati poi alla Dieta dell'Impero (Reichstag, 1 febbraio 1874), in numero di 15, compirono, entrando nell'aula del parlamento tedesco, una solenne protesta, e furono perciò detti "protestatarî", e per lo più non parteciparono alle tornate. Nel 1876 e 1877 l'imperatore Guglielmo I visitò la regione, contribuendo così a conciliare alla Germania un certo numero di Alsaziani. Ma tanto nelle elezioni del 1882, quanto in quelle del 1887, non furono eletti che deputati protestatarî. L'inquietudine fu grande quando, col momentaneo prevalere in Francia del generale nazionalista Boulanger, parve prossima una nuova guerra. Provvedimenti repressivi furono presi dallo Statthalter Hohenlohe-Schillingsfürst: le agenzie delle compagnie d'assicurazione francesi furono sciolte, furono esclusi dalle amministrazioni locali i sospetti di simpatia per la Francia, fu istituito un rigido sisterma di passaporti, per cui fra Alsaziani-Lorenesi e cittadini di Francia fossero sempre più difficili i contatti, allontanando così gli agitatori francesi; furono istruiti processi di alto tradimento.
Le elezioni della Dieta dell'Impero del 21 febbraio 1887 segnarono il colmo dell'opposizione alsaziana alla Germania: anche ora furono eletti 15 protestatarî.
Ma il tempo faceva la sua opera. Nessun cambiamento politico generale pareva ormai probabile. Una generazione era scomparsa. I nuovi Alsaziani-Lorenesi si adattavano a una vita politica non gradita, ma non priva di vantaggi materiali, di cui l'Impero germanico prosperante era largo. Deposta la speranza, e in parte la volontà, d'un ritorno alla Francia, all'unico partito protestatario se ne sostituivano altri, analoghi ai partiti della restante Germania. Apparve un partito autonomista, che dichiarata lealtà alla Germania, si volse a richiedere, nella sfera germanica, speciali autonomie per l'Alsazia-Lorena, che mantenessero il carattere e l'indole locale. Nelle elezioni alla Dieta dell'Impero del 1877 esso ottenne cinque mandati. E la Dieta dell'Impero, il 4 luglio 1879, venendo in parte incontro al partito dell'autonomia, approvò una modificazione costituzionale, che facesse del paese dell'Impero "un governo regionale autonomo con un luogotenente, un ministero e una giunta regionale (Landesausschuss)", della quale furono allargate le funzioni, per quanto solo consultive, e fu modificata la composizione. Ma sebbene il partito dell'autonomia cadesse tanto nelle elezioni della Dieta dell'Impero del 1881, quanto in quelle del 1884, dietro la bandiera bianco-rossa dell'Alsazia finirono per raccogliersi non solo coloro che, se avessero potuto, avrebbero ancora alzato il tricolore francese, ma gli altri, sempre più numerosi, che tenevano soltanto a non confondersi con i Prussiani, i Badesi e i Bavaresi. Lo stesso partito cattolico, conservatore nel popolo dei sentimenti francesi, si accomodò con il governo berlinese, quando questo non perseguitava più il cattolicesimo, che invece era minacciato in Francia dalle leggi laiche di Combes (1904). Favorirono l'opera le riforme e le concessioni agli Alsaziani, specie l'abrogazione del cosiddetto "paragrafo della dittatura", promessa dall'imperatore Guglielmo II durante la sua visita nel paese e che fu poi approvata dal Consiglio federale e dalla Dieta dell'Impero nel giugno 1902. Molte speranze fondò la Germania anche sull'istituzione di una facoltà teologica nell'Università di Strasburgo (20 dicembre 1902) per l'educazione di giovani ecclesiastici, conforme allo spirito tedesco, lusingandosi di abbattere così l'ostacolo principale alla germanizzazione dell'Alsazia. L'autonomismo era un movimento equivoco e il governo germanico sulle prime lo aveva considerato con sospetto. Ma con maggiore sospetto lo dovette considerare la Francia, poiché era in sostanza un modo di adattamento alla necessità. In Francia stessa, nei primi anni del sec. XIX, i partiti di sinistra prevalenti avevano abbandonato l'idea della rivincita. Quello che era in Alsazia-Lorena il souvenir franåais, cosa più sentimentale che politica, era anche in Francia un ricordo alsaziano-lorenese patetico, ma quasi rassegnato. La crisi che consumava l'anima alsaziano-lorenese, tra le memorie sempre più pallide del passato e la necessità del presente, fu compresa in Francia ed ebbe anche espressioni notevoli nella letteratura (Maurice Barrès nei suoi romanzi Au service de l'Allemagne, i Deracineś, Colette Baudoche).
