Vedi Germania dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Germania è la quarta potenza economica al mondo in termini di pil nominale, la prima dei 27 paesi dell’Unione Europea, tra i quali, con i suoi 82 milioni di abitanti, rappresenta anche lo stato più popoloso. Uscita sconfitta dalla Seconda guerra mondiale, per tutto il corso della Guerra fredda la Germania è rimasta divisa in due entità statali separate, create nel primo periodo postbellico in corrispondenza delle diverse zone di occupazione nelle quali fu suddiviso il suo territorio: ad ovest la Repubblica Federale Tedesca (Bundesrepublik Deutschland, Brd), nata dall’unificazione delle zone britannica, francese e statunitense, e ad est la Repubblica Democratica Tedesca (Deutsche Demokratische Republik, Ddr), costituita dai territori della zona di occupazione sovietica.
Il 3 ottobre del 1990 ha rappresentato una data cruciale nella storia nazionale, segnando la riunificazione delle due Germanie in virtù dell’annessione dei cinque distretti orientali, più Berlino, nella Repubblica Federale di Germania.
Se la Ddr ricadeva completamente nel raggio d’influenza sovietica, la Germania dell’ovest aveva definito la propria politica estera su un doppio binario. Da un lato un forte europeismo, perseguito prima di tutto attraverso il rafforzamento di quell’asse franco-tedesco che è stato il principale locomotore del processo di integrazione europea; dall’altro, una chiara vocazione atlantista fondata su una solida relazione con gli Stati Uniti. Proprio l’alleanza con Washington aveva costituito un imprescindibile caposaldo sia per la ricostruzione e il rilancio dell’economia della Germania occidentale nel periodo postbellico, sia in chiave di deterrenza contro la minaccia rappresentata dall’Unione Sovietica. Dal 1990 in poi, tuttavia, è possibile riscontrare alcuni cambiamenti nella politica estera della Germania riunificata.
Fermo restando l’interesse a mantenere buoni rapporti all’interno dell’Alleanza atlantica e il tradizionale orientamento filo-europeista della politica estera tedesca, il collasso dell’Unione Sovietica ha aperto per la Germania la possibilità di costruire solide relazioni anche con la nuova Federazione Russa. La relazione è stata favorita dai comuni interessi che legano Berlino a Mosca, soprattutto dal punto di vista degli approvvigionamenti energetici, ma è stata anche temperata dalla naturale vicinanza politica, economica e geografica della Germania a quei paesi dell’Europa orientale che intrattengono rapporti più tesi con i russi.
Nello specifico della relazione con gli Stati Uniti, poi, la fase internazionale post-1989 ha fatto registrare un rapporto più controverso: ciò si è registrato soprattutto durante l’amministrazione di George W. Bush, manifestandosi apertamente nel biennio 2002-03 quando la Germania del socialdemocratico Gerhard Schröder ha guidato le fila degli oppositori alla guerra in Iraq.
Gli anni Novanta sono stati cruciali anche per quanto concerne il ruolo della Germania nel processo di integrazione comunitario. La Germania è stata infatti un sostenitore decisivo per la nascita della moneta unica. Se da una parte il sostegno tedesco all’euro è costato la rinuncia al marco, la valuta più forte d’Europa, dall’altra Berlino lo ha ritenuto necessario per portare a compimento il progetto d’integrazione economica e per stemperare le apprensioni con le quali le principali cancellerie europee avevano guardato al processo della riunificazione tedesca.
La Germania ha anche sostenuto l’allargamento dell’Unione ai paesi dell’Europa centrale e orientale, geograficamente vicini e con i quali intrattiene importanti rapporti economici.
Resta invece l’opposizione del governo di Berlino all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea (sostenuto tuttavia dai socialdemocratici), oltre che le preoccupazioni per il rischio di un aumento eccessivo dei flussi di immigrazione. Oggetto di controversia con i partner europei è anche la regolamentazione della condotta dei paesi membri dell’Eu in materia di bilancio pubblico.
La Germania è uno dei più grandi fornitori mondiali di aiuti allo sviluppo, il terzo contributore del budget delle Nazioni Unite (intorno all’8%) e il quarto per quanto riguarda i finanziamenti alle operazioni di peacekeeping (8% per il 2010): posizioni e percentuali rilevanti, che mettono la Germania in prima fila tra i paesi che richiedono un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
All’indomani della Seconda guerra mondiale l’assetto politico e territoriale da dare alla Germania costituiva il principale tema di confronto tra le potenze che avevano sconfitto Hitler. Nonostante il principio di unità della Germania delineato nelle conferenze interalleate di guerra, tutti i tentativi di definire un accordo tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica per la redazione di un trattato di pace tedesco fallirono. La contrapposizione tra le due superpotenze favorì la divisione della Germania, consacrata con la nascita, nel 1949, della Repubblica Federale Tedesca (Brd) e della Repubblica Democratica Tedesca (Ddr).
