(lat. Diana) Divinità italica e romana, di origine discussa; il nome presenta la stessa radice di dīus «giorno»; quindi è la «splendente», la «luminosa». Dalle donne romane era venerata soprattutto come assistente ai parti ( D. Lucina) al pari di Giunone, ed era in generale considerata protettrice delle donne. La sua caratteristica essenziale è quella di regnare nel mondo dei boschi e di soprintendere alla vita delle fiere; di qui i boschi come centro principale del suo culto. Nel Lazio il culto principale era nel santuario del bosco di Ariccia presso il Lago di Nemi; intitolato a D. Aricina, era sede del Rex nemorensis, che, schiavo fuggitivo, riceveva in quel luogo la tutela di Diana. La connessione della dea con il mondo servile si manifesta in numerosi altri momenti della tradizione, come per es., la fondazione del suo tempio all’Aventino attribuita a Servio Tullio. È la caratteristica di ‘straniero’ connaturata allo schiavo che fa rientrare quest’ultimo nella sfera di D., sovrana delle zone che restano ‘al di fuori’ di un mondo organizzato in città e strade. Dal sincretismo religioso dell’età imperiale fu identificata con numerose figure divine femminili di religione orientale, che presentavano tratti di affinità più o meno numerosi con la figura, ormai totalmente fusa, di Artemide-Diana.
Dal punto di vista iconografico, in ambiente italico e romano si adattarono a Diana i vari tipi greci di Artemide; in Etruria, Diana fu rappresentata secondo il tipo dell’Artemide-Nike corrente; in terrecotte campane essa compare come Artemide Persica, e l’immagine cultuale di lei nel tempio dell’Aventino ripeteva quella di Artemide Efesia. In genere fu raffigurata in aspetto di cacciatrice, con lunghe vesti, arco e faretra, e anche come protettrice degli animali. Nell’arte romana si rielaborarono soprattutto i modelli del 4° sec. a.C. e dell’ellenismo: D. fu così caratterizzata dal corto chitone dalle armi, dalla fiaccola e dal cane.