In grammatica, modo indicante la volontà, la possibilità, la proiezione nel futuro dell’azione pensata (quindi spesso usato a designare il futuro). Il suo impiego viene sovente a coincidere con quello dell’ottativo; ciò ha fatto sì che in latino e in germanico i due modi si siano fusi in uno e che nel greco della koinè l’ottativo sia scomparso lasciando in eredità al c. le proprie funzioni. Nelle lingue moderne l’uso del c. è molto ristretto.
In italiano, il c. ha, come in latino, quattro tempi (presente, imperfetto, passato e trapassato), e si adopera per lo più in proposizioni subordinate. In proposizioni indipendenti, il presente del c. supplisce alle persone dell’imperativo che mancano, per esprimere comando, consiglio, preghiera, augurio, concessione (si mettano in salvo; sia pure!). Sempre in proposizioni indipendenti, può inoltre esprimere dubbio (che sia matto?) o desiderio; nel secondo caso, s’adopera l’imperfetto per riferirsi al presente o al futuro (potessi almeno rivederlo!), il trapassato riferendosi a tempi anteriori (fossi stato più cauto!).