A differenza della Germania orientale, imbrigliata nelle logiche e nella rigidità del blocco sovietico, la Germania occidentale acquisì, sin dall’immediato dopoguerra, un ruolo centrale in Europa e nel mondo occidentale. Il forte dinamismo economico e la solidità istituzionale e politica legata alla leadership di Konrad Adenauer fece assurgere la Brd, a dieci anni dalla fine della guerra, a potenza di riferimento dell’Europa occidentale. Negli anni del governo cristiano-democratico (1949-66) l’alleanza con gli Stati Uniti in funzione di opposizione diretta al blocco sovietico e l’integrazione con gli altri paesi dell’Europa occidentale divennero gli assunti di fondo della politica estera tedesca.
Animata da un sincero europeismo, la classe dirigente tedesco-occidentale seppe anche sfruttare la politica comunitaria per superare le riserve che i principali governi europei nutrivano di fronte all’ipotesi di una rinascita politica e militare della Germania. La creazione di strutture sovranazionali europee rappresentava infatti una garanzia per i paesi dell’Europa occidentale e, al contempo, un’opportunità per la Germania di riacquisire un proprio ruolo a livello internazionale. In questa prospettiva va letto il ruolo propositivo svolto dalla Brd nella promozione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (1951), della Comunità economica europea (1957) come anche dello sfortunato progetto di Comunità europea di difesa (1952-54). La Germania occidentale continuò a sostenere il processo di integrazione europea anche dopo la firma dei Trattati di Roma, anche se l’emergere di contrasti tra i partner europei e la perdita di una visione comune circa il ruolo che l’Europa avrebbe dovuto svolgere nel confronto bipolare resero più problematica la prosecuzione del percorso di integrazione.
Uno degli aspetti più problematici della rinascita tedesca del dopoguerra fu quello del riarmo: le altre nazioni europee, che pur avevano accettato il ristabilimento di una Germania politicamente ed economicamente forte, non erano altrettanto disponibili a consentire a un riarmo tedesco privo di limiti e controlli. Il progetto istitutivo della Comunità europea di difesa rappresentava, sotto questo profilo, un tentativo di conciliare il riarmo della Germania occidentale, necessario per fronteggiare un eventuale confronto militare con il blocco sovietico, con la salvaguardia dei paesi che durante la guerra erano stati vittima dell’aggressione nazista. Il fallimento del tentativo di riarmare la Germania nel quadro europeo favorì uno spostamento della questione sul piano atlantico: in base agli accordi siglati a Parigi nell’ottobre 1954 la Brd entrava come membro dell’Alleanza atlantica e aderiva, al contempo, all’Unione dell’Europa occidentale. In questo modo prendeva avvio il riarmo della Germania occidentale, che trovava comunque un limite espresso nell’impossibilità di dotarsi di un proprio armamento atomico.
Negli anni del governo cristiano-democratico la Brd mantenne un atteggiamento di ferma chiusura nei confronti della Germania orientale: alla mancata accettazione dei confini orientali della Ddr, il governo federale accompagnava un mancato riconoscimento giuridico di quest’ultima. In base alla cosiddetta ‘dottrina Hallstein’ (1955), che definiva la posizione del governo federale rispetto alla questione tedesca, qualunque governo straniero (con l’eccezione di quello sovietico) che avesse riconosciuto la Ddr avrebbe automaticamente rotto le relazioni con la Brd. Questa politica intransigente entrò in crisi nel corso degli anni Sessanta, a seguito della costruzione del Muro di Berlino (1961) e poi con l’avvio del processo di distensione. L’avvento al potere dei socialdemocratici nel 1969 marcò un’inversione di tendenza, con il tentativo, promosso durante il cancellierato di Willy Brandt, di normalizzare le relazioni tra la Germania occidentale e quella orientale. La politica orientale (‘Ostpolitik’), che giunse a compimento nel 1973, portò al riconoscimento reciproco tra Ddr e Brd, nonché ad una serie di accordi tra quest’ultima e i principali paesi del blocco orientale. Pur non riuscendo ad alterare l’equilibrio di forze sul continente né a favorire uno sbocco della questione tedesca, l’Ostpolitik incarnò le aspirazioni distensive diffuse nella prima metà degli anni Settanta.
Negli anni Settanta la Germania riprese la guida del processo di integrazione europea, concentrando lo sforzo comune verso le tematiche economiche e monetarie. Di fronte agli squilibri dell’economia globale sviluppatisi a partire dai primi anni Settanta, la Germania promosse la creazione del Sistema monetario europeo (1979). Nel corso degli anni Ottanta, in coincidenza con il ritorno al potere dei cristiano-democratici, la Germania continuò la sua azione propulsiva del processo di integrazione europea, giungendo nel 1988 alla decisione di promuovere attivamente l’unione economica e monetaria. Questa si sarebbe concretata a partire dal 1992 con il Trattato di Maastricht e successivamente perfezionata fino all’entrata in vigore dell’euro.
Le vicende del 1989 e il crollo del Muro di Berlino si sovrapposero all’azione portata avanti in ambito comunitario. La politica inter-tedesca per la riunificazione e quella per l’integrazione europea, pur procedendo formalmente su binari separati, di fatto si coniugarono. Durante il cancellierato di Helmut Kohl la politica europea risultò funzionale anche per affrontare in modo efficace la situazione di vuoto generata a Oriente dal dissolvimento dell’impero sovietico.
