CARLO MAGNO, Imperatore
Primogenito di Pipino il Breve, re dei Franchi, nacque nel 742; nel 768 successe al padre con il fratello Carlomanno, che fino alla sua morte (771) regnò sulla porzione di regno che il padre gli aveva assegnato. Nel 774, dopo aver sconfitto Desiderio, assunse il titolo di re dei Franchi e dei Longobardi. In seguito alle guerre contro Sassoni, Bavari e Avari e contro i musulmani di Spagna, affermò il suo dominio dall'Elba all'Atlantico, al Tibisco, al Danubio, all'Ebro, a Roma. Nel Natale dell'800 fu incoronato a S. Pietro imperatore da papa Leone III. Morì ad Aquisgrana nell'814.Dagli scritti dei contemporanei relativi alla figura di C. emerge il ritratto di un sovrano non solo dotato di grandi qualità politiche e militari, ma anche avido di sapere e ansioso di diffondere nel suo impero la fede cattolica, e quindi la cultura di base che era la necessaria premessa della sua propagazione, quale sigillo di unità e di conquista. In definitiva, la sua fisionomia è quella di un personaggio straordinario dotato di temperamento, in cui la grandezza d'animo si sovrappone e si intreccia con la virtù dell'eroe; di un uomo d'armi che, per quanto profondamente legato alle radici germaniche del suo popolo, aveva compreso come la fede cristiana potesse essere utilizzata in sede politica e come il retaggio culturale dell'antica Roma potesse tornare a essere il fondamento intellettuale della vita civile. In qualità di sovrano seppe allora calarsi nei panni di un 'novello Costantino' e battersi tenacemente per la restaurazione di una civiltà che avesse i tratti di quella del tempo dei primi imperatori cristiani.Spirituale e temporale si confondevano sistematicamente nella sua persona e ciò in virtù dell'autorità che, come asserivano i suoi sostenitori sulla base della dottrina enunciata da Eusebio di Cesarea, gli derivava direttamente da Dio. Indicativo a tale riguardo è l'atteggiamento che C. assunse presiedendo il sinodo di Francoforte del 794, che tra l'altro condannò le decisioni del concilio di Nicea del 787 in materia di culto delle immagini. Nel prologo ai Libri Carolini (v.), redatti probabilmente nella fase preparatoria del sinodo del 794, e la cui paternità è attribuita a lui stesso, C. dichiarava di avere voce in capitolo anche nelle cose della Chiesa, di tutta la Chiesa, e arrivava al punto di affermare che in huius saeculi fluctibus la Chiesa gli era stata commissa ad regendum. Da parte loro i pontefici non erano alieni dal riconoscere a C. una posizione di assoluta preminenza nell'ambito della societas christiana, come risulta dalla decorazione musiva del triclinio fatto eseguire al Laterano da Leone III poco prima dell'800, in vista dell'incoronazione romana del re franco. Alludendo alle vittorie di C. sui Sassoni e sugli Avari e alla conseguita evangelizzazione di questi popoli, il mosaico, oggi ricomposto insieme all'abside che gli fa da supporto, raffigura la Missio apostolorum come tema emblematico di una visione provvidenziale della storia, mentre sull'arco trionfale contiene due figurazioni parallele di tre personaggi ciascuna: a sinistra, Cristo in atto di porgere le chiavi a papa Silvestro e il labarum a Costantino; a destra, s. Pietro che dona il pallium allo stesso Leone III e lo stendardo di patrizio a Carlo Magno. L'accostamento del nuovo regno-impero con quello romano fatto cristiano da Costantino è preciso e di singolare evidenza. Con l'incoronazione che di lì a poco ebbe a svolgersi nella basilica di S. Pietro si poté formalizzare e rendere operativa questa concezione, verso cui C. si lasciava guidare sia dall'azione dei pontefici romani, già operanti in tal senso con il padre Pipino, sia dalla dottrina dei dotti ecclesiastici convocati alla sua corte, primo fra i quali il celebre abate anglosassone Alcuino.Già negli anni precedenti l'incoronazione, gli scrittori dell'accademia palatina esprimevano apertamente alcuni concetti sull'autorità imperiale di C. usando un frasario trasparente, per quanto poteva esprimere allora il linguaggio diplomatico, con l'intenzione manifesta di preparare e consolidare l'opinione pubblica (quella più colta e autorevole) su idee ormai mature e pronte a essere messe in atto. Un poeta del circolo longobardo di Paolo Diacono rivolgeva al monarca franco alcuni versi che lo celebravano 'togato arbitro del mondo'. Così nel poema Karolus Magnus et Leo papa, datato da Beumann (1962) al 799, mentre si descrivono con sostenute reminiscenze virgiliane i grandiosi lavori di costruzione della città di Aquisgrana, destinata a diventare una seconda Roma, con il suo foro, il senato, il teatro, le terme, si parla di C. come 'capo del mondo', 'apice d'Europa', 'padre ottimo' e 'au gusto'. C. fu dunque agli occhi dei contemporanei il sovrano prescelto