INGHILTERRA (XIX, p. 231; App. I, p. 728; II, 11, p. 36)
Per notizie geografiche, statistiche ed economiche, v. gran bretagna, in questa App.; per l'impero inglese, v. britannico, impero; commonwealth of nations, in questa App.
Storia (XIX, p. 232; App. I, p. 728; II, ii, p. 36).
Il leit-motiv della politica interna britannica dalla conclusione della seconda guerra mondiale in poi, s'identifica nella lotta contro l'inflazione comune ai governi laburisti e conservatori. Il governo laburista, giunto al potere nel 1945, pensò in un primo momento di poter attuare i suoi obiettivi (costruzione di una società socialista attraverso il raggiungimento del pieno impiego, la nazionalizzazione, la giustizia redistributiva, lo stato assistenziale) e contemporaneamente risolvere i problemi economici ereditati dalla guerra (pagamento delle spese belliche e dei debiti agli Stati Uniti, riconversione dell'industria) mediante una politica di controllo della spesa (austerity). Per superare l'inevitabile crisi economica che ben presto si verificò, il governo fu costretto a prendere dapprima drastiche misure deflazionistiche (aprile 1948), che segnarono un arresto della politica sociale, evitando per il momento di svalutare la sterlina grazie anche agli aiuti americani (piano Marshall), ma in seguito dovette svalutare la sterlina del 30,5 per cento (19 settembre 1949) e imporre nuove restrizioni. Ne risultò un saldo attivo nella bilancia dei pagamenti (prima metà del 1950), ma la spinta inflazionistica riprese per l'aumento delle spese di riarmo (120 milioni di sterline) e per gli aumenti salariali. Fu il fallimento della politica di Sir S. Cripps, alla quale venne addebitata la risicatissima vittoria elettorale del 23 febbraio 1950 (315 seggi laburisti contro i 393 del 1945, 298 conservatori, 9 liberali, 3 altri); tuttavia il governo laburista portò a compimento la sua politica con la nazionalizzazione dell'industria siderurgica (19 settembre 1950). Le successive elezioni indette da C. Attlee il 25 ottobre 1951, fidando sulla migliorata situazione economica, videro la vittoria dei conservatori (321 seggi conservatori, 294 laburisti, 6 liberali, 3 altri), perché l'elettorato rifiutò il programma laburista di spese (riarmo e politica sociale) per quello conservatore antinflazionistico. L'atout dei conservatori fu però rappresentato dalla loro decisione di mantenere le nazionalizzazioni, tranne quella dell'industria siderurgica, il pieno impiego e le conquiste sociali dei laburisti. L'esperimento laburista si concluse pertanto in modo positivo e duraturo per il ripensamento ideologico compiuto dai conservatori (neotorismo o conservatorismo illuminato). Il nuovo governo conservatore ridusse il programma di riarmo laburista e le importazioni, e attuò severe misure deflazionistiche per superare la crisi ereditata e per non smobilitare completamente la politica di assistenza sociale. Il successo non si fece attendere: l'8 agosto 1952 la sterlina fu resa parzialmente convertibile, nel novembre furono attenuate le restrizioni all'importazione, e verso la fine dell'anno la crisi potè considerarsi superata.
Poco dopo il ritorno al potere di Churchill, morì re Giorgio VI (6 febbraio 1952); gli succedette la figlia Elisabetta che il 2 giugno 1953 fu incoronata regina col nome di Elisabetta II.
Per mantenere l'equilibrio raggiunto alla fine del 1952, il governo conservatore continuò la lotta antinflazionistica, pur allentando i controlli. La situazione generale migliorò, permettendo la riapertura del mercato dell'oro e l'ampliamento nella trasferibilità dei saldi in sterline, che rappresentò un ulteriore passo verso la convertibilità (marzo 1954). Il 5 aprile 1955 Churchill presentò le dimissioni e A. Eden ne raccolse la successione appellandosi però, per la conferma, al paese. Le elezioni del 26 maggio segnarono un indubbio successo per Eden (345 seggi conservatori, 277 laburisti, 6 liberali, 2 altri), dovuto anche alla crisi in cui si dibatteva il partito laburista, per effetto dell'espulsione dal gruppo parlamentare del leader della sinistra A. Bevan (16 marzo 1955). Immediatamente dopo la vittoria elettorale, il governo fu costretto a prendere provvedimenti deflazionistici per superare la crisi, originata dalla recessione (1954), ponendo così fine al compromesso (butskellism, da Butler e Gaitskell) con l'opposizione sul contemperamento tra economia di mercato e sistema di sicurezza sociale. Il governo conservatore s'impegnò quindi in una ancor più rigida politica economica per arginare la lenta ma continua inflazione, dovuta anche alle aumentate spese militari, senza tuttavia raggiungere alcun apprezzabile risultato per la recessione industriale.
L'impresa di Suez (v. in questa App.) diede una vigorosa spinta alla spirale inflazionistica (aumento del prezzo della benzina) con la conseguenza di portare sull'orlo del fallimento la sterlina, salvata da un prestito del Fondo monetario internazionale di 1 miliardo di dollari. Essa ebbe anche ripercussioni politiche importantissime nel paese (praticamente diviso in due per l'opposizione laburista), nel partito conservatore (costituzione del Gruppo di Suez contrario alla sospensione dell'intervento, dimissioni di C. Banks capogruppo parlamentare) e nel governo (dimissioni di A. Nutting, ministro di Stato agli Esteri, e di Sir E. Boyle, segretario economico al Tesoro; contrasti di Eden con R. A. Butler, L. Macleod e D. Heathcoat-Amory). La logica conseguenza del fallimento di Suez fu la sostituzione di Eden con H. Macmillan (9 gennaio 1957) per permettere il superamento della frattura prodottasi nel paese, nel governo e nel partito. Il nuovo governo tentò di frenare l'inflazione con una politica di incentivi ma dovette ben presto ricorrere a misure deflazionistiche, ottenendo così un sensibile miglioramento della situazione economica coronato dalla piena convertibilità della sterlina (29 dicembre 1958). Le elezioni dell'8 ottobre 1959 videro il trionfo del governo (366 seggi conservatori, 258 laburisti, 6 liberali) per i successi in politica economica ed estera (viaggio di Macmillan nell'URSS), per la divisione delle file laburiste sulle nazionalizzazioni e sulla politica atomica, ma soprattutto per il mutamento avvenuto nella società britannica sulla quale non fa più presa il mito socialista della nazionalizzazione. Fallì il tentativo della destra laburista di adeguare il partito alla mutata realtà sociale, abolendo l'art. 4 dello Statuto (concernente la "proprietà collettiva dei mezzi dl produzione, distribuzione e scambio"); inoltre essa subì una pesante sconfitta perchè il congresso (ottobre 1960) si pronunciò per il disarmo nucleare unilaterale respingendo la dichiarazione dell'esecutivo a favore di un sistema di sicurezza collettiva. Sul piano economico il governo riuscì ad arrestare la tendenza inflazionistica manifestatasi agli inizî del 1960 a prezzo di un rallentamento dell'attività economica che Macmillan invitò a superare con una politica di maggiori esportazioni.
Il tema centrale della politica estera britannica è rappresentato dall'atteggiamento in favore del dialogo tra i due blocchi assunto sia dai laburisti sia dai conservatori. Il perseguimento della politica distensiva non significa però l'abbandono della stretta collaborazione con gli S.U.A. (partnership anglo-americana), nè soprattutto la rinuncia alla difesa e alla protezione degli interessi vitali britannici nel Commonwealth, nel Medio ed Estremo Oriente, in Europa.