Con l’obiettivo comune di ottenere un seggio permanente all’interno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, Germania, Brasile, Giappone e India hanno dato vita al cosiddetto ‘Gruppo dei quattro’, noto con la sigla G4. La storica posizione, che il gruppo è impegnato a sostenere nei vari round negoziali che dalla metà ;degli anni Novanta accompagnano il dibattito sulla riforma del più importante organo delle Nazioni Unite, prevede un allargamento del Consiglio che conti l’aggiunta di dieci membri: quattro non permanenti, con mandato non rinnovabile, e sei permanenti (oltre ai quattro seggi destinati ai membri del G4, sono previsti altri due seggi per due per stati dell’Africa). Alle proposte del G4 si oppongono diversi fronti di stati, il più importante dei quali è il cosiddetto Uniting for Consensus, alla cui testa figurano l’Italia, il Messico, il Pakistan, l’Argentina e la Corea del Sud. Tutti paesi che, essendo contrari tanto all’idea di assistere all’ingresso di concorrenti regionali nel club più esclusivo della diplomazia multilaterale mondiale, quanto a quella di rimanerne esclusi proprio nello storico momento del suo allargamento, si oppongono all’aumento dei seggi permanenti e hanno avanzato proposte che privilegiano piuttosto, nella nuova rappresentanza, la dimensione regionale e il principio dell’equa distribuzione geografica. Nello specifico delle posizioni dei paesi leader di questo gruppo, il Pakistan è contrario a un seggio permanente per l’India, la Corea del Sud a quello per il Giappone, l’Argentina a quello brasiliano, mentre la candidatura tedesca ha trovato l’opposizione di diversi paesi europei, in primis dell’Italia, dei Paesi Bassi e della Spagna, favorevoli invece alla previsione di un seggio unico per l’Unione Europea. Ipotesi, quest’ultima, che tuttavia non è realizzabile senza la modifica dell’articolo 4 della Carta delle Nazioni Unite, secondo cui la membership delle Un è aperta soltanto a stati e non a organizzazioni regionali.
La Germania è una repubblica federale composta da 16 stati, i Länder. La sua costituzione affida il potere esecutivo nelle mani del governo federale che è retto da un cancelliere, mentre il potere legislativo spetta a un parlamento composto da due camere con differenti prerogative. Il Bundesrat, che è l’organo federale attraverso cui i Länder partecipano alla funzione legislativa e all’amministrazione dello stato centrale tramite un numero di delegati proporzionale al totale di abitanti di ciascuno di essi (da tre a sei seggi su un totale di 69), e il Bundestag la dieta federale composta da più di 600 deputati eletti ogni quattro anni tramite suffragio diretto, nelle cui mani è riposto il cuore del processo di formazione delle leggi oltre che la possibilità di sfiduciare il cancelliere.
I 16 stati federati, ciascuno dei quali possiede propri organi di governo, detengono sia un importante ruolo nel processo legislativo centrale, sia prerogative esclusive in diverse sfere d’attività, specie nel campo dell’istruzione, in quello di polizia e nell’amministrazione.
Data la non sincronia tra le elezioni dei parlamenti statali e quelle del parlamento federale, può capitare che la composizione politica del Bundesrat non corrisponda a quella del governo. La necessità di porre rimedio al deficit di governabilità da scontare in questi casi per quelle materie legislative di competenza del Bundesrat (quelle che tecnicamente necessitano della sua approvazione) e allo stesso tempo la volontà di non tradire l’impronta federale dell’assetto istituzionale tedesco hanno portato nel 2006 a una riforma costituzionale, che ha ridimensionato proprio alcune delle prerogative di questo ramo del parlamento federale, ampliando il potere degli organi elettivi a livello statale.
Il governo federale tedesco è retto dal 2009 da una coalizione formata dai cristiano-democratici (Christlich Demokratische Union Deutschlands, Cdu) del cancelliere in carica Angela Merkel, dalla Christlich-Soziale Union in Bayern (Csu), il partito bavarese omologo del Cdu, e dalla Freie Demokratische Partei (Fdp), il partito liberale tedesco.
All’opposizione siedono invece i socialdemocratici (Sozialdemokratische Partei Deutschlands, Spd) con 146 seggi, i Verdi (Die Grünen) con 68 deputati e i 76 membri della sinistra tedesca (Die Linke). La galassia politica di destra si trova invece rappresentata solo nei parlamenti statali e non all’interno del Bundestag, dal momento che nessuno dei suoi partiti di riferimento ha superato lo sbarramento del 5% delle preferenze, ivi previsto.
Nel 2010 è stato celebrato il ventesimo anniversario dell’unificazione dei due stati tedeschi nati nel 1949: la Repubblica Democratica Tedesca (la Germania dell’Est) è scomparsa, la Repubblica Federale Tedesca (la Germania dell’Ovest) ha allargato i confini, mantenendo la sua denominazione. L’unificazione venne proclamata il 3 ottobre 1990, dopo che il 9 novembre 1989 era crollato il Muro di Berlino. Il 2 dicembre 1990 si tennero le prime elezioni pantedesche. La nuova Repubblica Federale Tedesca, con i suoi 80 milioni di abitanti e la sua forza economica, ha assunto una posizione predominante nell’Unione Europea, in specie dopo l’allargamento del 2004, e nell’intero continente. Questo ruolo ha raffreddato gli entusiasmi europeisti dei tedeschi che duravano da quasi mezzo secolo e ha spostato l’asse della Germania verso l’Europa centro-orientale, asse rafforzato non solo simbolicamente dal trasferimento della capitale da Bonn a Berlino nel 1999.