e destinato da Dio a guidare il popolo cristiano verso la pace e l'unità (unanimitas e universitas) sull'esempio di Davide e di Costantino.Sempre a livello più strettamente figurativo, e in particolare con la ritrattistica imperiale dell'epoca, tutte queste elaborazioni concettuali furono opportunamente sostenute e diffuse secondo un identico programma didascalico-celebrativo. Dopo l'incoronazione si fecero circolare monete recanti sul dritto il ritratto di C. imperatore con l'indicazione del nome e del titolo imperiale e sul rovescio una chiesa con l'iscrizione XPICTIANA RELIGIO, mentre il sigillo imperiale riproduceva una simbolica porta di Roma insieme alla scritta RENOVATIO ROMANI IMPERI. L'immagine dell'imperatore si contrapponeva così a quella del rex et patricius presente a Roma nel già ricordato triclinio leoniano e nella chiesa di S. Susanna. La figura di C. poteva ormai comparire a fianco a quella degli imperatori cristiani Costantino e Teodosio, come lasciavano intendere gli affreschi scomparsi del distrutto palazzo di Ingelheim. Anche gli affreschi con le Storie di Davide, posti nella parete settentrionale della chiesa di S. Benedetto a Malles, furono eseguiti a celebrazione delle virtù di C., negli anni immediatamente successivi all'incoronazione. Essi richiamano il paragone fra l'imperatore e il re biblico, che era appunto il tema prediletto dai letterati di corte, mentre la ricostruzione del tempio sta a simboleggiare la rinascita dell'impero.Molte altre iniziative vennero promosse da C., come la riforma liturgica, la restaurazione del canto gregoriano, la revisione dei testi sacri, la diffusione delle reliquie, l'istituzione di numerose scuole vescovili e della stessa accademia palatina, la diffusione di una scrittura chiara e uniforme, la cura delle case di Dio e la fondazione di nuove chiese e monasteri, la costruzione di grandiosi palazzi residenziali e di alcune opere pubbliche (ponte di Magonza e fossa carolina), le arti in genere; tutto questo non solo con il desiderio di rendere la sua grandezza visibile agli occhi di tutti o, come sottolinea il biografo Eginardo, "ad regni decorem et commoditatem" (Vita Karoli Magni, 17, 11-12), ma anche per manifestare visivamente l'orientamento romano-cristiano della sua missione politica e sancire in tal modo la continuità di una tradizione imperiale di cui si sentiva pienamente investito.Quanto oggi rimane dell'arte dell'epoca permette di ritrovarvi il segno indelebile di una civiltà che, in relazione alle modeste risorse sia economiche sia tecniche allora disponibili, seppe raggiungere livelli di grande interesse, che per lo più trascendono il semplice dato formale. Punto di riferimento pressoché costante era la produzione artistica romana, specie quella dei primi secoli del cristianesimo, di cui comunque veniva riprodotta solo l'idea generale: l'imitazione dell'antico più che proporre confronti diretti si risolveva in una sorta di messaggio simbolico capace di esplicitare tutta la forza di rappresentazione del nuovo sistema sociopolitico.La politica di C. seppe esprimersi in termini significativi e precisi non solo per mezzo dei numerosi capitolari ma anche attraverso l'architettura, il cui progresso sembra precedere quello delle altre arti liberali. Chiese e monasteri vennero concepiti come vere e proprie 'istituzioni di Stato', a favore delle quali non si esitò a sostenere ingenti spese, nonostante le scarse risorse economiche.Introduce la serie dei monumenti superstiti e meglio documentabili archeologicamente la c.d. Torhalle di Lorsch presso Worms. Datata fra il 774 ca. e il 790, la costruzione era riservata molto probabilmente al sovrano durante le sue visite all'abbazia annessa: le funzioni possono ricondursi a un tempo a quelle dell'arco trionfale, dell'aula regia, del tribunal. Si tratta di un piccolo edificio ancora ben conservato, la cui posizione di prestigio all'interno dell'architettura carolingia è dovuta non tanto alla natura per alcuni versi enigmatica della sua destinazione specifica, quanto ai risvolti simbolici e ai risultati estetici raggiunti. Articolata su due piani, di cui quello inferiore risulta aperto da tre arcate eguali a tutto sesto, la Torhalle è rivestita all'esterno da piastrelle rosse e bianche disposte a scacchiera e da misurati elementi plastici di forte sapore classico. Se la dimensione estetica si giustifica qui con una visione agostiniana della realtà, secondo cui intorno a ogni bellezza fisica gravita un'aspirazione verso una bellezza spirituale maggiore, l'architettura d'insieme, come viene suggerito fra l'altro da alcune indagini strutturali, può rimandare all'arco romano di Costantino, visto come modello emblematico di 'classicità'. Così pure il modello figurativo della croce-reliquiario