Per mantenere legati economicamente, e anche in parte politicamente, i dominions che chiedevano l'indipendenza, il governo laburista non solo la concesse loro (1947), ma trasformò il Commonwealth in Commonwealth of Nations (1949), cioè in un insieme di Stati veramente indipendenti, fornendo inoltre, per favorirne lo sviluppo economico, aiuti finanziarî e tecnici (Piano di Colombo, gennaio 1950). Il principio fondamentale del Commonwealth - la libera ed uguale associazione tra popoli di razze diverse - è però minato dalla politica di discriminazione razziale (apartheid) seguita dall'Unione Sudafricana. La politica di concedere l'indipendenza alle colonie non sempre fu attuata dal governo britannico, che molte volte la rifiutò per ragioni strategiche (Malta, Cipro fino al 1960) o per la presenza di una minoranza bianca (Africa centrale e orientale: Rhodesia, Niassa, Kenya, Tanganika). Ma è soprattutto la politica asiatica e mediorientale che rappresenta l'esempio più evidente della difesa degli interessi britannici. Riconosciuto il governo comunista cinese (gennaio 1950) per proteggere i suoi interessi in Cina e a Hong Kong, il governo britannico tentò di fermare l'espansione comunista in Estremo Oriente (guerra di Corea) e nell'Asia sudorientale (guerriglia in Indocina e Malesia) mediante la creazione di un sistema difensivo (proposto da Churchill, inizî 1953) o di garanzie (proposta di Eden per una Locarno asiatica, giugno 1954). La costituzione della SEATO (settembre 1954) risolvette il problema, dopo che a Ginevra, nella conferenza dei ministri degli Esteri sulla Corea e l'Indocina, Eden era riuscito ad arrestare l'espansione comunista verso la Malesia, conciliando le opposte esigenze cinesi e francesi con un sistema di garanzie.
Per la Gran Bretagna è una necessità vitale (petrolio) mantenere la sua influenza sul Medio Oriente, e a questo fine il governo laburista adottò una politica di collaborazione e di amicizia, reagendo però violentemente (minaccia di intervento) quando furono colpiti gli interessi britannici (nazionalizzazione del petrolio iraniano, maggio 1950). Il governo conservatore riuscì a creare nel settore un sistema difensivo (patto di Baghdād, aprile 1955), ma la stabilità raggiunta fu repentinamente scossa dalla nazionalizzazione del Canale di Suez (26 luglio 1956), alla quale Londra rispose con l'intervento, a fianco della Francia, in difesa della libertà di transito nel Canale minacciata dalle ostilità arabo-israeliane. Contro l'azione anglo-francese si schierarono gli Stati Uniti, l'URSS, che minacciò la rappresaglia atomica, e quasi tutti i membri delle N.U. che riuscirono a imporre la presenza di una forza internazionale sul canale e il ritiro degli anglo-francesi. Suez segnò l'ingresso dell'URSS nell'area e determinò il passaggio della leadership occidentale nel Medio Onente agli S.U.A. (dottrina Eisenhower, gennaio 1957). La precarietà dell'equilibrio in cui si trovò il settore dopo Suez fu confermata dalla rivoluzione irachena (luglio 1958), dall'intervento statunitense nel Libano e britannico in Giordania, dal ritiro dell'‛Irāq dal patto di Baghdād, che mutò (21 agosto 1959) il suo nome in CENTO (Central Treaty Organization).
Se la seconda guerra mondiale aveva segnato il crollo della politîca dell'equilibrio (balance of power), cardine della politica britannica in Europa, le speranze britanniche di costruire un'Europa unita, politicamente e militarmente (Churchill), oppure un'Europa socialista (Bevin), si dissolsero in seguito alla decisione dei sei paesi dell'Europa occidentale di creare una Comunità europea del carbone e dell'acciaio (piano Schuman, maggio 1950) e una Comunità europea di difesa (piano Pleven, ottobre 1950), e al rifiuto di partecipazione da parte della Gran Bretagna, estremamente restia ad accettare autorità sovranazionali a causa soprattutto dei suoi molteplici legami e interessi extra-europei (Commonwealth). Il governo britannico pose però il problema dell'integrazione delle forze tedesche nella difesa europea ed atlantica, risolvendolo dopo la caduta della CED (agosto 1954), con la trasformazione del patto di Bruxelles (1948) nell'Unione europea occidentale (UEO), garantendo contemporaneamente la presenza delle sue truppe sul continente (ottobre 1954). Londra non cambiò il suo atteggiamento neppure dinanzi all'unione economica dei paesi europei (CEE ed EURATOM, marzo 1957), ma avanzò la proposta di una Zona di libero scambio per non perdere i mercati europei e per conservare il sistema delle preferenze imperiali. Dinnanzi al rifiuto europeo, il governo britannico ripiegò su una piccola zona di libero scambio (EFTA, dicembre 1959), ma il timore di una frattura economica in Europa lo indusse, anche su pressione statunitense, a ricercare la soluzione del problema nello spirito di un comune interesse occidentale (ottobre 1960).
La politica distensiva che la Gran Bretagna persegue non significa il rovesciamento delle alleanze, al contrario essa ha il suo punto d'appoggio proprio nella partnership anglo-americana. Ciò è dimostrato dalla politica del governo laburista che ritenne, per arginare l'espansione comunista in Europa, di dover subordinare le alleanze europee (patto di Bruxelles, maggio 1948) attuate secondo i disegni di Churchill (discorsi di Fulton e Zurigo, 4 marzo e 19 settembre 1946), alle iniziative americane (piano Marshall, 1948; Patto Atlantico, 1949). Nonostante il peggioramento della situazione internazionale (guerra di Corea), il dialogo tra i due blocchi, interrotto dal 1949, riprese con la conferenza dei sostituti dei ministri degli Esteri (Parigi, 5 marzo -21 giugno 1951), che fallì nel compito di preparare l'incontro dei ministri. Il ritorno al potere dei conservatori permise alla Gran Bretagna una maggiore libertà nel condurre il dialogo: l'11 maggio 1953 Churchill lanciò la proposta di una conferenza tra i quattro grandi per un patto di sicurezza europea, ma per il rifiuto franco-statunitense la conferenza ebbe luogo al livello dei ministri degli Esteri (Berlino, 25 gennaio -18 febbraio 1954). Approfittando della diminuita tensione Churchill iniziò un dialogo diretto con Molotov, ma la sua proposta per un incontro informativo cadde per il rifiuto sovietico, così come cadde per il rifiuto statunitense un nuovo tentativo di Churchill in favore del vertice (28 marzo 1955). La firma del trattato di pace austriaco (15 maggio 1955) sbloccò la situazione, ma la conferenza di Ginevra dei capi di governo (18-23 luglio) si limitò a indicare i temi alla successiva conferenza dei ministri degli Esteri (Ginevra, 27 ottobre -16 novembre), che confermò l'impossibilità di un accordo su tutte le questioni (unificazione tedesca, sicurezza europea, rapporti est-ovest). Lo sforzo distensivo di Londra sembrò reso inutile non solo dal fallimento di Ginevra, ma soprattutto dagli attacchi di Bulganin e N. Chruščëv alla politica colonialista britannica e dall'intervento sovietico nel Medio Oriente. Anche la visita dei due leaders sovietici a Londra (18-27 aprile), concordata da Eden a Ginevra, non recò alcun miglioramento, confermando le divergenze esistenti sul problema tedesco e sul Medio Oriente. A interrompere il dialogo anglo-sovietico intervenne la questione di Suez, che provocò anche una profonda frattura nel mondo occidentale, superata con le dimissioni di Eden. Infatti la partnership anglo-americana, completamente ristabilita con l'incontro delle Bermude tra Eisenhower e Macmillan (21-24 marzo 1957), raggiunse con la dichiarazione d'interdipendenza (Washington 25 ottobre) il suo punto massimo sanzionando la leadership anglo-statunitense nella NATO.
