RUSUTI, Filippo
Pittore e mosaicista attivo a Roma e in Francia tra l'ultimo quarto del Duecento e i primi decenni del secolo successivo.Il nome del maestro è noto attraverso un'unica sottoscrizione, quella del registro superiore del mosaico di facciata di S. Maria Maggiore a Roma; qui, nella bordura inferiore del clipeo che racchiude la figura di Cristo in trono si legge infatti: "Philipp(u)s Rusuti fecit hoc o(p)us". Si tratta probabilmente di una forma corrotta nel corso di uno dei tanti interventi di manomissione subìti dal mosaico; partendo da questa considerazione De Rossi (1872-1892) propone come lectio più corretta "Philipp(u)s Rusuti fecit hoc op(u)s".Il nome dell'artista si ritrova poi in un gruppo di documenti della corte parigina in cui compare un certo Philippus Bizuti: senza dubbio una corruzione del cognome R. (Toesca, 1927; Gardner, 1987), anche se non vi è unanimità su tale interpretazione (Prost, 1887).Comunque, tra il 1304 e il 1309, gli artisti romani Filippo, Giovanni, figlio di questi, e Niccolò si trovavano in Francia al servizio del re Filippo IV il Bello (1285-1314), ricevendone pagamenti con la qualifica di pictores regis. In un documento del 28 febbraio 1309 il nome di due di loro viene completato dal cognome: "Philippus Bizuti: de Roma" e "Nicolaus Desmerz, de Roma, pictor"; forse il cognome Desmerz potrebbe tradursi con De Marzi. Infine, in altri documenti del 1316-1317 e del 1322-1323, ricompaiono gli stessi nomi, sempre al servizio dei re di Francia: prima sotto Luigi X (1314-1316), poi sotto Filippo V (1317-1322) e Carlo IV (1322-1328; Moranvillé, 1887; Prost, 1887; Gardner, 1987).Ignorato nelle Vite di Vasari, il nome di R. compare nelle seicentesche Considerazioni sulla pittura di Giulio Mancini, il quale lo definisce contemporaneo di Jacopo Torriti (v.), e con questi attivo nello stesso cantiere di S. Maria Maggiore, ma non suo scolaro né compagno di lavoro; gli attribuisce anche, dubitativamente, il mosaico del monumento funebre del cardinale Guglielmo Durando in S. Maria sopra Minerva a Roma e affreschi nelle chiese romane di S. Francesco a Ripa e di S. Eustachio.Una descrizione del mosaico di S. Maria Maggiore e un accenno alla personalità del suo autore si ritrovano in Titi (1674), in Baldinucci (1681) e nella maggior parte degli scrittori d'arte dei secc. 17° e 18°; l'argomento maggiormente trattato è quello del completamento della zona inferiore del mosaico, con la Storia della fondazione della basilica liberiana, che, secondo quanto affermato da Vasari (Le Vite, II, 1967, pp. 81-86), sarebbe da riferirsi a Gaddo Gaddi (v.). In effetti, anche per gli studiosi moderni è proprio questo il punto di più difficile definizione per quanto concerne il corpus delle attribuzioni rusutiane. Queste, peraltro, sono state, nelle varie ipotesi critiche, piuttosto oscillanti, a volte esageratamente dilatate, altre limitate all'unica opera firmata. Fu Cavalcaselle (Crowe, Cavalcaselle, 1875) il primo a ipotizzare un'attività di R. nella chiesa superiore di S. Francesco ad Assisi, riferendogli la decorazione della seconda volta a partire dal transetto, la c.d. volta clipeata, opera poi riferita quasi concordemente a Jacopo Torriti; sulla stessa linea si collocano anche Thode (1885), Strzygowski (1888) e Zimmermann (1899).L'attribuzione a R. delle prime tre scene della Creazione nel ciclo assisiate è stata più volte avanzata (Bologna 1962; 1969; Belting, 1977; Aggiornamento scientifico, 1988) e, quindi, anche il famoso disegno preparatorio con il volto dell'Eterno (Assisi, Tesoro Mus. della Basilica di S. Francesco) gli è stato riferito; in