Poeta (Campomaggiore, Trento, 1814 - Roma 1884). La sua opera Edmenegarda ha segnato una data importantissima nella storia della poesia italiana dell'Ottocento. Essa è la prima testimonianza del nuovo aspetto che il Romanticismo ha assunto in Italia presso la nuova generazione, dando l'avvio a quella serie di tentativi di poesia realistica, estremo rifugio del Romanticismo, che sono caratteristici della poesia italiana della seconda metà dell'Ottocento e che trovano nell'opera posteriore dello stesso P. alcune delle loro più notabili espressioni.
Studiò prima a Trento, poi legge a Padova, ma non arrivò alla laurea. Cominciò presto a declamare e a pubblicare versi amorosi e politici; ma la sua clamorosa affermazione di poeta avvenne col poemetto Edmenegarda (1841). Nello stesso anno passò a Milano, e nel 1843 a Torino; poi andò peregrinando; nel 1848 è a Padova, ma è arrestato; cacciato poi da Venezia e da Firenze come monarchico, finì con lo stabilirsi definitivamente a Torino, dove lo trattennero la sua devozione alla casa di Savoia e la carica di storiografo della Corona. Nel 1865 al seguito della corte si trasferì a Firenze e nel 1871 a Roma, dove ebbe la direzione dell'Istituto superiore di magistero; nel 1876 fu nominato senatore. A Roma visse gli ultimi anni, immalinconito, soffrendo per l'indifferenza sempre più generale, ma lavorando assiduamente a nuove opere e assistendo al rapido declino della sua fama, che era stata in gioventù altissima, sebbene alimentata più dal plauso dei lettori che da quello dei critici, i quali notarono per tempo i suoi difetti. Fu sepolto a Torino, non potendolo essere a Dasindo, come egli avrebbe desiderato; ma a Dasindo le sue ceneri furono trasportate dopo la redenzione del Trentino, nel 1923.
Se Edmenegarda col suo argomento contemporaneo e i concreti particolari del racconto obbedisce all'esigenza realistica propria del Romanticismo, P. non proseguì per questa via: preferì abusare della sua facondia poetica, dell'indeterminatezza del sentimento e del pensiero, cui faceva riscontro l'indeterminatezza dell'espressione (Canti lirici, Canti per il popolo, Ballate, 1843; Memorie e lacrime, Nuovi canti, 1844; Passeggiate solitarie, 1847; Storia e fantasia, 1851; Canti politici, 1852). Poi pensò che meglio avrebbe provveduto alla propria gloria con ambiziosi e ponderosi poemi, sulle orme di Goethe, Byron, Chateaubriand (Rodolfo, 1853; Satana e le Grazie, 1855; Ariberto, 1860; Armando, 1864; ecc.). L'indifferenza e l'ostilità con cui furono accolti questi sforzi verso il grande poema lo persuasero a cambiare strada ancora una volta, a tentare di conquistare un discorso poetico nitido e preciso, al quale del resto da anni tendeva. Da questo nuovo ideale dello scrittore e dalla rassegnazione dell'uomo, disilluso e non pago di sé, nascono i due ultimi e migliori tra i suoi volumi di poesie, Psiche (1876) e Iside (1878), coi quali egli reagiva allo sfumato sentimentaleggiare, di cui pure era stato nei decennî precedenti il massimo rappresentante italiano.