Dopo Suez fu il governo sovietico a riprendere l'iniziativa del dialogo con Londra avanzando l'idea di un incontro al vertice sulla sicurezza europea (aprile-dicembre 1957), ma il governo britannico chiese che il vertice fosse preceduto da una conferenza dei ministri degli Esteri. In questa fase dei colloqui si ebbe la proposta di Macmillan per un patto di non-aggressione tra i due blocchi (4 gennaio 1958), che cadde per il verificarsi degli avvenimenti mediorientali (luglio). Mentre Chruščëv riproponeva il vertice per discutere i problemi del Medio Oriente, Macmillan avanzò l'idea di una riunione del Consiglio di Sicurezza al livello dei capi di governo, ma entrambe le proposte furono respinte dagli Stati Uniti. La situazione internazionale segnò un ulteriore peggioramento in seguito all'ultimatum sovietico per Berlino (novembre 1958), ma lo sforzo mediatorio di Macmillan (visita nell'URSS, 21 febbraio -3 marzo 1959; colloqui di Camp David con Eisenhower 20-23 marzo) raggiunse il successo: la conferenza dei ministri degli Esteri, preliminare al vertice, ebbe luogo a Ginevra (11 maggio -20 giugno e 13 luglio 5 agosto) e pur non raggiungendo alcun risultato positivo confermò la necessità del vertice, che fu fissato per il 16 maggio 1960 a Parigi dopo la visita di N. Chruščëv negli Stati Uniti (settembre).
Poco prima della riunione si verificò l'incidente dell'U-2, un aereo da ricognizione americano abbattuto su territorio sovietico (1° maggio 1960), e fu questo incidente che Chruščëv prese a pretesto per provocare il fallimento del vertice, nonostante gli sforzi mediatori di Macmillan, che non mutò la sua linea di condotta proseguendo nel tentativo di raggiungere la distensione (corrispondenza Macmillan-Chruščëv, luglio; colloqui con Chruščëv a New York nel corso della XV sessione dell'Assemblea generale delle N.U., ottobre 1960).
Bibl.: Tra le opere di carattere generale, storico ed economico, sono da segnalare: D. C. Somervell, Modern Britain 1870-1950, Londra 1953; G. D. H. Cole, The post-war conditions of Britain, ivi 1956; A. J. Youngson, The British economy 1920-1957, ivi 1960. Meritano di essere ricordate le memorie di due primi ministri del dopoguerra, C. R. Attlee, As it happened, ivi 1954, per la rivoluzione laburista, e A. Eden, Full circle, ivi 1960, per la questione di Suez. Sull'esperimento laburista, particolarmente importante nei campi della nazionalizzazione, della redistribuzione del reddito e della politica assistenziale, si veda: Lord Beveridge, Voluntary action, ivi 1948 (fondamentale per comprendere la politica assistenziale attuata dal governo laburista); A. M. Cartier, The redistribution of income in postwar Britain: a study of the effects of the central government fisical program in 1948-49, ivi 1955; H. A. Clegg-T. E. Chester, The future of nationalization, Oxford 1953; R. Kelf-Cohen, Nationalization in Britain: the end of a dogma, Londra 1958. Sui partiti politici britannici, da un punto di vista generale, si può vedere: E. Serra, I partiti politici in Gran Bretagna, Milano 1959; un'analisi acuta sui due maggiori partiti è quella di R. T. McKenzie, British political parties: the distribution of power within the conservative and labour parties, Londra 1955; sulla crisi ideologica in cui versa già da tempo il partito laburista si segnala: C. A. R. Crosland, The future of Socialism, ivi 1956; R. H. S. Crossman, Labour in the affluent Society, ivi 1960; M. Phillips, Labour in the Sixthies, ivi 1960; S. Pozzani, La revisione critica del laburismo, Milano 1953. Il Commonwealth occupa un posto di primo piano nella politica britannica; per comprenderne la trasformazione e l'importanza si veda: P. Knaplund, Britain, Commonwealth and Empire 1901-1955, New York 1957; I. Jennings, Problems of the new Commonwealth, Londra 1958; G. Treves, Il Commonwealth britannico, Milano 1950. Non esistono per il momento opere che prendano in esame l'intera politica estera britannica del periodo 1948-60. Solo per il periodo laburista si ha di M. A. Fitzsimons, The foreign policy of the British labour government 1945-1951, Notre Dame 1959. Sulle relazioni anglo-americane si cita: H. C. Allen, Great Britain and the United States: a hystory of anglo-american relations 1783-1952, New York 1955, e dal punto di vista economico, E. Lipson, Reflections on Britain and the United States, Londra 1959. Sulla politica seguita dai governi britannici nei confronti dell'Europa: N. Branston, Britain and European unity, ivi 1953; H. J. Heiser, British policy with regard to the unification efforts on the european continent, Leida 1959. Per valutare l'importanza del Medio Oriente e del Canale di Suez nella politica britannica, si veda oltre alle memorie di Eden: Royal Institute of Internat. Affairs; Great Britain and Egypt 1914-51, Londra 1952; id., British interests in the Mediterranean and the Middle East, ivi 1957. Sull'impresa di Suez in particolare: M. e S. Bromberg, Les secrets de l'expédition d'Egypte, Paris 1957; P. Johnson, The Suez war, Londra 1957.
Arti figurative (XIX, p. 268; App. II, 11, p. 47).
Lo sviluppo delle arti in Inghilterra è stato caratterizzato in questi ultimi anni da una diretta influenza esercitata dallo stato attraverso una serie di organismi di fondazione statale, ma dotati di piena autonomia, sicché lo stato ha assunto la funzione di un vero e proprio patrono delle arti.
Questa ingerenza dello stato nella vita artistica del paese è naturalmente più sensibile nel campo dell'architettura (basti pensare che dal 1945 al 1954 i tre quarti delle costruzioni nuove in Inghilterra sono state effettuate per iniziativa statale; negli anni ancora più recenti la proporzione delle costruzioni dovute alle autorità locali e governative è del 53%, contro il 47% dovute ai privati); e questo in relazione al vasto e razionale piano urbanistico predisposto e in gran parte attuato in Gran Bretagna, con la creazione di una serie di nuove città soprattutto intese a decongestionare Londra (v. gran bretagna: Pianificazione urbanistica) ma questa ingerenza non è limitata esclusivamente all'architettura. Si pensi infatti che durante il 1960 lo stato ha messo in bilancio per lo sviluppo delle arti oltre 7 milioni di sterline, delle quali circa 3 milioni per le collezioni d'arte e gallerie di stato, 1 milione e mezzo per l'Arts Council e più di 1 milione per la preservazione di case d'interesse storico-artistico e del loro arredamento (anche con la elargizione di sussidî a privati). Tra le varie organizzazioni finanziate dallo stato ricordiamo l'Arts Council of Great Britain, costituito nel 1946 (precedentemente si chiamava Council for the encouragement of music and the arts), e il British Council, fondato nel 1934, che ha lo scopo di diffondere la cultura inglese all'estero, naturalmente anche nel campo delle manifestazioni artistiche.
Architettura. - L'accennata impostazione del problema architettonico-urbanistico in base ad esigenze di carattere sociale fatte proprie ed attuate dallo stato stesso, ha dato alla nuova architettura inglese un volto nuovo e singolare: si è fatta sempre meno evidente la personalità del singolo progettista, anzi si può dire che non vi siano veramente personalità che spiccano; ma si possono invece citare come espressioni esemplari della nuova architettura le nuove città, i nuovi quartieri - costruiti seguendo un'impostazione urbanistica, con equilibrio tra verde e zone residenziali, la cui architettura è generalmente sobria, funzionale, senza eccessive pretese, ma rispondente allo scopo -, le scuole, costruite in economia, con grande uso di materiali prefabbricati.
In questo periodo l'architettura inglese è uscita dalla tendenza a far rivivere nelle costruzioni gli stili del passato; per l'influenza di Le Corbusier e di Mies van der Rohe, e anche di quegli architetti che come E. Mendelsohn, W. Gropius, M. Breuer, si erano rifugiati in Inghilterra fra il 1936 e il 1940 circa, è stata accettata in Gran Bretagna una concezione architettonica moderna, per cui esiste ora una scuola di architettura che si preoccupa non tanto del singolo edificio quanto del rapporto tra l'edificio stesso e il suo ambiente, di un quartiere con quello vicino, delle condizioni sociali degli abitanti: una vera scuola, cioè, di urbanistica.