di Eginardo, donata alla chiesa di S. Servazio a Maastricht e nota attraverso un disegno del sec. 17° (Parigi, BN, fr. 10440), anche se elaborato decorativamente sulla base di una concezione iconologica cristiana, va visto nell'arco romano di Tito, di cui si voleva riprodurre verosimilmente la proporzione delle forme, la vitruviana bellezza e la sobrietà compositiva.Fra le costruzioni religiose dell'epoca che suggeriscono ugualmente un revival delle tradizioni di Roma, sia pure attraverso una cadenza linguistica già 'romanza', si ricordano in particolare le abbaziali di Saint-Denis e di Fulda, la più prestigiosa abbazia di Centula/Saint-Riquier e soprattutto la Cappella Palatina di Aquisgrana. La chiesa presugeriana di Saint-Denis (754-755), fondata da Dagoberto I, ma ricostruita da Pipino il Breve e portata a termine da C., segna il momento di una consapevole ripresa della tipologia a T delle chiese romane di S. Pietro e S. Paolo fuori le mura. Sviluppata su vano basilicale, con transetto sporgente e abside semicircolare, la costruzione era pure dotata di una cripta del tipo vaticano. L'abbaziale di Fulda (790-802/819), fondata dall'abate Sturmio ma ingrandita da Baugulfo e ultimata da Ratgar, nonostante l'aggiunta a E di una seconda abside, mostra in scala maggiore più puntuali analogie icnografiche con la basilica di S. Pietro, di cui riproduce il rapporto (1:5) fra la lunghezza e la larghezza, nonché la stessa disposizione delle colonne nella tripartizione del transetto. È stato rilevato che si è trattato di una precisa scelta programmatica se le due abbaziali carolinge, destinate a custodire rispettivamente le spoglie del santo apostolo della Gallia (s. Dionigi) e del santo evangelizzatore della Germania (s. Bonifacio), seguirono romano more la falsariga tracciata dalle più prestigiose basiliche paleocristiane ove si veneravano gli apostoli dei Romani, s. Pietro e s. Paolo. L'abbaziale di Centula/Saint-Riquier presso Abbeville, oggi sostituita da un'imponente costruzione gotica, fu fatta erigere insieme al relativo monastero dall'abate Angilberto, genero di C., fra il 790 e il 799. Sulla base delle testimonianze pervenute, l'edificio di Angilberto rappresentava "tutto ciò che la civiltà carolingia ebbe insieme di splendido e di effimero" (Hubert, Porcher, Volbach, 1968, p. 1). A distanza di qualche secolo dalla sua costruzione, la chiesa venne definita da Ariulfo (m. nel 1143) "fulgentissima ecclesia omnibusque illius temporis ecclesiis praestantissima" (Chronicon Centulense, II, 7). Ariulfo testimonia tra l'altro che per la costruzione del sacro edificio C. aveva inviato al genero i migliori architetti e decoratori dell'epoca e aveva persino fatto venire da Roma alcune colonne di marmo. Non si era badato a spese: gli altari principali, dedicati al Salvatore, alla Vergine e a s. Ricario, erano interamente rivestiti d'oro, argento e pietre preziose. L'edificio, a pianta basilicale, si arricchiva di alcune torri, di cui due sull'asse principale, e di un imponente corpo d'ingresso (il Westwerk) che si poneva in parallelo con il transetto. Il monastero, iniziato a costruire dopo il 799 e ultimato in meno di dieci anni, grazie agli ingenti contributi di C., si snodava lungo i lati di un triangolo ai cui vertici sorgevano, oltre la grande chiesa di Saint-Riquier, altre due chiese minori: l'una dedicata a s. Benedetto e l'altra, a pianta circolare, alla Vergine e agli apostoli. Intorno all'abbazia gravitava poi una città imponente, la più popolata della Gallia, con una struttura urbanistica forse più vicina alla città classica che al borgo medievale.Il capolavoro architettonico di questo periodo è certamente rappresentato dalla cappella di corte fatta erigere da C. all'interno della sua residenza di Aquisgrana. Iniziata nel 792 su progetto del magister Odo di Metz e consacrata nell'805 da papa Leone III, essa si ispira al S. Vitale di Ravenna, ma con una serie di varianti che nell'insieme determinano un'intonazione "più romana che bizantina" (Conant, 1959, p. 16). Il vano ottagonale è coperto da una cupola che poggia, mediante pennacchi, su massicci pilastri, i quali delimitano un deambulatorio che contiene un doppio ordine di esedre. Le trifore e molti elementi decorativi di spoglio o di ispirazione antica (colonne, capitelli, transenne di ferro) si giustappongono all'architettura portante senza un effettivo legame organico. L'unità dell'intero edificio nasce alla fine non tanto dallo sviluppo centrico o dall'architettura generale, bensì da una fusione fittizia delle parti. Ciò in sorprendente analogia con la struttura politica del nuovo impero, la cui unità sembra emergere da un agglomerato di nuclei diversi che coesistono solo perché dominati dall'azione centripeta e dalla personalità catalizzatrice