fibre
Vestire gli ignudi con la natura e con la chimica
Le fibre tessili sono sottili filamenti di origine vegetale, animale, minerale, oppure artificiali o sintetiche ottenute con polimeri. L'importanza delle fibre è dovuta al fatto che opportunamente filate esse sono alla base della produzione dei tessuti. La filatura è una tecnica impiegata dall'uomo dall'inizio della civiltà, anche se al giorno d'oggi si utilizzano moderni macchinari al posto del fuso e della spola. Le diverse fibre hanno ognuna una propria storia, e proprietà particolari che dipendono dalla struttura chimica. La fibra vegetale più importante è il cotone. La lana e la seta sono fibre animali impiegate fin dall'antichità. Le fibre sintetiche vengono utilizzate, oltre che per fare tessuti, anche per importanti applicazioni tecnologiche
Le origini. Le prime operazioni di filatura e di tessitura si perdono nella notte dei tempi; i nostri antichi progenitori, decine di migliaia di anni fa, per sopravvivere in climi freddi, hanno provveduto a coprire il corpo con qualche indumento: dapprima le pelli degli animali catturati con la caccia, poi successivamente qualcuno ha scoperto che i peli di molti animali potevano essere attorcigliati in modo da ottenere dei filamenti, i quali potevano essere intrecciati sotto forma di tessuti di dimensioni abbastanza grandi da coprire un corpo. Nel corso della storia l'uomo ha scoperto come ricavare numerosi altri tipi di fibre anche dai vegetali e perfino dai minerali. Con lo sviluppo della chimica le fibre sono state ottenute partendo da materie prime come il petrolio.
Tessuti dalle piante. Le fibre di origine vegetale sono costituite prevalentemente da cellulosa, una macromolecola naturale (ossia una molecola notevolmente grande) formata da moltissime unità di glucosio, con quantità più o meno grandi di lignina e di altre sostanze. A seconda della loro provenienza si possono suddividere in fibre provenienti dal frutto, come il cotone (la leggera peluria che circonda i semi di questa pianta) e il kapok; dal fusto, ricavate dai sottili gambi di piante come il lino, la iuta, la canapa; e dalle foglie, ottenute sfibrando le foglie di piante, per lo più tropicali, come il sisal.
Le fibre di cotone, costituite da cellulosa molto pura, lunghe alcuni centimetri, ricoprono il seme del cotone (Gossypium), una pianta coltivata su larga scala nel mondo per ricavarne sia la fibra, sia un olio vegetale, l'olio di semi di cotone.
I principali paesi produttori di cotone sono Cina, Stati Uniti, India, Pakistan, Turchia, Usbechistan. La separazione della fibra dal seme è una delicata e faticosa operazione, che all'origine era fatta a mano (per tale operazione gli Stati Uniti avviarono nell'Ottocento il commercio degli schiavi dall'Africa, mano d'opera gratuita da impiegare nei campi di cotone degli Stati meridionali). Questa operazione ora viene fatta per lo più meccanicamente. Nel corso di tale separazione delle fibre molto corte (linters) restano aderenti al seme e vengono poi recuperate; non sono adatte alla filatura ma vengono usate come materia prima per la produzione di fibre artificiali cellulosiche.
Il cotone è rimasto il re delle fibre tessili fino al 1975, quando la sua produzione nel mondo è stata superata da quella delle fibre artificiali e sintetiche. La maggior parte dei paesi produttori trasforma il cotone in filati e poi in tessuti; la fibra, i filati e i tessuti alimentano un grande commercio internazionale.
Le fibre animali sono la lana e la seta e sono costituite da proteine. La lana è l'insieme dei peli del manto delle pecore (il vello). Si può ottenere lana anche dal pelo di altri animali, come il cammello, l'alpaca (un cugino del lama) o il coniglio. La seta è un lungo filamento sottile prodotto dai bachi durante la fabbricazione del bozzolo, in cui si rinchiudono per completare la metamorfosi da baco a farfalla.
Le fibre di lana sono lunghe alcune decine di centimetri e sono costituite da una proteina denominata cheratina, la stessa che si trova anche nella nostra pelle e nei nostri capelli.