I nuovi quartieri che vengono costruiti in Gran Bretagna sono particolarmente interessanti per la planimetria secondo criterî urbanistici, la cura nella disposizione del verde, l'autosufficienza per i servizî di carattere sociale, la presenza insieme al movimento di decentralizzazione dalla città di un movimento contrario.
Il Golden Lane Estate, a Londra nella City, si è sviluppato in un'area bombardata vicino alla chiesa di S. Paolo; in esso è un grattacielo riservato ad abitazioni: il concorso, bandito dalla Corporazione della City di Londra, vinto (1952) da Chamberlin, Powell e Bon, fu poi modificato (1957) per l'acquisto di nuova area edificabile, elevando gli edifici e allargando i giardini-cortile. Gli appartamenti per famiglie sono in edifici che variano dai 4 ai 6 piani, mentre in un edificio di 16 piani (Great Arthur House) sono 120 appartamenti di due camere, e le case unifamiliari sono disposte in una serie di cortili riservati unicamente a pedoni; le strade che attraversavano l'area sono state chiuse e la strada principale sarà sotterranea dietro i negozî che fiancheggiano Gosweld Road.
Altri esempî di nuovi quartieri: Ham Common, Richmond, Surrey, 1955; Blackheath Park, Londra, 1957, architetto Eric Lyons: nel primo, 88 appartamenti sono in case a due piani, 77 in edifici a tre piani, 6 casette unifamiliari con sotto i negozî, garages, uffici, ecc.; si è cercato di ridurre al minimo le strade mentre numerosi sono i giardini-cortile per pedoni nei quali la diversa disposizione degli alberi dà il carattere individuale; a Blackheath Park si sono conservati gli alberi di antichi giardini georgiani; anche qui le case sono al massimo di tre piani; Alton Estates, orientale e occidentale, con bellissima vista sul Richmond Park e sul Putney Park, progettati (1956) dalla Housing division del London County Council, dipartimento di architettura: J. L. Martin, Hubert Bennett, Withfield Lewis, Michael Powell, Oliver J. Cox, ecc. Caratteristica di questo quartiere sono un gruppo di torri stellari di 11 piani con 4 appartamenti per piano, vicino a casette di 4 piani e a case unifamiliari con appartamento sopra e negozio sotto; un'alternanza di volumi, dunque, di netta importazione svedese; nella parte occidentale l'economia dello spazio permessa dalle torri ha fatto sì che si sia conservata una vasta zona di terreno incolto ed è stata curata in modo particolare l'ambientazione di Mount Clare e Downshire House, edifici di valore artistico che non hanno perso nulla del loro carattere per la vicinanza del moderno quartiere.
Singolare espressione della nuova architettura inglese sono, come si è detto, le numerose scuole costruite in questo periodo. Alcune di queste nuove scuole sono esemplari per la razionalità nell'uso dello spazio e l'economia nella costruzione (la Gran Bretagna è l'unico paese in cui si fa largo uso di prefabbricati), frutto di stretta collaborazione tra architetti, ingegneri e sociologhi.
Tra gli esempî migliori: asilo di Garston, Hertfordshire (1952), opera di C. H. Aslin, con largo uso di elementi prefabbricati; High Lawn primary school di Bolton (1953), opera di Bernard Claydon e John D. Foy con l'architetto del borough K. Martin Baxter, esemplare per l'integrazione con l'ambiente circostante; secondary school di Wokingham (1951-1953), ad opera degli architetti e costruttori del ministero dell'Educazione, con un edificio centrale di quattro piani e le stanze per usi specifici disposte con grande libertà in strutture a un piano solo; Cranford secondary school, Hounslow, Middlesex (1950-53), opera di Denis Clarke Hall e C. G. Stillman, con la più grande ricerca di economia dello spazio: le classi al piano superiore e la grande sala delle riunioni al piano terreno; scuola secondaria di Mayfield, Londra (1953-55), arch. Powell e Moya con R. Henley, P. Jones e P. Stewart assistenti, che, nonostante l'estensione (1620 studenti), raggiunge una straordinaria integrazione tra l'edificio centrale a un piano, la sala delle riunioni, le tre ali a tre piani con le classi, e il parco circostante.
Sempre nel campo dell'edilizia scolastica ricordiamo alla Sheffield University, a Western Bank, la biblioteca (spazio per 1.000.000 di libri e 400 lettori), completata nel gennaio 1960, primo edificio di un vasto programma di costruzioni nuove, vinto per concorso da Gollins, Melvin, Ward, e soci; i laboratorî scientifici aggiunti (1959) alla già esistente scuola di Bryanston, sopra Blanford, opera dell'Architects Co-partnership.
Tra i singoli edifici sorti in questi ultimi anni ricordiamo innanzi tutto il Royal Festival Hall, a Londra, il più importante edificio eretto in occasione del Festival of Great Britain (1951), organizzato dall'Arts Council, nel quale si rivelarono le capacità organizzative di sir Hugh Casson e di collaborazione di un folto gruppo di giovani architetti; il Festival Hall, dovuto al dipartimento di architettura del London County Council (Robert H. Matthew, J. L. Martin, Peter Moro, Edwin Williams, Hope Bagenal consulente acustico), è stato il primo edificio di proporzioni monumentali, degli ultimi venti anni, sorto nel centro della città specialmente riuscito nell'articolazione degli spazî interni, sfruttando in pieno le suggestioni dell'ubicazione sulla riva del fiume. Questo e gli altri edifici del Festival sono stati la prima manifestazione pubblica, su larga scala, dell'accettazione da parte degli architetti britannici del movimento moderno. Nel 1961 verrà completata la nuova cattedrale di Coventry (arch. Basil Spence), la cui unica navata sorge ad angolo retto con l'asse dell'antica cattedrale di S. Michele distrutta durante la seconda guerra mondiale (ne resta solo il campanile), le cui rovine fanno da vestibolo al portico del nuovo edificio.
La cosa più suggestiva di questa chiesa sarà l'illuminazione attraverso dieci vetrate (con colori dal verde, rosso, multicolore, viola all'oro di quelle vicino all'altare) disposte in maniera tale che la fonte della luce, tutta diretta verso l'altare, sarà invisibile a chi entri nella chiesa. Le vetrate sono opera individuale di Keith New, Lawrence Lee, Geoffrey Clarke, una è frutto di collaborazione dei tre, tutti provenienti dal Royal College of Art, mentre la grande vetrata ricurva del battistero, basata su un puro simbolismo di colori, è opera di John Piper. Alla risoluzione del problema delle vetrate ha dato il suo contributo l'Arts Council.
Per l'architettura industriale bisogna segnalare le coperture a "conchiglia", in strati di strisce di legno incollate insieme, realizzate dai laboratorî Amersham dell'Associazione per lo sviluppo del legno, che per la straordinaria leggerezza e quindi l'economia nelle fondamenta sono suscettibili di molteplici applicazioni; furono impiegate per la prima volta nella copertura a iperboloide della Oxford road station di Manchester (1959).
Fra le sale per spettacoli si ricordano le seguenti (tutte edificate con il concorso dell'Arts Council): teatro (1000 posti) di Coventry, il primo costruito (1956-57) in Gran Bretagna negli ultimi vent'anni, arch. Alexander Gibson e Arthur Ling (l'autore della decorazione in mosaico, Martin Froy, fu proposto, 1953-54, dall'Arts Council nell'intento di tentare una collaborazione tra architetto e artista sin dall'origine dell'edificio, perché l'artista non subentri come semplice decoratore); Mermaid Theatre di Londra (arch. E. Davies, 1959), teatro civico di Nottingham (arch. Peter Moro).