Anche la legge tedesca sull'insegnamento obbligatorio, naturalmente in lingua tedesca, aveva prodotto i suoi effetti, come, in una sfera più alta, ne produceva l'università tedesca di Strasburgo, aperta fin dal 1872. In Alsazia soltanto le vecchie famiglie borghesi usavano parlare il francese accanto al loro dialetto, che è dialetto alemannico, mentre non solo i contadini, ma nelle città gli operai dell'industria progrediente non parlavano che il dialetto e non leggevano che in tedesco. In tutta l'Alsazia, nel 1910, appena l'8,3 per cento della popolazione aveva il francese per lingua d'uso. Nella Lorena, che in parte è anche etnicamente francese, parlavano questa lingua il 22 per cento, ma pochi erano i comuni che non fossero per diventare misti di lingua. Qualche concessione effettiva all'autonomismo alsaziano fu fatta con la nuova costituzione del 1911, che allargò i poteri del Landesausschuss, e istituì una Camera alta e una Camera bassa, con alcune facoltà legislative in materia locale; ai vecchi Alsaziani dolse però che eguali diritti ai loro vi avessero i nuovi immigranti di tutte le provincie della Germania, e specialmente della Prussia. La resistenza dell'alsazianismo puro al prussianismo fu compresa ed ammessa, senza sospetto, anche da una parte dell'opinione tedesca, che per natura è federalista e particolarista; molti Tedeschi meridionali deploravano che l'Alsazia fosse stata annessa alla Prussia piuttosto che ad essi.
La questione dell'Alsazia-Lorena, che sul posto andava assopendosi, e in Francia era oggetto oramai più di rimpianto che di speranza, veniva tuttavia ravvivata dal sospetto di Berlino. Gli incidenti (novembre 1913) di Zabern, nei quali un tenente prussiano sguainò la sciabola perché non gli pareva di essere abbastanza rispettato dai borghesi e che portarono allo stato di assedio, fecero impressione in Europa, soprattutto perché il segretario di stato per gli Esteri tedesco, von Jagow, dichiarò che "le guarnigioni tedesche in Alsazia erano come accampate in territorio nemico". Apparentemente germanizzata, fuori che in alcuni nuclei, tutta l'Alsazia e gran parte della Lorena, il governo tedesco rimaneva ancora incerto dei veri sentimenti di una popolazione parlante tedesco, educata in tedesco, laboriosa nell'ambito dell'economia tedesca.
La guerra mondiale. - Scoppiata la guerra nei primi giorni di agosto del 1914, la Francia mostrò subito di darle un carattere di rivincita a quella del 1870-71, portando la lotta in Alsazia, quantunque questa fosse strategicamente un teatro secondario. E poiché gli abitanti dei primi villaggi occupati nei Vosgi e quelli di Mulhouse, conquistata e riperduta sulla fine di agosto, accolsero a festa i soldati francesi, si diffuse l'illusione che gli Alsaziani e i Lorenesi ritrovati nel 1914 fossero identici a quelli perduti nel 1870. Alcuni uomini politici alsaziani, come l'abate Wetterlé, passati in Francia a far propaganda per la loro terra, la rafforzarono. Conveniva poi al governo francese impostare la questione in modo che, vincendo gli Alleati, al trattato di pace l'Alsazia-Lorena fosse puramente restituita, come riparazione a un diritto violato nel 1870, senza alcuna indagine locale.