di Carlo Magno. In ogni caso, tali furono i consensi riscossi dalla costruzione palatina che essa venne assunta a modello per molti edifici non solo contemporanei ma anche seriori. La chiesa di Germigny-des-Prés, fatta costruire verso l'806 da Teodulfo vescovo di Orléans, è la prima a essere ricordata come "basilicam miri operis, instar eius quae Aquis est constituta" (Acta Sanctorum, 1668, p. 601), sebbene le concordanze archeologiche appaiano oggi solo approssimative.Anche i palazzi eretti nell'età di C. un po' ovunque nel vasto regno - Mann (1965, p.320) ne conteggia in tutto sessantacinque - ribadiscono la funzione pratica e ideologica di tutta l'architettura imperiale, utilizzata in questo caso come elemento di persuasione emozionale ovvero come strumento di potere ai fini del controllo giurisdizionale e militare del territorio. Quattro di questi costituiscono gli esempi più noti e rappresentativi: uno romano, all'interno del Vaticano, gli altri al di là delle Alpi (Paderborn, Ingelheim e Aquisgrana). Posto quasi a ridosso della basilica di S. Pietro, nell'area di una diaconia intitolata ai ss. Sergio e Bacco, il c.d. palatium Caroli fu costruito quasi certamente nel 781, in occasione del secondo soggiorno romano del sovrano. Dalle indicazioni storico-letterarie pervenute è possibile immaginare la costruzione concepita su due piani, con arcate nel piano inferiore e un loggiato in quello superiore, secondo una tipologia che era propria dei palazzi tardoantichi e delle laubiae longobarde. Nel palazzo di Paderborn, i cui resti sorgono accanto all'attuale duomo, C. fu in grado di ospitare il pontefice Leone III profugo da Roma. A Ingelheim, fra Magonza e Bingen, il re franco risulta dimorare più volte; il palazzo era articolato in vari ambienti raccolti intorno a un porticato a ferro di cavallo, il cui colonnato fu realizzato con materiale proveniente da Roma e da Ravenna. Come è noto, la sede preferita da C. fu Aquisgrana, abbellita più d'ogni altra con marmi e mosaici antichi. Qui, oltre la Cappella Palatina, sopravvive anche l'aula delle grandi assemblee, l'aula regia (Königshalle), su base rettangolare, originariamente con tre absidi semicircolari, di cui una sul lato occidentale e le altre al centro dei lati maggiori. Una galleria, lunga m. 120 ca., univa la Königshalle con la cappella di palazzo. Non tanto per le rispondenze formali, bensì per le sue valenze simboliche, tale complesso ricordava agli occhi dei contemporanei la prestigiosa residenza romana dei papi, al punto che fu chiamato anch'esso Laterano.Tutti gli edifici importanti erano arricchiti da sfolgoranti decorazioni e da preziose suppellettili. La tecnica del mosaico registrava in quegli anni un sensibile rinnovamento e veniva impiegata su larga scala: basti pensare ai mosaici fatti eseguire a Roma da Leone III (nei due triclini del Laterano e del Vaticano, nelle chiese dei Ss. Nereo e Achilleo e di S. Susanna) e al grande mosaico della Cappella Palatina rappresentante Cristo in trono con le figure degli apostoli e dei ventiquattro vegliardi dell'Apocalisse. Anche a Germigny-des-Prés la mano divina e l'arca dell'alleanza, vigilata da due angeli, erano raffigurate a mosaico nell'abside, mentre una scena del paradiso copriva i muri attorno all'altare. Pochi avanzi rimangono dei pavimenti in mosaico, ma quelli ritrovati a Saint-Quentin e ad Aquisgrana attestano la sopravvivenza o la ripresa dei metodi antichi. Quanto all'architettura dipinta, ci si limita a ricordare la testimonianza di Lorsch (decorazione della sala del primo piano con finto loggiato), il ciclo già ricordato di S. Benedetto a Malles e gli affreschi alquanto più tardi di S. Giovanni a Müstair, S. Procolo a Naturno e Saint-Germain ad Auxerre. Accanto a questi pochi resti, che permettono di avere solo una vaga idea della pittura murale, sono rimasti per fortuna numerosi manoscritti liturgici riccamente miniati, per lo più espressione di un'arte di corte.Gli edifici venivano spesso abbelliti con motivi in terracotta e stucco. A Germingy-des-Prés sono stati ritrovati medaglioni di terracotta a sostegno del tetto, piastrelle di terra fatte a stampo e ornate di figure in rilievo e alcuni frammenti di stucco. A Saint-Riquier quattro pannelli con storie della Vita di Cristo, decorati con oro, pietre preziose e colori sontuosi, erano posti ai quattro punti cardinali della chiesa. Anche la scultura in pietra, prodotta su schemi geometrici con decorazioni a intrecci, spirali e pampini, ma pur sempre animata da una forte attrazione per l'antico, conobbe un certo rinnovamento, ma anche in tal caso, se si escludono poche testimonianze (a Lorsch, Saint-Denis, Aquisgrana e Höchst), è scarsamente documentata.L'arte del rilievo appare più originale e perfetta nelle opere di