Scultura e pittura. - E difficile, per le arti figurative, arrivare a generalizzazioni, essendo caratteristico degli artisti britannici uno spiccato individualismo che arriva all'eccentrico e che rende impossibile una precisazione di scuole; manca persino un centro residenziale degli artisti, che vivono per lo più nei dintorni di Londra o in Cornovaglia, ma sempre isolati, lontano dalle città. Non resta quindi che fare una larga divisione tra astrattisti e realisti; le vecchie scuole, quali la Euston road school, non hanno offerto in questi ultimi anni segni di particolare vitalità.
L'astrattismo è stato accettato solo in questi ultimi anni e neppure con la vastità di consensi di altri paesi, nonostante la presenza del costante rigore astratto di un Ben Nicholson o di una Barbara Hepworth o di un Henry Moore. E caratteristico degli artisti inglesi un romantico interesse per la natura più che per l'uomo, un senso del fantastico, della linea, che fanno tracciare un filo conduttore da W. Blake attraverso Paul Nash tanto alle nature morte antropomorfe di Graham Sutherland quanto ai disegni dei rifugi antiaerei di H. Moore.
Dopo la scomparsa (1959) di Jacob Epstein - che nel secondo dopoguerra, oltre ad opere come la splendida Madonna con Bambino (1952-53) addossata al ponte che congiunge i due edifici del convento del S. Bambin Gesù in Cavendish square, Londra (opera cui ha concorso l'Arts Council), ha eseguito numerosi ritratti di straordinaria vitalità - i più importanti scultori sono Henry Moore e Barbara Hepworth.
Gli scultori britannici hanno acquistato in questi ultimi anni larga fama internazionale; basti pensare al premio internazionale per la scultura della Biennale di Venezia dato a Henry Moore (1948), a quello, sempre internazionale, per il monumento al prigioniero politico ignoto dato a Reg Butler (1953, il monumento non è stato ancora eretto), al premio internaz. per la scultura della Biennale di Venezia dato a Lynn Chadwick (1956).
Pur così diversi - con il suo ossessivo motivo della figura femminile sdraiata, archetipo della donna madre il primo, la seconda con il motivo virile, l'uomo eretto - H. Moore e B. Hepworth sono i più influenti scultori britannici, per fama più che per scuola: a eccezione di R. Adams (n. 1917), che della Hepworth ha preso anche la precisione geometrica che porta all'astrazione, le nuove generazioni infatti non hanno ereditato l'amore per il materiale e per la scultura diretta ma preferiscono il metallo, spesso saldato, evitando la monumentalità e la massa care a Moore, e sono direttamente influenzate da A. Calder (Lynn Chadwick) nell'interesse al movimento, all'isolamento della singola immagine. E. Paolozzi (n. 1924) nel suo uso indiscriminato di oggetti qualsiasi che, calcati in creta, diventano feticci moderni, profondamente inglesi nell'intrinseco e romantico naturalismo, è certamente influenzato da Picasso, mentre a A. Pevsner si ispira William Turnbull (n. 1922) nella sua ricerca di piani nello spazio; risentono delle stile di A. Giacometti le figure umane di Kenneth Armitage, assorbite in piani dai quali emergono solo dei commenti spiritosi; in Reg Butler (n. 1913) infine sentiamo le tracce della sua precedente pratica di architetto: dalle figure simili a insetti egli è passato in questi ultimi anni a un naturalismo sensuale, esplicato in figure femminili piene di vita che ricordano le sculture di Degas o di Renoir. Tra gli scultori dell'ultima generazione citiamo: Geoffrey Clarke (n. 1924), più noto oggi per le sue vetrate nella nuova cattedrale di Coventry, Hubert Dalwood (n. 1924), Leslie Thornton (n. 1925), Robert Chatworthy (n. 1928), Antony Caro (n. 1924).
In questi ultimi anni la pittura astratta ha acquistato nuovi adepti, ma essa non si va sviluppando sulla linea costruttivista e sensibile di un N. Gabo o di un Ben Nicholson - di cui l'unico rappresentante è Victor Pasmore la cui conversione all'astrattismo è considerata da sir Herbert Read l'avvenimento più importante nella pittura inglese del dopoguerra. Essa ha acquistato invece caratteri espressionistici, libertà di tratto, densità di colore che denotano un compiacimento per la materia, un gusto della vibrazione dei piani, di cui troviamo gli antecedenti nell'amore per la materia di H. Moore e di B. Hepworth. Graham Sutherland, con le sue impressionanti percezioni della corrispondenza tra forme naturali e sentimenti emotivi, Francis Bacon, le cui visioni terrificanti rivelano insieme con l'abilità tecnica nella manipolazione del colore tutto lo spirito letterario del surrealismo (per altro quasi affatto inconseguente in Gran Bretagna) e dell'esistenzialismo, William Scott (n. 1913), nelle cui tele si scorge un'organizzazione intellettuale di forma e colore che non annulla la vitalità degli oggetti, Keith Vaughan (n. 1912), con i suoi nudi monumentali, simboli della lotta dell'uomo con il mondo nel quale spera di sopravvivere, sono i pittori più affermati fuori dell'astrattismo propriamente detto, anche se dal movimento astratto sono direttamente influenzati in varia misura.
Robert Colquhoun (n. 1914), Michael Ayerton (n. 1921), John Tunnard (n. 1900), John Piper (n. 1903), David Jones (n. 1895), Edward Bawden (n. 1903), ciascuno con le sue caratteristiche individuali, continuano le tradizioni illustrative di romantico pittoricismo precipuamente britanniche. Ivon Hitchens (n. Londra 1893) e Claude Rogers (n. 1907) si sviluppano sulla linea della pittura post-impressionista - il primo, peraltro, con le sue definizioni di spazio in piani paralleli è considerato ora un' "astratto figurativo" - nel cui ambito si sono formati; il loro influsso è importante nelle scuole. Edward Middleditch (n. 1923), John Bratby (n. 1928), Derrick Greaves (n. 1927), sono considerati (cfr. il catalogo della XXVIII Biennale di Venezia, 1956) i rappresentanti della pittura realista in Gran Bretagna, un realismo che si limita a figurare la vita quotidiana senza nulla di quell'intento politico o sociale che si esprime, per esempio, nell'opera (scene di fabbrica, figure di operai) di Laurence Stephen Lowry (n. 1887), che peraltro appartiene alla generazione precedente. Vedi tav. f. t.
Bibl.: Opere generali: Central office of information, Britain, Londra 1959; Her Majesty's Treasury, Government and the arts in Britain, Londra 1958. - Architettura: Housing, a survey of the post war housing work of the London County council, Londra 1945-49; H. Orlans, Stevenage, a sociological study of a new town, Londra 1952; W. Ashworth, The genesis of modern english town planning, Londra 1954; M. Rosenauer, Modern office buildings, Londra 1955; A. Roth, The new school, New York 1958; T. Dannatt, Modern architecture in Britain, Londra 1959; G. Samonà, L'urbanistica e l'avvenire della città, Bari 1959; H.-R. Hitchcock, Architecture, Nineteenth and Twentieth centuries, Harmondsworth 1958 (con ampia bibl.); A. Cederna, Le quindici città, in Il Mondo, 2 febbr. 1960; autori varî, Must Britain be a mess?, in the Observer, 29 maggio, 5, 12, 19 giugno 1960; e riviste specializzate di questi anni: Architectural review, Architettura, ecc. - Per la pittura e scultura: British contemporary painters, introduzione di A. C. Ritchie, Buffalo 1946; A.C. Ritchie, Masters of British painting 1800-1950, Ipswich, s.d.; H. Read, Contemporary British art, Harmondsworth 1951; Arts Council of Great Britain, British painting 1925-1950, Londra 1951; C. Giedion-Welcker, Contemporary sculpture, An evolution in volume and space, Londra 1956; J. Rothenstein, Modern english painters, Lewis to Moore, Londra 1956; H. Read, A concise history of modern painting, Londra 1959; varî (H. Read per l'Inghilterra) Art since 1945, New York-Londra 1958 (trad. it. Milano 1959).
Letteratura (XIX, p. 281; App. II, 11, p. 49).
