CITTADINANZA (X, p. 498)
Nuove disposizioni. - Con r. decr.-legge 10 gennaio 1926, n. 16 (convertito nella legge 24 maggio 1926, n. 998), si permise la revoca, da pronunciarsi con decreto del prefetto, della concessione della cittadinanza italiana conferita ad allogeni in seguito ad azioni che li rendano indegni di essa per la loro condotta politica.
Una notevole aggiunta alle disposizioni contenute nella legge 13 giugno 1912 relativa alla perdita della cittadinanza italiana, fu portata col r. decr.-legge 24 luglio 1930, n. 1094 (convertito nella legge 18 dicembre 1930, n. 1776), che comminò la decadenza dal diritto a conseguire o conservare la pensione in caso di perdita volontaria della cittadinanza; il r. decr.-legge 16 novembre dello stesso anno (convertito nella legge 30 aprile 1931, n. 511) estese la decadenza ad ogni altro assegno o pensione a carico di enti diversi dallo stato. Tali disposizioni, in sostanza, riproducevano un principio già sancito dall'antica legge sulle pensioni 27 giugno 1850. Sennonché, in pratica, il carattere di generalità che fu dato alla decadenza, senza eccezioni, pose in luce alcuni inconvenienti: tale norma, in via di regola pienamente giustificata, si risolveva talora in un pregiudizio non egualmente giustificato. A tal fine questa materia fu regolata ex novo, abrogandosi le anzidette disposizioni, con il r. decr.-legge 7 settembre 1933, n. 1295.
Con esso fu stabilita la decadenza di chi ha acquistato, col concorso della propria volontà, una cittadinanza straniera, dal diritto a conseguire o godere pensioni o indennità di quiescenza a carico dei bilanci dello stato, o del fondo pensioni delle Ferrovie dello stato, delle provincie, dei comuni, della Real Casa, degli ordini equestri civili o militari, degl'istituti di previdenza amministrati dalla Cassa depositi e prestiti e di ogni altro pubblico istituto, nonché i benefici dell'opera di previdenza a favore del personale dipendente dall'amministrazione dello stato, compresi quelli delle opere di previdenza delle aziende statali con ordinamento autonomo e le pensioni, assegni e indennità di guerra e il diritto alla liquidazione delle speciali polizze di assicurazione concesse ai combattenti, agli orfani e ai genitori dei caduti in guerra (salvo all'Opera nazionale dei combattenti il riscatto delle polizze scadute prima dell'entrata in vigore del decreto sulle quali avesse concesso anticipazioni e nei limiti del suo credito). Ma si esclusero le pensioni, gli assegni e le indennità concesse in virtù della legge sulle assicurazioni sociali, e ciò per il carattere e lo scopo di tali indennità e assegni (articoli 1, 2). La decadenza non si applica quando il cittadino abbia acquistato la cittadinanza di uno stato estero, la cui legislazione ne permette la perdita senza condizionarla in nessun caso ad autorizzazione o altro atto di autorità, né a chi già non avesse la cittadinanza italiana al momento della concessione del beneficio (art. 4), né a coloro che, già residenti all'estero al 24 maggio 1915, siano rimpatriati durante la guerra mondiale per compiere il servizio militare nel regno. Queste deroghe ed eccezioni che facevano riacquistare di pieno diritto il beneficio perduto, per effetto dei regi decreti-legge 24 luglio e 6 novembre 1930, con effetto dal giorno dell'entrata in vigore del decreto, trovano la loro piena giustificazione nella circostanza che esse si riferiscono tutte a ipotesi nelle quali manca la volontarietà del fatto o questo non dipende da scarso sentimento patriottico. Infine, si consentì il ripristino delle pensioni a coloro che riacquistino la cittadinanza italiana o che, avendola sempre conservata, perdano la cittadinanza straniera (art. 6).
Finalmente, interessanti e opportune modificazioni alla legge 13 giugno 1912 sono state apportate col r. decr. legge 1° dicembre 1934, n. 1927, per la concessione della cittadinanza italiana.
Infatti, i criterî ai quali, a tale riguardo, s'ispirò la legge del 1912, pur essendo adeguati alle idee dominanti nel tempo in cui la legge fu emanata, non si sono palesati conformi ai principî informatori della politica e della legislazione fascista. Così parve eccessivo che, per la concessione della cittadinanza italiana a chi avesse reso servizî notevoli all'Italia ovvero avesse contratto matrimonio con una cittadina italiana (art. 4, n. 3 legge 1912), occorresse la residenza nel regno almeno per tre anni e almeno di un anno per chi avrebbe potuto diventare cittadino italiano per beneficio di legge se non avesse omesso di farne in tempo utile espressa dichiarazione (art. 4, n. 4); e, inoltre, che il parere del Consiglio di stato sulle domande di concessione dovesse essere favorevole perché queste potessero essere accolte, mentre, nella legislazione italiana, il parere del Consiglio di stato non vincola, di regola, l'amministrazione.
Con l'anzidetto regio decreto-legge è stato stabilito, in modifica dell'articolo 4 della legge del 1912, che la cittadinanza italiana, comprendente il godimento dei diritti politici, può essere concessa con decreto reale, sentito il Consiglio di stato: 1. allo straniero che abbia prestato servizio per tre anni allo stato italiano, anche all'estero; 2. allo straniero che risieda da almeno cinque anni nel regno; 3. allo straniero che risieda da due anni nel regno e abbia reso notevoli servizî all'Italia e abbia contratto matrimonio con una cittadina italiana; 4. dopo sei mesi di residenza a chi avrebbe potuto diventare cittadino italiano per beneficio di legge, se non avesse omesso di farne in tempo utile espressa dichiarazione, lasciando al governo la facoltà di concedere, in tutti questi casi, la cittadinanza italiana a persone nei cui confronti non ricorrano le anzidette condizioni, fermo, per altro, restando, sebbene non sia detto espressamente dal decreto, anche in questi casi, il decreto reale e il previo parere del Consiglio di stato.
In conseguenza è stato soppresso l'art. 6 della legge 13 giugno 1912 che prevedeva la necessità di concedere la cittadinanza speciale a chi avesse reso all'Italia servizî di eccezionale importanza, il che dava luogo a una procedura complessa e lunga, mentre spesso il beneficio della concessione consiste in gran parte nella sollecitudine con la quale è accordato. Del resto, il parlamento non era l'organo meglio adatto alla funzione di concedere la cittadinanza.
Mentre l'art. 6 della legge del 1912 permetteva l'acquisto della cittadinanza per legge solo per chi avesse reso all'Italia servizî di eccezionale importanza, la legge nuova ha concesso al governo tale facoltà anche per speciali circostanze.
Tutte le anzidette modificazioni apportate alla legge del 1912 rivelano la necessità di una nuova legge che regoli organicamente e interamente la materia della cittadinanza, ispirandosi ai principî della politica fascista che ha potentemente rafforzato il concetto di nazionalità per cui la cittadinanza deve perdersi nel minor numero dei casi possibili. Il progetto di legge presentato il 7 marzo 1930 dal ministro Rocco al senato, che lo approvò, decadde per la chiusura della legislatura.
Per il regolamento della cittadinanza degli abitanti delle Isole italiane dell'Egeo, dei già "pertinenti" al comune di Fiume, e degli abitanti della Libia, v. egeo, isole italiane dell', App.; fiume, libia, App.