La lana si trova al secondo posto nel commercio mondiale delle fibre naturali, dopo il cotone. Australia, Cina, Nuova Zelanda, Iran hanno grandi allevamenti di pecore il cui vello viene tagliato (tosa) in adatte stagioni; si ottengono così fibre di lana greggia, ancora sporca, che deve essere lavata prima di venire immessa nel ciclo di trasformazione in filati e tessuti. Un primo lavaggio, in genere grossolano, viene fatto nei luoghi di allevamento e tosatura delle pecore; il lavaggio viene poi ripetuto con processi industriali nei luoghi di filatura e di tessitura.
La seta è la fibra animale più bella e ha una storia molto antica. Originaria della Cina, arrivò nel Mediterraneo già in epoca romana e veniva considerata un tessuto di gran lusso. Il monopolio della produzione cinese ‒ che alimentava un fiorente commercio internazionale attraverso l'Asia, lungo quella che era chiamata la via della seta ‒ fu rotto dall'importazione clandestina di uova della farfalla (impropriamente chiamati 'semi') nel Mediterraneo. Ben presto, dal 7° al 10° secolo, l'allevamento del baco da seta e la relativa tecnologia di produzione della fibra si diffusero in Europa. La produzione della seta comporta molte delicate operazioni e richiede mano d'opera specializzata. Le uova si trasformano in bachi (le larve) che vengono nutriti con foglie di gelso; il baco elabora poi il bozzolo emettendo un sottile filo continuo, lungo da 2.000 a 3.000 m, che lo avvolge in modo da creare un involucro (la pupa), lungo pochi centimetri, dentro il quale si trasforma in farfalla. La farfalla, completata la metamorfosi, fora il bozzolo ed esce per continuare il suo ciclo vitale deponendo le uova.
Nella produzione della seta, prima che la farfalla fori il bozzolo, quest'ultimo viene immerso in acqua bollente in modo da uccidere la farfalla e liberare la lunga fibra dalle sostanze collanti che l'accompagnano. La fibra di seta, costituita dalle proteine sericina e fibroina, viene a questo punto dipanata e, dopo altre operazioni diventa il sottile filo lucido che conosciamo come seta.
Fibre artificiali. Nella seconda metà dell'Ottocento gli allevamenti di bachi da seta furono colpiti da una epidemia che fece diminuire drasticamente la produzione della seta, tanto che alcuni studiosi cercarono allora di sostituirla con fibre tessili artificiali. Nel 1883 il francese Hilaire de Chardonnet preparò fibre artificiali utilizzando un derivato della cellulosa (il nitrato di cellulosa) disciolto in una miscela di alcol etilico e etere etilico. La soluzione molto viscosa veniva fatta passare attraverso una piastra bucherellata (filiera); il solvente veniva fatto evaporare e si otteneva un filamento continuo di nitrocellulosa, che ebbe però poco successo perché la fibra era molto infiammabile. Chardonnet provò a trattare la nitrocellulosa ottenendo così fibre artificiali di cellulosa rigenerata; ma anche queste fibre artificiali non si affermarono commercialmente, tanto più che nel frattempo la malattia dei bachi da seta era stata debellata.
La grande svolta nella produzione di fibre artificiali si ebbe poco più tardi con l'invenzione di due inglesi, Charles Cross e Edward Bevan. Essi scoprirono che la cellulosa, sottoposta a una serie di trattamenti chimici, si trasformava in una soluzione molto viscosa dalla quale si otteneva un sottile filamento di cellulosa pura, rigenerata (chiamata raion viscosa), che si prestava bene a fini tessili. Il successivo passo avanti fu l'utilizzo di un derivato chimico della cellulosa, l'acetato di cellulosa; questa sostanza era già prodotta industrialmente per ottenere le pellicole usate come supporto del materiale fotosensibile in fotografia e cinematografia. Anche l'acetato di cellulosa, sciolto in acetone, poteva essere estruso attraverso una filiera e trasformato in un filamento continuo. Le fibre a base di cellulosa ‒ viscosa, bemberg (cellulosa cuproammoniacale) e acetato ‒ vengono denominate fibre artificiali per distinguerle dalle fibre completamente di sintesi, cioè che non partono dalle grandi molecole organiche naturali.