La letteratura inglese dell'ultimo decennio risente di una situazione ambigua e contrastante: a un diffuso benessere materiale, frutto delle imponenti conquiste sociali portate a compimento nell'ultimo dopoguerra, si contrappone un tragico sfaldamento dei valori morali che spesso tocca il limite estremo dell'abulia e dell'agnosticismo. Mancano le personalità prepotenti che - come al tempo di Joyce, di Yeats e del primo Eliot - possano costituire la guida verso una rinascita letteraria.
Le interferenze fra cultura e poesia sono divenute inoltre un aspetto clamoroso della letteratura inglese d'oggi con l'affermazione degli "University Wits", o poeti-professori, che raramente riescono a conservare la vitalità della loro ispirazione. La critica più accreditata torna a essere quella accademica: finito il tempo dei Pound, degli Eliot, dei Leavis e degli Empson, che attraverso la loro visione critica avevano posto le basi di nuovi tipi di esperienza estetica, si è tornati alla critica tecnica - sintattica (Davie), semantica o strutturale (Holloway), - alla critica formalistica e psicologica (sulle orme del Richards di trent'anni fa) o alla critica accademica storica e dotta. Segno di tale nuovo atteggiamento è il tono per nulla impegnato delle due più recenti riviste letterarie edite in Inghilterra: The Critical Quarterly (ove s'invoca peraltro un ritorno alla morale come punto di partenza per il giudizio estetico) e The Review of English Literature che rinuncia deliberatamente ad ogni programma. E il carattere saliente della nuova letteratura è - analogamente - la rinuncia ai programmi e il ritorno all'espressione individuale, sommessa e prudente.
Poesia. - L'ultimo decennio ha visto il declino o la sostanziale scomparsa, nel campo della poesia, dei movimenti e delle tendenze più rilevanti del periodo fra le due guerre e del secondo dopoguerra, né si è verificata, nel contempo, la comparsa di soluzioni paragonabili alle precedenti né per la portata dei principî di poetica né per la validità dei risultati artistici conseguiti. Questo periodo sembra segnare in maniera definitiva la fine del cosiddetto "modernismo" e la scomparsa del vate di statura eccezionale, e sancire l'affermazione di poeti assai contenti della loro misura umana e disposti a rispettare i limiti di tono e d'impegno che tale accettazione impone.
Unica superstite voce autorevole della generazione dei cosiddetti "poeti della prima guerra mondiale", che dominarono la scena per primi due decennî del secolo, è quella di Sigfried Sassoon che, dopo la pubblicazione dei Collected Poems (1947), ha dato alle stampe Sequences (1956) ove riaffiora, accanto a un tono pacato e meditativo che ben s'addice alla sua tarda età, il tono satirico che ha caratterizzato la poesia della sua maturità. Edith Sitwell, appartenente alla stessa generazione, continua a rivelare un eclettismo e una facilità sconcertanti adeguandosi alle tendenze recenti nella sua raccolta Gardeners and astronomers (1953).
I poeti appartenenti alla cosiddetta "scuola neo-metafisica", sviluppatasi nel primo dopoguerra sotto l'influsso prepotente della poetica dell'imagismo e dietro l'esempio di E. Pound e di T. S. Eliot, hanno perso quella posizione di indiscusso predominio che per almeno due decennî, dal'20 al'40, avevano tenuto. T. S. Eliot ha dato nel 1954 un ultimo saggio di poesia con The cultivation of Christmas trees, un componimento isolato che rivela l'estinzione quasi compiuta della sua voce lirica; il suo interesse è ora definitivamente orientato verso la saggistica e il teatro poetico (v. oltre). La rivalutazione di E. Muir, avvenuta dopo la sua morte, resta peraltro accademica e non è valsa a creargli una schiera, almeno postuma, di discepoli. Robert Graves ha suggerito certi accenti e toni ai poeti più giovani del "Movement" con il riserbo e con il non-conformismo della sua poesia che s'è proseguita felicemente con Poems and Satires (1951) e con Poems (1953). Sir Herbert Read e Edmund Blunden, che appartengono alla medesima generazione, sono rimasti sulle loro posizioni precedenti, come dimostrano i loro scritti più recenti: Moon's farm (1955) e Poems of many years (1957), rispettivamente.
Anche il gruppo dei cosiddetti "Pylon poets", che s'era contraddistinto soprattutto nel decennio fra il 1930 e il 1940 per il suo impegno verso i problemi ideologici, politici e sociali dell'epoca, s'è disperso e gli autori hanno desistito per varie ragioni dall'affrontare i loro temi d'un tempo. La poesia di W. H. Auden - il quale ha acquisito la cittadinanza americana - resta abile ed estrosa ma ha perso mordente e densità di pensiero come rivelano Nones (1952) e The Shield of Achilles (1955); la rinuncia all'impegno ideologico ha esasperato la ricerca formale in S. Spender (Collected poems, 1955) ed ha tolto nerbo e fierezza a L. Mac Neice (Ten burnt offerings, 1952; Autumn sequel, 1954 e Visitations, 1957) che del resto s'è troppo spesso dedicato alla scrittura di testi radiofonici talvolta a soggetto dichiaratamente commerciale. C. Day Lewis, che è l'ultima figura di rilievo di questo gruppo, detto anche dei "poeti di Oxford", ha tentato di riesumare, con successo solo parziale e frammentario, il poema di largo respiro.
I poeti che si affermarono nel corso della seconda guerra mondiale e nel dopoguerra immediato rifiutarono sostanzialmente ogni nesso con la poesia delle generazioni che li avevano preceduti. Fra questi va ricordato, in primo luogo W. Empson, poeta distaccato e ironico, critico e saggista di primissimo piano, che resta fra le personalità più influenti sui poeti dell'ultima generazione; l'esile volume dei suoi Collected poems (1955) - fra i quali soltanto due sono stati scritti dopo la guerra - è uno dei modelli più in voga. John Betjeman - di cui va ricordato l'ultimo volume, A few late chrysanthemums (1954) - ha riproposto agli autori e al pubblico il gusto, la sensibilità e il verso dei vittoriani e tutto ciò, insieme al surrealismo di D. Gascoyne ha stabilito le premesse per l'affermazione, effimera ma significativa, della scuola "apocalittica" e neo-romantica che ha dato il tono alla poesia inglese fra il 1940 e il 1950.
La morte di D. Thomas, che fu certamente il rappresentante più in vista e più dotato di tale corrente, segnò, nel 1953, la conclusione di un atteggiamento che si spiega come reazione a una maniera poetica e come portato di una situazione psicologica di crisi. Il volume di Collected poems 1934-1952 (1954) include solo otto liriche scritte dopo il 1948 che rivelano il persistere nella sua poesia di quegli elementi di surrealismo e di simbolismo, la straordinaria visionarietà e il senso profondo della lingua che caratterizzano i suoi scritti fin dall'esordio, nel 1934.
Fra i neo-romantici ancor oggi operanti vanno ricordati: G. Barker con sette volumi di liriche poi raccolti in The collected poems (1957) che esita fra il tono dimesso e quotidiano e una dizione enfatica ed esasperata; V. Watkins più popolaresco; W. R. Rodgers, che in Europa and the bull (1952) rivela la sua adesione agli esempî proposti da G. M. Hopkins, e infine N. Mc Caig (Riding lights, 1955; The sinai sort, 1957) che adotta tecniche e modi del surrealismo francese.
Fuori di questa voga e con espressione più spontanea e personale si affermarono, nello stesso periodo, una poetessa d'indubbie qualità e di sottile sensibilità, K. Raine e alcuni poeti d'indubbio valore: L. Lee, L. Durrell, chiuso quest'ultimo in un mondo fantastico assai limitato ma precisissimo e sentito con estrema sensibilità (A prvate country, del 1943, resta il suo scritto poetico migliore, mentre l'ultimo volume The tree of idleness, 1955, rivela delle forzature); F. T. Prince e K. Douglas restano noti come i poeti che meglio hanno saputo esprimere il dramma della seconda guerra mondiale come fu vissuto dai combattenti; il primo celebre per la raccolta Soldiers bathing (1954) e l'altro per i suoi Collected poems, pubblicati postumi nel 1951 a ben sei anni dalla sua morte sul campo di battaglia.
