Aristotele
La mente filosofica più universale dei Greci
Se il filosofo è colui che 'ama il sapere', Aristotele ‒ vissuto in Grecia nel 4° secolo a.C. ‒ ne ha rappresentato la massima incarnazione. La sua attività di ricerca è stata prodigiosa: si è occupato di metafisica, fisica, biologia, psicologia, etica, politica, poetica, retorica e logica, lasciando in ognuno di questi campi un'impronta indelebile. A questa immensa mole di ricerche Aristotele ha dato inoltre una veste sistematica, creando una vera e propria 'enciclopedia del sapere' che ha dominato la cultura occidentale sino al 17° secolo
Entrato a 17 anni nell'Accademia platonica, Aristotele vi rimase per vent'anni, confrontandosi con le più grandi menti del tempo. I rapporti con il maestro non furono sempre facili: Platone ammirava il giovane allievo ‒ lo aveva soprannominato 'l'intelligenza'‒ ma a volte si scontrava con lui per le critiche che questi gli rivolgeva. Alla morte di Platone Aristotele lasciò l'Accademia e iniziò un periodo di viaggi, durante il quale insegnò in varie città, si sposò e fece da precettore al futuro Alessandro Magno.
A 50 anni tornò ad Atene e fondò una sua scuola, detta Liceo (perché vicina al tempio di Apollo Licio) o Peripato (dal termine greco perìpatos, "passeggiata"), perché spesso Aristotele faceva lezione passeggiando per i vialetti del giardino. Ben presto il Liceo divenne più famoso dell'Accademia: è al suo interno che prese forma l'enciclopedia del sapere, articolata in scienze teoretiche, pratiche e poietiche (dal verbo greco poièin, "fare"), rispettivamente finalizzate alla conoscenza, all'azione e alla produzione.
Aristotele sentì il bisogno di fondare una sua scuola perché aveva elaborato una filosofia diversa da quella del maestro. Queste due 'scuole' diedero origine al più celebre dualismo della cultura occidentale, quello tra platonici e aristotelici. Il modo migliore per comprenderne il significato è quello di osservare uno splendido affresco dipinto da Raffaello nel 1509, Scuola d'Atene. Il grande pittore italiano colloca i due filosofi al centro della scena: Platone leva la mano in alto, indicando il cielo, mentre Aristotele la stende davanti a sé, indicando la terra. I due filosofi si guardano come se stessero dialogando, mentre al loro fianco si collocano i seguaci, lungo linee simmetriche e opposte.
La mano di Platone si volge al cielo, cioè alle idee, perché considera imperfetta e inferiore la realtà di questo mondo: nelle idee egli cerca un modello e un criterio di giudizio. Aristotele, invece, è affascinato dalla varietà del mondo: il suo gesto indica la terra, cioè la realtà, di cui indaga con meraviglia ogni aspetto, mosso dal desiderio di capire e spiegare. Per Platone il filosofo sarà dunque essenzialmente un educatore e un politico, il cui compito consiste nell'indicare al mondo 'come deve essere'; per Aristotele, invece, il filosofo sarà in primo luogo uno scienziato, il cui scopo è spiegare la realtà 'così come è', nella sua inesauribile varietà.
Secondo Aristotele l'uomo è spinto a filosofare, cioè a conoscere, dalla meraviglia che gli enigmi grandi e piccoli della realtà suscitano in lui. E se ogni scienza particolare arreca felicità, perché scioglie qualche enigma, la metafisica offre la più alta forma di felicità, perché risponde alle domande più profonde dell'uomo. Si tratta, infatti, della scienza teoretica per eccellenza: essa non studia un aspetto particolare della realtà ‒ come la fisica e la matematica, che studiano il movimento e la quantità ‒ ma la realtà nel suo complesso, di cui ricerca le cause ultime. Anche i primi filosofi avevano cercato il "principio" di tutte le cose (in greco arché), ma lo avevano individuato in un'unica causa, mentre secondo Aristotele ogni cosa è quello che è per una molteplicità di cause (materiali, formali, efficienti e finali). Celeberrimo è l'esempio della statua. La sua causa materiale è il marmo; la sua causa formale, ciò che fa assumere al marmo quella determinata forma, è l'idea che sta nella mente dell'artista; la causa efficiente è l'azione dello scalpello che modifica il marmo; la causa finale è il fine per cui è stata fatta, che può essere il desiderio di gloria o il bisogno di denaro.