Fibre antincendio. L'unica fibra tessile di origine minerale è l'amianto, di cui esistono vari tipi, con differenti caratteri mineralogici. La caratteristica più interessante delle fibre ottenute dall'amianto è quella di essere resistenti al fuoco. Tuttavia, l'uso tessile dell'amianto è ormai molto ridotto perché le fibre di amianto, durante l'estrazione dalle cave, la filatura, la tessitura e dopo alcuni anni di uso, si frantumano in fibre sottilissime che, se respirate, sono cancerogene.
I successi dei processi di fabbricazione di fibre artificiali dalla cellulosa spinsero i chimici, all'inizio del Novecento, a cercare di ottenere filamenti partendo da grandi molecole di sintesi (polimeri) che nel frattempo erano cominciate ad apparire sul mercato. Il primo materiale polimerico utilizzato fu il cloruro di polivinile, ottenuto dall'acetilene, a sua volta derivato dal carbone. Il cloruro di polivinile è una materia plastica con punto di fusione abbastanza basso: le prime fibre sintetiche furono ottenute in Germania nel 1913 facendo passare una massa di cloruro di polivinile fuso attraverso una filiera: per raffreddamento dei sottili fili fusi si formava una lunga fibra continua che trovò qualche limitato impiego.
La grande svolta si ebbe quando l'americano Wallace H. Carothers sintetizzò una materia termoplastica poliammidica che poteva essere trasformata in sottili filamenti molto resistenti, che presero il nome di nailon. Queste fibre presentavano una struttura chimica in un certo senso simile a quella delle proteine (che sono anch'esse poliammidi) che formano la lana e la seta. Il nailon fu messo in commercio nel 1939 e riscosse un enorme successo, dapprima come fibra per calze da donna, molto più resistenti di quelle di seta, poi per corde e altre innumerevoli applicazioni tessili e industriali.
A partire dal 1940, grazie ai successi della chimica delle macromolecole, sono stati immessi in commercio numerosi tipi di fibre sintetiche costituite da materiali termoplastici che vengono fusi ad alta temperatura, estrusi attraverso le filiere e recuperati come filo continuo. In particolare, negli anni Cinquanta del Novecento è iniziata la produzione e la commercializzazione di fibre a base di polipropilene, il polimero ottenuto dal propilene, un derivato del petrolio, mediante uno speciale processo messo a punto dal premio Nobel italiano Giulio Natta.
La maggior parte delle fibre sintetiche è ottenuta dalla corrispondente macromolecola per estrusione a caldo; esse hanno un punto di fusione abbastanza basso, per cui la macromolecola viene portata allo stato fuso (di fluido scorrevole) e spinta sotto pressione attraverso i fori della filiera. I filamenti vengono raffreddati con una corrente di aria e solidificano sotto forma di filo continuo, del diametro voluto, da cui si possono ottenere, volendo, anche fibre corte (fiocco), simili a quelle del cotone e della lana e miscelabili con esse per fornire tessuti di fibre miste.
Il processo di estrusione a caldo permette di sottoporre le fibre sintetiche a un trattamento di stiro mediante passaggio attraverso rulli che ruotano a diversa velocità; si ottiene così un orientamento delle macromolecole nella direzione dell'asse delle fibre e un miglioramento delle proprietà meccaniche delle fibre stesse e dei filati e tessuti.
Perciò, mentre il diametro delle fibre naturali è regolato dai processi biologici delle piante o degli animali, quello delle fibre artificiali e sintetiche può avere un valore variabile a seconda delle esigenze; ciò consente una migliore filabilità e l'uso della fibra anche in settori non tessili (realizzazione di cavi, sacchi, corde).
L'avvento delle fibre sintetiche ha rivoluzionato la geografia della produzione e del commercio delle fibre. Le fibre sintetiche derivano praticamente tutte dal petrolio e la loro produzione è quindi nelle mani dei paesi che hanno una industria petrolchimica avanzata. Fra le fibre sintetiche il primo posto spetta alle fibre poliestere: la loro produzione mondiale, all'inizio del 21° secolo, ha superato quella del cotone. Seguono le fibre polipropileniche, quelle poliammidiche e quelle acriliche.