I poeti più recenti si raggruppano in due tendenze solo parzialmente contrastanti che hanno espresso il loro credo poetico e il meglio della loro scrittura in due antologie: Newlines (1956) e Mavericks (1957). Nel "manifesto" pubblicato come prefazione di New lines, si proclama il rifiuto di ogni preconcetto creato dall'adozione di sistemi teorici o di una fede mistica e si insiste sulla decisione di assumere un atteggiamento empiristico accettando i fatti e i suggerimenti proposti da una realtà giudicata implicitamente come esistente di per sé. Come risultato si otterrà una "poesia oggettiva", asciutta, chiara e definita, in cui l'esercizio dell'intelligenza prevale sul gioco (giudicato ambiguo) delle emozioni e che si esprime in un linguaggio limpido e aperto, vicino al parlato, ma legato a ritmi regolari o addirittura a forme metriche tradizionali. L'anti-manifesto, comparso su Mavericks, definiva invece l'opera poetica come il risultato di una "lotta tremenda" fra poesia e autore, fra il materiale irrazionale e amorfo fornito dall'intuizione e l'elaborazione consapevole e raziocinante del poeta-artigiano; la poesia doveva quindi risultare da una sintesi dell'elemento "dionisiaco" e di quello "olimpico", dall'espressione esatta e razionale di intuizioni arbitrarie e alogiche. Si può insomma affermare che, mentre il "Movement", come venne denominata la tendenza che trovò espressione in New lines, rompe in modo assoluto con il neo-romanticismo del decennio precedente, la corrente che fa capo a Mavericks si propone di integrare e di rivedere i canoni accolti e propugnati da tale precedente scuola. In ambo i casi, comunque, si nota una decisa rivalutazione della ragione e della chiarezza.
I principali fra i poeti del gruppo di Newlines sono: P. Larkin (The less deceived, 1955), K. Amis (A frame of mind, 1953; A case of samples, 1957) e J. Wain (A word carved on a sill, 1956); a questi va aggiunto, se pure con qualche riserva da parte sua, R. Fuller che, dopo essersi rivelato con Epitaphs and occasions (1949), si impose con Counterparts (1954). T. Gunn, pur appartenendo a questo gruppo, non nasconde una sua marcata affinità con i neoromantici e nella scelta dei temi e nell'uso di un linguaggio metaforico e fantasioso, come appare in Fighting terms (1954) e in A sense of movement (1957) che dimostrano come egli sia forse il più dotato fra i poeti di questo gruppo.
Meno vistose le personalità del gruppo riunitosi attorno a Mavericks: D. Wright (Moral stories, 1954) cerca l'effetto attraverso un'espressione franca e talvolta deliberatamente brutale; J. Silkin (The peaceable kingdom, 1954), V. Scannell e altri minori.
Fra le figure più in vista, fuori di questi due gruppi, bisogna ricordare: R.S. Thomas che salì alla ribalta nel 1956 con Song of the year's turning, ove il paesaggio della natia terra del Galles ha parte preponderante; J. Kirkup (The submerged village, 1951; A correct compassion, 1952; A spring journey, 1954) che cerca ispirazione in ogni dettaglio della vita quotidiana da una delicata operazione al cuore a una spedizione di speleologia; T. Hughes, che risale agli epigoni del romanticismo della fine dell'800 e H. Mac Diarmid che è l'esponente più in vista del movimento detto dei "Lallans", poeti scozzesi che adottano il dialetto dei Lowlands, una tendenza che ha varî casi paralleli in varî movimenti letterarî improntati al regionalismo.
Teatro. - La morte di G. B. Shaw, avvenuta nel 1950, fu da molti interpretata come un avvenimento simbolico che sanciva definitivamente la fine, in Inghilterra, d'una tradizione drammatica che aveva voluto fondere toni realistici, atteggiamenti moralistici e facili effetti scenici e di dialogo. Sembrò allora che a questo teatro, borghese nel tono (anche se superficialmente spregiudicato) e friabile nelle strutture e nella forma, si dovesse sostituire il teatro aristocratico in versi che, in campi differenti, avevano patrocinato W. B. Yeats e T. S. Eliot. Negli anni fra il 1935 e il 1950 questa nuova corrente - alla ricerca dei grandi temi e di una forma solida e impeccabile - parve affermarsi anche per la varietà delle soluzioni realizzate e dei problemi trattati. Malgrado ogni sforzo da parte degli autori apparve però chiaro, in seguito, che la dizione poetica costituiva, per il pubblico, un vero e proprio impaccio, sia che gli autori tentassero di mascherarla fin quasi a svilirla al livello della prosa, sia che ne facessero il centro d'interesse della loro opera.
D'altra parte il dramma naturalistico, la commedia da salotto e il teatro d'idee in prosa sopravvivevano, registrando spesso successi assai meno contrastanti fra un pubblico sempre più eterogeneo, sempre più incapace di quello sforzo di penetrazione e di quell'adeguamento alle convenzioni che il teatro poetico impone, sempre più abituato da altre forme di spettacolo al realismo e agli effetti facili. Da tale stato di fatto sembra partire la corrente più recente e oggi più viva del dramma inglese che ha nuovamente ripiegato su una prosa aderente al parlato contemporaneo e che è tornata ad adottare una tematica contingente e a effetto cercando l'originalità soltanto nella rappresentazione di ambienti o stati psicologici che sono ai margini della normale esperienza umana e spesso si riducono a veri casi limite.
I contributi più recenti di T.S. Eliot al teatro poetico - The confidential clerk (1953) e The elder statesman (1959) - rivelano la sua crescente preoccupazione di eliminare ogni accento che possa distogliere l'interesse dal dramma per concentrarlo sulla poesia; ciò porta ad un eccessivo scadimento dell'espressione che non giustifica più, apparentemente, la scelta della forma metrica che resta un puro e semplice artificio per dare solidità e compattezza al linguaggio. Né si può negare un contemporaneo svuotamento dei temi che appaiono secondarî o trascurabili se messi a confronto con quelli dei precedenti drammi. C. Fry dal canto suo, continua a puntare sulle sue innegabili risorse di abile manipolatore di parole, di immagini e di ritmi, ma la prevalenza dell'elemento formale e dell'esornazione non vale a riscattare sulla scena la staticità e il poco impegno del suo teatro. Dopo l'esaurimento del dramma in versi ispirato alle questioni politiche e sociali dell'epoca, lanciato verso il 1930 da W. H. Auden, Ch. Isherwood e L. Mac Neice, e rimasto senza seguito il dramma visionario e simbolistico di Yeats, attualmente il teatro poetico oscilla fra gli esempî proposti da Eliot e quelli realizzati da Fry risolvendosi troppo spesso in maniera. L. Durrell (Sappho, 1950) e L. Mac Neice (Agamennon, 1951) continuano a richiamarsi agli antichi miti seguendo i suggerimenti di Eliot, di Fry e di J. Anouilh; L. Lee (The voyage of Magellan, 1948) e A. Riddler (The trial of T. Cranmer, 1956) prendono le mosse dall'Eliot del Murder in the Cathedral nelle loro rievocazioni storiche e religiose. R. Duncan, autore assai prolifico, anche se forse troppo legato ai modi espressivi di T.S. Eliot, ci ha dato recentemente This way to the tomb (1946), Stratton (1950), Don Juan (1954) e The death of Satan (1955). Isolato, infine, resta il bel dramma radiofonico Under milk wood (1954) che rivela un aspetto inedito - umanissimo nei sentimenti e piano nell'espressione - di D. Thomas.