Con l’unificazione la Germania dell’Ovest ha dato a quella dell’Est la sua economia sociale di mercato, la sua costituzione, il suo assetto federale, il suo sistema partitico (quasi interamente).
L’intero processo ha conosciuto ostacoli e frenate, ma ha avuto successo. Ha imposto sacrifici ai tedeschi occidentali (ma anche ad altri cittadini dell’Unione Europea). Si calcola che il trasferimento di risorse abbia raggiunto in vent’anni la cifra di 1300 miliardi di euro. È servito a creare infrastrutture (ferrovie, autostrade, edifici pubblici), ma anche a rilanciare un’obsoleta struttura industriale. Nonostante le pessimistiche previsioni di molti, le condizioni di vita dei tedeschi dell’Est sono decisamente migliorate. Non sono ancora pari a quelle dei tedeschi dell’Ovest, ma gli si stanno avvicinando. In vent’anni il pil per abitante è raddoppiato; la produttività si sta adeguando ai livelli occidentali. Aspetti negativi sono l’invecchiamento della popolazione (molti giovani sono emigrati nell’Ovest), i salari più bassi, l’alto tasso di disoccupazione (11,5% versus il 6,5% dell’Ovest) e una residua, pur se decisamente in calo, distanza psicologica (il ‘muro nelle teste’ e la nostalgia per la Germania dell’Est, la cosiddetta ‘Ostalgie’).
La gestione dell’enorme quantità di risorse trasferite ha condotto a un accentramento del potere nel governo federale, provocando tensioni in un federalismo in costante evoluzione. Nonostante la riforma del 2006, i rischi del passaggio da un federalismo cooperativo a un federalismo competitivo permangono: i ricchi Länder dell’Ovest non intendono più pagare i costi (e i debiti) di quelli dell’Est (che sono cinque su 16, istituiti già nel 1990).
Aggiungendosi agli oltre 60 milioni di occidentali, i quasi 17 milioni di tedeschi orientali hanno fatto ovviamente aumentare il numero degli elettori. Gli effetti più evidenti sono stati la crescita della fluttuazione del voto e dell’astensionismo. Ai due effetti ha contribuito proprio l’arrivo dei nuovi elettori che si sono innestati in un corpo elettorale caratterizzato invece per decenni da alta partecipazione e da scelte costanti. Gli elettori orientali, pur largamente minoritari, hanno inciso non poco sugli esiti delle urne, astenendosi o cambiando opzione.
Ai trionfi della Cdu-Csu di Helmut Kohl e della sua coalizione con i liberali della Fdp, rimasta al governo sedici anni anche grazie alla rapida unificazione, è seguita nel 1998 la vittoria della coalizione Spd-Grünen con l’arrivo alla cancelleria di Gerhard Schröder. Dopo il voto del 2005 si è formata la Grande coalizione (Große Koalition), sostituita nel 2009 dalla coalizione nuovamente vincente di democristiani e liberali. A capo di ambedue i governi si è insediata Angela Merkel che proprio dall’Est è venuta.
La Grande coalizione è nata anche in seguito all’avanzata di un quinto partito per ora non ‘coalizionabile’, venuto a turbare gli equilibri dei quattro di centro-sinistra e di centro-destra: la Pds (Partei des Demokratischen Sozialismus), creata dai nostalgici dell’Est e ribattezzata Die Linke dopo l’ingresso di socialdemocratici delusi dell’Ovest. La presenza di cinque partiti nel Bundestag produce incertezza sulle future alleanze, ma non inficia la qualità della democrazia della nuova Germania.
Nel 2010 è stato celebrato il ventesimo anniversario dell’unificazione dei due stati tedeschi nati nel 1949: la Repubblica Democratica Tedesca (la Germania dell’Est) è scomparsa, la Repubblica Federale Tedesca (la Germania dell’Ovest) ha allargato i confini, mantenendo la sua denominazione. L’unificazione venne proclamata il 3 ottobre 1990, dopo che il 9 novembre 1989 era crollato il Muro di Berlino. Il 2 dicembre 1990 si tennero le prime elezioni pantedesche. La nuova Repubblica Federale Tedesca, con i suoi 80 milioni di abitanti e la sua forza economica, ha assunto una posizione predominante nell’Unione Europea, in specie dopo l’allargamento del 2004, e nell’intero continente. Questo ruolo ha raffreddato gli entusiasmi europeisti dei tedeschi che duravano da quasi mezzo secolo e ha spostato l’asse della Germania verso l’Europa centro-orientale, asse rafforzato non solo simbolicamente dal trasferimento della capitale da Bonn a Berlino nel 1999.
