Espressione latina con cui si indica, nel diritto penale sostanziale, il fondamento di istituti che escludono l’esistenza dell’illecito o che producono effetti più lievi rispetto a quelli che si verificherebbero altrimenti. Esemplificativi sono gli istituti del reato continuato (art. 81, co. 2, c.p.) e dell’efficacia retroattività di una nuova legge penale più favorevole rispetto a quella previgente, ma entrata in vigore dopo la commissione del fatto di reato per cui si procede (art. 2, co. 2 e 4, c.p.). Nel diritto penale processuale il f. è accolto come un principio generale, traducibile nell’atteggiamento che privilegia l’imputato o il condannato, e rende possibile, in determinate situazioni, concedere maggiore rilievo all’interesse dell’imputato rispetto ad altri interessi emergenti nella dinamica processuale. Tale criterio caratterizza le norme inerenti la pronuncia di una sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato l’ha commesso, che il fatto costituisce reato, che il reato è stato commesso da persona imputabile (art. 530 c.p.p.); ovvero quelle che prescrivono determinate cause di non punibilità (art. 129 c.p.p.), o quelle per cui, nella deliberazione della sentenza, in caso di parità di voti, prevale l’opinione più favorevole all’imputato (art. 527 c.p.). Ai fini dell’applicabilità di questo principio si rileva che, dal punto di vista soggettivo, esso si riferisce al reo inteso come imputato e come condannato, mentre, per ciò che concerne l’aspetto oggettivo, deve identificarsi nella prevalente considerazione all’interesse dell’imputato. In tal senso parte della dottrina considera tale principio equivalente a quello del favor liberatis o del favor innocentiae.