realtà, esso mostra palmari somiglianze con le opere di Jacopo Torriti, in particolare con la figura di Cristo nel mosaico absidale di S. Maria Maggiore (Tomei, 1990). La presenza di R. tra i pittori attivi nella chiesa superiore di Assisi non può comunque essere del tutto esclusa, anche se appare veramente arduo assegnargli parti ben definite della decorazione. Egli dovette verosimilmente operare nell'ambito della bottega torritiana e forse la sua mano è riconoscibile nell'affresco con le Nozze di Cana.Un notevole ampliamento del catalogo rusutiano è stato proposto da Bellosi (1985), il quale riferisce a lui o alla sua diretta influenza, tra le altre cose, il mosaico con la Vergine in trono fra i ss. Crisogono e Giacomo nella chiesa di S. Crisogono a Roma, gli affreschi con figure di angeli nella cappella dello Spirito Santo nella cattedrale di Saint-Nazaire a Béziers, gli affreschi del chiostro cosmatesco della basilica di S. Scolastica a Subiaco, la croce dipinta dell'Aracoeli (Roma, Mus. del Palazzo di Venezia), la seconda redazione degli affreschi e le tavole double-face con la Vergine Annunziata, l'angelo annunziante, i ss. Nilo e Bartolomeo da Rossano nell'abbazia di S. Nilo a Grottaferrata (Mus. dell'abbazia). Un'altra attribuzione, sia pure avanzata dubitativamente, è quella dei tondi con profeti nel transetto sinistro della basilica di S. Maria Maggiore (Bellosi, 1985, pp. 121-122), che trovano però una più corretta sistemazione nell'ambito degli influssi provenienti dalla chiesa superiore di S. Francesco ad Assisi, nello specifico quelli collegabili sia alle novità linguistiche là elaborate dal Maestro di Isacco, negli affreschi con le Storie di Isacco, sia soprattutto alla c.d. volta dei Dottori, senza dubbio i dipinti stilisticamente più vicini a quelli di S. Maria Maggiore.Secondo Bologna (1969) a R. sarebbero da riferire anche le figure di profeti nella chiesa di S. Maria Donnaregina a Napoli, più probabilmente ascrivibili a Pietro Cavallini. Gardner (1987) ipotizza una presenza di R. negli affreschi di Béziers, anch'essi più influenzati da echi della pittura cavalliniana (Roma, Napoli, Avignone, 1996). Gandolfo (Aggiornamento scientifico, 1988) e Romano (1992) propendono invece per un catalogo più ristretto, imperniato sull'unica opera firmata. Per quanto riguarda quest'ultima, essa raffigura al centro Cristo in trono, entro un clipeo attorno al quale si collocano quattro angeli. Ai lati, due per parte, sono invece i quattro simboli degli evangelisti, al di sotto dei quali si trovano le figure della Vergine, di s. Paolo, di s. Giacomo e di s. Girolamo sul lato sinistro, mentre su quello destro sono raffigurati s. Giovanni Battista, s. Pietro, s. Andrea e s. Matteo.Le figure estreme sui due lati e altre parti del mosaico sono andate quasi interamente distrutte in seguito alla costruzione del nuovo portico settecentesco con loggia, opera di Ferdinando Fuga (1699-1781). Sparirono anche le figure dei committenti, i cardinali Jacopo e Pietro Colonna. L'aspetto completo dell'opera è comunque documentato da un disegno del sec. 17° conservato a Edimburgo (Nat. Gall. of Scotland; Gardner, 1973a).Al di sotto della fascia firmata da R. vennero eseguite quattro scene, poste simmetricamente ai lati del rosone centrale, relative alla Storia della fondazione della basilica liberiana, tradizionalmente riferita a papa Liberio (352-366). Da sinistra a destra esse rappresentano il Sogno di papa Liberio, il Sogno del patrizio Giovanni, Giovanni di fronte a papa Liberio, il Miracolo della neve. Le due zone del mosaico appaiono assai diverse sul piano dello stile