Con l’unificazione la Germania dell’Ovest ha dato a quella dell’Est la sua economia sociale di mercato, la sua costituzione, il suo assetto federale, il suo sistema partitico (quasi interamente).
L’intero processo ha conosciuto ostacoli e frenate, ma ha avuto successo. Ha imposto sacrifici ai tedeschi occidentali (ma anche ad altri cittadini dell’Unione Europea). Si calcola che il trasferimento di risorse abbia raggiunto in vent’anni la cifra di 1300 miliardi di euro. È servito a creare infrastrutture (ferrovie, autostrade, edifici pubblici), ma anche a rilanciare un’obsoleta struttura industriale. Nonostante le pessimistiche previsioni di molti, le condizioni di vita dei tedeschi dell’Est sono decisamente migliorate. Non sono ancora pari a quelle dei tedeschi dell’Ovest, ma gli si stanno avvicinando. In vent’anni il pil per abitante è raddoppiato; la produttività si sta adeguando ai livelli occidentali. Aspetti negativi sono l’invecchiamento della popolazione (molti giovani sono emigrati nell’Ovest), i salari più bassi, l’alto tasso di disoccupazione (11,5% versus il 6,5% dell’Ovest) e una residua, pur se decisamente in calo, distanza psicologica (il ‘muro nelle teste’ e la nostalgia per la Germania dell’Est, la cosiddetta ‘Ostalgie’).
La gestione dell’enorme quantità di risorse trasferite ha condotto a un accentramento del potere nel governo federale, provocando tensioni in un federalismo in costante evoluzione. Nonostante la riforma del 2006, i rischi del passaggio da un federalismo cooperativo a un federalismo competitivo permangono: i ricchi Länder dell’Ovest non intendono più pagare i costi (e i debiti) di quelli dell’Est (che sono cinque su 16, istituiti già nel 1990).
Aggiungendosi agli oltre 60 milioni di occidentali, i quasi 17 milioni di tedeschi orientali hanno fatto ovviamente aumentare il numero degli elettori. Gli effetti più evidenti sono stati la crescita della fluttuazione del voto e dell’astensionismo. Ai due effetti ha contribuito proprio l’arrivo dei nuovi elettori che si sono innestati in un corpo elettorale caratterizzato invece per decenni da alta partecipazione e da scelte costanti. Gli elettori orientali, pur largamente minoritari, hanno inciso non poco sugli esiti delle urne, astenendosi o cambiando opzione.
Ai trionfi della Cdu-Csu di Helmut Kohl e della sua coalizione con i liberali della Fdp, rimasta al governo sedici anni anche grazie alla rapida unificazione, è seguita nel 1998 la vittoria della coalizione Spd-Grünen con l’arrivo alla cancelleria di Gerhard Schröder. Dopo il voto del 2005 si è formata la Grande coalizione (Große Koalition), sostituita nel 2009 dalla coalizione nuovamente vincente di democristiani e liberali. A capo di ambedue i governi si è insediata Angela Merkel che proprio dall’Est è venuta.
La Grande coalizione è nata anche in seguito all’avanzata di un quinto partito per ora non ‘coalizionabile’, venuto a turbare gli equilibri dei quattro di centro-sinistra e di centro-destra: la Pds (Partei des Demokratischen Sozialismus), creata dai nostalgici dell’Est e ribattezzata Die Linke dopo l’ingresso di socialdemocratici delusi dell’Ovest. La presenza di cinque partiti nel Bundestag produce incertezza sulle future alleanze, ma non inficia la qualità della democrazia della nuova Germania.
Composta da più di 82 milioni di persone, la popolazione tedesca è la maggiore nell’Unione Europea. Tuttavia, le stime delle Nazioni Unite mostrano una lenta diminuzione nei prossimi anni: il tasso di crescita tra il 2005 e il 2010 è del −0,09% e dovrebbe diminuire ulteriormente negli anni successivi. Infatti, il tasso di fecondità è basso (1,32 tra il 2005 e il 2010), il tasso di migrazione è molto diminuito rispetto agli anni Novanta e si stima che sarà mediamente di 1,3 su 1000 abitanti nei prossimi decenni. I due principali flussi migratori verso la Germania hanno avuto luogo negli anni Sessanta, quando il paese necessitava di manodopera e molti lavoratori sono emigrati dall’Europa meridionale, e negli anni Novanta, poiché con il crollo dell’ex Unione Sovietica numerosi tedeschi sono rimpatriati dalla Polonia, dalla Romania e dall’Unione Sovietica stessa. La popolazione straniera residente in Germania consiste quindi principalmente di immigrati arrivati negli anni Cinquanta e Sessanta e dei loro discendenti: circa 3,5 milioni sono cittadini turchi, di cui circa 500.000 di origine curda. Attualmente la Germania ha posto delle restrizioni all’immigrazione da alcuni stati membri dell’Eu.
Il sistema educativo tedesco è caratterizzato dal principio del federalismo (formazione, scienza e cultura sono disciplinate e amministrate primariamente dai Länder) e dal principio del pluralismo ideologico e sociale. La spesa per l’istruzione ammontava al 4,5% del pil nel 2007, poco al di sotto della media Eu27 del 4,96%. Secondo i dati del 2009 del programma per la valutazione internazionale degli studenti avviato dall’Oecd la Germania ha la migliore performance delle prime cinque economie europee, sebbene la Finlandia abbia la miglior performance dell’Eu.
