inclusività Termine con cui si designano in senso generale orientamenti e strategie finalizzati a promuovere la coesistenza e la valorizzazione delle differenze attraverso una revisione critica delle categorie convenzionali che regolano l’accesso a diritti e opportunità, contrastando le discriminazioni e l’intolleranza prodotte da giudizi, pregiudizi, razzismi e stereotipi. Diversamente dall’integrazione, il cui focus primario è costituito dall’individuo in quanto segmento di una totalità organica distintamente delimitata, l’inclusività postula la costruzione di contesti resi sensibili alle diversità, al cui interno l’azione sociale assicuri a ciascun soggetto eguaglianza di dignità, potere e rappresentanza, nel pieno rispetto di orientamenti, competenze e attitudini individuali. Il termine si è diffuso in Italia dagli anni Novanta del Ventesimo secolo soprattutto in ambito educativo e formativo, trovando nei decenni successivi vasta applicazione nella didattica scolastica per denotare strategie educative atte a rispondere alle necessità dell’intera popolazione studentesca, con priorità per i soggetti fragili, rispettando e valorizzando le differenze individuali e definendo competenze specifiche e forme di insegnamento multilivello e pluridisciplinari. Parallelamente, il termine ha registrato un ampio utilizzo nel dibattito sulle questioni di genere per problematizzare l’assegnazione convenzionale dei ruoli sociali sulla base del modello binario della cisessualità (i.e., il pieno riconoscimento dell’identità di genere socialmente attribuita al sesso biologico di appartenenza), ponendo in discussione le discriminazioni sessiste radicate fin nelle basi delle strutture linguistiche: in questo ambito, si è registrato in anni recenti il rifiuto – precocemente formulato da A. Sabatini nelle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (1987) – di quelle convenzioni che ostacolano l’identificazione, la nominazione e la comprensione delle differenze, come nel caso della sovraestensione a gruppi misti dell’uso del maschile plurale nelle lingue flessive, di cui è stata proposta la sostituzione – sebbene ostacolata dall’assenza di corrispondenza fonica – con simboli grafici quali lo scevà, l’asterisco e la chiocciola con funzione di suffisso neutro.