oreficeria, per lo più suppellettili liturgiche. I primi capolavori denunciano una stretta dipendenza dall'arte insulare, al punto che si potrebbe parlare di una scuola irlandeseanglosassone sul suolo germanico: il calice di Tassilone, donato al monastero di Kremsmünster (tesoro dell'abbazia; 777 ca.), ne è un tipico esempio. Un tipo di ornamentazione anglosassone caratterizza anche la prima rilegatura dell'Evangeliario di Lindau (New York, Pierp. Morgan Lib., M.1), eseguita nella Germania meridionale verso l'800 o poco dopo, ricca di granati incastonati e di smalti cloisonnés. Di stile analogo è il reliquiario di Enger, donato da C. al duca sassone Vitichindo verso il 785 e oggi a Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kunstgewerbemus., inv. nr. 88,632), mentre una maggiore raffinatezza si riscontra nella borsa di s. Stefano di Vienna (Schatzkammer) e nel reliquiario di Monza (Mus. del Duomo). Altri meravigliosi lavori sono la croce degli Angeli di Oviedo (Mus. de la Cámara Santa), realizzata nell'808 per Alfonso II, il reliquiario del vescovo Alteo (780-799) di Sion (tesoro della cattedrale) e il talismano di C. conservato a Reims (Palais du Tau Trésor de la Cathédrale).Accanto ai prodotti dell'oreficeria, anche i manufatti in ferro battuto e in bronzo raggiunsero un elevato livello di perfezione. Ne sono una testimonianza significativa le balaustre della galleria interna della Cappella Palatina di Aquisgrana, le grandi porte in bronzo nella stessa cappella e la statuetta detta di C. (Parigi, Louvre; Mütherich, 1965).Una produzione fiorente fu inoltre quella dell'intaglio in avorio, eseguito su modelli antichi, senza preferenza per una tendenza particolare. Non è sicuro se molti lavori, ordinati sicuramente da C. e dalla sua corte, siano stati eseguiti ad Aquisgrana oppure nei monasteri che ne dipendevano. L'esempio più illustre, ispirato a modelli del periodo di Giustiniano, è la legatura dell'Evangeliario di Lorsch (Codex Aureus), dell'810 ca., conservata in parte a Londra (Vict. and Alb. Mus.) e in parte a Roma (BAV, Mus. Sacro). Le due coperte del Salterio di Dagulfo (Parigi, Louvre) che C. voleva inviare come dono a papa Adriano I, quelle di Oxford (Bodl. Lib.) e di Narbona (tesoro della cattedrale), il dittico di Aquisgrana (Domschatzkammer), un frammento che si conserva a Firenze (Mus. Naz. del Bargello) con la scena delle Pie donne al sepolcro e altri pezzi ancora sono anch'essi scrupolosamente eseguiti secondo l'iconografia paleocristiana, non diversamente da molte miniature a cui essi sono strettamente legati.In conclusione, dalla complessa civiltà artistica fiorita intorno alla figura di C. emerge come dato fondamentale il tono raffinato e aulico, che dall'antico desumeva i suoi aspetti formali. Pur fiorendo negli ambienti di corte o in quelli monastici, che alla corte erano strettamente legati, l'arte a cavallo dei secc. 8° e 9° poté svilupparsi e diffondersi in una vasta area dell'impero, spingendosi anche a S, oltre le Alpi, per penetrare negli ambienti italici già ricchi di una propria tradizione.
Bibl.:
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Un considerevole numero di fonti, a partire dalla Vita Karoli Magni del contemporaneo Eginardo, consente di ricostruire la storia di Carlo Magno.È dal sec. 12° che prende invece avvio la leggenda di C.; nascono nuove fonti che fanno dell'imperatore un campione della fede e dell'ortodossia cristiana; i racconti di favolose imprese si sovrappongono ai resoconti dei viaggi e cambiano la realtà stessa degli eventi. I rapporti di C. con Gerusalemme e con il califfo di Baghdad, per es., si trasformano, nel Voyage en Orient (1124 ca.), in un viaggio personale del re per la resa del Santo Sepolcro e C. viene a essere così il primo crociato della storia (Vincenzo di Beauvais, Speculum historiale, XXIV, 1).Nella cronaca dello pseudo-Turpino, tratta, fra il 1140 e il 1150, dal Livre de Saint-Jacques, C. è presentato invece come il primo pellegrino verso Santiago de Compostela, coinvolto in una serie di lotte combattute in Spagna contro gli infedeli, all'interno delle quali si fa rientrare anche la disfatta di Roncisvalle, descritta come un avvenimento eroico.