La Germania ha uno dei sistemi sanitari universali più antichi in Europa, dove è previsto che tutti i cittadini debbano registrarsi in un fondo malattia. La spesa sanitaria era del 10,4% nel 2008; nel novembre 2010, nell’ambito delle riforme del welfare volte ad affrontare il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, il governo ha varato una riforma del sistema sanitario che dovrebbe ridurre il deficit di bilancio nel lungo periodo e che dovrebbe far aumentare i costi dei trattamenti per i cittadini.
In Germania la maggioranza della popolazione è cristiana, protestante (38%) e cattolica (34%) mentre il 2% è musulmano. La libertà di religione è tutelata. Il governo ha assunto una posizione rigida nei confronti della Chiesa di Scientology, che è considerata un’organizzazione economica più che religiosa. Inoltre, il governo continua a compiere degli sforzi per promuovere l’integrazione della comunità musulmana, anche tramite l’istituzione della Conferenza sull’Islam; otto Länder hanno adottato delle leggi che vietano alle insegnanti musulmane la possibilità di indossare l’hijab durante il lavoro. Tuttavia, nel 2008-09 si è registrato un aumento di crimini legati alla discriminazione etnica e religiosa, soprattutto nei confronti di musulmani, ebrei, rom e tedeschi di origine straniera, in particolare africana.
I diritti delle donne sono tutelati, il governo ha attuato generose politiche sulla maternità e ha adottato leggi sulla non discriminazione, anche se alcuni casi di discriminazione salariale permangono. La Merkel è il primo cancelliere di sesso femminile, ci sono sei donne su 14 nell’attuale gabinetto federale e il 32,8% dei seggi della camera bassa del parlamento è stato assegnato a donne; allo stesso tempo, le donne sono tuttavia sottorappresentate nelle posizioni dirigenziali della pubblica amministrazione, delle università e dei tribunali.
La Costituzione tedesca tutela la libertà di espressione e i media sono liberi e indipendenti; una sentenza della Corte costituzionale del 2003 ha stabilito che il controllo delle telefonate dei giornalisti può essere considerato legittimo solo in casi ‘gravi’ che minacciano la confidenzialità della fonte del giornalista.
Nel 2009 circa il 79% della popolazione aveva accesso a internet. Questo non è soggetto a limiti, ad eccezione di siti relativi alla pedofilia e alla propaganda nazista. Dal gennaio 2009 una legge antiterrorismo garantisce alle autorità maggiori poteri nel condurre sorveglianza occulta, con la possibilità di svolgere ricerche remote e segrete su internet.
La Germania è la quarta economia mondiale e la prima in Europa. L’industria manifatturiera e i servizi ad essa collegati sono alla base dell’economia tedesca, pur non rappresentando la quota maggioritaria nella composizione del pil. Tra i principali prodotti vi sono macchinari industriali, autoveicoli, industria chimica, acciaio mentre la proporzione di beni ad alta tecnologia è meno rilevante rispetto ad altri paesi industrializzati (le esportazioni di tali beni contano per il 14% del totale dei manufatti esportati). L’agricoltura conta solo per l’1% del pil, ma il settore ha un ruolo importante per il tessuto sociale tedesco e rende la Germania ;autosufficiente per il 70% relativamente ai prodotti alimentari. Infine, i servizi rappresentano la quota maggioritaria del pil (69% nel 2008) e il settore bancario è tra quelli più rilevanti, insieme al commercio al dettaglio e al turismo.
Dal 2003 al 2008 la Germania è stata il primo esportatore mondiale, poi superata dalla Cina nel 2009; il rafforzamento delle economie dei paesi dell’Europa orientale e la crescita di domanda in Asia hanno contribuito a tale risultato. Il valore delle esportazioni è passato dal 35,6% del pil nel 2003 al 46,7% del pil nel 2007 e i principali prodotti esportati sono macchinari e attrezzature di trasporto, prodotti chimici, alimentari e tabacco, combustibili di origine minerale. La quota maggioritaria dei flussi è diretta verso i paesi dell’Eu (circa il 67%), in particolare verso Francia, Paesi Bassi, Regno Unito e Italia.
Le esportazioni sono state un fattore chiave della crescita economica tedesca ma, allo stesso tempo, il ridimensionamento della domanda estera è stata una delle cause della crisi del 2009 (−4,7% nel 2009); grazie alla ripresa della domanda estera, soprattutto asiatica, nel 2010 la Germania ha registrato una crescita del 3,4%. L’elevato grado di apertura e integrazione con l’economia mondiale, associato alla dimensione dell’economia tedesca, fanno sì che le esternalità da e verso la Germania siano rilevanti: la crisi statunitense ed europea ha avuto un impatto negativo sulla crescita tedesca mentre, dall’altro lato, la crisi tedesca ha avuto un impatto negativo sull’economia dei paesi dell’Europa orientale, che esportano molto verso la Germania. Di qui l’importanza di prendere misure coordinate per contenere il rischio di rallentamenti globali e del ruolo tedesco in questo senso, data la rilevanza della sua economia.
