Filosofo (n. forse 436 a. C.), fondatore della scuola cinica, vissuto circa settant'anni. Discepolo prima di Gorgia e poi di Socrate, tenne scuola dopo la morte di questo nel ginnasio di Cinosarge. Sembra abbia scritto diverse opere. Difficile è stabilire che cosa spetti ad A. nell'elaborazione delle dottrine della scuola cinica; assai celebre è la critica che gli viene attribuita della dottrina platonica delle idee ("Platone, vedo il cavallo ma non la cavallinità"): da ciò si è voluto dedurre un sensismo gnoseologico, ma in realtà si tratta di un nominalismo, nel senso che la conoscenza di ciascuna cosa individuale è ricondotta alla conoscenza del "nome" che la esprime secondo verità. Di qui la negazione di ogni giudizio che non sia un giudizio identico ("l'uomo è uomo"), cioè la negazione della possibilità di attribuire molti "nomi" a un'unica cosa. Di qui anche l'idea che la virtù è una e non molteplice e ch'essa o è posseduta per intero o manca del tutto. E questa virtù è essenzialmente esercizio, liberazione dai desiderî e dai piaceri: assoluto autodominio, esaltazione della fatica, affrancamento da tutto ciò che è "per legge" e "per convenzione" e non "per natura". In ciò sta la saggezza e la stessa felicità.