È peraltro all'interno della Chanson de Roland (sec. 12°-13°) che l'immagine dell'imperatore patriarcale, difensore della cristianità, riceve la sua forma canonica, divulgata dalle leggende e inserita in importanti cicli iconografici.Le prime testimonianze figurative, pressoché contemporanee a C., mirano a sostenere la politica e la gloria del grande imperatore, presentandolo per lo più isolato, da protagonista, con gli attributi regali. Nel mosaico del triclinio del Laterano a Roma, molto restaurato nel corso del sec. 18°, sono raffigurati C. e Leone III inginocchiati ai piedi di s. Pietro. Non priva di intenti programmatici, quest'opera - voluta dallo stesso papa Leone III - intende dimostrare che i destini della città imperiale e i poteri della cristianità sono stati direttamente trasmessi da Pietro ai suoi vescovi. Lo stesso papa Leone III aveva commissionato anche un secondo mosaico raffigurante C., posto all'interno della basilica di S. Susanna, distrutto nel 1595 e conosciuto solo attraverso copie tarde (secc. 16°-17°).Le monete di C. sottolineano il sostegno che l'imperatore offre alla Chiesa, presentando sul dritto il busto imperiale laureato e coperto dal paludamentum romano, con la scritta DN KAROLVSIMPAVGREXFETL (Dominus noster Karolus imperator augustus rex Francorum et Langobardorum), secondo l'uso dell'alto Impero romano; sul rovescio della moneta è invece raffigurata una chiesa con le forme di un tempio classico e la scritta XPICTIANA RELIGIO.È probabilmente identificabile con C. la statuetta bronzea di Metz (Parigi, Louvre; sec. 9°), che raffigura il personaggio non solo come re (con la corona e il globo), ma anche come condottiero (a cavallo e con la spada), e che, nonostante le dimensioni ridotte (altezza cm. 23,5), riecheggia felicemente le statue equestri dell'antichità classica.La tradizione identifica con C. anche una statua in stucco posta all'estremità orientale della chiesa di S. Giovanni a Müstair, dove per volere dello stesso C. venne fondato un importante complesso di abbazie. La statua raffigura il re in posizione eretta, coronato, con in mano i simboli del proprio potere, il globo e lo scettro.Ispirate più alla leggenda dell'eroe cristiano che non all'esaltazione del potere del grande imperatore sono invece le raffigurazioni dei secoli successivi. Una miniatura tratta da un manoscritto delle Chroniques de Saint-Denis (1275 ca.) illustra un episodio iniziale della battaglia di Roncisvalle: C. è raffigurato infatti nell'atto di inviare il traditore Gano dai due re saraceni di Saragozza, Marsilio e Beligando (Parigi, Bibl. Sainte-Geneviève, 7771).Nella vetrata offerta nel sec. 13° dai pellicciai alla cattedrale di Chartres, la leggenda di C. si dispiega in un ciclo articolato, che attinge le varie scene da ben tre fonti: il Voyage en Orient, la cronaca dello pseudo-Turpino e la Vita de Sancto Aegidio abate (AASS, Septembris, I, Paris-Roma 1868, pp. 299-304), copiate intorno al 1150 in un'unica raccolta, forse in possesso dei canonici di Chartres. In questa vetrata si afferma l'immagine dell'imperatore quale campione di Cristo, un eroe pio, amato da Dio, favorito dall'intervento di angeli e santi nella lotta contro gli infedeli. È probabile che una seconda vetrata, composta sul modello di quella di Chartres, si trovasse a Saint-Denis, ma è andata distrutta nel corso della Rivoluzione francese.Anche lo scettro di Carlo V (Parigi, Louvre) presenta scene della leggenda di C. tratte dalla cronaca dello pseudo-Turpino (Apparizione di s. Giacomo, Miracolo delle lance fiorite, Morte di C.). Il Voyage en Orient, i viaggi in Spagna e la Vita de Sancto Aegidio abate ispirarono infine la decorazione dell'arca funebre di C. (Aquisgrana, Cappella Palatina), portata a termine solo nel 1215 con l'aggiunta dei ritratti dei successori dell'imperatore.Al C. guerriero, capo della cavalleria europea, succedette dunque nel tempo un'immagine di C. inteso come esempio supremo di autorità politica e come apostolo del dominio universale. Quando l'imperatore Massimiliano I, agli inizi del sec. 16°, progettò il proprio monumento funebre nella cappella di corte di Innsbruck, non collocò C. fra i propri antenati ma, significativamente, lo pose insieme ad Artù fra le anime degne (disegno di Jörg Kölderer; Innsbruck, Kunsthistorisches Mus., Sammlungen Schloss Ambras).
Bibl.:
Fonti. - Annales et chronica aevi Carolini, in MGH. SS, I, a cura di G. H. Pertz, 1826; Monachus Sangallensis, De Carolo Magno, a cura di P. Jaffé (Bibliotheca rerum Germanicarum, 4), Berlin 1867, pp. 628-700; Poëtae Latini aevi Carolini, in MGH. Poëtae, I-II, a cura di E. Dümmler, 1880-1884; Capitularia regum Francorum, a cura di A. Boretius, V. Krause, in MGH. Capit., I-II, 1883-1897; Incmaro di Reims, De ordine palatii, a cura di M. Prou (Bibliothèque de l'Ecole des hautes études. Sciences philologiques et historiques, 58), Paris 1884; Lib. Pont., II, 1892; Concilia aevi Karolini, in MGH. Conc., II, 2, a cura di A. Werminghoff, 1904-1908; Die Urkunden der Karolingern, I, Die Urkunden Pippins, Karlmanns und Karls des Grossen, a cura di E. Mühlbacher, in MGH. Dipl. Kar., I, 1906; E. Mühlbacher, Die Regesten des Kaiserreichs unter den Karolingern. 751-918 (J.F. Böhmer, Regesta Imperii, 1), Innsbruck 19082; Eginardo, Vita Karoli Magni, in MGH. SS rer. Germ., XXV, a cura di O. Holder-Egger, 1911⁶.