Per rispondere alla crisi, regolamentare il settore finanziario e assicurare una più equa distribuzione dei costi dei rischi, nel novembre 2010 la Germania ha varato una nuova legge per la riorganizzazione e ristrutturazione delle istituzioni creditizie. Inoltre, il piano finanziario triennale fino al 2014 prevede un notevole sforzo di riassorbimento dell’indebitamento pubblico (oltre 82 miliardi di euro in quattro anni), finalizzato al pieno rispetto dei criteri di Maastricht.
Data la rilevanza dell’economia tedesca a livello europeo e mondiale e il suo elevato grado di apertura, la Germania ha un ruolo importante nella definizione delle misure discusse sia nell’ambito dell’Unione Europea, sia nell’ambito del G20, per rispondere alla crisi economica del 2009. A seguito della crisi, la Germania ha sempre rifiutato le richieste di Stati Uniti e di altri paesi per sostenere la domanda globale, convinta che l’approccio tedesco (esportazioni, sistema finanziario basato sulle banche, riluttanza all’uso della politica monetaria e fiscale per promuovere la domanda) dia migliori risultati rispetto a quello anglosassone, secondo cui i mercati azionari e immobiliari giocano un ruolo importante e il consumo deve essere incoraggiato. A livello europeo la Germania ha mostrato un atteggiamento di austerità, ritardando la concessione di aiuti sia nel caso greco che in quello irlandese: la prima economia europea è infatti chiamata a contribuire in modo significativo per aiutare i paesi dell’Eu in grave situazione di deficit, ma ritiene opportuna l’adozione di misure volte a risanare l’economia e misure sanzionatorie in caso di inadempienze; allo stesso tempo, la stabilità dell’Europa è cruciale per lo sviluppo economico tedesco e la Germania mira a salvaguardare l’integrazione europea. Nel 2010 la Germania, di concerto con la Francia, ha presentato una proposta al Consiglio europeo che prevede sanzioni per i paesi con eccessivo deficit pubblico e che è stata approvata dal successivo vertice europeo dell’ottobre 2010 insieme alla proposta tedesca per la creazione di un nuovo fondo permanente anti-crisi a garanzia della futura stabilità dell’euro.
La Germania è uno dei maggiori mercati di energia in Europa e ha quindi un forte impatto sulla politica energetica europea (e globale). Attualmente essa produce energia tramite carbone, gas, energie rinnovabili e nucleare, ma importa circa i due terzi dell’energia consumata, in particolare il petrolio, che contava per il 33% del consumo totale nel 2008, e il gas, che contava per il 23% del consumo totale nel 2008 e che è importato in larga misura da Russia (34,5% del totale) e Norvegia (33,8% del totale). A questo proposito, nel 2011 dovrebbe entrare in funzione il gasdotto Nord Stream che, attraverso il Mar Baltico, collegherà la Russia alla Germania e al sistema di distribuzione europeo e dovrebbe avere una capacità di trasporto iniziale pari a 27,5 miliardi di metri cubi di gas.
Il nucleare rappresenta uno dei temi di maggiore discussione all’interno della politica energetica tedesca. La Germania, infatti, produce attualmente l’11,5% dell’energia consumata dal nucleare, una percentuale circa dimezzata rispetto a un decennio fa poiché nel 2001 il governo di coalizione formato da Spd e Verdi, di concerto con l’industria dell’energia, aveva promosso un programma per la graduale eliminazione del nucleare entro il 2020. A seguito del disastro di Fukushima in Giappone e del maggior peso ottenuto sulla scena politica dai Verdi, come conseguenza del risultato delle elezioni amministrative del 2011, la Merkel ha dato una spinta decisiva a tale programma, annunciando il totale abbandono del nucleare. Entro il 2011 stesso dovrebbero essere chiusi la maggior parte dei reattori e gli ultimi tre lo saranno entro il 2022. La sfida del governo tedesco diventerebbe dunque quella di incrementare sensibilmente la produzione di energia rinnovabile e l’efficienza energetica. La politica energetica tedesca già mirava a fare delle rinnovabili un caposaldo della produzione energetica entro il 2050. Queste ultime contavano per l’8,9% della produzione nel 2008 rispetto al 3,4% del 2000 e negli ultimi anni il paese ha inoltre sovvenzionato tale settore e ha sviluppato in particolare biomassa ed eolico. Con le misure di abbandono del nucleare annunciate dal governo tedesco nel maggio del 2011, l’apporto delle rinnovabili alla produzione di energia dovrebbe salire al 35% entro il 2020. D’altro canto, continuare la riduzione del nucleare secondo il programma previsto potrebbe far aumentare la dipendenza della Germania dalle importazioni provenienti dalla Russia, ma anche dall’energia nucleare francese. La decisione del cancelliere Merkel è dunque cruciale per il futuro della politica e della dipendenza energetica tedesca.