Il teatro tradizionale in prosa trova in Noel Coward, oramai più che sessantenne, la sua espressione più caratteristica: oltre alle sue commedie commerciali vanno ricordati, negli ultimi anni, i suoi tentativi nei campi del balletto e del teatro musicale. Egualmente abile nell'effetto teatrale e troppo pronto a venire a patti con i gusti del pubblico e con i suggerimenti della moda è T.M. Rattigan che ha riscosso con Separate tables (1954) un largo successo presso il pubblico inglese e internazionale.
Più originale, nel medesimo settore, è l'opera di P. A. Ustinov, autore, regista e attore, che, dopo i successi registrati fra il 1940 e il 1950, si è fatto ancora notare più per la stravaganza che per i veri pregi di The moment of truth (1951) e di Romanoff and Juliet (1956). Due romanzieri, infine, si sono distinti nel campo del teatro realistico, per la portata dei problemi affrontati e per il coraggio delle soluzioni adottate: G. Greene (The living room, 1953; The potting shed, 1957; The complaisant lover, 1959) sempre impegnato su problemi religiosi e morali; W.B. Browne (The holly and the ivy, 1950; A question of fact, 1953; e The ring of truth, 1959).
Anouilh e Jonesco, malgrado la favorevole accoglienza del pubblico, non hanno trovato in Inghilterra seguaci degni, a parte l'irlandese S. Beckett che però può considerarsi oramai appartenente alla letteratura francese. Gli atteggiamenti dell'ultima generazione di drammaturghi sembrano prendere lo spunto dal teatro di Sartre e cercano di esprimere in un linguaggio esasperatamente realistico e violento, senza però disdegnare, a tratti, la tecnica del surrealismo e l'ironia, situazioni individuali o collettive che rispecchiano una crisi dei valori morali e un diffuso senso d'angoscia. Fra costoro vanno ricordati J. Osborne, A. Wesker, H. Pinter e B. Behan. Osborne si rivelò con lo spregiudicato Look back in anger (1954) che esprime soprattutto lo scontento della nuova generazione verso la precedente; il suo posto di caposcuola è stato oramai occupato da A. Wesker più legato alla tradizione realistica inglese della scuola di Manchester ma più competente nella scelta dei temi e nella realizzazione drammatica di cori.
Narrativa. - Molta narrativa inglese d'oggi sarebbe certo impensabile senza il precedente di J. Joyce la cui opera peraltro è stata assai più influente nel ventennio fra il 1930 e il 1950. Nell'ultimo decennio, a questo impulso, ancora vivo, se ne sono affiancati altri - la grande voga postuma di Forster e Conrad, il ritorno di Trollope e Thackeray e il nuovo vigore dell'influsso di Proust, James e Kafka - che hanno contribuito a modificare notevolmente le direttive del romanzo contemporaneo. Tali nuove spinte sembrano orientare di nuovo l'interesse del narratore verso una visione panoramica di strati o aspetti della società (senza però un deciso impegno sociale) attenuando nel contempo quella minuziosa e tortuosa indagine interiore, delle zone coscienti e subcoscienti, che s'avviava verso l'esercitazione compiaciuta e la sottigliezza dispersiva. Il romanzo si allontana dalla morbosa dissezione dell'animo umano, cessa di essere "novel of sensibility" (com'era stato denominato), torna ad assumere atteggiamenti umoristici, picareschi, avventurosi perfino e punta decisamente sulla complessità e la varietà delle vicende, sulla quantità dei personaggi e talvolta anche sulle implicazioni moralistiche o sugli effetti satirici.
Un primo gruppo di autori include tutti nomi già solidamente affermati in precedenza e che nell'ultimo decennio hanno dimostrato la loro vitalità: due scrittrici, I. Compton-Burnett ed E. Bowen (A world of love, 1955) restano legate a modi narrativi, a tipi di sensibilità e ad ambienti oramai superati pur dimostrando di possedere gusto e mano sicura. G. Greene (The heart of the matter, 1948; The quiet American, 1955; Our man in Havana, 1958) e E. Waugh (The loved one, 1948; Men at arms, 1952; Officers and gentlemen, 1955) rimangono i due narratori cattolici più in vista: si continua a notare un'eccessiva insistenza su temi spesso strettamente legati alla loro fede che il primo affronta sul piano della tragedia, o talvolta addirittura del romanzo poliziesco, e il secondo sul piano della farsa o della satira. Né evoluzioni degne di nota si sono manifestate nell'opera di Ch. Morgan o di H. Green, ambedue rivolti a cogliere, con tecniche diverse, la vicenda umana e intima dei loro personaggi. Assai impegnato s'è dimostrato invece G. Orwell (Keep the Aspidistra flying, 1936; Animal Farm, 1946; Nineteen - Eighty - Four, 1949), il cui successo resta però troppo legato a situazioni contingenti e ad atteggiamenti faziosi. J. Cary s'è dedicato invece con pacatezza ad un riesame dell'Inghilterra di questi ultimi cinquanta anni, tracciato attraverso la vicenda di uno statista liberale esposta nella forma di una trilogia (Prisoner of Grace, 1952; Except the Lord, 1953; Not honour more, 1955) che peraltro non rivela nuovi sviluppi nella sua arte narrativa.
È questo il primo di una serie di polittici che stanno a testimoniare certe nuove intenzioni del romanzo degli ultimi anni. A. Powell ha già scritto cinque volumi (1951-59) della sua Music of time, un'opera monumentale ispirata deliberatamente a Proust e che risente, specie nella prima parte, dell'ironia e dell'umorismo di E. Waugh. C. P. Snow ha egualmente elaborato una "saga" intitolata The conscience of the rich (1951-60) imitando la struttura e il tono pacato di A. Trollope; sia il Powell che lo Snow trattano di ambienti e persone della media borghesia né spingono mai l'indagine troppo a fondo, sicché il loro tono resta assai uniforme e monotono né risulta mai pienamente convincente. Del tutto antitradizionale è la scrittura e la tematica di L. Durrell, autore della tetralogia detta The Alexandria Quartet (1957-1960) che si propose di applicare le leggi della relatività alla narrazione delle vicende dei suoi quattro personaggi che si compiono sullo sfondo di un'Alessandria vista come sintesi del mondo e della vicenda umana. W. Lewis, che resta fra i narratori di maggior spicco dell'ultimo cinquantennio, ha perseguito instancabilmente la sua attività dando anch'egli un seguito a The Childermass con The human age (1955) che resta ancora incompiuto; fra i suoi ultimi romanzi emerge Self condemned (1954) e fra i racconti il volume intitolato Rotting Hill (1951). Sullo stesso piano per potenza di espressione e per altezza di risultati deve porsi un altro veterano della prosa del'900, A. Wilson, con due volumi assai discussi che, ad onta dei difetti, sono da considerarsi fra i migliori del periodo: Hemlock and after (1952) che adottando i canoni di un realismo zoliano descrive il mondo degli omosessuali e Anglo-Saxon attitudes (1956).
Fra i narratori dell'ultima generazione vanno ricordati J. Wain (Hurry on down, 1953; Living in the present, 1955) e K. Amis (Lucky Jim, 1954; That uncertain feeling, 1955; I like it here, 1957) che riprendono nella loro opera narrativa l'atteggiamento di distacco, di chiarezza e spesso umoristico che caratterizza la loro poesia. Di analogo indirizzo è A. Sillitoe (Saturday night and Sunday morning, 1958; e The loneliness of the long distance runner, 1959, una raccolta di novelle), il quale ricorre a un linguaggio spesso virulento e irriverente e realizza una satira insofferente e ribelle che pongono la la sua opera sullo stesso piano di quella di Osborne e Wesker in campo di teatro. Non dissimile, anche se formalmente più corretto, è l'atteggiamento di N. Dennis (Cards of identity, 1955). J.D. Scott e P.H. Newby restano nella corrente tradizionale rifacendosi il primo a Conrad (The end of an old song, 1954), il secondo a Lawrence e Forster (A step to silence, 1952; The retreat, 1953)
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