Effettivamente, la maggioranza degli Alsaziani-Lorenesi del 1914-1918 assistettero e parteciparono alla guerra con animo diviso. Molti di loro con la ragione desideravano financo la vittoria tedesca, ma il loro cuore soffriva che i Francesi potessero essere sconfitti. I soldati nativi di Alsazia furono sospetti al comando e, quantunque adoperati largamente anche sulla fronte occidentale, tenuti in posti dove non fossero tentati di giovare al nemico. Durante i quattro anni della guerra circa trentamila disertarono e quasi ventimila entrarono nell'esercito francese, che contava già centinaia di ufficiali di origine alsaziana o lorenese. Nel Reichsland, in quei quattro anni, furono accusate di alto tradimento una cinquantina di persone e 5655 furono private dei diritti civili come sospette. Ma solo nel 1917, quando le speranze di vincere trionfalmente vennero meno ai Tedeschi, si cominciò a pensare, non alla perdita dell'Alsazia-Lorena, ma ad un suo avvenire politico un po' diverso dal passato. In Baviera si affermò che il malcontento del Reichsland sarebbe cessato aggregando l'Alsazia alla Germania meridionale e lasciando la Lorena alla Prussia. La Francia, dal canto suo, continuava a mettere la restituzione dell'Alsazia-Lorena a caposaldo delle sue condizioni di pace, né alcuno degli Alleati vi opponeva eccezioni. Poteva opporne l'associata America, per il principio di autodecisione proclamato da Wilson. Ma il presidente degli Stati Uniti fu persuaso ad accettare la tesi francese della restituzione e la fece sua in uno dei famosi "Quattordici punti" (8 gennaio 1918). Soltanto quando la guerra per la Germania era già perduta, l'ultimo cancelliere dell'Impero, Max del Baden, promise che l'Alsazia-Lorena sarebbe diventata stato federale del Reich; sostituì al governatore prussiano Dallwitz il borgomastro di Strasburgo, e convocò la Camera bassa della costituzione del 1911. Questa, mentre gli Alleati vittoriosi stavano passando i confini, si proclamò consiglio nazionale. Tutto il paese, stanco, affamato e sgomento da una minaccia di bolscevismo, accolse i soldati francesi come liberatori. Il 19 novembre, il maresciallo Pétain entrava a Metz, e Poincaré, presidente della Repubblica, il 10 dicembre dichiarava a Strasburgo: Le plébiscite est fait.
Un articolo del trattato di Versailles (28 giugno 1919) restituiva integralmente alla Francia i territori di Alsazia-Lorena che le erano stati tolti da quello di Francoforte. "Non provincie redente, ma provincie ricuperate".
Il dopo guerra. - Ritornata così l'Alsazia-Lorena alla Francia, la questione che dalle due provincie aveva preso nome ha cessato di essere, formalmente, una questione internazionale. Ma anche considerata come questione interna della Francia, questione di assimilazione e di amministrazione, essa rifletteva la sua complessa natura storica, quella di due popolose e ricche provincie poste ai confini tra due nazioni, la francese e la germanica, in lungo conflitto tra di loro, provincie che non possono non risentire, nella lingua, nel costume, nelle loro particolari tendenze nazionali, della doppia natura delle due nazioni e delle due civiltà che hanno avuto in sé. E, nonostante l'entusiasmo comune, le autorità francesi sapevano di entrare in un'Alsazia-Lorena diversa da quella abbandonata cinquant'anni prima. Perciò prima opera fu quella di restituirle quanto più fosse possibile la fisionomia di prima, riconducendovi gli emigrati ed allontanandone, in parte, gli immigrati tedeschi. Furono istituite delle commissioni di cernita (Commissions de triage), che ne espulsero centoquarantamila. A irigere e sorvegliare il trapasso del paese, nuovamente diviso nei tre dipartimenti dell'Alto Reno, del Basso Reno e della Mosella, fu mandato un Commissario generale (il primo fu Alexandre Millerand), assistito da un corpo consultivo locale. Il concetto fondamentale seguito dal governo francese è stato quello di un'assimilazione, e quanto più rapida fosse possibile. Il rischio che l'Alsazia-Lorena fosse germanizzata era stato grande, perché al sentimento francese non corrispondeva la lingua francese. Ora il governo ha preso, anzitutto nelle scuole elementari, provvedimenti tali da far sperare che in una o due generazioni il francese divenga la lingua generalmente parlata anche dal popolo rurale che non l'ha parlata mai. D'altro canto, l'università di Strasburgo veniva rafforzata e arricchita di nuovi insegnamenti, che ne facevano una delle più importanti istituzioni di alta cultura della Francia.