e della tecnica musiva e con tutta probabilità furono eseguite in momenti distinti. Non mancano però opinioni diverse (Gardner, 1973b; Bellosi, 1985), secondo le quali l'intero mosaico sarebbe stato realizzato in un'unica fase, prima del 1297, anno in cui la famiglia Colonna - alla quale da lungo tempo era affidato il patronato della basilica e i cui stemmi compaiono al centro della facciata - venne messa al bando e privata di tutti gli onori e le cariche da papa Bonifacio VIII (1294-1303). Solo nel 1306 i Colonna furono riammessi da papa Clemente V (1305-1314) al patronato della basilica, anche se la loro effettiva riabilitazione politica e amministrativa - con la restituzione dei beni confiscati da Bonifacio VIII - era stata già stata sancita nel 1303 da Benedetto XI (1303-1304). Appare quindi del tutto improbabile che qualsivoglia lavoro commissionato dai Colonna sia stato eseguito tra il 1297 e il 1306. Se una datazione a prima del 1297 è perfettamente in linea con lo stile della fascia musiva firmata da R., non altrettanto può dirsi per la Storia della fondazione della basilica liberiana. Qui balza agli occhi, infatti, una concezione spaziale del tutto diversa, segnata dalla presenza di complessi sfondi e quinte architettoniche di marcata cifra gotica, in cui i personaggi agiscono in uno spazio impostato su tre dimensioni. Una siffatta impostazione dello spazio non è spiegabile senza ipotizzare da parte dell'autore dell'opera una conoscenza e un'approfondita meditazione della lezione giottesca, sicuramente nella sua versione assisiate, ma forse anche ormai in quella padovana, come sembrerebbero attestare certi artifici prospettici con i quali sono costruiti gli edifici negli sfondi - soprattutto nella seconda e terza scena del breve ciclo -, che ricordano i famosi coretti dipinti da Giotto (v.) sull'arco trionfale della cappella dell'Arena a Padova.Il mosaico firmato da R., invece, appare concepito in termini essenzialmente frontali, con le figure ritagliate sul fondo a tessere d'oro e dominate dalla ieratica e solenne immagine di Cristo in trono. Altre sostanziali diversità sono rilevabili sia nelle fasce decorative che accompagnano le due zone del mosaico sia nella tecnica di stesura delle tessere, molto più regolare nella fascia superiore, secondo un andamento a filari, tipico delle botteghe romane di fine Duecento, più frammentato e con tessere di maggiori dimensioni nella zona inferiore, almeno per ciò che è dato di osservare, visti gli estesi restauri subìti dal tessuto musivo. Ancora, le due zone del mosaico sono separate da una cornice in travertino, messa in opera in modo piuttosto irregolare, che separa nettamente la bordura decorativa inferiore del mosaico rusutiano da quella superiore della Storia della fondazione della basilica liberiana. Appare evidente che la funzione di questa cornice doveva essere quella di 'chiudere' provvisoriamente la fascia superiore, che altrimenti sarebbe finita, per così dire, nel vuoto. Una volta ripresi i lavori, dopo il 1306, e cambiate le maestranze, non dovette sembrare possibile riprendere senza cesure - senz'altro stilistiche e di gusto, ma soprattutto di materiali - la più antica tessitura musiva soprastante.Rimane di difficile definizione il problema attributivo, non sembrando probabile il riferimento a Gaddo Gaddi proposto da Vasari, né tantomeno un'attribuzione allo stesso R., sia per gli aspetti stilistici sopra esposti, sia perché i documenti della corte parigina attestano la continuità della presenza dell'artista in Francia come pictor regis.
Bibl.:
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