Letteratura critica. - Die Legende Karls des Grossen in 11. und 12. Jahrhundert, a cura di G. Rauschen (Publikationen der Gesellschaft für rheinische Geschichtskunde, 7), Leipzig 1890; F. de Mely, Légende de Charlemagne, BSNAF, 1923, pp. 159-163; R. Folz, Le souvenir et la légende de Charlemagne dans l'Empire germanique médiéval, Paris 1951; G. Pepe, Un problema storico: Carlo Magno (Biblioteca del Leonardo, 47), Firenze 1952 (rist. in id., Carlo Magno. Federico II, Firenze 1968, pp. 9-102, con bibl.); D. A. Bullough, The Age of Charlemagne, London 1965 (trad. it. Carlo Magno, Bergamo 1966).M. Chiellini Nari
Si parla di scuola di corte di C. con riferimento a un piccolo gruppo di manoscritti - la cui origine è direttamente connessa con la persona e la corte del sovrano - che apre il corso della miniatura carolingia. I confini cronologici di tale gruppo si pongono fra il 781-783, periodo in cui fu realizzato l'Evangelistario di Godescalco (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 1203), il più antico codice conservato, e l'814, anno di morte dell'imperatore. Se si localizza la scuola alla corte di C. bisogna ritenere che la sua sede, a partire dal 794, sia stata Aquisgrana. All'Evangelistario di Godescalco eseguito, secondo i versi dedicatori, da questo scriba su incarico di C. e di sua moglie Ildegarda (m. nel 783), seguirono il codice conservato a Parigi (Parigi, Ars., 599), la prima parte dei Vangeli di Ada, così denominati dal nome della donatrice (Treviri, Stadtbibl., 22), e infine il manoscritto conservato a Vienna (Öst. Nat. Bibl., 1861), particolarmente importante poiché fornisce un altro riferimento cronologico preciso: si tratta infatti del salterio scritto, su incarico di C., da Dagulfo e dedicato a papa Adriano I (m. nel 795). Venne quindi realizzata una serie di grandi evangeliari, che inizia con il codice di Abbeville (Bibl. Mun., 4), donato dall'abate Angilberto al suo monastero di Centula/Saint-Riquier, e con quello di Londra (BL, Harley 2788).La scuola raggiunse il suo apice con l'Evangeliario di Soissons - parte dell'eredità di C. - donato da Ludovico il Pio alla chiesa di Saint-Médard (Parigi, BN, lat. 8850). Successivi a questo sono la seconda parte del già citato codice di Treviri, contenente le immagini degli evangelisti, e il Codex Aureus del monastero di Lorsch (Alba Iulia, Bibl. Batthyaneum, R.II.I; Roma, BAV, Pal. lat. 50). Un secondo evangeliario della scuola di corte può essere ricostruito grazie a un frammento con una rappresentazione dell'Annuncio a Zaccaria conservato a Londra (BL, Cott. Claud. B.V), mentre l'esistenza di altri manoscritti, oggi perduti, appartenenti allo stesso gruppo è attestata dalle copie e dalle imitazioni di cui essi furono oggetto soprattutto a Fulda, nella regione del Reno e a Salisburgo.Si tratta di manoscritti di lusso, che ben corrispondono al carattere di una scuola di corte, realizzati con il massimo sfarzo in tutti i particolari, come appare sia dall'uso della porpora, dell'oro e dell'argento, sia dalla riproduzione di fili di perle, pietre preziose e cammei come motivi ornamentali. Le ricche pagine di incipit, così come le splendide sequenze di arcate con le tavole dei canoni raggiungono risultati di qualità pari a quella dei monumentali frontespizi e delle illustrazioni.Delle preziose rilegature dei codici palatini menzionate nelle fonti si sono conservate le coperte d'avorio del Salterio di Dagulfo (Parigi, Louvre) e del Codex Aureus di Lorsch (Londra, Vict. and Alb. Mus.; Roma, BAV, Mus. Sacro).La scuola di corte ebbe un ruolo di primo piano nella politica di rinnovamento artistico di C.; essa realizzava concretamente quanto espresso in linea teorica dal sovrano, in merito alla riforma della produzione dei manoscritti, nell'Admonitio generalis e nell'Epistola de litteris colendis (MGH. Capit., I, 1883, pp. 60, 79). Così, dei più importanti manoscritti liturgici (evangeliario, salterio e messale) furono prodotte presso la corte edizioni-tipo, destinate a servire da modelli, da exempla, per tutto il regno. Mentre di evangeliari e di salteri si conservano esempi di notevole importanza, dei sacramentari un perduto codice realizzato a corte su modello romano è tramandato in una copia dell'812 (Cambrai, Médiathèque Mun., 8). Accanto agli evangeliari, che contenevano l'intero testo dei Vangeli, avevano già un ruolo notevole gli evangelistari, raccolte di brani evangelici ordinati secondo l'anno liturgico, come