Quella di Aristotele ‒ vista con gli occhi del fisico moderno ‒ è una fisica 'ingenua', basata cioè sull'esperienza comune. Stando a quest'ultima, la Terra sembra stare ferma, mentre il Sole si muove nel cielo; inoltre i corpi celesti, a differenza di quelli terrestri, sembrano rimanere uguali e si muovono circolarmente. Partendo da queste osservazioni Aristotele elabora una concezione geocentrica e disomogenea dell'Universo. Geocentrica, perché la Terra sta immobile al centro dell'Universo, mentre il Sole e i pianeti le ruotano attorno. Disomogenea, perché si basa sulla distinzione tra due zone: quella celeste (dalla luna in su), nella quale i corpi sono eterni, immutabili e si muovono di moto circolare, e quella sublunare (dalla luna al centro della Terra), nella quale i corpi sono mutevoli, composti da elementi (terra, acqua, aria, fuoco) e caratterizzati dal moto rettilineo. Tale moto è dovuto alla naturale tendenza dei corpi verso il loro 'luogo naturale', come dimostra il fatto che le pietre, composte di terra, cadono verso il basso, mentre le bolle, composte d'aria, vanno verso l'alto. Tale concezione dell'Universo, ripresa da Tolomeo, dominò sino al 16° secolo.
Etica e politica sono scienze pratiche: esse sono infatti finalizzate a individuare il bene, affinché i singoli uomini e gli Stati agiscano in modo giusto. Occupandosi del mutevole mondo umano, esse offrono un sapere meno certo, ma non meno importante, delle scienze teoretiche. La riflessione etica di Aristotele parte dal problema della felicità: tutti gli uomini la considerano il bene supremo, ma ognuno la intende a modo suo. Occorrerà, dunque, stabilire, in primo luogo, in cosa consista veramente la felicità. Ora, poiché la felicità consiste nel realizzare al meglio il proprio compito (il musicista, per esempio, è felice quando compone una bella musica, il medico quando guarisce l'ammalato), la felicità dell'uomo consisterà nel vivere secondo ragione, giacché è la ragione che lo distingue da tutti gli altri esseri viventi.
Le virtù consisteranno, dunque, nell'uso della ragione, sia per esprimerne al meglio le potenzialità (virtù intellettuali) sia per controllare gli istinti e le passioni (virtù etiche, dal greco éthos "comportamento"). Queste ultime consistono nello scegliere il giusto mezzo tra due eccessi opposti, come il coraggio tra la viltà e la temerarietà o la generosità tra l'avarizia e la prodigalità. Tutte le virtù etiche, sottolinea Aristotele, sono "abiti", cioè disposizioni ad agire in modo equilibrato che si rafforzano tramite l'esercizio.
L'uomo, secondo Aristotele, è un animale naturalmente socievole. Soltanto vivendo in società gli uomini possono realizzare le loro potenzialità, così come gli organi possono vivere soltanto all'interno del corpo. Ma questa concezione non deve condurre alla negazione delle differenze individuali. Aristotele rifiuta il comunismo teorizzato dal suo maestro, perché ritiene che abolendo la proprietà privata non solo non sparirebbero i mali della convivenza umana, ma sorgerebbe una società economicamente povera e spiritualmente grigia. L'unità sociale nasce invece proprio dalla compresenza delle differenze, così come nella musica l'armonia scaturisce dalla varietà degli accordi e dei toni.
Quanto alle forme di governo, se Platone preferiva l'aristocrazia (il governo dei migliori, che a suo parere erano i sapienti), Aristotele preferisce la politìa, (da polìtes "cittadino"), ossia il governo delle maggir parte dei cittadini, perché è convinto che l'insieme dei cittadini giudichi meglio di alcuni individui eccellenti. Chi è, si chiede Aristotele, il miglior giudice di un pranzo? Il cuoco, che è un esperto, o gli invitati? Gli invitati, perché le capacità di giudizio dei singoli si sommano tra di loro e finiscono per superare quelle dell'esperto. Perché la politìa funzioni è però necessario che si formi un'ampia classe media, né troppo ricca, né troppo povera.
Platone considerava pericolosa l'arte perché allontana l'uomo dalla verità - essa infatti imita la realtà, che è una copia imperfetta delle idee - e perché rappresenta passioni negative. Per Aristotele, invece, imitare il mondo reale non è affatto un difetto; quanto alle passioni, è vero che l'arte ne suscita di forti, come la pietà o il terrore, ma lungi dal farle esplodere aiuta piuttosto gli uomini a liberarsene (catarsi).