cittadinanza
Insieme dei diritti che spettano a ogni cittadino
Il senso in cui viene usato oggi il termine cittadinanza risale alla Rivoluzione francese del 1789. Grazie a essa, infatti, si affermarono due principi fondamentali: quello secondo cui tutti gli individui sono uguali di fronte allo Stato e alle sue leggi e quello secondo cui godono di una serie di libertà inviolabili. In questo modo, da sudditi che erano, gli individui divennero cittadini
Oggi per cittadinanza intendiamo un insieme di diritti civili, politici e sociali, ai quali sono connessi vari doveri: per esempio, il diritto all'istruzione comporta l'obbligo di frequentare la scuola sino a una certa età.
La cittadinanza è il frutto di un lungo processo, al quale hanno contribuito le principali correnti politiche della modernità. All'inizio di questa storia troviamo i rivoluzionari francesi del 1789, che si battevano per l'eguaglianza civile e la libertà individuale. Nella Francia prerivoluzionaria ‒ e anche negli altri paesi europei, con la parziale eccezione dell'Inghilterra ‒ gli individui non erano uguali di fronte allo Stato: la società era divisa in ceti e alcuni di essi (nobiltà e clero) godevano di grandi privilegi, come non pagare le tasse, avere dei tribunali speciali, essere ammessi in via esclusiva a certe carriere pubbliche (antico regime). I protagonisti del 1789 si batterono affinché tutti gli individui fossero uguali di fronte allo Stato e alle sue leggi, senza nessuna eccezione. Inoltre essi reclamarono una serie di libertà individuali prima inesistenti o fortemente limitate, come la libertà di pensiero, di religione, di stampa, di riunione e di attività economica. L'insieme di queste conquiste ‒ ispirate alle idee liberali ‒ diede luogo ai diritti civili, che costituirono il primo pilastro della cittadinanza moderna.
I protagonisti liberali del 1789 (liberalismo) lottarono anche per i diritti politici, ossia per il diritto di partecipare ‒ tramite l'elezione dei parlamenti ‒ alle decisioni che lo Stato deve prendere. Essi, però, ritenevano che per esercitare tale diritto occorresse un certo grado di cultura e di interesse, condizioni queste che soltanto la proprietà, a loro parere, poteva dare. Nella società dell'Ottocento, infatti, soltanto i proprietari avevano la possibilità di studiare; la proprietà, inoltre, li legava stabilmente alla società di cui facevano parte.
Per tali ragioni i liberali si opposero all'eguaglianza politica, che invece veniva reclamata dai democratici. Costoro, nella seconda metà dell'Ottocento, si batterono per estendere il diritto di voto a tutti. Il suffragio universale maschile fu conquistato, negli Stati liberali, agli inizi del Novecento; ma perché diventasse veramente universale ‒ cioè perché votassero anche le donne! ‒ si dovette attendere ancora mezzo secolo (in Italia il 1946). Con tale conquista la cittadinanza moderna acquistò il suo secondo pilastro: alle libertà individuali garantite dai diritti civili si affiancò il diritto di partecipare alla vita politica.
Nel corso dell'Ottocento, in seguito alla Rivoluzione industriale e alla formazione della classe operaia, nacquero in Europa i partiti socialisti (socialismo), secondo i quali le forti disuguaglianze economiche esistenti fra le classi sociali rendevano del tutto illusori i diritti civili e politici conquistati in precedenza. Originariamente i socialisti teorizzarono l'abolizione della proprietà privata e la realizzazione di una società fondata sull'eguaglianza dei beni.
Sebbene i socialisti ‒ con l'eccezione di quelli inglesi ‒ teorizzassero la rivoluzione, presero parte alla vita politica ed entrarono nei Parlamenti di Francia, Italia e Germania, incanalando così le loro richieste all'interno delle istituzioni liberal-democratiche. Grazie al loro influsso si affermò gradualmente l'idea che lo Stato dovesse garantire anche una serie di diritti sociali: dall'istruzione alla sanità, dalle pensioni alla previdenza sociale (in caso di malattia, gravidanza, disoccupazione). Nacque così, a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, il Welfare State (benessere, Stato del), che costituisce il terzo pilastro della cittadinanza: all'indipendenza individuale e alla partecipazione politica esso affianca una rete di protezione sociale, che impedisce ai cittadini di cadere al disotto di una certa soglia di povertà e indigenza.