Il trapasso di leggi, di persone, di abitudini, non poteva avvenire senza malcontenti e senza qualche rimpianto per alcune cose praticamente buone del cessato regime germanico. Ai cattolici, sempre fortissimi, dolsero le disposizioni laiche e massoniche che il ministero "cartellista" di Herriot (1924) volle estendere nelle provincie ricuperate; l'Herriot stesso ne dovette sospendere l'applicazione nell'Alsazia-Lorena. Non mancavano sospetti fra gli stessi cittadini, che si accusavano di segreta germanofilia. In Germania gli espulsi che si affermavano alsaziani quanto tutti gli altri Alsaziani, fomentavano rimpianti irredentistici; la cessione, si diceva, non era neppure questa volta moralmente valida, perché imposta dalla forza. Ma poiché per il Patto di Locarno (16 ottobre 1925) la Germania si era avvicinata alla Francia, e tra vinta e vincitrice era stipulata la garanzia reciproca dei territorî, la rinuncia della Germania all'Alsazia-Lorena veniva ad essere, diplomaticamente, definitiva.
Il regime straordinario del commissariato non durò oltre il 31 dicembre 1924. Dopo, i tre dipartimenti dell'Alsazia-Lorena sono stati equiparati in tutto a tutti gli altri dipartimenti francesi e amministrati secondo le norme rigorosamente accentratrici di tutti i governi francesi. Ma il centralismo riusciva ostile a una popolazione che, sempre particolarista, aveva accentuato il proprio carattere particolare in mezzo secolo di vita germanica. Si cominciò a rimpiangere quel tanto di autonomia che aveva concesso la costituzione tedesca del 1911. Si cominciò a parlare e a scrivere di Heimatrecht, di un diritto locale che la Francia doveva riconoscere; il movimento si accentuò in quello nettamente autonomistico espresso dal giornale Zukunft, diretto dal dottor Ricklin, già deputato al Reichstag. Giornale e movimento furono sospetti di tendere alla separazione, d'intesa con gl'irredentisti d'oltre Reno. Gli autonomisti, dei quali divenne capo l'abate Haegy, si difendevano dicendo di domandare un'autonomia sempre "nel quadro" della repubblica francese; ma certo i loro erano postulati amministrativi e culturali alienissimi della tradizione unitaria della Francia. Da Parigi si rispondeva che anche gli Alsaziani erano francesi "senza condizioni". Il governo intervenne e punì quelli tra i firmatarî di un manifesto del Heimatbund (giugno 1926) che coprivano uffici pubblici. Il movimento parve attenuato: fu considerato come espressione di un piccolo numero di cittadini poco leali, da sorvegliarsi. Nella primavera del 1928 parecchi autonomisti furono accusati di complotto e di intesa con lo straniero. Ma alle elezioni generali, del 22 e 29 maggio 1928, in quasi tutta l'Alsazia i candidati autonomisti o favoriti degli autonomisti prevalsero su quelli "nazionali". Due degli imprigionati per il complotto, il dottor Ricklin e Rossé, furono tra gli eletti: il mandato parlamentare fu però loro tolto dalla Camera francese, dopo una tempestosa discussione. Nelle elezioni amministrative del maggio 1929 gli autonomisti ebbero una forte prevalenza a Strasburgo a a Colmar.
