Stato in cui si trovano gli animali e le piante, quando le condizioni di alimentazione e riproduzione sono regolate dall’uomo. In particolare si dicono domestiche quelle specie di animali che, vivendo permanentemente con l’uomo, gli forniscono lavoro e prodotti utili e sono dall’uomo stesso protette e sottratte alle vicissitudini della lotta per l’esistenza. Nella d. gli effetti della selezione naturale sono regolati e le razze nuove che compaiono non si incrociano a caso fra loro o con le forme selvatiche, ma vengono moltiplicate oppure no a seconda dei criteri dell’allevatore.
Alla riproduzione controllata di specie vegetali e animali l’uomo si dedicò a partire dalla fine del Paleolitico e gli inizi del Neolitico (9000-7000 a.C.), segnando la transizione dall’economia di sussistenza di cacciatore-raccoglitore a produttore di cibo attraverso le prime pratiche agricole e l’allevamento di animali. La d. ha comportato la selezione artificiale di specie vegetali e animali al fine di esaltarne le qualità sfruttabili non solo a scopi alimentari ma anche, nel caso degli animali, per l’abbigliamento, le suppellettili, il trasporto. Gli inizi della d. si rintracciano nel Vicino Oriente (frumento, orzo, ovini e caprini) nella cosiddetta ‘mezzaluna fertile’, da cui agricoltura e allevamento si diffusero in Europa. Tra 5000 e 3000 anni a.C. la d. fu sperimentata indipendentemente in altri centri di diffusione dove vennero sfruttate specie vegetali e animali autoctone: Cina settentrionale e meridionale (riso, soia, suini), Asia sud-orientale, Mesoamerica e America andina (mais, patate, lama), Africa sudanese (miglio, sorgo).