Le fibre sintetiche, e in parte anche le fibre artificiali, hanno un peso specifico inferiore a quello delle fibre naturali e pertanto consentono una maggiore resa: ciò vuol dire che con lo stesso peso di fibra si ottiene una maggiore superficie di tessuto. Esse inoltre permettono di ottenere tessuti che conservano la piega, sono ingualcibili, asciugano rapidamente e possono non essere stirati.
La produzione mondiale di fibre nel 2003 è stata di circa 57 milioni di tonnellate, ripartita come indicato nella tabella per quel che riguarda le fibre più utilizzate.
in milioni di tonnellate Tipo di fibra Milioni di t/anno Fibre sintetiche 33,0 Fibre artificiali 3,0 Cotone 20,0 Lana 1,3
Molte caratteristiche dei tessuti e degli indumenti dipendono dalla composizione chimica delle fibre. Le fibre naturali hanno, rispetto a quelle artificiali e sintetiche, il vantaggio di essere costituite da molecole bagnabili dall'acqua: si possono perciò lavare meglio con detersivi solubili in acqua e, se impiegate in tessuti a contatto con la pelle, assorbono l'umidità del sudore del corpo; l'acqua di cui così si impregnano evapora nell'aria esterna sottraendo calore al corpo. Inoltre i tessuti di lana, per la loro struttura, incorporano l'aria fra le fibre, per cui si comportano come isolanti termici e permettono di conservare il corpo fresco d'estate e caldo d'inverno.
Le fibre sintetiche, oltre agli innegabili vantaggi già discussi, presentano però alcuni inconvenienti: il principale è che sono poco bagnabili dall'acqua (il che pone problemi nel lavaggio con i detersivi tradizionali). Inoltre, assorbono poco l'umidità e quindi lasciano passare con difficoltà il sudore; sono elettrostatiche, cioè trattengono sulla superficie le cariche elettriche che si formano per sfregamento; sono sensibili all'elevata temperatura, il che richiede precauzioni nel lavaggio, nell'asciugatura e nella stiratura, soprattutto quando sono in miscela con fibre naturali. Da qui l'importanza di conoscere, attraverso l'etichetta (obbligatoria per legge in Italia), la natura delle fibre presenti in un indumento.
Tra le fibre artificiali si possono comprendere materiali fibrosi artificiali destinati ad applicazioni speciali, in generale non tessili.
In sostituzione dell'amianto sono state prodotte fibre di vetro, non combustibili, con buone proprietà di isolamento termico. Le fibre di vetro sono state prodotte già all'inizio del Novecento; si ottengono per brusco raffreddamento, in corrente d'aria, di sottili fili di vetro fuso, e sono state utilizzate come materiale isolante (lana di vetro) e per indumenti e pannelli antincendio.
Col progresso della tecnologia sono state prodotte fibre di vetro sotto forma di filamenti continui che hanno mostrato importanti proprietà ottiche (fibra ottica).
La trasmissione di radiazioni elettromagnetiche in fibre ottiche di vetro ha permesso collegamenti a grande distanza con limitate perdite dell'energia e della qualità della radiazione trasmessa.
Un gruppo di fibre di crescente importanza tecnologica è rappresentato dalle fibre di carbonio, ottenute per riscaldamento, in assenza d'aria, di materiali fibrosi organici. Per lo più si parte dal polimero poliacrilonitrile che, per successive eliminazioni dell'azoto e trattamento con idrogeno, si trasforma in grafite (la forma cristallina del carbonio in cui gli atomi si trovano ai vertici di innumerevoli esagoni). Queste forme di grafite possono essere trasformate in fibre che presentano altissima resistenza meccanica, superiore a quella dell'acciaio, ma con un peso specifico molto minore. Le fibre di carbonio si usano da sole o incorporate in resine sintetiche sotto forma di materiali compositi e trovano impiego nella fabbricazione di sci, racchette da tennis, veicoli e carrozzerie di automobili molto leggere e resistenti.