Bibl.: Bleicher, Les Vosges, Parigi 1889; H. Baulig, Questions de morphologie vosgienne et rhénane, in Annales de géographie, 1922; id., Population de l'Alsace et de la Lorraine, ibid., 1921, 1923; Mennkirch, Studien zur Darstellbarkeit der Volksdichte mit besonderer Rücksichtnahme auf den Elsässischen Wesgau, Brunswick 1897; V. Vidal de la Blache, La France de l'Est (Lorraine, Alsace), Parigi 1916. - Una sintesi storica, della questione dell'Alsazia-Lorena fino al 1918, è pubblicata fra gli Handbooks prepared under the direction of the Historical Section of the Foreign Office, n. 30, Alsace-Lorraine, Londra 1920; documentazione raccolta ufficialmente dalla Francia è nell'altra pubblicazione: Ministère de la Guerre, Grand Quartier général des armées. État-Major général: L'organisation politique et administrative et la législation de l'Alsace-Lorraine; documents mis à jour jusqu'à 1913-1915, Parigi 1915-1922. - Per la storia di Alsazia-Lorena, in generale: R. Wackernagel, Geschichte d. Elsassen, Basilea 1910; E. R. Reuss, Histoire d'Alsace, nuova ed., Parigi 1920; K. A. Stählin, Geschichte der E.-L., Monaco 1920.
Sul passaggio alla Francia nel sec. XVII; R. Reuss, L'Alsace au XVII siècle, voll. 2, Parigi 1897-98; W. Mommsen, Richelieu, Elsass und Lothringen, Berlino 1922; K. Jacob, Die Erwebung des Elsass durch Frankreich im Westfäl. Frieden, Strasburgo 1897; A. Overmann, Die Abtretung des Elsass an Frankreich im Westfäl. Frieden, Karlsruhe 1904; G. Bardot, La question des dix villes impériales d'Alsace, 1648-80, Parigi 1899; A. Legrelle, Louis XIV et Strasbourg, Parigi 1881; Ch. Pfister, Les réunions en Alsace, in Revue d'Alsace, 1895; cfr. anche A. Schulte, Frankreich und das linke Rheinufer, Stoccarda-Berlino 1918.
Per le fonti, e altre indicazioni bibl., cfr. le Sources de l'histoire de France, III; L. André, Le XVII siècle, V, Parigi 1926.
Per la questione durante la dominazione tedesca, di parte francese, v.: H. Welschinger, La protestation d'Alsace-Lorraine à Bordeaux, Parigi 1918; R. Baldy, L'Alsace-Lorraine et l'Empire Allemand (1871-1911), Parigi 1912; M. Leroy, L'Alsace-Lorraine porte de France, Parigi 1914; F. Eccard, L'Alsace sous la domination allemande, Parigi 1919. Di parte tedesca: C. E. Fischbach, Das öffentliche Recht des Reichsland E.-L., Tubinga 1914; Ruland, Deutschtum und Franzosentum in E., 1908. - Per il periodo dopo la riannessione alla Francia: A. Millerand, Le retour de l'A. L. à la France, Parigi 1923; G. Delahache, Les débuts de l'administration française en Alsace et en Lorraine, Parigi 1923; Elsass-Lothringen und Wir. Stimmen der deutschen Selbstbesinnung, herausgegeben von G. Schmückle, Stoccarda 1921; H. Pohl, Die Elsäss-Lothring. Frage, Stoccarda 1927. - Sul movimento autonomista: G. Wolf, Das Elsässisches Problem, Strasburgo 1926. - Le pubblicazioni posteriori alla guerra sono analizzate dalla Bibliographie alsacienne, Revue critique des publications concernant l'Alsace, I (1918-1921), Strasburgo 1922.