testimonia il citato codice di Godescalco.Le conquiste della riforma carolingia si evidenziano nel testo, nella scrittura e nella decorazione dei manoscritti. Il tentativo di perfezionare le edizioni, oltre che dal nuovo salterio gallicanum, di cui è testimonianza esemplare il Salterio di Dagulfo, emerge soprattutto dalla serie degli evangeliari.Come la scrittura, anche la decorazione dei manoscritti della scuola di corte mostra l'aprirsi di un'epoca nuova: scopo di tale rinnovamento è a evidenza quello di far rivivere l'arte antica, nota soprattutto nelle forme tardoantica e bizantina. Ciò comportava un recupero della figura tridimensionale inserita nello spazio, la distinzione tra forma e ornamento, la rinuncia all'uso di forme organiche inserite in contesti astratti: diventava così necessario imparare a servirsi dei mezzi di rappresentazione propri della pittura antica.Dagli inizi ancora incerti dell'Evangelistario di Godescalco, lo stile delle miniature si evolve conquistando progressivamente i valori tridimensionali, fino ad arrivare alle forme plastico-spaziali delle immagini più tarde. Anche in esse, il repertorio ornamentale dei manoscritti si rifà invece ancora all'arte insulare, dalla quale derivano importanti elementi come le iniziali e i monogrammi a piena pagina.Alla base della produzione libraria è un programma preciso. Nella maggior parte dei manoscritti la pagina è costruita con il testo disposto su due colonne, in riquadri ornamentali, con lettere auree, talvolta su porpora, con l'impiego soprattutto dell'onciale, ma anche della nuova minuscola. La decorazione degli evangeliari si concentra nelle architetture riccamente articolate delle tavole dei canoni (v.) e negli incipit dei singoli Vangeli, che nei primi manoscritti vengono introdotti solo da iniziali ornate e, a partire dal 794, dalla pagina con il ritratto dell'evangelista seguita da una seconda, di carattere ornamentale, con grandi iniziali, entrambe inquadrate da splendide cornici. Iniziali più piccole scandiscono l'attacco degli altri testi.Per quanto riguarda la decorazione figurata, l'Evangelistario di Godescalco presenta le immagini di Cristo e degli evangelisti e la fontana della vita. Negli evangeliari, oltre ai ritratti a tutta pagina di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, si trovano piccole figure o scene inserite nelle cornici o nelle iniziali. Di maggiore interesse sono le pagine introduttive poste all'inizio di alcuni testi, come, nell'Evangeliario di Soissons, la rappresentazione dei Ventiquattro vegliardi in adorazione dell'Agnello - che illustra il prologo Plures fuisse - e la fontana della vita, già presente nell'Evangelistario di Godescalco come introduzione alle tavole dei canoni. Sono da ricordare inoltre l'immagine degli antenati di Cristo, posta prima del prologo, e la Maiestas Domini all'inizio del Vangelo di Matteo nel Codex Aureus di Lorsch (Alba Iulia, Bibl. Batthyaneum, R.II.I, cc. 14r, 18v). Mentre alcune immagini degli antenati di Cristo riprendono ed elaborano forme già impiegate nell'Evangelistario di Godescalco, in altre si avverte l'uso di nuovi modelli attinti dall'arte tardoantica di area greco-italica, come il tipo classico del ritratto di evangelista adottato dalla scuola di corte, con l'autore all'opera entro un'arcata, nella cui lunetta è situato il simbolo corrispondente. Di particolare interesse iconografico sono le scene minori, che rappresentano una testimonianza di temi neotestamentari rara nella miniatura carolingia e che nel loro legame con le iniziali riprendono soluzioni adottate nell'arte insulare, come attesta il salterio di Londra (BL, Cott. Vesp. A.I), il primo del genere conservato. Caratteristica degli evangeliari della scuola di corte è l'inserimento nelle tavole dei canoni di figure e scene, soprattutto dei simboli degli evangelisti. Il gruppo di manoscritti - per lo più localizzati a Lorsch o a Treviri - che per lungo tempo è stato indicato con la denominazione di scuola di Ada - dalla donatrice dei Vangeli oggi a Treviri - è stato definito da Köhler (1958) scuola di corte di Carlo Magno. Già in precedenza, tuttavia, egli aveva dimostrato (Köhler, 1926) che l'attività di tale scuola si limitò al primo periodo carolingio e che le analoghe espressioni formali che appaiono dalla metà del sec. 9° e nel 10° rappresentano solo copie e imitazioni dei manoscritti più antichi.
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