La politica ambientale tedesca è ambiziosa e strettamente collegata alla politica energetica, come emerge dai progressi per il raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per una maggiore efficienza energetica. La riduzione del nucleare, energia che non emette gas serra, ha reso più difficile il rispetto della riduzione delle emissioni di CO2.
Il governo tedesco promuove da lungo tempo un accordo internazionale per prevenire i cambiamenti climatici e persegue l’ambizioso obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 40% entro il 2020.
Dopo l’entrata in vigore, contraenti della ‘Convenzione quadro sul cambiamento climatico’ nel 1994, la prima conferenza delle parti contraenti si è riunita a Berlino. Essa ha adottato un mandato che prevedeva degli impegni vincolanti per i paesi industrializzati (ma non per i paesi in via di sviluppo) rispetto alla riduzione dei gas serra, e che può essere considerato come l’atto che ha portato alla successiva formulazione del Protocollo di Kyoto.
Nel 2007, sotto la presidenza tedesca, il G8 ha trovato un accordo in base al quale il riscaldamento globale non deve superare gli 1,5-2,5 gradi: un obiettivo che impone di dimezzare le emissioni nell’arco dei prossimi 40 anni. Nel marzo dello stesso anno il Consiglio europeo, ancora una volta guidato dalla presidenza tedesca, ha deciso di ridurre le emissioni di anidride carbonica del 20% rispetto ai livelli del 1990, entro il 2020.
Attualmente, nell’ambito dei negoziati multilaterali sui cambiamenti climatici, il governo tedesco si prefigge i seguenti obiettivi: la definizione degli impegni di riduzione delle emissioni sulla base dell’Accordo di Copenaghen; la conferma ufficiale dell’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi; una maggiore efficacia del processo di revisione delle eventuali carenze nelle misure pensate per raggiungere l’obiettivo e la possibilità stessa di modificarne la soglia limite, abbassandola di un ulteriore mezzo grado; un accordo sui meccanismi di controllo (misurazione e verifica) a livello internazionale; l’elaborazione di un accordo legalmente vincolante nell’ambito della Convenzione quadro sul cambiamento climatico.
L’anno della riunificazione e quelli immediatamente successivi sono stati determinanti anche per quanto riguarda il comparto difensivo della Germania: se da una parte l’annessione della Ddr portò alla dissoluzione del suo esercito popolare e all’incorporazione di circa 50.000 dei suoi membri nel Bundeswehr, l’esercito della Repubblica Federale Tedesca, dall’altra la fine della Guerra fredda determinò un notevole ridimensionamento del numero totale di truppe tedesche all’attivo: i circa 550.000 soldati dell’ottobre 1990 sono stati negli anni più che dimezzati, fino ad arrivare ai 250.000 attuali. Parallelamente alla riduzione del personale militare anche il budget destinato alla difesa ha subito progressivamente dei tagli rilevanti: una scelta, quella del ridimensionamento anche economico del settore militare tedesco, che non ha mancato di generare malumori tra i maggiori alleati della Germania, specie all’interno della Nato, preoccupati dal rischio di un disimpegno di Berlino nel campo della sicurezza multilaterale.
Tra il 1990 e il 1994, inoltre, si è concluso il ritiro delle truppe sovietiche dal territorio tedesco; rimangono invece ancora di stanza in Germania guarnigioni di soldati statunitensi (nel 2010 pari a 53.642; gli Stati Uniti possiedono proprio in Germania, a Ramstein, la loro base aerea estera più grande), britannici (22.000), francesi (2800) e olandesi (300).
Nel 2002 la Germania, contribuendo alla missione Isaf della Nato in Afghanistan, ha partecipato alla sua prima operazione di peacekeeping al di fuori del teatro europeo; una scelta politica delicata con cui il parlamento tedesco, con soli tre voti di maggioranza, deliberò l’invio del terzo contingente militare, in termini numerici, tra quelli impegnati nella missione Isaf.
Dal 2003 la Germania è a capo del comando regionale Isaf nel nord dell’Afghanistan e guida i Provincial Reconstruction Team di Kunduz e di Fayzabad.
Il tema della partecipazione dei soldati tedeschi a operazioni militari internazionali rimane particolarmente controverso nel dibattito pubblico tedesco, tanto dal punto di vista dell’opportunità politica quanto da quello della legittimità costituzionale. Basti pensare nel merito alla decisa opposizione alla guerra in Iraq nel 2003 espressa dall’elettorato tedesco e sostenuta nelle sedi multilaterali dall’allora cancelliere Schröder, o alle dimissioni del presidente federale Horst Köhler del maggio 2010, seguite alle critiche ricevute a causa di un’intervista in cui aveva sostenuto l’utilità delle missioni internazionali della Bundedeswehr per tutelare gli interessi commerciali mondiali della Germania.
Oltre che in Afghanistan, soldati tedeschi sono attualmente impegnati nella Kfor in Kosovo e nell’ambito dell’operazione di peacekeeping Unifil in Libano.
A Bonn ha sede l’Occar, l’Organizzazione congiunta per la cooperazione militare in materia di armamenti, fondata nel 1996 da Germania, Francia, Inghilterra e Italia come centro d’eccellenza europeo per la produzione e lo sviluppo delle più moderne e tecnologiche attrezzature militari.