L’appalto di prestazioni di lavoro, in senso ampio, è il contratto stipulato tra un imprenditore e un fornitore di manodopera per la semplice messa a disposizione di energie lavorative. Storicamente la legislazione italiana vi ha scorto una forma distorta di impiego della forza-lavoro, che offre al datore di lavoro la possibilità di eludere le responsabilità sostanziali legate alla titolarità del rapporto. La l. n. 1369/23 ottobre 1960 sancì (art. 1, co. 1) il divieto per l’imprenditore di affidare in appalto, in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante l’impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o intermediario, qualunque fosse la natura dell’opera o del servizio cui le prestazioni si riferivano. In base a questa disciplina, il lavoratore doveva essere considerato come dipendente dell’effettivo utilizzatore ogni volta che il datore di lavoro ‘formale’ si fosse limitato a fornire mere prestazioni di lavoro. In particolare, il divieto valeva per «ogni forma di appalto o subappalto, anche per l’esecuzione di opere e servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante quand’anche per il loro uso venga corrisposto un compenso» (art. 1, co. 3). Tale norma è stata abrogata dal d. lgs. n. 276/10 settembre 2003 che ha contestualmente ridefinito i criteri per distinguere un appalto genuino (ex art. 1655 c.c.) da un nudo appalto di manodopera. Il nuovo sistema normativo ruota attorno al principio secondo cui la fornitura di manodopera è riservata ai soggetti esplicitamente autorizzati dall’ente pubblico (Agenzie per l’impiego). Per i casi di somministrazione, appalto e distacco illecito gli art. 27 e 18 del d. lgs. n. 276/2003 stabiliscono un sistema graduale di sanzioni, che parte dalla somministrazione irregolare (art. 27, co. 1), e passando per la somministrazione abusiva (art. 18, co. 1) arriva fino alla somministrazione fraudolenta (art. 28).
Somministrazione di manodopera